Copertina
Autore John Rawls
Titolo Una teoria della giustizia
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2008 [1982], UE Saggi 1964 , pag. 578, cop.fle., dim. 12,3x19,5x3 cm , Isbn 978-88-07-81964-3
OriginaleA Theory of Justice [1971]
CuratoreSebastiano Maffettone
PrefazioneSebastiano Maffettone
TraduttoreUgo Santini
LettoreGiorgia Pezzali, 2008
Classe filosofia , politica , diritto
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Indice

  7 Prefazione del curatore

 17 Prefazione


    Parte prima - TEORIA


 25 Capitolo I. Giustizia come equità

    1. Il ruolo della giustizia, 25.
    2. L'oggetto della giustizia, 28.
    3. L'idea principale della teoria della giustizia, 32.
    4. Posizione originaria e giustificazione, 38.
    5. L'utilitarismo classico, 42.
    6. Alcuni contrasti connessi, 47.
    7. L'intuizionismo, 52.
    8. Il problema della priorità, 59.
    9. Alcune osservazioni sulla teoria morale, 63

 70 Capitolo II. I principi di giustizia

    10. Istituzioni e giustizia formale, 70.
    11. I due principi di giustizia, 75.
    12. Interpretazioni del secondo principio, 80.
    13. L'eguaglianza democratica e il principio di differenza, 89.
    14. L'equa eguaglianza di opportunità e
        la giustizia procedurale pura, 96.
    15. I beni primari sociali come base delle aspettative, 101.
    16. Posizioni sociali rilevanti, 105.
    17. La tendenza all'eguaglianza, 110.
    18. Principi per individui: il principio di equità, 117.
    19. Principi per individui: i doveri naturali, 122

126 Capitolo III. La posizione originaria

    20. La natura dell'argomento in favore delle concezioni
        della giustizia, 126.
    21. La presentazione delle alternative, 129.
    22. Le circostanze di giustizia, 133.
    23. I vincoli formali al concetto di giusto, 136.
    24. Il velo di ignoranza, 142.
    25. La razionalità delle parti, 147.
    26. Il ragionamento in favore dei due principi di giustizia, 154.
    27. Il ragionamento in favore del principio di utilità media, 164 .
    28. Alcune difficoltà del principio della media, 169.
    29. Alcune ragioni principali in favore dei due principi
        di giustizia, 177.
    30. Utilitarismo classico, imparzialità e benevolenza, 185


    Parte seconda - ISTITUZIONI


197 Capitolo IV. Eguale libertà

    31. La sequenza a quattro stadi, 197.
    32. Il concetto di libertà, 202.
    33. Eguale libertà di coscienza, 206.
    34. La tolleranza e l'interesse comune, 212.
    35. Tolleranza per gli intolleranti, 216.
    36. La giustizia politica e la costituzione, 220.
    37. Limitazioni al principio di partecipazione, 227.
    38. Il governo della legge, 233.
    39. Definizione della priorità della libertà, 240.
    40. L'interpretazione kantiana della giustizia come equità, 248

255 Capitolo V. Quote distributive

    41. Il concetto di giustizia in economia politica, 255.
    42. Alcune osservazioni sui sistemi economici, 261.
    43. Istituzioni di sfondo per la giustizia distributiva, 269.
    44. Il problema della giustizia tra generazioni, 278.
    45. Preferenza temporale, 286.
    46. Altri casi di priorità, 290.
    47. Le massime di giustizia, 295.
    48. Aspettative legittime e merito morale, 300.
    49. Confronto con le concezioni miste, 305.
    50. Il principio di perfezione, 313

321 Capitolo VI. Dovere e obbligo

    51. Gli argomenti in favore dei principi di dovere naturale, 321.
    52. Gli argomenti in favore del principio di equità, 329.
    53. Il dovere di rispettare una legge ingiusta, 336.
    54. Lo status della regola di maggioranza, 341.
    55. La definizione della disobbedienza civile, 347.
    56. La definizione dell'obiezione di coscienza, 352.
    57. La giustificazione della disobbedienza civile, 355.
    58. La giustificazione dell'obiezione di coscienza, 360.
    59. Il ruolo della disobbedienza civile, 365


    Parte terza - FINI


377 Capitolo VII. Il bene come razionalità

    60. La necessità di una teoria del bene, 377.
    61. La definizione di bene nei casi più semplici, 380.
    62. Osservazioni sul significato, 385.
    63. La definizione del bene in relazione ai piani di vita, 388.
    64. Razionalità deliberativa, 395.
    65. Il principio aristotelico, 403.
    66. La definizione del bene applicata alle persone, 411.
    67. Rispetto di sé, eccellenza e vergogna, 417.
    68. Diversi contrasti tra il giusto e il bene, 423

428 Capitolo VIII. Il senso di giustizia

    69. Il concetto di società bene-ordinata, 428.
    70. La moralità autoritaria, 436.
    71. La moralità associativa, 441.
    72. La moralità dei principi, 445.
    73. Caratteristiche dei sentimenti morali, 451.
    74. La relazione tra gli atteggiamenti morali e quelli naturali, 457.
    75. I principi della psicologia morale, 461.
    76. Il problema della stabilità relativa, 467.
    77. Le basi dell'eguaglianza, 474

482 Capitolo IX. Il bene della giustizia

    78. Autonomia e obiettività, 482.
    79. L'idea di unione sociale, 488.
    80. Il problema dell'invidia, 497.
    81. Invidia ed eguaglianza, 501.
    82. Le ragioni della priorità della libertà, 507.
    83. Felicità e fini dominanti, 513.
    84. L'edonismo come metodo di scelta, 519.
    85. L'unità dell'Io, 524.
    86. Il bene del senso di giustizia, 530.
    87. Osservazioni conclusive sulla giustificazione, 540

549 Tavola di conversione

551 Indice analitico e dei nomi

 

 

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Pagina 7

Prefazione del curatore


A Theory of Justice di John Rawls fu considerato fin dal suo apparire come il più importante libro di filosofia politica in lingua inglese dopo il Leviatano di Hobbes. Questa impressione fu rafforzata dalla enorme discussione critica che seguì la pubblicazione e che è durata praticamente ininterrotta da allora a oggi, estendendo l'impatto del libro ben al di là dei confini del mondo anglosassone. Come è stato detto più volte, si può sostenere che questo libro ha costituito una svolta epocale nell'ambito della filosofia politica e morale del Novecento. In esso, il suo autore presenta una teoria normativa della giustizia come equità (justice as fairness), che propone un'innovativa concezione filosofica della liberal-democrazia. Il nucleo di questa teoria è costituito da principi di giustizia che si suppone parti razionali sceglierebbero in condizioni ideali. La situazione di scelta iniziale viene battezzata da Rawls "posizione originaria", e corrisponde allo status quo di una dottrina classica del contratto sociale, cui la teoria della giustizia come equità si rifà. I due principi di giustizia sono ispirati a ideali di libertà ed eguaglianza, opportunamente combinati tra loro all'interno di una visione "liberal" della giustizia sociale.

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Pagina 17

Prefazione


Proponendo una teoria della giustizia ho tentato di riunire in una posizione coerente le idee espresse negli articoli che ho scritto negli ultimi dodici anni. I temi centrali di questi saggi sono stati ripresi di solito con maggiore cura. Sono stati anche discussi i restanti problemi che sono necessari per dare completezza alla teoria. L'esposizione è divisa in tre parti. La prima parte tratta più accuratamente la stessa tesi di Justice as Fairness (1958) e Distributive Justice: Some Addenda (1968), mentre i tre capitoli della seconda parte corrispondono, anche se con numerose aggiunte, ai temi trattati rispettivamente in Constitutional Liberty (1963), Distributive Justice (1967) e Civil Disobedience (1966). Il secondo capitolo dell'ultima parte si occupa del contenuto di The Sense of Justice (1963). Gli altri capitoli di questa parte non si rifanno ai saggi pubblicati se non in pochi punti. Sebbene le idee principali siano per lo più le stesse, ho tentato di eliminare le inconsistenze e di arricchire e rafforzare gli argomenti in molti punti.

Posso forse spiegare meglio il mio scopo nello scrivere questo libro. Per buona parte della moderna filosofia morale, la teoria generale dominante si è ispirata a una qualche forma di utilitarismo. Una ragione di ciò è che l'utilitarismo è stato adottato da una lunga serie di eccellenti autori, che hanno costruito un sistema di pensiero estremamente convincente per ampiezza e precisione. Si dimentica troppo spesso che i grandi utilitaristi come Hume e Adam Smith, Bentham e Mill, erano teorici della società ed economisti di primo piano; e che la loro dottrina morale era costruita in modo da soddisfare i loro interessi più ampi e da integrarsi in uno schema generale. Coloro che li hanno criticati, lo hanno spesso fatto su un terreno molto più ristretto. Essi hanno indicato le oscurità insite nel principio di utilità, e le apparenti incongruenze tra molte delle sue implicazioni e i nostri sentimenti morali. Ma credo che non siano riusciti a costruire una concezione morale, adoperabile e sistematica, che si opponesse a esso. Il risultato di questa situazione è che spesso ci troviamo apparentemente costretti a scegliere tra utilitarismo e intuizionismo. Nella maggior parte dei casi, finiamo per scegliere una variante del principio di utilità con l'aggiunta di vincoli intuizionistici ad hoc. Questo punto di vista non è irrazionale; e non v'è alcuna certezza che sia possibile fare di meglio. Ma questa non è una ragione per non tentare.

Quello che ho cercato di fare è generalizzare e portare a un più alto livello di astrazione la teoria tradizionale del contratto sociale di Locke, Rousseau e Kant. Spero così che la teoria possa essere sviluppata in modo da non prestare il fianco alle più ovvie obiezioni che spesso sono sembrate esserle fatali. Ciò sembra inoltre offrire una teoria alternativa della giustizia, che mi pare superiore all'utilitarismo tradizionale dominante. La teoria che ne risulta ha una natura profondamente kantiana. Non ho pretese di originalità per le mie tesi: le principali sono classiche e ben conosciute. Il mio scopo è quello di organizzarle in una struttura generale per mezzo di alcuni espedienti semplificatori, in modo che possano essere valutate in tutta la loro forza. Le mie ambizioni riguardo a questo libro saranno soddisfatte completamente se esso aiuterà a vedere più chiaramente le principali caratteristiche strutturali della concezione alternativa della giustizia che è implicita nella tradizione contrattualista e che può suggerire la direzione per sviluppi successivi. Credo che, tra le teorie tradizionali, questa concezione costituisca la migliore approssimazione ai nostri giudizi ponderati di giustizia e rappresenti la fondazione morale più adeguata per una società democratica.

Questo è un libro lungo, non solo per il numero di pagine. Di conseguenza, per rendere al lettore le cose più facili, metterò in risalto alcuni punti che servano di orientamento. Le idee intuitive fondamentali della teoria della giustizia sono esposte nei paragrafi 1-4 del capitolo 1. Da lì si può passare direttamente alla discussione dei due principi di giustizia per le istituzioni, ai paragrafi 11-17 del capitolo 2, e successivamente alla trattazione della posizione originaria, nell'intero capitolo 3. Uno sguardo al paragrafo 8 sul problema della priorità può rivelarsi necessario, in caso di scarsa familiarità con questo concetto. Le parti del capitolo 4, i paragrafi 33-35 sull'uguale libertà e 39-40 sul significato della priorità della libertà e l'interpretazione kantiana, forniscono l'immagine più adeguata della teoria. Quanto elencato finora è circa un terzo del totale, e comprende quasi tutti gli elementi essenziali della teoria.

Esiste tuttavia il pericolo che, se non si considera il contenuto dell'ultima parte, la teoria della giustizia possa essere male interpretata. In particolare, devono essere messi in rilievo i seguenti paragrafi: i paragrafi 66-67 del capitolo 7 sul valore morale, il rispetto-di-sé e le nozioni correlate; il paragrafo 77 del capitolo 8 sulle basi dell'eguaglianza; e i paragrafi 78-79 sull'autonomia e l'unione sociale, il paragrafo 82 sulla priorità della libertà, e i paragrafi 85-86 sull'unità del sé e la congruenza, tutti nel capitolo 9. Se si aggiungono questi paragrafi agli altri, si ottiene sempre meno della metà del testo.

I titoli dei paragrafi, le osservazioni che precedono ogni capitolo e l'indice guideranno il lettore al contenuto del libro. Mi sembra superfluo insistere su ciò, se non per dire che ho evitato tutte le discussioni metodologiche troppo estese. C'è una breve considerazione sulla natura della teoria morale nel paragrafo 9, e della giustificazione nei paragrafi 4 e 87. Si può trovare una rapida digressione sul significato di "buono" nel paragrafo 62. Ci sono occasionalmente commenti e suggerimenti metodologici, ma per il resto la mia intenzione è quella di formulare una teoria sostantiva della giustizia. Tutti i confronti e le opposizioni con le altre teorie, e le argomentazioni critiche che ne derivano specialmente riguardo all'utilitarismo, devono essere considerati in questa luce.

Non avendo incluso buona parte dei capitoli IV-VIII tra le parti fondamentali del libro, non intendo suggerire che questi capitoli debbano essere considerati come accessori o come semplici applicazioni. Credo piuttosto che a mettere alla prova una teoria della giustizia sia il modo in cui essa ordina e sistematizza i nostri giudizi ponderati riguardo a un ampio spettro di problemi. Di conseguenza, i temi di questi capitoli meritano di essere presi in considerazione, poiché le conclusioni così raggiunte modificano a loro volta la tesi proposta. Riguardo a questo punto però il lettore è più libero di seguire le proprie preferenze, e di dedicarsi ai problemi che lo interessano maggiormente.

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Pagina 25

Capitolo I. Giustizia come equità


In questo capitolo introduttivo illustrerò alcune idee fondamentali della teoria della giustizia che intendo sviluppare. L'esposizione è informale e si propone di preparare il terreno agli argomenti più approfonditi che seguiranno. Inevitabilmente, vi è qualche sovrapposizione tra questa parte della discussione e quella che segue. Inizierò con una descrizione del ruolo della giustizia nella cooperazione sociale, e con una breve esposizione dell'oggetto principale della giustizia, la struttura di base della società. Esporrò quindi l'idea centrale della giustizia come equità, una teoria della giustizia che generalizza e porta a un più alto livello di astrazione la tradizionale concezione del contratto sociale. Il patto di società è sostituito da una situazione iniziale che incorpora determinati vincoli procedurali su argomenti il cui scopo è di condurre a un accordo originario sui principi di giustizia. Prenderò anche in esame, per essere chiaro, concezioni della giustizia contrapposte, come quelle dell'utilitarismo classico e dell'intuizionismo, considerando alcune delle differenze tra queste posizioni e quella della giustizia come equità. Il mio scopo principale è la costruzione di una teoria della giustizia che costituisca un'alternativa praticabile a queste dottrine che hanno a lungo dominato la nostra tradizione filosofica.


1. Il ruolo della giustizia

La giustizia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero. Una teoria, per quanto semplice ed elegante, deve essere abbandonata o modificata se non è vera. Allo stesso modo, leggi e istituzioni, non importa quanto efficienti e ben congegnate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste. Ogni persona possiede un'inviolabilità fondata sulla giustizia, su cui neppure il benessere della società nel suo complesso può prevalere. Per questa ragione la giustizia nega che la perdita della libertà per qualcuno possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri.

Non permette che i sacrifici imposti a pochi vengano controbilanciati da una maggior quantità di vantaggi goduti da molti. Di conseguenza, in una società giusta sono date per scontate eguali libertà di cittadinanza; i diritti garantiti dalla giustizia non possono essere oggetto né della contrattazione politica, né del calcolo degli interessi sociali. L'unico motivo che ci permette di conservare una teoria erronea è la mancanza di una teoria migliore; analogamente, un'ingiustizia è tollerabile solo quando è necessaria per evitarne una ancora maggiore. Poiché la verità e la giustizia sono le virtù principali delle attività umane, esse non possono essere soggette a compromessi.

Queste proposizioni sembrano esprimere le nostre convinzioni intuitive sul primato della giustizia. Senza dubbio sono state espresse in modo troppo radicale. In ogni caso intendo vedere se queste affermazioni, o altre simili a esse, sono valide e, in questo caso, in che modo se ne può tentare una ricostruzione razionale. Per questo scopo è necessaria la costruzione di una teoria della giustizia, alla luce della quale si possano interpretare e valutare queste affermazioni. Inizierò da una analisi del ruolo dei principi di giustizia. Per chiarire questo punto, assumiamo che la società sia un'associazione più o meno autosufficiente di persone che, nelle loro relazioni reciproche, riconoscono come vincolanti certe norme di comportamento e che, per la maggior parte, agiscono in accordo con esse. Supponiamo poi che queste norme specifichino un sistema di cooperazione teso ad avvantaggiare coloro che vi partecipano. Quindi, nonostante la società sia un'impresa cooperativa per il reciproco vantaggio, essa è normalmente caratterizzata sia da conflitto sia da identità di interessi. Esiste un'identità di interessi, poiché la cooperazione sociale rende possibile per tutti una vita migliore di quella che chiunque potrebbe avere se ciascuno dovesse vivere unicamente in base ai propri sforzi. Esiste un conflitto di interessi dal momento che le persone non sono indifferenti rispetto al modo in cui vengono distribuiti i maggiori benefici prodotti dalla loro collaborazione: ognuno di essi infatti, allo scopo di perseguire i propri obiettivi, ne preferisce una quota maggiore piuttosto che minore. Un insieme di principi serve così per scegliere tra i vari assetti sociali che determinano questa divisione dei vantaggi e per sottoscrivere un accordo sulla corretta distribuzione delle quote. Questi principi sono i principi della giustizia sociale: essi forniscono un metodo per assegnare diritti e doveri nelle istituzioni fondamentali della società, e definiscono la distribuzione appropriata dei benefici e degli oneri della cooperazione sociale.

Diciamo così che una società è bene-ordinata quando non soltanto è tesa a promuovere il benessere dei propri membri, ma è anche regolata in modo effettivo da una concezione pubblica della giustizia. Ciò significa che si tratta di una società in cui 1) ognuno accetta e sa che gli altri accettano i medesimi principi di giustizia e 2) le istituzioni fondamentali della società soddisfano generalmente, e in modo generalmente riconosciuto, tali principi. In questo caso, anche se si possono avanzare richieste eccessive verso i propri simili, si riconosce nondimeno un punto di vista comune in base al quale possono essere giudicate le pretese. Se la tendenza degli uomini verso il proprio interesse rende necessaria la vigilanza reciproca, il loro senso pubblico di giustizia rende possibile una stabile associazione. In mezzo a individui che hanno scopi e finalità diverse, una concezione condivisa di giustizia stabilisce legami di convivenza civile; il generale desiderio di giustizia limita la ricerca di altri obiettivi. Si può pensare che una pubblica concezione di giustizia costituisca lo statuto fondamentale di un'associazione umana bene-ordinata.

Naturalmente le società esistenti sono raramente bene-ordinate in questo senso, perché ciò che è giusto o ingiusto è generalmente in discussione. Gli esseri umani sono in disaccordo rispetto a quali principi devono definire i termini fondamentali della loro associazione. Nonostante questo disaccordo, è ancora possibile dire che ognuno di essi possiede una concezione della giustizia. Ciò significa che essi sono pronti a riconoscere e ad affermare la necessità di uno specifico insieme di principi che assegnino diritti e doveri fondamentali, e determinino quella che essi considerano la corretta distribuzione dei benefici e degli oneri della cooperazione sociale. Sembra perciò naturale considerare il concetto di giustizia come distinto dalle differenti concezioni della giustizia, e come specificato dal ruolo che questi diversi insiemi di principi, queste diverse concezioni hanno in comune. Coloro che sostengono differenti concezioni della giustizia possono ancora essere d'accordo sul fatto che le istituzioni sono giuste quando non viene fatta alcuna distinzione arbitraria tra le persone nell'assegnazione dei diritti e doveri fondamentali, e quando le norme determinano un appropriato equilibrio tra pretese contrastanti riguardo ai vantaggi della vita sociale. I singoli possono trovarsi d'accordo su questa descrizione delle istituzioni giuste, poiché le nozioni di distinzione arbitraria e di equilibrio appropriato, che fanno parte del concetto di giustizia, lasciano spazio per ciascuno a un'interpretazione in accordo con i principi di giustizia che accetta. Questi principi mettono in evidenza quali differenze e similarità tra le persone sono rilevanti per determinare diritti e doveri, e specificano l'appropriata divisione dei vantaggi. È chiaro che la distinzione tra il concetto e le varie concezioni della giustizia non risolve alcun problema importante, ma serve semplicemente a identificare il ruolo dei principi di giustizia sociale.

Un certo grado di accordo sulle concezioni della giustizia non è però l'unico prerequisito per una comunità umana accettabile. Esistono altri problemi sociali fondamentali, in particolare quelli riguardanti la coordinazione, l'efficienza e la stabilità. Perciò i piani degli individui devono essere resi coerenti tra loro in modo che le loro attività siano compatibili le une con le altre, e in modo che i piani possano essere realizzati senza che le legittime aspettative di alcuno vengano gravemente disattese. Inoltre, l'esecuzione di questi piani dovrebbe portare al raggiungimento di fini sociali in modi che siano efficienti e coerenti con la giustizia. E, da ultimo, lo schema della cooperazione sociale deve essere stabile: deve essere più o meno regolarmente osservato, e le sue norme fondamentali devono essere seguite volontariamente; e, nel caso avvengano infrazioni, devono esistere forze stabilizzatrici che prevengano ulteriori violazioni e tendano a ristabilire l'assetto sociale. Ora è evidente che questi tre problemi sono connessi con quello della giustizia. In mancanza di un certo grado di accordo su ciò che è giusto o ingiusto, risulta più difficile per gli individui coordinare efficacemente i propri piani in modo da assicurarsi il mantenimento di accordi reciprocamente vantaggiosi. Sfiducia e risentimento corrodono i legami della convivenza civile; sospetto e ostilità spingono gli uomini ad agire in modi che altrimenti essi eviterebbero. Così, mentre la funzione distintiva delle concezioni della giustizia è quella di specificare diritti e doveri fondamentali, e di determinare la corretta distribuzione delle quote, il modo in cui ogni concezione fa ciò è destinato a influenzare questioni di efficienza, coordinazione e stabilità. Generalmente, non possiamo determinare una concezione della giustizia soltanto sulla base del suo ruolo distributivo, per quanto questo ruolo possa essere utile nell'identificare il concetto di giustizia. Dobbiamo prendere in considerazione le sue implicazioni più ampie: poiché anche se la giustizia, essendo la più importante virtù delle istituzioni, ha una certa priorità, è pur vero che, a parità di condizioni, una concezione della giustizia è preferibile a un'altra quando le sue conseguenze più ampie sono maggiormente desiderabili.


2. L'oggetto della giustizia

Molti diversi generi di cose sono considerati giusti o ingiusti: non soltanto leggi, istituzioni e sistemi sociali, ma anche particolari azioni di diversi tipi, tra cui decisioni, giudizi e imputazioni. Chiamiamo giusti o ingiusti anche gli atteggiamenti e le inclinazioni delle persone, e le persone stesse. Il nostro tema però è quello della giustizia sociale. Secondo noi l'oggetto principale della giustizia è la struttura di base della società, o più esattamente il modo in cui le maggiori istituzioni sociali distribuiscono i doveri e i diritti fondamentali e determinano la suddivisione dei benefici della cooperazione sociale. Per istituzioni maggiori intendo la costituzione politica e i principali assetti economici e sociali. Così la tutela giuridica della libertà di pensiero e di coscienza, il mercato concorrenziale, la proprietà privata dei mezzi di produzione e la famiglia monogamica sono tutti esempi di istituzioni sociali maggiori. Considerate nell'insieme come un unico schema, le istituzioni maggiori definiscono i diritti e i doveri degli esseri umani e influenzano le loro prospettive di vita, ciò che essi possono attendersi e le loro speranze di riuscita. La struttura di base è l'oggetto principale della giustizia poiché i suoi effetti sono molto profondi ed evidenti sin dagli inizi. L'idea intuitiva è che questa struttura include differenti posizioni sociali e che persone nate in differenti posizioni hanno diverse aspettative di vita, parzialmente determinate sia dal sistema politico sia dalle circostanze economiche e sociali. In questo modo le istituzioni della società privilegiano certe situazioni di partenza rispetto ad altre. Queste ineguaglianze sono particolarmente profonde. Esse non soltanto sono assai diffuse, ma influenzano anche le opportunità iniziali che si hanno nella vita; perciò non possono essere giustificate da un ipotetico richiamo alle nozioni di merito o di valore. E a queste ineguaglianze, che probabilmente appartengono in modo inevitabile alla struttura di base di ogni società, che devono essere innanzitutto applicati i principi della giustizia sociale. Questi principi regolano poi la scelta di una costituzione politica e dei principali elementi del sistema economico e sociale. La giustizia di uno schema sociale dipende essenzialmente dal modo in cui sono ripartiti i diritti e i doveri fondamentali, dalle opportunità economiche e dalle condizioni sociali nei vari settori della società.

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77. Le basi dell'eguaglianza

Passo ora a esaminare le basi dell'eguaglianza, gli elementi distintivi degli esseri umani in virtù dei quali essi devono essere trattati conformemente ai principi di giustizia. Il nostro comportamento verso gli animali non è regolato da questi principi, o così si pensa generalmente. In base a quali ragioni facciamo distinzione tra genere umano e altri esseri viventi e consideriamo le restrizioni di giustizia valide soltanto nei nostri rapporti con le persone umane? Dobbiamo vedere che cosa determina il dominio di applicazione delle concezioni di giustizia.

Per chiarire, possiamo distinguere tre livelli ai quali si applica il concetto di eguaglianza. Il primo è quello dell'amministrazione delle istituzioni come sistemi pubblici di regole. In questo caso l'eguaglianza è essenzialmente la giustizia come rispetto della norma [regularity]. Implica l'applicazione imparziale e l'interpretazione coerente delle norme in conformità con massime quali quelle di trattare nello stesso modo casi simili (definiti in base a leggi e a precedenti) e così via (§38). L'eguaglianza a questo livello è l'elemento meno controverso dell'idea di giustizia suggerita dal senso comune. La seconda e assai più difficile applicazione dell'eguaglianza si rivolge alla reale struttura delle istituzioni. Qui il significato di eguaglianza è specificato dai principi di giustizia che richiedono che a tutte le persone vengano assegnati eguali diritti fondamentali. Gli animali ne sono, presumibilmente, esclusi; essi godono di una qualche protezione, certamente, ma il loro stato non è quello degli esseri umani. Questa conclusione, però, resta ancora senza una spiegazione. Dobbiamo ancora considerare quali sono gli esseri ai quali spettano le garanzie di giustizia. Questo fatto ci impone di passare al terzo livello, dove nasce il problema dell'eguaglianza.

La risposta spontanea sembra essere che sono proprio le persone morali ad avere diritto a una giustizia eguale. Due caratteristiche distinguono le persone morali: in primo luogo, sono in grado di avere (e si presume che abbiano) una concezione del loro bene (espressa da un piano razionale di vita); e, in secondo luogo, sono in grado di avere (e si presume che lo acquisiscano) un senso di giustizia, un desiderio normalmente efficace di applicare e di agire in base a principi di giustizia, almeno in una certa misura. Usiamo la descrizione delle persone nella posizione originaria per stabilire a quale genere di esseri si applicano i principi scelti. Dopotutto, si suppone che le parti adottino questi criteri per regolare le loro comuni istituzioni e la condotta da seguire tra loro; e la descrizione della loro natura si inserisce nel ragionamento in base al quale vengono scelti questi principi. Così giustizia eguale spetta a coloro che hanno la capacità di partecipare e di agire secondo la comprensione pubblica della situazione iniziale. Dovremmo osservare che la personalità morale viene qui definita come una potenzialità che viene di solito realizzata a suo tempo. È questa potenzialità che fa intervenire le pretese di giustizia. Tornerò su questo punto più avanti.

Vediamo, dunque, che la capacità di personalità morale è una condizione sufficiente per avere diritto alla giustizia eguale. Non si richiede niente di più del minimo essenziale. Lascerò da parte la questione se la personalità morale sia anche una condizione necessaria. Presumo che la capacità di un senso di giustizia sia posseduta dalla stragrande maggioranza dell'umanità, e per tale motivo questo interrogativo non fa nascere un serio problema pratico. La cosa essenziale è che la personalità morale sia sufficiente a far sì che un individuo sia soggetto di pretese. Non credo sia sbagliato supporre che la condizione sufficiente sia sempre soddisfatta. Anche se la capacità fosse necessaria, sarebbe imprudente in pratica negare la giustizia su questa base. Il rischio per le istituzioni giuste sarebbe troppo grande.

Bisogna far rilevare che la condizione sufficiente per avere eguale giustizia, cioè la capacità di personalità morale, non è affatto rigorosa. Quando qualcuno è privo della potenzialità necessaria, o dalla nascita o per motivi accidentali, questo fatto è considerato o un difetto o una privazione. Non c'è nessuna razza, o gruppo riconosciuto di esseri umani, che siano privi di questo attributo. Soltanto individui isolati mancano di questa capacità, o della sua realizzazione in misura minima, e ciò è la conseguenza di circostanze sociali ingiuste o impoverite, o di fatti contingenti fortuiti. Inoltre, anche se gli individui hanno capacità variabili per il senso di giustizia, questo fatto non costituisce una ragione per privare quelli che hanno una capacità inferiore della completa protezione della giustizia. Una volta soddisfatto un certo minimo, una persona ha diritto alla libertà eguale alla pari con ciascuna altra. Una maggiore capacità dì senso di giustizia, dimostrata, per esempio, da una maggiore abilità e facilità nell'applicare i principi di giustizia e nel dirimere le controversie in casi particolari, è una qualità naturale come qualsiasi altra abilità. I vantaggi particolari di cui una persona beneficia esercitandola devono essere regolati dal principio di differenza. Così, se alcuni possiedono in grado superiore le virtù di giudizio, come l'imparzialità e l'integrità che occorrono se si occupano certe posizioni, possono giustamente avere qualsiasi beneficio debba essere annesso a queste cariche. Tuttavia tali differenze non incidono sull'applicazione del principio dell'eguale libertà. È stato detto, a volte, che i diritti e le libertà fondamentali dovrebbero variare con la capacità, ma la giustizia come equità lo nega: a condizione che sia soddisfatto il minimo per la personalità morale, a una persona spettano tutte le garanzie di giustizia.

Questa descrizione della base dell'eguaglianza richiede qualche commento. Come prima cosa, si può obiettare che l'eguaglianza non può dipendere dalle qualità naturali. Non esiste alcuna caratteristica naturale rispetto alla quale tutti gli esseri umani sono uguali, che cioè ciascuno ha (o che molti, in numero sufficiente, hanno) nella stessa misura. Potrebbe sembrare che, se vogliamo sostenere una teoria dell'eguaglianza, dobbiamo spiegarla in un altro modo, e cioè come un principio procedurale puro. In questo modo dire che gli esseri umani sono eguali è dire che nessuno ha diritto a un trattamento preferenziale in assenza di ragioni convincenti. L'onere della prova favorisce l'eguaglianza: definisce la presunzione procedurale che tutti devono essere trattati allo stesso modo. Le deviazioni dall'eguaglianza di trattamento devono in ciascun caso essere difese e giudicate imparzialmente in base allo stesso sistema di principi validi per tutti; si ritiene che l'eguaglianza essenziale sia l'eguaglianza di considerazione.

Questa interpretazione procedurale presenta parecchie diffcoltà. Per un verso, non è niente di più della massima di trattar casi simili in modo simile applicata al più alto livello, unitamente all'assegnazione dell'onere della prova. L'eguaglianza di considerazione non pone restrizioni ai motivi che possono essere addotti per giustificare le ineguaglianze. Non c'è alcuna garanzia dì una sostanziale eguaglianza di trattamento, dal momento che la schiavitù e il sistema castale (per citare i casi estremi) possono soddisfare questa concezione. L'autentica garanzia di eguaglianza sta nel contenuto dei principi di giustizia e non in queste presunzioni procedurali. L'attribuzione dell'onere della prova non è sufficiente. Ma poi, anche se l'interpretazione procedurale imponesse alle istituzioni delle autentiche restrizioni, rimane sempre la questione del perché dovremmo seguire la procedura in certi casi e non in altri. Sicuramente essa vale per creature che appartengono a qualche classe, ma a quale? Continuiamo ad avere bisogno di una base naturale per l'eguaglianza per identificare questa classe.

Inoltre, fondare l'eguaglianza sulle capacità naturali non è incompatibile con una posizione egualitaria. Tutto quello che dobbiamo fare è scegliere (come la chiamerò) una proprietà di campo [range property] e concedere eguale giustizia a coloro che soddisfano le sue condizioni. Per esempio la proprietà di essere interni a un cerchio unitario è una proprietà di campo dei punti di un piano. Tutti i punti di questo cerchio hanno questa proprietà anche se le loro coordinate variano all'interno di un certo intervallo. Ed essi hanno questa proprietà in misura eguale, poiché nessun punto interno a un cerchio è più o meno interno a esso di qualsiasi altro punto interno. Ora, è la concezione di giustizia che stabilisce se esiste un'adeguata proprietà di campo per decidere sotto quale riguardo gli esseri umani devono essere considerati eguali. Ma la descrizione delle parti nella posizione originaria individua tale proprietà, e i principi di giustizia ci garantiscono che qualsiasi variazione delle capacità all'interno del campo deve essere considerata come qualunque altra qualità naturale. Non ci sono ostacoli che impediscono di pensare che una capacità naturale costituisca la base dell'eguaglianza.

Come può, dunque, sembrare credibile che fondare l'eguaglianza sulle qualità naturali sia una minaccia per la giustizia eguale? La nozione di proprietà di campo è troppo evidente per essere trascurata. Deve esserci una spiegazione più profonda. La risposta a mio avviso è che spesso una teoria teleologica è data per scontata. Così, se la cosa giusta da fare è massimizzare il saldo netto di soddisfazione, diciamo, allora i diritti e i doveri devono essere assegnati in modo da conseguire questo fine. Tra gli aspetti rilevanti del problema ci sono le diverse abilità produttive degli uomini e le diverse capacità di soddisfazione. Può accadere che la massimizzazione del benessere aggregato richieda un adattamento dei diritti fondamentali alle variazioni di questi elementi. Naturalmente, date le assunzioni standard dell'utilitarismo, esiste una tendenza all'eguaglianza. In entrambi i casi la cosa importante, comunque, è che la base naturale corretta e l'assegnazione appropriata dei diritti dipendono dal principio di utilità. È il contenuto della dottrina etica, e il fatto che si tratta di un concetto di massimizzazione, a permettere che le variazioni delle capacità giustifichino diritti fondamentali ineguali, e non l'idea che l'eguaglianza è fondata sulle qualità naturali. Un'analisi del perfezionismo ci porterebbe, credo, alla medesima conclusione. Ma la giustizia come equità non è una teoria della massimizzazione. Noi non siamo rivolti a una ricerca delle differenze nelle caratteristiche naturali che incidono su ciò che si deve massimizzare, e che perciò servono come possibili motivi per stabilire gradi diversi di cittadinanza. Anche se concordiamo con molte teorie teleologiche sulla pertinenza delle qualità naturali, la posizione contrattualista ha bisogno di presupposti molto più deboli sulla loro distribuzione per stabilire diritti eguali. È sufficiente che sia soddisfatto generalmente un certo minimo.

Dovremmo sottolineare brevemente diversi altri punti. In primo luogo, la concezione di personalità morale e il minimo necessario possono spesso presentare delle difficoltà. Molti concetti sono vaghi in una certa misura, ed è probabile che quello di personalità morale lo sia in particolar modo. Ma questi argomenti si discutono meglio, penso, nel contesto di problemi morali definiti. La natura della questione specifica e la struttura dei fatti generali disponibili possono suggerire una maniera proficua di risolverli. In ogni caso, non bisogna confondere l'indeterminatezza di una concezione di giustizia con la tesi che i diritti fondamentali debbano variare al variare delle capacità naturali.

Ho detto che i requisiti minimali che definiscono la personalità morale si riferiscono alla capacità e non alla sua realizzazione. Un essere che possieda questa capacità, più o meno sviluppata che sia, deve avere la completa protezione dei principi di giustizia. Dal momento che si pensa che i neonati e i bambini abbiano diritti fondamentali (esercitati normalmente a nome loro dai genitori e dai superiori), questa interpretazione delle condizioni richieste sembra necessaria per corrispondere ai nostri giudizi ponderati. Inoltre, considerare la potenzialità come sufficiente si accorda con la natura ipotetica della posizione originaria e con l'idea che, per quanto possibile, la scelta dei principi non dovrebbe essere influenzata da fattori arbitrari contingenti. Perciò è ragionevole dire che a coloro che potrebbero partecipare all'accordo iniziale, se non fosse per circostanze fortuite, è assicurata eguale giustizia.

Naturalmente, niente di ciò rappresenta un argomento vero e proprio. Non ho esposto le premesse dalle quali deriva questa conclusione, come ho cercato di fare con la scelta delle concezioni di giustizia nella posizione originaria, anche se in maniera non molto rigorosa. Né ho cercato di dimostrare che le caratteristiche delle parti devono essere usate come base dell'eguaglianza. Questa interpretazione sembra piuttosto essere il naturale completamento della giustizia come equità. Una discussione completa si occuperebbe dei diversi casi particolari di mancanza di capacità. Ho già fatto qualche breve osservazione su quella dei bambini in relazione al paternalismo (§39). Il problema di quelli che hanno temporaneamente perso la loro capacità effettiva, per disgrazia, a seguito di un incidente o di stress mentale, può essere visto in maniera simile. Ma il problema di coloro più o meno permanentemente privati di personalità morale può presentare delle difficoltà. Non posso analizzarlo qui, ma presumo che la descrizione dell'eguaglianza non ne sarebbe influenzata in maniera sostanziale.

Vorrei concludere questo paragrafo con qualche osservazione generale. In primo luogo, la semplicità della posizione contrattualista delle basi dell'eguaglianza merita di essere sottolineata. La capacità minima di senso di giustizia assicura che ciascuno abbia eguali diritti. Le pretese di tutti devono essere giudicate in base ai principi di giustizia. L'eguaglianza è sostenuta dai fatti di ordine generale della natura e non semplicemente da una regola procedurale priva di una forza effettiva. Né l'eguaglianza presuppone un accertamento del valore intrinseco delle persone, o una valutazione comparativa delle loro concezioni del bene. A chi è capace di giustizia spetta giustizia.

I vantaggi di queste semplici proposte diventano più evidenti quando si esaminano altre descrizioni dell'eguaglianza. Qualcuno potrebbe pensare, per esempio, che eguale giustizia significhi che la società deve contribuire nella stessa proporzione alla realizzazione della vita migliore di cui ciascuno è capace. A prima vista questa può sembrare una proposta suggestiva. Presenta però serie difficoltà. Richiede non soltanto un metodo di valutazione della bontà relativa dei piani di vita, ma presuppone anche un modo per calcolare ciò che vale come un eguale contributo proporzionato a persone con differenti concezioni del loro bene. I problemi nell'applicazione di questo standard sono evidenti. Una difficoltà ancora più importante è rappresentata dal fatto che la maggiore abilità di qualcuno possa dargli maggior titolo a usare le risorse sociali indipendentemente da vantaggi compensativi per gli altri. Bisogna assumere che le variazioni delle qualità naturali incideranno su ciò che è indispensabile per fornire eguale assistenza proporzionata a coloro che hanno piani di vita diversi. Ma oltre a violare il principio del reciproco vantaggio, questa concezione di eguaglianza significa che la forza delle pretese delle persone è direttamente influenzata dalla distribuzione delle capacità naturali, e quindi da fattori contingenti arbitrari da un punto di vista morale. La base dell'eguaglianza nella giustizia come equità sfugge a queste obiezioni. L'unico fattore contingente determinante è quello di avere o meno la capacità di un senso di giustizia. Con il fatto che spetta giustizia a chi, a sua volta, è capace di giustizia, il principio di reciprocità è soddisfatto al livello più alto.

Un'altra osservazione è che ora possiamo conciliare in modo più completo due concezioni di eguaglianza. Alcuni autori hanno distinto l'eguaglianza in relazione alla distribuzione di certi beni, alcuni dei quali, quasi certamente, conferiranno maggior prestigio o status ai più favoriti, e l'eguaglianza che si riferisce al rispetto che si deve alle persone indipendentemente dalla loro posizione sociale. L'eguaglianza del primo tipo è definita dal secondo principio di giustizia, che regola la struttura delle organizzazioni e le quote distributive in modo che la cooperazione sociale sia insieme efficiente ed equa. Ma l'eguaglianza del secondo tipo è fondamentale. È definita dal primo principio di giustizia e dai doveri naturali quali quello del reciproco rispetto; esso è dovuto agli esseri umani in quanto persone morali. La base naturale dell'eguaglianza spiega il suo significato più profondo. La priorità del primo principio rispetto al secondo ci permette di evitare di controbilanciare ad hoc queste concezioni di giustizia, mentre il ragionamento, fatto dal punto di vista della posizione originaria, mostra come si attua tale priorità (§82).

L'applicazione coerente del principio di equa opportunità esige che si giudichino le persone senza subire l'influenza della loro posizione sociale. Ma fino a che punto dovrebbe arrivare questa tendenza? Sembra che anche quando l'equa opportunità (come è stata definita) è soddisfatta, la famiglia determinerà possibilità ineguali tra gli individui (§46). Dobbiamo abolire la famiglia, allora? Presa da sola e conferendole una certa preminenza, l'idea dell'equa opportunità spinge in questa direzione. Ma nel contesto della teoria della giustizia nel suo complesso, c'è assai meno bisogno di prendere questa strada. Il riconoscimento del principio di differenza ridefinisce le ragioni delle ineguaglianze sociali come concepite nel sistema di eguaglianza liberale: e quando viene dato il peso appropriato al principio di fraternità e a quello di riparazione, la distribuzione delle qualità e i fattori contingenti delle circostanze sociali possono essere accettati con maggiore facilità. Siamo più propensi a soffermarci sulla nostra buona sorte ora che queste differenze sono concepite a servizio del nostro vantaggio, invece di deprimerci all'idea di come avremmo potuto stare meglio se avessimo avuto fortuna come gli altri e se solo tutte le barriere sociali fossero state eliminate. La concezione di giustizia, se fosse realmente efficace e pubblicamente riconosciuta come tale, sembra avere più probabilità delle sue concorrenti di trasformare la nostra prospettiva del mondo sociale e di riconciliarci con le disposizioni dell'ordine naturale e con le condizioni della vita umana.

Da ultimo, dovremmo ricordare quali sono i limiti di una teoria della giustizia. Non soltanto vengono lasciati da parte molti aspetti della moralità, ma non viene data alcuna indicazione su quale sia la giusta condotta verso gli animali e il resto della natura. Una concezione di giustizia non è che una parte di una visione morale. Anche se non ho sostenuto che la capacità per un senso di giustizia è necessaria affinché ci sia dovuta giustizia, sembra in effetti che non siamo obbligati a rendere giustizia in modo rigoroso alle creature che mancano di questa capacità. Ma questo non vuol dire che non si abbiano obblighi di nessun tipo nei loro confronti né che non ne esistano nel nostro rapporto con l'ordine naturale. È sicuramente un male essere crudeli con gli animali e la distruzione di una intera specie può essere un danno gravissimo. La capacità per i sentimenti di piacere e di sofferenza e le forme di vita di cui sono capaci gli animali chiaramente ci impongono doveri di compassione e di umanità nei loro riguardi. Non tenterò di spiegare queste convinzioni. Esse sono estranee all'ambito della teoria della giustizia, e non sembra possibile estendere la dottrina contrattualista in modo da comprenderle in modo naturale. Una corretta concezione dei nostri rapporti con gli animali e con la natura sembrerebbe dipendere da una teoria dell'ordine naturale e del nostro posto all'interno di quest'ordine. Uno dei compiti della metafisica è di elaborare una visione del mondo che sia adeguata a questo scopo; essa dovrebbe individuare e sistematizzare le verità decisive che riguardano tali questioni. È impossibile dire fino a che punto la giustizia come equità dovrà essere rivista per essere inserita in questa teoria più ampia. Ma mi sembra ragionevole sperare che, se essa è valida come descrizione della giustizia tra le persone, non può essere eccessivamente in errore quando vengono presi in considerazione questi rapporti più generali.

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