Copertina
Autore Claudio Razeto
Titolo Corrispondenti di guerra
EdizioneLogos, Modena, 2011 , pag. 598, quadrilingue, ill., cop.ril.sov., dim. 29,5x29,5x4,5 cm , Isbn 978-88-576-0268-4
CuratoreClaudio Razeto
LettoreElisabetta Cavalli, 2012
Classe guerra-pace , fotografia , media , storia criminale
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Indice


Introduzione                                                  5

Fin de siècle, la foto va alla guerra                         9

La Prima Guerra Mondiale                                     69

Le guerre del primo dopoguerra: Etiopia, Spagna, Shangai    161

La Seconda Guerra Mondiale                                  223

Le guerre del secondo dopoguerra                            457

Le guerre dei giorni nostri                                 545


 

 

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Pagina 5

Introduzione


Non c'erano soldati al confine di Morini quella mattina del 1999. E neppure i carri armati serbi. I bombardamenti aerei della NATO avevano obbligato le truppe di Belgrado allo sgombero del Kosovo. Molti reporter passarono il confine quel giorno e alcuni vennero uccisi dai cecchini. Nessuna di quelle morti trovò mai un colpevole né una giustificazione. Erano morti e basta pur di riuscire a raccontare una storia di guerra. È quello che accade da oltre 150 anni, da quando giornalisti e fotografi hanno iniziato a testimoniare in prima persona quello che accadeva ai soldati in battaglia. Che i soldati morivano era risaputo, ma da un certo momento in poi le loro sofferenze furono meno anonime, uscirono dalla retorica dei quadri per divenire più reali. Le brutture e le miserie dei conflitti finirono sulle prime pagine dei giornali, le cronache si arricchirono di particolari, comparvero nomi e cognomi di anonimi fantaccini e la gente a casa iniziò a farsi un'idea di quello che succedeva in prima linea. Poi tutto questo divenne un vero mestiere e i giornalisti di guerra degli specialisti. Un po' soldati un po' reporter con la tentazione di imbracciare il fucile o l'obbligo di indossare un'uniforme. Freelance, embedded, sequestrati, ammazzati, l'escalation dalla fine dell'800 a oggi fa la cronaca di questo lavoro che continua a spingere decine di testimoni volontari in un territorio fatto di sangue, di morte e di orrore. Quello dei corrispondenti di guerra.

Claudio Razeto

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Pagina 9

FIN DE SIÈCLE, LA FOTO VA ALLA GUERRA

Foto statiche, soldati congelati in posa con cannoni e uniformi lustre, trincee devastate ricostruite appositamente per imprimere sulle lastre il ricordo di qualcosa che andava ancora immaginato: la rovina e l'orrore della morte in battaglia. La fotografia va alla guerra mostrando tutti i limiti della sua tecnologia originaria. Ma c'è un'evoluzione. Le foto della guerra di Crimea, di Sedan appaiono diverse da quelle della guerra civile americana. Qui l'orrore fa la sua prima comparsa nei cadaveri messi in posa, forse ad arte, in scatti nitidi, i volti dei giovani soldati caduti esprimono il senso della morte violenta che tanti fotoreporter inseguiranno negli anni a venire.

Gli albori del 900 lo riconfermeranno con le foto di Lorenzo D'Adda a Port Arthur dietro le linee del nascente Impero del Sol levante, quelle dei dirigibili italiani impegnati in Libia nei primi bombardamenti aerei o nei reportage a Cuba e Manila al seguito della nascente potenza americana.

L'era dei fotoreporter al fronte è appena cominciata.

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Pagina 69

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Nelle trincee della Somme e Verdun fu il massacro ad andare in scena. Non ci fu più bisogno di fingere e barare sulla morte e sul destino orribile dei fantaccini.

Le armi che rivoluzionarono la guerra furono la mitragliatrice, il filo spinato e il gas. Il conflitto fu una statica e terrificante carneficina, una grande guerra appunto.

Le macchine belliche in terra e in cielo fornirono nuovi spunti per fotografare e raccontare le battaglie e dar corpo a notizie pubblicate con nuove grafiche e sempre maggiore diffusione.

I giornalisti e i fotografi, ormai arruolati e in divisa, finirono in trincea e raccontarono gli eventi, censura permettendo, quasi in tempo reale. E nelle buche delle prime linee, ancora sconosciuti, troviamo personaggi che il secolo non avrebbe mai dimenticato nel bene e nel male: da Ernest Hemingway, infermiere volontario e futuro mito dei giornalisti al fronte, a un caporale austriaco con la passione per la pittura di nome Adolf Hitler.

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Pagina 161

LE GUERRE DEL PRIMO DOPOGUERRA: ETIOPIA, SPAGNA, SHANGAI

Gli anni Trenta furono il preambolo di violenza e brutalità del nuovo conflitto che stava per travolgere l'Europa e il mondo. I nazionalismi, le ideologie creano il giornalismo militante. Corrispondenti in uniforme, in prima linea, come Pavolini in Etiopia. Nella guerra di Spagna i giornalisti imbracciarono il fucile per difendere la Repubblica. Malraux con una squadriglia aerea bombardò i fascisti in marcia su Madrid. Hemingway e Orwell si arruolarono nelle Brigate Internazionali, Robert Capa entrò nella leggenda con i suoi scatti memorabili e la sua compagna, la fotografa Gerda Taro, morì sul fronte di Brunete. Le istantanee, le Leica, le Ermanox, gli obiettivi 50 mm, permisero la realizzazione di immagini più dinamiche. Il miliziano di Capa, vero o falso che fosse, fotografato nell'attimo stesso della morte, rappresenterà da quel momento il traguardo massimo di ogni fotografo di guerra. Hemingway e Malraux passarono dalle pagine dei giornali ai romanzi e alle sceneggiature cinematografiche.

Con loro nasceva il mito dei fotoreporter e dei corrispondenti di guerra.

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Pagina 223

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Con la Seconda Guerra Mondiale la stampa venne arruolata. Non più ospite degli alti comandi ma inquadrata nei ranghi con un compito preciso: informare, censura permettendo, e fare propaganda. Attraverso la carta stampata ma anche con riviste a colori, radio e cinegiornali. Per alimentare questi media vennero attrezzati staff militarizzati di giornalisti, fotografi, cineoperatori e radiocronisti inviati sui fronti di guerra di tutto il mondo per documentare le vittorie ed edulcorare le notizie delle sconfitte. Dal Pacifico al deserto libico, da Stalingrado a Berlino i corrispondenti di guerra viaggeranno, spesso armati, su ogni tipo di mezzo disponibile: dalle navi da guerra agli U-boot, dai bombardieri alle colonne corazzate.

I tedeschi avranno le Propaganda Kompanie e i reporter di "Signal", gli italiani i cineoperatori dell'Istituto Luce, gli Alleati la stampa libera, grandi donne fotografe e giornaliste, il colore di "Life", i registi di Hollywood e i combat-film, gli inglesi l'onnipresente BBC e i russi una generazione di grandi soldati-fotografi noti al mondo solo dopo la guerra.

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Pagina 457

LE GUERRE DEL SECONDO DOPOGUERRA

In Corea la stampa cambiò gradualmente il punto di vista, iniziò a domandarsi se la guerra raccontata fosse giusta o legittima e così facendo si tolse l'uniforme.

Il Vietnam fu il paradiso dei reporter per la grande presenza di giornalisti e la libertà di muoversi nelle zone di combattimento, ma l'informazione giocò un brutto tiro ai vertici militari facendo perdere la guerra agli Usa nonostante le vittorie sul campo. Nasceva il "muckraking journalism" che denunziò il napalm sui villaggi e i massacri di civili. Meno agevole prendere posizione nelle guerre arabo israeliane o in quelle africane, orribili e spesso dimenticate. Si impone la tv che detta le regole e la fotogenia dei conflitti, da quelli quasi impossibili da raccontare, come i lontanissimi scontri nelle Falkland o l'invasione russa in Afghanistan, a quelli che andranno in onda con il notiziario della sera come quelli nella ex Yugoslavia, nel Kosovo e in Cecenia.

Mentre i giornalisti continueranno a morire sempre più numerosi, al fronte come i soldati o nelle retrovie come i civili innocenti.

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Pagina 545

LE GUERRE DEI GIORNI NOSTRI

Anni 2000, il tempo reale della CNN e di Internet.

Nel 1991 Desert Storm inaugurò la diretta tv, con Peter Arnett unico giornalista a coprire i raid dell'aviazione NATO. La seconda guerra a Saddam non sarà da meno e per raccontarla ci saranno gli "embedded". La libertà del Vietnam ma con regole diverse. Non potendo imbrigliare l'informazione gli eserciti la useranno. C'è puzza di imbroglio a volte, come per le armi di distruzione di massa di Bush jr. Con l'occupazione militare poi le cose si complicano e i giornalisti diventano bersaglio del fuoco amico o dei terroristi. In Afghanistan una guerra per certi aspetti virtuale inizia con la caccia a Osama Bin Laden, devasta buona parte del paese ma poi non si conclude. E intanto nascono Al Jazeera, Al Arabia e un nuovo punto di vista sui conflitti. In Ossezia i russi prima di attaccare isolano il web. In Corea affonda una corvetta e piovono cannonate senza una guerra dichiarata.

E il lavoro dei corrispondenti di guerra continua...

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