Copertina
Autore Massimo Recalcati
Titolo Ritratti del desiderio
EdizioneCortina, Milano, 2012, I fili , pag. 190, cop.fle., dim. 12,5x21x1,3 cm , Isbn 978-88-6030-444-5
LettoreGiorgio Crepe, 2012
Classe psicanalisi , psicologia
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Indice


Introduzione                                     11

PARTE PRIMA
Galleria del desiderio

Ritratti del desiderio                           25

L'esperienza del desiderio                       25
Primo ritratto: il desiderio invidioso           34
Secondo ritratto: il desiderio dell'Altro        40
Terzo ritratto: il desiderio e l'angoscia        67
Quarto ritratto: il desiderio di niente          75
Quinto ritratto: il desiderio di godere          87
Sesto ritratto: il desiderio dell'Altrove       113
Settimo ritratto: il desiderio sessuale         126
Ottavo ritratto: il desiderio amoroso           134
Nono ritratto: il desiderio puro                145
               o il desiderio di morte
Decimo ritratto: il desiderio dell'analista     153

PARTE SECONDA
Il mio Lacan

Breve ritratto di Jacques Lacan                 163

I paradossi del desiderio                       171


 

 

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Pagina 11

Introduzione



In questo libro ho immaginato di percorrere una galleria di ritratti del desiderio composti dai modi principali con i quali Jacques Lacan ne ha definito l'esperienza. Per ciascuno di questi ritratti ho proposto una sosta e un commento concepito per essere accessibile anche ai non conoscitori della psicoanalisi e dell'opera di Lacan. Il lettore spero potrà apprezzare la ricchezza di questa strana galleria e farsi almeno un'idea del peso tutto particolare che la psicoanalisi assegna alla parola "desiderio". Ho ritenuto urgente la pubblicazione di questo libro non solo per omaggiare Lacan a trent'anni dalla sua scomparsa, ma per ribadire l'importanza di non lasciare cadere la sua lezione sul desiderio che trovo di grande attualità non solo per la psicoanalisi, ma per intendere la cifra antropologica e sociale più generale del nostro tempo. In L'uomo senza inconscio avevo proposto una lettura psicoanalitica di questa cifra — della quale fece uso abbondante il rapporto del Censis del 2010 — fondata sull'idea che una nuova malattia si fosse diffusa, sotto una miriade di spoglie, in Occidente. Ho chiamato questa nuova malattia: estinzione, eclissi, spegnimento, tramonto del desiderio. L'Occidente capitalista, che ha liberato l'uomo dalle catene della miseria trasformandolo in un homo felix, ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l'uomo senza inconscio è l'uomo senza desideri, condannato a perseguire un godimento schiacciato sul consumo compulsivo e perennemente insoddisfatto.

In una sua celebre conferenza milanese agli inizi degli anni Settanta, di fronte a un pubblico spaesato, Jacques Lacan affermava che il discorso del capitalista era fatalmente destinato a "scoppiare". C'era, sosteneva con una speciale chiaroveggenza lui che era politicamente un liberale conservatore, qualcosa di "folle", di "infernale", di "insostenibile" in quel discorso. Non stava ovviamente parlando da economista, non interveniva sul tema marxista del crollo del capitalismo e non stava nemmeno offrendo una analisi sociale del fenomeno del capitalismo e delle sue differenti versioni storiche. Lacan era piuttosto interessato a cogliere la dimensione pulsionale di quell'economia che individuava nell'affermazione di un godimento cinico, individualista, centrato sulla fede feticistica nei confronti dell'oggetto e, soprattutto, sulle sue false promesse di redenzione. Per raffigurarlo proponeva l'immagine hitchcockiana di una seggiola a rotelle fatta viaggiare a una velocità folle e ingovernabile.

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Pagina 34

PRIMO RITRATTO

Il desiderio invidioso

La nostra galleria si apre con il ritratto del desiderio invidioso. Il primo ritratto del desiderio ha il volto di un bambino lacerato dalla gelosia, ha il volto di un bambino escluso dalla scena. Lacan lo preleva dalle pagine delle Confessioni di Agostino.

Vidi ego et expertus sum zelantem parvulum: nondum loquebatur et intuebatur pallidus amaro aspectu conlactaneum suum [Ho visto con i miei occhi e ho ben conosciuto un bambino piccolo in preda alla gelosia. Non parlava ancora e già contemplava, pallido e con uno sguardo torvo, il fratello di latte].

Il nostro viaggio si inaugura con la smorfia sofferente del fratello di latte che osserva il suo posto occupato da un intruso. Il fratellino appena nato può godere beatamente del seno materno mentre l'altro è costretto a osservare la scena dall'esterno. Il suo sguardo è sofferente e rabbioso perché il godimento del piccolo appena nato sancisce l'esclusione del suo godimento. Lo "sguardo torvo" del bambino escluso dal godimento del seno è uno sguardo risentito. L'invidia gelosa lo consuma. Un brivido scuote il corpo che aspira a un godimento che gli viene traumaticamente sottratto.

Il primo ritratto del desiderio concerne la ferita di una esclusione. Lo sguardo torvo di invidia dell'escluso osserva con patimento il godimento (che era stato il suo) dell'intruso. Lacan ritrae íl primo volto del desiderio attraverso una scena che esalta la sua dimensione gelosa e invidiosa. La prima manifestazione del desiderio tende ad assumere una conformazione che incontriamo frequentemente nel mondo dei bambini: il desiderio infantile si manifesta strutturalmente come desiderio dell'oggetto desiderato dall'altro bambino. I bambini desiderano l'oggetto posseduto dal simile, non per una qualche qualità intrinseca dell'oggetto, non per delle sue proprietà speciali, non per il contenuto dell'oggetto, ma solo perché quell'oggetto è l'oggetto del desiderio di un altro, è l'oggetto desiderato da un altro. La legge biblica fa risuonare questa natura del desiderio – "non desiderare il bene altrui" – nella misura in cui proclama la sua interdizione. Il bambino vuole giocare con il giocattolo dell'altro bambino solo fintanto che questo giocattolo cattura gli interessi dell'altro. Quando l'altro lascia cadere il giocattolo, l'incantesimo immaginario che cattura il desiderio si scioglie. Il giocattolo non ha più alcun valore se non è animato dal desiderio dell'altro. Viene lasciato cadere dalle mani come una carcassa vuota, un detrito, un relitto, come se fosse rotto. Il bambino lo desidera solo se è posseduto da un altro. Siamo di fronte a una verità antropologica: è la passione del desiderio dell'altro che anima gli oggetti rendendoli vivi e desiderabili. Tutto il mondo infantile ruota attorno a questa dimensione dell'oggetto immaginario del desiderio. "È mio!", "È mio!", "E mio!" risuona come un mantra ripetitivo e cattivo nei giochi dei bambini. Ma ritorna anche in quelli degli adulti i quali, come accade ai bambini, restano spesso impantanati nelle sabbie mobili del desiderio invidioso. Melanie Klein parlerà dell'invidia come dimensione costitutiva del desiderio umano e illustrerà come in questa dimensione attecchiscano tutti i fantasmi di distruzione più arcaici. Anche secondo Lacan da questa rappresentazione del desiderio non possono che scaturire violenza e aggressività dell'uno contro l'altro, dell'escluso dal godimento contro chi può invece godere liberamente del suo oggetto. Il desiderio invidioso, come un Sisifo farsesco, è destinato a reiterare la sua animosità senza pace. Per questa ragione, Lacan lo definiva come una "carriera senza limiti" e i padri della Chiesa avevano non a caso definito l'invidia come un peccato "figlio della superbia", che non si soddisfa se non nell'auspicio della "distruzione dei beni altrui". Lo sappiamo bene. Il desiderio invidioso non porta alcuna soddisfazione in se stesso. Piuttosto è un desiderio che ostacola la soddisfazione del desiderio perché si nutre solo della rivalità aggressiva e idealizzante con l'altro. Il desiderio invidioso sceglie il suo oggetto non solo in quanto intruso, ma soprattutto in quanto oggetto ideale.

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Pagina 40

SECONDO RITRATTO

Il desiderio dell'Altro

La scena adesso non è più occupata dal volto sfigurato di un bambino trafitto dal tarlo passionale della gelosia, non ha al centro il suo "sguardo torvo" e risentito. Il secondo ritratto ha invece il volto di un padre. È questo il ritratto della dimensione simbolica del desiderio. Mentre il desiderio invidioso è, come abbiamo visto, catturato dallo specchio, prigioniero dell'incantesimo di un oggetto il cui valore dipende dal suo essere posseduto dall'Altro, impaludato nelle sabbie mobili di una rivalità sterile e infruttuosa, il desiderio come desiderio dell'Altro manifesta il desiderio come apertura, come legame positivo, come domanda rivolta verso l'Altro. Il volto del padre è un volto diverso dal volto roso dall'invidia del bambino escluso dal godimento del seno materno. La serietà del padre è il simbolo della Legge e, insieme, di una tenerezza profonda. Un padre è colui che preserva la distanza necessaria dallo specchio rompendo quella reciprocità immaginaria che inghiotte la vita in un legame solo narcisistico con l'altro. È colui che introduce la potenza simbolica della parola nella dimensione del legame affettivo; è colui che incarna la potenza simbolica della parola umanizzando la relazione con il figlio, sottraendo questa relazione al dominio naturale del sangue e della biologia. Un padre è sempre colui che sa portare e donare la parola.

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Pagina 51

Il desiderio come desiderio dell'Altro mostra che il desiderio umano ha una struttura relazionale. Esso proviene dall'Altro e si dirige verso l'Altro. Non esiste desiderio senza l'Altro. Il circuito del desiderio passa necessariamente dall'Altro perché il desiderio non può bastare a se stesso. Per questa ragione il desiderio di essere genitori di se stessi è un'illusione narcisistica onnipotente che sfida l'originaria dipendenza dell'uomo dall'Altro e la sua insufficienza strutturale. La partenogenesi di se stessi è un mito del nostro tempo: negare il vincolo, il debito, l'alterità della propria provenienza. Diversamente, il desiderio come desiderio dell'Altro non è mai autotrofico, non si soddisfa di se stesso, ma ci obbliga ad assumere come un dato incontrovertibile la dipendenza dell'essere umano dall'Altro. Il desiderio non può portare con sé il suo oggetto, in quanto il suo oggetto è situato nell'Altro, nel desiderio dell'Altro, in quanto, più precisamente, il suo oggetto s'identifica al desiderio dell'Altro in quanto tale, è il desiderio dell'Altro. Ma allora cosa può essere davvero soddisfacente, che cosa può soddisfare il desiderio umano? In questo secondo ritratto il desiderio umano non si soddisfa con l'appropriazione violenta dell'oggetto del desiderio dell'Altro, non si soddisfa nella lotta a morte per l'oggetto del desiderio. Questo desiderio non è più il desiderio in preda all'invidia. La soddisfazione simbolica del desiderio spezza l'altalena immaginaria del desiderio e mostra che la soddisfazione dell'uomo non può essere ridotta alla soddisfazione dei bisogni cosiddetti primari. Diversamente da una pianta, l'essere umano non necessita solo di caldo, di acqua e di luce per crescere bene. È necessario un altro alimento. "Non di solo pane vive l'uomo", recita la parola di Gesù. Il desiderio, insiste Lacan, non può essere confuso con il bisogno. Se il bisogno si dirige verso un oggetto capace di soddisfarne l'urgenza (l'acqua annulla la sete), il desiderio non si nutre di oggetti ma di segni. Si nutre del segno del riconoscimento, della parola che viene dall'Altro.

Un vecchio studio di René Spitz sugli orfanotrofi di Londra dopo la seconda guerra mondiale aveva evidenziato a suo modo questa eccentricità del campo del desiderio rispetto a quello dei bisogni. Bambini accuditi con solerzia da infermiere particolarmente efficienti si lasciavano inspiegabilmente morire d'inedia o di anoressia, sviluppando gravi sintomi depressivi. Sindrome di "deprivazione primaria" l'aveva battezzata Spitz. Che cosa gettava nel marasma e nella derelizione questi bambini? Di cosa mancavano se le cure dei loro bisogni primari venivano ampiamente soddisfatte? Mancava loro la presenza dell'Altro dell'amore, l'ossigeno del desiderio dell'Altro, il dono della presenza dell'Altro come dono che trascende la dimensione anonima e protocollare delle cure, mancava loro il segno d'amore.

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Pagina 67

TERZO RITRATTO

Il desiderio e l'angoscia

La terza inquadratura del desiderio è una delle più inquietanti. Il ritratto che abbiamo di fronte non è né quello del bambino roso dall'invidia né quello severo e amabile del Padre. Davanti ai nostri occhi è il ritratto di un insetto, il volto inquietante della mantide religiosa. La fama di questo insetto è terrificante: la mantide religiosa divora il proprio partner durante l'accoppiamento. Nel momento dell'amplesso, del massimo godimento, la mantide strazia, uccidendolo senza possibilità di fuga, il maschio.

Gli antichi la chiamavano mantis, che significa profetessa. A Roma le veniva attribuito un potere magico simile a quello del "malocchio". Se qualcuno cadeva malato, si attribuiva la causa allo sguardo della mantide. Questo carattere diabolico e preveggente accompagna la fama della mantide nella storia. La sua incredibile voracità dà luogo a rappresentazioni antropomorfiche che la fanno apparire come una sorta di "amorosa assassina". Strano impasto tra la voluttà sessuale e la voluttà alimentare, l'appetito della mantide sembra mostrare il carattere illimitato della pulsione orale sul quale hanno insistito sia Freud sia Melanie Klein. Ma anche il carattere assolutamente spietato del proprio godimento. È infatti considerato probabile dagli etologi che la decapitazione del maschio che prepara la sua divorazione abbia la funzione di accentuare la sua potenza virile e i movimenti spasmodici del coito per incrementare sino all'ultimo il godimento della mantide. Rappresentazione terrificante di una simbiosi di sesso e morte – di orgasmo e dissoluzione – che attraversa il fantasma inconscio nevrotico della vagina dentata ma, più in generale, il carattere insaziabile, minaccioso e mortale, del godimento femminile. Gli etologi ci ricordano anche che le dimensioni della femmina sono in questa strana specie di insetti sproporzionate rispetto a quelle del maschio, essendo enormemente maggiori.

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Pagina 86

22. Il riferimento al nostro ex premier si impone. Non si può intendere davvero il rituale divenuto celebre come "bunga bunga" se non lo si mette in rapporto al sacrario monumentale che Silvio Berlusconi ha edificato nella sua villa di Arcore per ottenere un posto nell'eternità e che sembra mostri, con un certo orgoglio, ai suoi ospiti. È quello, in effetti, lo sforzo supremo per consegnare la sua immagine all'eternità, sottraendo la sua potenza fallica ai tarli del tempo. Una specie di viagra di marmo che dovrebbe permettere all'uomo, mortale come tutti, di erigersi come un fallo gigante al di là della corruzione del tempo. La tragica (e farsesca) verità del "bunga bunga" è tutta in questo esorcismo affannato dello spettro della morte, nel rifiuto del tempo che passa, nell'ostinato attaccamento a una immagine di sé che non è quella di un uomo anziano, minato dal passare irreversibile del tempo, ma di un giovanotto in perenne calore. È la grande lezione della clinica psicoanalitica della perversione: il vero luogo del "bunga bunga" non è il lettone di Putin, ma il sacrario, il mausoleo cimiteriale dove viene preparato illusoriamente un posto nell'eternità. Nessun erotismo, nessuna arte della seduzione, nessuna passione. Nel sesso il nostro ex premier cerca piuttosto la prova della sua esistenza. La prestanza fallica del proprio corpo è il suo vero e unico tarlo. La sua vita è totalmente catturata dallo specchio. Tutto è concentrato sul proprio Io. Come potrebbe dedicarsi, se non a tempo perso, ad altro...? Meglio far "girare la patonza", l'amuleto, il feticcio che lo protegge dalla morte assicurandogli di essere ancora vivo. Il suo "amore per le donne" nasconde questo uso solo psicofarmacologico e non erotico dei corpi femminili. Si tratta di una schiavitù che costituisce un potente rimedio nei confronti della sua angoscia della morte e che per tale ragione – come avviene frequentemente in questi casi clinici – gli fa perdere la testa esponendolo ai comportamenti più autolesivi, rendendolo, per esempio, vittima di ricattatori senza scrupoli.

La moltiplicazione affannosa dei corpi, la ricerca incestuosa ("Ho due bambine...") e vampiresca della loro giovinezza ("Ventinove anni è già vecchietta"), la verifica ossessionata della propria resistenza fallica ("Me ne sono fatte otto"), l'esibizione continua della propria immagine di uomo di successo celebrato dai sondaggi, mostrano come il godimento perverso di Silvio Berlusconi non dia in realtà alcuna soddisfazione, ma esiga, come un vero e proprio tiranno, unicamente la sua ripetizione compulsiva. Siamo stati del resto tutti avvertiti da chi lo conosceva bene: il solo interesse del "drago" è quello di ricercare nelle sue "vergini" la linfa impossibile dell'immortalità. Dobbiamo vedere tutta l'angoscia (e la sua negazione) che trasuda da questo corpo anziano impegnato in un forcing disperato e senza alcuna possibilità di riuscita. In esso il desiderio di niente come desiderio d'Altro raggiunge il suo apice perverso: l'esercizio di una padronanza sul godimento che si vorrebbe sottratta dall'incidenza fatale del tempo, l'affermazione del corpo sessuale che si vorrebbe realizzare come monumento, come statua in grado di risparmiare il feticcio fallico dalla detumescenza impietosa imposta dalla morte.

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Pagina 87

QUINTO RITRATTO

Il desiderio di godere

Siamo ora di fronte al quinto ritratto del desiderio. Nessun Don Giovanni e nessun quadro di Brueghel davanti a noi. La figura che può illustrare degnamente questa dimensione del desiderio — il desiderio come desiderio di godere — è quella di un barbone protagonista di una barzelletta ebraica ripresa da Freud in Il motto di spirito. Questa barzelletta racconta di un signore decaduto che convince un conoscente benestante a fargli un prestito, descrivendogli la sua condizione di miseria. Poco dopo però il nostro benefattore resta basito osservando il mendicante comodamente seduto in un ristorante di lusso di fronte a un generoso piatto di salmone con maionese. Perplesso e indignato, entra nel ristorante per chiedere spiegazioni: "Ma come, Lei mi chiede del denaro in prestito e poi ordina del salmone con maionese?". Con tutta calma, lasciando sempre più incredulo il suo benefattore, quello gli risponde: "Proprio non la capisco. Se non ho denari non posso mangiare salmone con maionese. Se ho denari non devo. Ma allora, quand'è che riuscirò a mangiare salmone con maionese?". Qual è il punto? Che cosa rivela questo piccolo apologo del salmone con maionese? Il punto è che il desiderio non è mai solo desiderio di pane, il punto è, come abbiamo già visto, che il desiderio non ha la stessa natura dei bisogni primari. Non esiste desiderio di aria, di caldo, di luce, di pane. Certamente gli esseri umani hanno bisogno di aria, di caldo, di luce e di pane e, si potrebbe anche aggiungere, che senza aria, caldo, luce e pane non ci sarebbe spazio per il desiderio, giacché non ci sarebbe vita. Tuttavia il desiderio è qualcosa in più rispetto alla soddisfazione dei bisogni primari. È una verità che ogni bambino con i suoi capricci insinua presso coloro che si occupano di lui. È una verità che l'anoressia infantile e adolescenziale esibisce in una forma drammatica: "Non sono solo un tubo digerente, non basta coprirmi dal freddo, non è sufficiente darmi delle cose!". Ci vuole altro per fare crescere l'umano! Ci vuole altro per alimentare la vita! Lo abbiamo già visto contemplando il ritratto del desiderio come desiderio dell'Altro, come domanda di riconoscimento, come domanda d'amore. Il desiderio umano non può essere schiacciato sulla soddisfazione del bisogno, non può essere sottomesso all'urgenza della sopravvivenza biologica.

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Pagina 114

Abbiamo visto come nel discorso del capitalista si enfatizzi il desiderio come desiderio di niente e il desiderio come desiderio di godere. Entrambe queste versioni del desiderio si reggono sul "cattivo infinito" della compulsione a ripetere lo Stesso (insoddisfacente) godimento. Lacan affermava già nei primi anni Settanta che c'era qualcosa di "insostenibile" in quel discorso. L'attuale grande crisi dei mercati finanziari, la precarizzazione diffusa della vita sociale, l'impoverimento dei più poveri e l'arricchimento dei più ricchi, la radicalizzazione delle forme di protesta e la loro diffusione globale, mostrano la lungimiranza di Lacan e probabilmente il capolinea di questo discorso. Il godimento senza Legge del discorso del capitalista tende fatalmente a implodere, a deragliare verso una distruzione di ogni possibile discorso. Non casualmente il "desiderio" è una parola che il discorso del capitalista anziché liberare – come falsamente promette – prova ad abrogare, a estirpare, ad annientare offrendo, in contropartita a questa distruzione, la falsa promessa della guarigione del soggetto dalla divisione che lo affligge. Ma per quanto tempo ancora potrà continuare così? Per quanto tempo ancora la follia del discorso del capitalista, del godimento senza Legge, animerà lo smarrimento del soggetto? Lo ricordava con forza Lacan; nel discorso del capitalista c'è qualcosa di insostenibile, di pazzesco, qualcosa che è destinato a scoppiare. La sua promessa di guarigione non potrà che rivelarsi per quello che è: una semplice impostura. Siamo dunque all'epoca della fine, del tramonto, dell'insostenibilità del discorso del capitalista? Se questo discorso si è esteso in modo impensato, se ha egemonizzato la nostra vita affettiva e sociale, se ha permeato il soggetto riducendolo a una pura macchina pulsionale, a un consumatore iperadattato di gadget, abrogando la dimensione creativa e indomabile del desiderio, il cono d'ombra che ha generato non prelude forse a una nuova aurora proprio nel momento in cui avviene la sua massima espansione, dunque la massima chiusura? È questa la tesi con la quale Heidegger interpreta l'essenza del nichilismo. Il tempo dell'eclissi del desiderio, il tempo del suo abbandono, della sua forclusione, può essere forse anche il tempo in cui la sua assenza viene finalmente percepita come una nuova mancanza: non è forse il tempo della massima chiusura anche il tempo in cui una nuova apertura diventa possibile?

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