Copertina
Autore Riccardo Reim
Titolo La Parigi di Zola
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2001, Le capitali della cultura , pag. 294, dim. 170x220x18 mm , Isbn 978-88-359-5122-3
LettoreCorrado Leonardo, 2002
Classe storia sociale , storia letteraria , fotografia , citta': Parigi
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

  7  L'«etnografo» Emile Zola

 21  Il «passage» e il «boulevard»:
     due invenzioni parigine

 35  L'Esposizione universale e il Salon:
     due appuntamenti parigini

 57  Mademoiselle Coupeau, detta Nana:
     una «cocotte» in palcoscenico

 79  Aristide Saccard:
     un sacerdote del dio denaro

 97  Dal '48 alla Terza Repubblica: la Francia
     prima e dopo la débacle di Sedan

109  Interni borghesi: amour et pot-bouille

139  «Calicò»: il mondo dei grandi magazzini

167  «L'assommoir»: lo scandalo della miseria

195  La «macchina-femmina», ovvero la
     locomotiva

213  Il ventre di Parigi e il ventre dei
     parigini

227  Il «Quinto Vangelo»: l'affaire Dreyfus

237  Note
255  Zola e i pittori. I pittori e Zola
273  Appendice
     Opere di Emile Zola, p. 275
     Zola e i contemporanei: dispute,
     discussioni e polemiche, p. 279.
 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 6

L'«etnografo» Emile Zola



A proposito di Emile Zola, Jean Malaurie, nella sua nota introduttiva ai Carnets d'enquetes, afferma: «Questo scrittore si colloca, in Francia, tra coloro che meglio riescono a far percepire l'importanza dell'ambiente fisico e delle strutture sociali per la produzione di un pensiero. Meditando sul senso del luogo e della sua verità geologica, egli ha sondato questa terra che voleva appassionatamente umana: "Io non vedo l'uomo senza la terra - amava dire - da dove esce e dove rientra" [...] Zola ha osservato la nostra società non con concetti generali e astratti, ma partendo da una realtà individuale e da ciò che la fonda: il suolo, il quotidiano, le pulsioni del corpo, l'attrazione verso il denaro, le interdizioni, i miti». Insomma, «dalla terra all'uomo e non viceversa» (e, sia detto per inciso, il suo cognome, ereditato dal padre veneto Francesco Zola, appare come una specie di predestinazione: zolla, pezzetto di terra), tale sembra essere la lezione di questo instancabile annotatore di choses vues, questo «fisiologo sociale» che dichiarava convinto: «Il minimo documento umano prende alle viscere molto piú fortemente di qualunque combinazione immaginaria», perfettamente d'accordo con Balzac il quale ricordava senza sosta che scrivere non è altro che «sorprendere il senso nascosto in questa accozzaglia immensa di figure, di passioni e di avvenimenti».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 21

Il «passage» e il «boulevard»:
due invenzioni parigine

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 24

Sono gli anni in cui Parigi subisce profonde trasformazioni, assumendo definitivamente il volto di quella che sarà la Ville Lumière, capitale indiscussa della cosiddetta Belle Epoque. Dal 1853 il barone Georges-Eugène Haussmann è prefetto della Senna (lo sarà fino al 1869), ed è lui lo scenografo della città sfavillante e pigra di cui l'artefice lento e sapiente è Luigi Napoleone, l'astuto dittatore del Second Empire, anzi del Second Tant Pire, come reciteranno i tutto sommato malinconici e monotoni calembour della Troisième. Il disegno di Haussmann, artiste démolisseur come lui stesso ama definirsi, non corrisponde che in parte e in apparenza a una esigenza di pompe e di grandeur «imperiale», poiché il coperto obiettivo del piccolo Napoleone è piuttosto il popolo parigino con le sue insurrezioni: le vaste piazze e gli ampi viali rettilinei si prestano magnificamente alle evoluzioni e alle cariche della cavalleria: «nelle nuove strade, i cannoni potevano prendere d'infilata qualsiasi barricata», e infatti, come nota Walter Benjamin nel suo Paris, capitale du XIXe siècle, «il vero scopo dei lavori di Haussmann era di garantire la città dalla guerra civile. Egli voleva rendere impossibile per sempre l'erezione di barricate a Parigi», e lo fa smantellando l'intrico delle vecchie strade che erano state la terribile fortezza dei sanculotti. Insomma, la Ville Lumière sorge «contro la Parigi rivoluzionaria, la Parigi della Bastiglia, delle tre gloriose del quarantotto»: forse, senza il rinnovamento urbanistico di Haussmann, il marchese di Gallifet non avrebbe schiacciato la Comune, nel 1871. «L'ideale urbanistico di Haussmann», osserva ancora Benjamin appuntando quasi telegraficamente, «erano gli scorci prospettici attraverso lunghe fughe di viali. Esso corrisponde alla tendenza che si osserva continuamente nell'Ottocento a nobilitare necessità tecniche con finalità artistiche. Gli istituti del dominio mondano e spirituale della borghesia dovevano trovare la loro apoteosi nella cornice delle grandi arterie stradali. Certe arterie erano ricoperte, prima della loro inaugurazione, di una tenda, e quindi scoperte come monumenti. - L'attività di Haussmann s'inquadra nell'imperialismo napoleonico. Quest'ultimo favorisce il capitale finanziario. Parigi assiste a una fioritura nella speculazione. Il gioco in borsa soppianta le forme del gioco d'azzardo ereditate dalla società feudale. Alle fantasmagorie dello spazio a cui si abbandona il flâneur, corrispondono quelle del tempo, in cui si perde il giocatore». Tutto questo Zola lo illustrerà perfettamente nei due romanzi che hanno per protagonista Aristide Rougon, detto Saccard, imprenditore e speculatore senza scrupoli: La curée, del 1872, e L'argent, del 1891.

Dunque, nel 1860 il ventenne futuro scrittore (per ora collabora soltanto saltuariamente a La Provence) inizia, sia pure timidamente, la sua conquête de Paris, il suo rapporto de près con la grande città in fermento. È l'anno in cui Charles Garnier inizia l'edificazione dell'Opéra, l'anno in cui Montmartre cessa di essere libero comune: Parigi sembra volersi espandere all'infinito, e fa della strada, la rue, il suo spettacolo piú sfarzoso, la sua piú stupefacente parata. Emile è un ragazzone un po' massiccio, solidement bati, dai modi bruschi e che parla con uno spiccato accento del Mezzogiorno: non ha denaro, non ha amicizie influenti, non ha precisi progetti, forse non ha neppure le idee molto chiare, ma ha una sfrenata fiducia in se stesso, ed è questa la sua sola arma. Scrive versi e racconti e intanto cerca un lavoro che gli dia pane: «Quanto all'avvenire, vedremo: se scelgo definitivamente la carriera letteraria, voglio seguire il mio motto: tutto o niente!». Non scrive soltanto perché si sente chiamato a farlo da un'urgenza interiore, ma anche per farsi largo, per uscire dall'anonimato della folla. In parte, la sua decisione di diventare scrittore è dettata da un forte esprit revanchard e da una cocciuta ambizione.

Giovane, flâneur, («il flâneur, è ancora sulla soglia, sia della grande città che della classe borghese: né l'una né l'altra lo hanno ancora travolto»), Zola vaga stupefatto e invaghito in una Parigi dove ormai si può scegliere di percorrere i nuovi viali o quei vecchi passages, luoghi di magiche attrazioni (prima sede, ad esempio, dell'illuminazione a gas), microcosmi del moderno lusso, fantasmagoria di merci e panoramas, dalle acquatiche atmosfere di «lueur glauque» di cui parlerà con nostalgia Louis Aragon. È sempre Walter Benjamin a informarci che la maggior parte dei passages della capitale sorge nei quindici anni dopo il 1822 e a fornircene, tramite la Guida illustrata di Parigi del 1852, una descrizione quanto mai soddisfacente e dettagliata: «Questi passages, recente invenzione del lusso industriale, sono corridoi ricoperti di vetro e dalle pareti rivestite di marmo, che attraversano interi caseggiati, i cui proprietari si sono uniti per queste speculazioni. Sui due lati di questi corridoi, che ricevono luce dall'alto, si succedono i piú eleganti negozi, sicché un passaggio del genere è una città, anzi un mondo in miniatura». Costruzione a scopo «di transito» il passage - come le stazioni ferroviarie o i padiglioni delle esposizioni - segna l'applicazione, in architettura, del ferro, che ne fa, col vetro, una sorta di luogo astratto e artificiale, «l'imitazione di un teatro», quanto mai caratteristico e importante per almeno un trentennio di vita parigina. I passages, «paesaggio originario del consumo», ospitano caffè e ristoranti, modisterie e cabaret: «mondo organico e mondo inorganico, miseria infima e lusso sfrontato si ritrovano l'uno accanto all'altro nel piú contraddittorio dei legami, le merci sono appese o ammassate l'una sull'altra in modo cosí sfacciato da far pensare alle scene dei sogni piú intricati».

Ad aumentare questa impressione di surrealtà, i passages ospitano, tra le varie cose, la presentazione spettacolare del «panopticon», o per dirla in termine francese, panorama, che è, dal punto di vista delle abitudini visive della nostra epoca, un oggetto senza dubbio piuttosto bizzarro: una scenografia che propone, in un luogo chiuso, in formato ridotto, l'allestimento (con fondali dipinti, plastici ambientali e pupazzi), per lo piú di un paesaggio, oppure di scene di battaglia, o anche - piú raramente - la rielaborazione in tre dimensioni di opere d'arte famose (fu il caso della Zattera della medusa di Géricault). Annota Benjamin: «Si cercava in tutti i modi, con ogni sorta di espedienti tecnici, di fare dei panorami le sedi di una perfetta imitazione della natura. Si cercava di riprodurre la successione del giorno nel paesaggio; il sorgere della luna, il rumore delle cascate»... Nel loro tentativo - sia pure ingenuo - di riprodurre fedelmente la natura fino all'illusione, i panoramas rinviano in anticipo non solo alla fotografia, ma addirittura al cinema sonoro. Continua ancora Benjamin: «I panorami, che annunciano un rivolgimento nel rapporto dell'arte con la tecnica, sono insieme anche espressione di un nuovo sentimento della vita. Il cittadino, la cui superiorità politica sulla campagna si manifesta ripetutamente nel corso del secolo, compie il tentativo di importare il paesaggio nella città. La città, nei panorami, si amplia a paesaggio, come farà piú tardi, in forma piú sottile, per il flâneur, Daguerre è allievo del pittore di panorami Prévost, il cui atelier si trova nel passage des Panoramas»... Nel 1839 il panorama di Daguerre va a fuoco: in quello stesso anno - un segno? - egli annuncia la scoperta della dagherrotipia. Le prime foto vengono esposte nei passages (dove, tra l'altro, lavoravano decine di ritrattisti in miniatura che vedranno di colpo, nel giro di pochi mesi, distrutto il loro ceto professionale), addirittura in anticipo sull'Exposition Universelle del 1855, che dedicherà una mostra speciale alla «novità» della fotografia. Il passage è la vetrina perenne e sempre rinnovata delle novità e dell'incredibile: «Il padre del surrealismo fu Dada, sua madre un passage. Quando la conobbe, Dada era già vecchio. Verso la fine del 1919, per antipatia verso Montpamasse e Montmartre, Aragon e Breton trasferirono i loro incontri con gli amici in un caffè del passage de l'Opéra».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 213

Il ventre di Parigi
e il ventre dei parigini



Nella sua famosa Physiologie du goût, Anthelme Brillat-Savarin (il primo filosofo della buona tavola, adorato dagli intellettuali francesi, Balzac in testa) scrive: «Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei». Zola ha senz'altro presente questa massima quando, nel 1872, decide di intraprendere quella che è in realtà la sua prima vera indagine sul popolo parigino per Le ventre de Paris, terzo volume dei Rougon-Macquart. Nota Henri Mitterand: «Suo intento era di descrivere, sullo stile d'un romanzo realistico-simbolico, il grande duello fra Grassi e Magri: da un lato "la pancia piena e soddisfatta" di una borghesia che aveva appoggiato in sordina l'Impero perché "l'Impero le assicurava mattina e sera la zuppa", dall'altro la rivolta degli "idealisti democratici" denutriti, sopravvissuti al colpo di stato di dicembre». Quale palcoscenico migliore, per tale confronto, di quello sterminato delle Halles, «il ventre di Parigi, il ventre dell'umanità e, per traslato, la borghesia, che digerisce, rumina e smaltisce in pace le sue mediocri gioie»? Innanzitutto, quindi, una «immensa natura morta» sul grande mercato parigino, quella «macchina moderna, smisurata, una specie di macchina a vapore, di caldaia destinata alla digestione di un popolo, un gigantesco ventre di metallo, inchiavardato, saldato, fatto di legno, vetro e ferro, che funziona con il calore del riscaldamento, lo stordimento e l'agitazione confusa delle strade»...

| << |  <  |