Copertina
Autore Emma Richler
Titolo Date da magiare ai miei amati cani
EdizioneFandango, Roma, 2007 , pag. 742, cop.fle., dim. 15x21x3,8 cm , Isbn 978-88-6044-045-7
OriginaleFeed My Dear Dogs [2005]
TraduttoreFrancesca Valente
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe narrativa inglese
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Pagina 9

Uno


Jude ha sempre detto che un bambino ha il dovere di adattarsi al vasto mondo, alla società e tutto il resto, non appena sia in grado di andare in giro sulle proprie gambe, ma, per quel che mi riguarda, l'inquietudine e il terrore che provavo nelle mie prime uscite erano giustificate tutte le sante volte che mettevo piede fuori di casa, a cominciare da quel giorno che Zachariah Levinthal, senza una precisa ragione, mi picchiò sulla testa con un mazzuolo di legno sottratto alla cucina della madre. Non mi fece molto male, dato che avevo indosso il mio berretto alla Sherlock Holmes, con tutti e due i paraorecchie legati stretti sulla testa in un nodo che garantiva ulteriore protezione dalle percosse, ma mi sconvolse che Zach, più vecchio di me su per giù di un anno e mezzo, praticamente la stessa età di mio fratello Jude, insomma che fosse Zach ad aver bisogno di consigli sul comportamento più appropriato al vasto mondo e alla società in generale. Ma lasciamo perdere. Per come la vedevo io, stava soltanto mettendo alla prova la sua passione per utensili e superfici, o forse era un capriccio passeggero che doveva assecondare per garantirsi un futuro da architetto o da costruttore, e a casa mia le passioni venivano incoraggiate, motivo per cui io andavo regolarmente in giro tenendo in tasca, per scopi ricreativi, un pugno di soldatini della Prima e della Seconda guerra mondiale alti 54 millimetri, senza che nessuno mi ostacolasse, benché io sia una ragazza e da me ci si aspetti, in certi ambienti, che abbia occupazioni più decorose.

Bisogna tener conto delle passioni, non si sa mai dove possano portare, ecco perché seppi mantenere la calma il giorno che Zach mi pestò sulla testa con un aggeggio per battere la carne. No, in verità era un martelletto per intenerirla, la carne. Ecco, è questo che intendevo, dipende da come guardi le cose: il fatto che battendo su un pezzo di bistecca con un martello di legno si possa rendere tenera la carne è tanto sorprendente quanto, forse, il fatto ch'io non abbia denunciato il pericolo di un danno cerebrale all'età di circa otto anni, e abbia invece perdonato a Zach le sue passioni e quel suo vago ma tenace spirito d'impresa.

Credo che tutte le storie parlino di questo, della ricerca di un modo d'essere che non ti metta nei casini, un modo d'essere che faccia per te e che ti renda facile, tenendolo a mente, accettare certe situazioni assurde che altrimenti ti sconvolgerebbero, e quella storia di Francesco d'Assisi e del corvo è solo un esempio tra i tanti. Verso la fine della sua vita, Francesco stringe amicizia con un corvo che gli diventa estremamente fedele: il corvo siede a tavola al suo fianco, cammina infaticabile dietro di lui quando fa visita ai malati e ai lebbrosi e ne segue il feretro alla morte; rimasto col cuore spezzato, si lascia andare, rifiuta il cibo, fino a che muore anche lui. Ora, se fai un salto in città, o vai in giro a far spese, con un corvo alle calcagna, verosimilmente non ti farai degli amici molto in fretta, considerato il tuo inusuale e poco raccomandabile comportamento. A meno che tu non sia un santo, nel qual caso sei in regola. E questo è un fatto. L'altra cosa mica tanto regolare di questa storia è come mai quel corvo non ha scelto di fare una vita facile innamorandosi di qualcuno della sua stessa specie, un altro corvo o un'altra corva con cui magari avere un futuro luminoso e tirar su dei piccoli corvi e cose del genere. No. Per il corvo, Francesco era casa sua, è tutto quello che c'è da dire, regolare.

Così va anche per le petit prince dell'omonimo libro del signor Antoine de Saint-Exupéry, la storia di un ragazzino vestito con un completino raffinato e principesco che vive su un asteroide con un vulcano, un baobab e una rosa, e non ha granché da fare tranne guardare il tramonto. Visto lo stato delle cose, non è così strano che si innamori della rosa e lasci in una fitta di mal d'amore il suo piccolo pianeta, sfruttando per il suo viaggio il volo migratorio di uccelli selvatici, aggrappandosi a loro con briglie speciali, come si vede dagli acquerelli. Alla fine, il principe piomba sulla Terra dove ha un ambiguo incontro con un serpente che vuole ucciderlo ma che maschera le sue intenzioni facendo una promessa a questo ragazzino visionario e pazzo d'amore, la promessa di ritornare, un biglietto di sola andata per casa sua attraverso i mondi eterni.

Una volta atterrato, il principe chiede: "Dove sono caduto? Che pianeta è questo?".

Ricordo tutto.

Tutto e niente sono roba strana. Dipende da come la si guarda.

Adesso Zach, dice Jude, è una specie di avvocato o giudice, dimentico sempre i dettagli, perché la sola cosa che riesco a pensare è come Zach abbia trovato un suo mondo dove le cose devono essere giuste, dove succede perfino che i martelli colpiscano opportune superfici per intenerire il delitto e l'ingiustizia, e mi auguro che lui sia felice, lo spero proprio, benché non ne abbia notizia visto che in questo periodo non sono in vena di telefonate e lettere, non che adesso io abbia tagliato i ponti con la società e il vasto mondo, ma ho ancora delle passioni, che coltivo in stanze dalla luce fioca, con il mio pugno di soldati, che entrano nel mio mondo in modi che agli estranei sembrerebbero inverosimili.

Ottobre 1935. Joseph Goebbels emana un decreto che proibisce l'iscrizione sui memoriali di guerra dei nomi di soldati ebrei caduti, uomini che hanno dato la propria vita per uomini più giovani che adesso si danno da fare a scrostare dalle tavolette di pietra offensivi nomi ebrei, con quella che si potrebbe chiamare una passione corrotta e delirante.

E io, io mi allontano e piango.

Dove sono caduta? Che pianeta è questo?

Lo sento, lo vedo, ma non ero là, ne ho solo una visione. Ricordo tutto.


Sotto l'influsso della gravità, le stelle orbitanti in una galassia ellittica come la nostra sono sempre in caduta, sempre in caduta senza entrare in collisione, e più grande è la massa, più grande l'attrazione, e maggiore è la velocità con cui una cosa cade, maggiore la velocità con cui essa si muove in orbita, così la Luna, ad esempio, è in perenne caduta verso la Terra ma non la colpisce mai e mi piace pensare che William Blake, 1757-1827, apprezzerebbe questo fatto, giacché egli nutriva un particolare interesse per la caduta dell'uomo e perché per William la memoria è soltanto una porzione di tempo, un aspetto della caduta, i mondi immaginari sono i veri luoghi della reminiscenza, un regno nel quale ogni uomo è di fatto un re senza corona per l'eternità e non c'è bisogno di memoriali, considerato che, così egli scrisse, L'Uomo è l'Immaginazione che vive per Sempre.

Detesto dirlo, ma William mi sembra un uomo che si tira fuori dalla realtà, evita lo scontro con la crudeltà dei colpi bassi, dei momenti bui, per rifugiarsi in un luogo dove la memoria e la visione s'incontrano in modo assai fantasioso, sebbene non senza violenza, no. E la cosa magnifica è che lui sapeva, forse già da quando, più o meno all'età di otto anni, ebbe le sue prime visioni, che finché fosse stato vincolato dal tempo, e avesse camminato per le strade di Londra in condizioni miserevoli e dentro un corpo malaticcio, in un mondo che perlopiù lo considerava pazzo, si sarebbe sentito a posto, perché l'aveva trovata, la maniera di fuggire, una specie di resurrezione nei mondi eterni, era quello il suo paese. William muore cantando, e nell'istante fatale un amico allunga la mano su di lui e gli sfiora le palpebre, un sipario che cala, un piccolo gesto di infinita grazia in un sol tocco delle dita. Per trattenere la visione, ecco ciò che dice. Blake era in perenne caduta, senza mai arrivare all'urto, grazie a un trucco della gravità. Tutti hanno una casa.

"Che paese è questo, amico mio?" William Shakespeare, 1564-1616! Sono ossessionata dai numeri? Dice di sì, Ben. O almeno l'ha detto. Secoli fa.

"A cosa pensi?"

"L'ho chiesto per primo!"

"Mmmh."

Holmes: "A volte precipito in un buco nero, e non apro bocca per giorni, senza interruzioni. Mi lasci in pace e, presto o tardi, vedrà che mi passerà!" A Study in Scarlet, 1887!

"Non credo che sia ciò che vuoi, che io ti lasci in pace. Ma se lo faccio, oggi non dovrai dirmi il perché di quelle bende."

"Un piccolo incidente! Io cado sempre."


Vi racconto una breve storia su Eadweard Muybridge, 1830-1904, e sulla sua ossessione per la velocità e il movimento e, più di tutto, per la fotografia. Muybridge sistemò in un grande campo una fila di macchine fotografiche cui erano attaccati dei cavetti, in modo tale che il cavallo del suo esperimento si sarebbe scattato autoritratti in rapida successione mentre correva al galoppo, permettendo a Eadweard di catturare l'unico momento che per lui contasse: l'immagine di un cavallo con tutte e quattro le zampe sollevate da terra, un istante che passa troppo velocemente per l'occhio nudo e la prova che un cavallo in velocità quasi vola, riesce a staccarsi dal suolo ogni volta per un breve momento, con gioioso sprezzo della gravità. Quello che non vi posso dire ancora, ma credo che lo sappiate, è che anche il mio piccolo incidente è, nella mia immaginazione, un esperimento sulla velocità, sul movimento e sulla fotografia, su come per un attimo, anelando il ritorno, io trovo una maniera per fuggire, e salgo, non cado: un pericoloso scherzo alla gravità, lo so, ho chiesto scusa per tre volte.

Però vi racconto di una cartolina che ho ricevuto da mia madre, una cartolina col timbro postale di un altro paese, dove sono raffigurati due cherubini a entrambi i lati di una donna che regge un calice sopra il quale poggia un uovo: i cherubini sono accompagnatori celesti. Un trittico. Le tre figure sono tutte bianche, statuarie, e i cherubini sono cicciotti e aggraziati, mentre la donna è vestita di una tunica elegante e ha sul volto un'espressione di sorpresa e di stanchezza, come se avesse appena spedito a scuola i bambini e fosse finalmente arrivato il momento della colazione. Se non fosse che il titolo di quel dipinto di Raffaello è Fede, e che nell'arte cristiana l'uovo, si sa, è il simbolo della Resurrezione. Dipende da come la si guarda.


Un pomeriggio, quando eravamo piccole piccole, tornavamo a casa dal collegio facendo chiarezza su una questioncina di catechismo sorta dopo la riunione del mattino cui eravamo obbligate a partecipare da civili, non da cattoliche, solamente per far numero direi – quel mattino avevo visto la mia sorellina Harriet contorcersi nel banco, mi puntava con occhi allucinati in un'espressione tra l'euforia e lo spavento, che non è sempre facile decifrare. È stato proprio quel giorno che lei e io abbiamo scoperto la faccenda della caduta dell'uomo, e da allora Harriet si è appassionata a queste tre parole, caduta dell'uomo, con gioioso godimento.

Ha orecchio per i proverbi e non si stufa mai di recitarli: per questo quando adesso vede Gus che si ribalta, evento ricorrente a casa nostra, dato che Gus è ancora un bebè e solo da poco è riuscito a mettersi in piedi e a spostarsi da solo, Harriet pronuncia quelle tre parole in tono drammatico e sagace.

"Caduta dell'uomo", sentenzia, cedendo subito ai rantoli asmatici della sua risata moccolosa.

La prima volta che ne abbiamo parlato non è stata così disinvolta.

"Non mi è chiara la parte del serpente."

"Lascia stare il serpente, Harriet, è un simbolo, ok? Non è importante."

"Sì che è importante. Ha detto: serpente, serpente, serpente. L'ha detto Suor Lucy."

"Noi non siamo cattolici, quindi non conta. Non stare a preoccuparti."

"È nella Bibbia?"

"Sì. Senti... prova con la mamma, ok? Non sono sicura neanche io di averla capita."

Me la ricordo, quella mattina, l'immagine che si formò all'improvviso nella mia mente, di soldati che si scagliano fuori dalle trincee nella battaglia, di uomini che cadono, di persone che se ne vanno a zonzo con aria indifferente e poi stramazzano, si buttano a terra perché non possono evitarlo, e c'erano anche immagini da fumetto, gente che precipita nei pozzi o dalle scogliere, o attraverso buchi in un lago ghiacciato, e volteggia a mezz'aria realizzando in un istante di consapevole orrore la propria caduta, a meno che, è ovvio, il personaggio non sia un eroe, nel qual caso verrà salvato da un ramo secco mentre vola giù, o atterrerà sul carico morbido di una nave di passaggio, ed è questa la cosa che più deprime nella storia del serpente che racconta Suor Lucy, e che non voglio che Harriet venga a sapere, cioè che in qualche modo a causa di quel che è successo nel Giardino, secondo le suore, ormai nemmeno un supereroe può contare su una nave di passaggio, il che fa luce pure sulla vicenda del compagno di scuola di mamma, un ragazzo carino che per sbaglio era caduto nella tromba dell'ascensore.

A parer mio, è un comportamento meschino da parte delle suore cominciare la riunione del mattino con la storia della caduta dell'uomo, guastando la giornata a tutti quanti con questa tremenda notizia e propinando ai ragazzini come mia sorella una rovinosa visione della vita, quando hanno appena sette anni e ancora devono prendere atto della realtà. E per di più adesso l'ascensore è fonte di profonda inquietudine, per me, specialmente perché ogni volta che faccio per salirci mi dimentico di controllare se è già lì. Essendo una cosa che mi dà il tormento, ho deciso che non passerò più per quelle porte senza prestarci attenzione, anche se so che è una guerra persa in partenza. Finora sono stata fortunata, ma ho solo nove anni e la strada è ancora lunga. Se non si è smemorati per natura, è strano che ci si dimentichi ogni volta dello stesso piccolo particolare. Porca miseria.

"E allora perché tutti cadono?", chiede Harriet, un po' irritata.

"Sono caduti, vuoi dire."

"È stupido."

"Già. Allora lasciamo perdere."

"BARKIS è disposto", fa Harriet con voce da omaccione, usando la sua nuova frase preferita tratta da David Copperfield, un libro del signor Charles Dickens che mamma ci sta leggendo in questi giorni, una cosa eccezionale, perché mamma fa tutte le voci in modo molto realistico, quelle da aristocratica, che dicono in continuazione, mio caro, mio caro, e quelle rozze tipo Barkis. Harriet ha una passione per Barkis. Sarà magari che le ricorda nostro padre, anche lui di poche parole e con la voce da omaccione, ma non fa paura una volta che lo conosci.

"Harriet Weiss!", dice ancora mia sorella. "Dove sono le tue scarpe, mettiti le scarpe! BARKIS è disposto."

"Hai detto così alle suore, oggi? Barkis è disposto?"

"Mi sono stufata delle scarpe."

"Harriet, non dirgli quella cosa di Barkis, non capirebbero. Penserebbero che ti stai comportando da maleducata. Risparmiatelo per casa, ok? E cerca di tenerti addosso le scarpe, a scuola. Per favore."

"Perché?"

"Sono le regole, Harriet. Devono avere delle regole."

"Perché?"

"Perché devono mantenere il controllo sulle cose. Come in tempo di guerra, nell'esercito, sai."

"Questo è l'esercito?"

"No, dimentica quello che ho detto. Non vogliono che diventiamo delle selvagge, tutto qui."

"Come i golliwog", dice Harriet, il labbro inferiore che tremola tutto.

Oh oh, è la Giornata dei golliwog. Guardo mia sorella che era alta solo un metro e dieci l'ultima volta che è stata misurata, con quei suoi capelli lanuginosi schiacciati all'ingiù: a voler essere precisi, lei è la mia sorellina con grandi occhi blu e in tasca, sono venuta a saperlo, tiene uno o due minuscoli pulcini di lanetta con le zampe di plastica e due semi al posto degli occhi. La guardo e mi chiedo come le suore possano predire guai e supporre che Harriet diventerà una selvaggia, quasi che il caos avesse inizio dal fatto che lei in classe si toglie le scarpe, come se quello e il primo passo verso la Caduta dell'Impero Romano o le invasioni barbariche, ecc... fossero tutt'uno. Le suore non hanno molta fiducia nell'umanità.

"Harriet, ti ricordi cosa ha detto mamma su questo argomento?"

"I golliwog sono inventati."

"Ecco. E che altro?"

"Offensiva. È una parola offensiva. Fa cominciare le guerre."

"Sì. No. Quello è il pregiudizio. Il pregiudizio fa cominciare le guerre. Hai capito?"

"Penso di sì." Harriet non è contenta, lo vedo, perché strascica leggermente la punta del piede e poi mi fa un ghigno, il che vuol dire che sta cercando di dimenticare qualcosa di brutto.

Mia sorella sta attraversando una fase golliwog, che sarà presto finita, spero, anche se capisco il suo problema. Nella famiglia Weiss siamo cinque figli, con me esattamente in mezzo e Ben che è il più vecchio, e anche il più alto, e l'unico che abbia una predilizione per la marmellata e altra roba che sta dentro i barattoli, del genere dolce — il burro di arachidi no ad esempio – a parte mamma che mangia il miele, anche se non sul pane come una persona normale, bensì mescolato nello yogurt. Lei ha uno stile tutto suo, ma questa è un'altra storia. Ok. Quando Harriet lo vide per la prima volta, il golliwog saltellante sull'etichetta di un vasetto di marmellata di fragole, rimase completamente atterrita, e da quel momento in poi si è rifiutata di sedersi a una tavola su cui ci fosse anche la marmellata con sopra il golliwog. Dovevamo far sì che ciò non accadesse mai. Tutti hanno bisogno di proteggersi da qualcosa.

Dopo che mio padre ebbe finito di ridacchiare e punzecchiare, saltellando qua e là con tutti i capelli scompigliati, mamma diede inizio a una discussione, spiegando cosa fossero il pregiudizio, la schiavitù in Africa e le parole inventate, e perfino mio papà si fece serio e ci disse dei turbanti gialli che gli ebrei erano costretti a indossare e che condussero ai distintivi gialli dei tempi più recenti e ai fumetti con i maiali, e poi improvvisamente provai una sensazione stupida e confusa nel ripensare al golliwog, perché non avevo idea che fosse davvero una persona. Pensavo fosse un grizzly. Che scema, direbbe Jude. Il golliwog è un bambolotto di un nero profondissimo e con i capelli irsuti e acuminati e uno sguardo da folle, e ho sempre pensato che gli abbiano disegnato addosso un vestito a righe colorate per renderlo meno spaventoso agli occhi di persone come Harriet, proprio come gli orsi di peluche nei negozi hanno cravattini e altri accessori perché i bambini credano che non sono animali bensì persone, e quindi tipi molto amichevoli. Nessuno usa la testa con giudizio.

Una bambola di plastica è una persona, e credo sia la cosa più raccapricciante su cui gli occhi di un bambino possano posarsi, e per quanti vestiti a strisce gli si mettano addosso non si libererà golliwog del suo aspetto pauroso.

Il terrore che i golliwog infondono a Harriet mi ha illuminato su alcune questioni di grande importanza, e adesso nutro un notevole interesse per il pregiudizio, invece Harriet, intrigata dallo schiavismo, è piuttosto avida di conoscenza circa schiavi e schiavitù nei secoli prima e dopo Cristo, il che mi sta bene, perché probabilmente troverà in questa sua passione per gli schiavi un porto sicuro ogni volta che sarà inorridita dai golliwog, il giorno che il pupazzetto con la zazzera crespa le sembrerà un mostro intento a darle la caccia dall'etichetta di un vasetto di marmellata.

Non la compriamo più quella marmellata. Ma a Harriet stava per capitare qualcosa di ancora più spaventoso: quando al campetto incrociò Mary Reade, Mary e il suo golliwog stretto sotto il braccio, una visione terribile, mia sorella rimase come uno stoccafisso, e mi dovettero chiamare per riportarla in sé. Harriet mi stringeva la mano e non la mollava, come se fosse in un incubo e avesse bisogno che io stessi lì con lei, finché non si ricordò che una cosa inventata è una cosa inventata e non dovrebbe mantenere a lungo il potere di terrorizzarti, perché non esiste. Quel giorno, cercai di distrarla con argomentazioni intellettuali, sollevando con veemenza questioni sulla guerra, il pregiudizio, la schiavitù e via dicendo, ma oggi mi chiedo se Harriet abbia avuto un altro brutto incontro con il golliwog di Mary.

"Nient'altro di cui tu voglia parlarmi, Harriet?"

"Siamo tutti creature di Dio."

"Eh? È stata Suor Meschina? Ti ha fatto la predica sulle creature?"

"Sì. È stata Suor Meschina."

Suor Meschina è l'unica suora cattiva che c'è al collegio, e comincio a pensare che sia un po' matta. Tutte le volte che una ragazza fa qualche passo falso, cose come spargimenti di vino durante la messa, ritardi, brutta calligrafia, divisa incompleta, scarpe consumate o altro del genere, Suor Meschina alza gli occhi al cielo e recita la predica sulle creature. Siamo tutti creature di Dio, annuncia, e non sembra ne sia tanto felice, poi fa tutta una lista di bestie, scegliendo quasi sempre gli animali meno attraenti, quali l'oritteropo e l'ippopotamo, successivamente elenca le classi, i colori le religioni e i paesi, i ricchi e i poveri, quelli con un braccio solo, i ciechi e tutte quelle innumerevoli nazioni del vasto mondo là fuori che necessiterebbero di opere missionarie. È una lista dolente, se volete saperlo, alquanto penosa, così una volta sentii il bisogno di correggere la suora, perché cresceva in me l'impulso irresistibile di ricordarle che la parola "ebreo" non va intesa come s'intendono le parole "indiano" o "africano", non indica esattamente un paese, proprio no. Ma Suor Meschina non fu affatto contenta della notizia, forse perché non chiesi il permesso di interloquire, il che va decisamente contro le regole e non fu una bella mossa da parte mia. Adesso Suor Meschina mi odia e ho paura che dichiarerà guerra anche a Harriet, sebbene abbia qualche dubbio visto che mia sorella ha un buon carattere e paragonata a me è una gradevole compagnia, per questo tutti la apprezzano anche se non sempre la capiscono. Se hai una personalità insolita e anche un buon carattere, al mondo andrai bene, ne sono certa.

"Dimmi cosa è successo."

"Mary aveva quel... e allora le ho detto: 'È uno schiavo! È offensivo, fa cominciare le guerre! Siamo TUTTI creature di Dio'."

"Ho capito. Senti, Harriet, hai ragione riguardo ai golliwog, ma non puoi parlare a titoli, come in un telegramma, devi anche un po' riempire gli spazi vuoti, o le persone non capiranno niente. Fai come mamma, d'accordo? La schiavitù è una cosa brutta, golliwog è una parola stupida, il pregiudizio... bla bla bla... In famiglia, non ti preoccupare, ti capiamo, ma fuori devi spiegarti un po' di più. Ok?"

"Sono stanca."

"Lo so. Vieni, andiamo."

"Creature", dice mia sorella con una voce da funerale.

"Creatura suona un po' come mostro, ma non significa mostro. Capito? È soltanto una parola per indicare tutte le cose, sai, tutto quello che respira."

"Papà è una creatura?"

"Oh sì, decisamente. Ti senti meglio adesso?"

"Sì, mia cara. Ho voglia di cantare."

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