Copertina
Autore Luca Ricolfi
CoautoreLoredana Sciolla
Titolo Senza padri né maestri
SottotitoloInchiesta sugli orientamenti politici e culturali degli studenti
EdizioneDe Donato, Bari, 1980, Atti 55 , pag. 318, cop.fle., dim. 107x178x20 mm
PrefazioneGuido Quazza
LettoreRenato di Stefano, 1980
Classe sociologia , scuola , universita'
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Indice

Prefazione di Guido Quazza V
Premessa 3
Introduzione 5

PARTE PRIMA
I. Estraneità degli studenti e crisi della scuola 19

1. L'estraneità degli studenti, p. 19.
2. Estraneità e domanda di cambiamento, p. 36.
3. La professionalità ridefinita, p. 48.
4. La personalità non autoritaria, p. 52.
5. Approfondimenti di analisi, p. 61.
5.1. Analisi fattoriale degli atteggiamenti verso la scuola, p. 61.
5.2. Immagine della scuola e pratiche sociali.
     Una tipologia degli studenti, p. 66.

II. La centralità del lavoro concreto 87

1. Studenti o studenti lavoratori?, p. 87.
2. La centralità del lavoro concreto, p. 102.
3. Immagine del lavoro e pratiche sociali.
   Una tipologia degli studenti, p. 120.

III. Politica e problemi personali: un nuovo individualismo? 130

1. Che cosa è politica e che cosa non lo è: rapporto con la
   politica e modificazioni del linguaggio, p. 130.
2. La politica come 'scelta', p. 138.
3. Politica e problemi personali: un nuovo individualismo?, p. 149.
4. L'atteggiamento verso la violenza e la crisi degli
   strumenti di partecipazione, p. 158.
5. Immagine della politica e pratiche sociali.
   Una tipologia degli studenti, p. 167.

PARTE SECONDA
IV. La formazione degli orientamenti politici 183

1. La cultura studentesca: dai condizionamenti dell'origine
   alla centralità dell'esperienza, p. 183.
2. Gli orientamenti elettorali. Un modello di riferimento, p. 190.
3. Le studentesse: piú a sinistra dei maschi e piú autonome
   dalla famiglia, p. 196.
4. L'influenza del 'contesto' scolastico, p. 202.

V. L'autonomia degli orientamenti culturali 209

1. Autonomia e omogeneità degli orientamenti culturali, p. 209.
2. Lo 'spiazzamento' delle forze politiche, p. 221.

Conclusioni. Il disincanto degli studenti e le ideologie del
             riflusso 240


Appendice 1. Scelta del campione e questionario 259
1. La scelta del campione, p. 259.
2. Il questionario, p. 261.

Appendice 2. Analisi fattoriali 277
1. Analisi fattoriale degli atteggiamenti verso la scuola, p. 277.
1.1. Risultati generali, p. 277.
1.2. Le relazioni tra i fattori, p. 290.
2. Analisi fattoriale delle definizioni della politica, p. 295.

Appendice 3. Criteri di costruzione delle tipologie 298
1. Tipologia sulla scuola, p. 298.
2. Tipologia sul lavoro, p. 300.
3. Tipologia sulla politica, p. 300.

Appendice 4. Risultati delle regressioni 302
1. Meccanismi verticali e meccanismi orizzontali:
   le variabili indipendenti, p. 302.
2. La regressione multipla con variabili dummy, p. 307.

 

 

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Pagina 3

Premessa

Questo libro presenta i risultati piú importanti di una ricerca sull'immagine della politica condotta nel maggio 1978 su un campione di oltre 1000 studenti delle scuole medie superiori pubbliche di Torino.

Nel corso dell'indagine, oltre ad un questionario di un'ottantina di domande sono stati utilizzati alcuni strumenti di tipo qualitativo: temi, interviste in profondità a studenti militanti in organizzazioni politiche, dibattiti nelle classi e nelle scuole coinvolte nella ricerca. Il ritorno nelle classi per presentarne i primi risultati ha permesso non solo di discutere direttamente con gli studenti alcune ipotesi interpretative, ma anche di approfondire ed allargare le problematiche trattate nel questionario.

Sia per la straordinaria partecipazione degli studenti (un solo questionario non compilato, numero di mancate risposte inferiore al 3%), sia per l'ampiezza del campione, i risultati possono essere considerati rappresentativi della realtà torinese. Anche se è probabile che alcune tendenze messe in luce dalla ricerca siano valide per l'Italia in generale, l'ambito di validità che ci sentiamo di suggerire per l'insieme dei risultati ci sembra possa essere ragionevolmente delimitato al Nord Italia, o quantomeno alle regioni del triangolo industriale.

Il libro è diviso in due parti. La prima, dedicata alla presentazione degli orientamenti di fondo degli studenti, ha carattere prevalentemente analitico e descrittivo. La seconda si concentra soprattutto sulla spiegazione dei meccanismi sociali attraverso cui essi si formano. I paragrafi piú analitici o che presuppongono elaborazioni statistiche complesse sono in corpo minore. Le parti piú tecniche, o di carattere metodologico, e il testo del questionario sono state raggruppate in Appendice alla fine del volume.

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Pagina 5

Introduzione


Il capitano Jonathan,
all'età di diciotto anni,
cattura un giorno un pellicano
in un'isola dell'Estremo Oriente.
Il pellicano di Jonathan,
al mattino, depone un uovo tutto bianco
e ne esce un pellicano
che gli assomiglia in modo straordinario.
E questo secondo pellicano
depone, a sua volta, un uovo tutto bianco
da cui esce, ovviamente,
un altro pellicano che fa altrettanto.
Tutto ciò può durare molto a lungo
se non si fa una frittata prima.



Questa citazione di Desnos figura come epigrafe al libro di Bourdieu e Passeron, La riproduzione, in cui i due autori analizzano le funzioni sociali del sistema scolastico. La metafora del pellicano allude ad un'analoga funzione riproduttiva da parte della scuola. Cosí come il pellicano riproduce e conserva il patrimonio genetico della propria specie, la scuola conserva il patrimonio culturale dominante, quello della borghesia, fornendo in questo modo il suo specifico contributo al piú generale processo di riproduzione della struttura di classe della società.

Allora — si era all'inizio degli anni Settanta questa tesi di Bourdieu e Passeron fu accolta con molta perplessità, se non addirittura con scandalo. Scritto immediatamente dopo il maggio francese, in un periodo in cui i maggiori paesi dell'Occidente erano attraversati e scossi dalle agitazioni studentesche, un libro come La riproduzione sembrava contraddetto innanzitutto dagli eventi, che avevano il loro epicentro proprio nelle università e nelle scuole, e sembravano rendere radicalmente inattuale l'immagine di una riproduzione lineare, senza rotture, dell'ordine culturale esistente. Per molti gli eventi di quegli anni erano semmai la prova tangibile che la scuola poteva anche funzionare in un modo opposto a quello indicato dai due Autori: non come meccanismo di socializzazione — intesa come integrazione ai valori della classe dominante — ma come luogo di formazione di esperienze culturali e politiche alternative o — come allora si disse, capovolgendo il senso originario del termine — come luogo di «socializzazione politica».

A dieci anni di distanza, in una situazione in cui in tutti i paesi dell'Occidente — Italia compresa — le lotte degli studenti sono spente o largamente rientrate, in una situazione in cui la scuola e le università sembrano riprendere a funzionare in modo relativamente 'ordinato', ci si potrebbe chiedere se lo schema di Bourdieu non torni di attualità. Il '68 può essere anche stato la 'frittata' di cui parla Desnos, ma come stanno le cose oggi? Il pellicano ha ripreso a deporre tranquillamente le sue uova «tutte bianche», da cui continuano — oggi come ieri — ad uscire pellicani che gli assomigliano «in modo straordinario»?

La ricerca di cui qui presentiamo i risultati piú importanti è, in un certo senso, un tentativo di fornire una risposta non sommaria a un interrogativo che, posto nei termini impliciti in molte delle critiche al libro di Bourdieu e Passeron, tende a ricevere una risposta troppo semplice.

Già l'idea che il '68 abbia rappresentato una rottura inequivocabile dei modelli culturali borghesi non è cosí scontata come potrebbe apparire. Un'altra ricerca di quegli anni, condotta negli Stati Uniti da K. Keniston, metteva in luce una diversa possibilità interpretativa, molto piú attenta agli aspetti contraddittori della radicalizzazione studentesca. Secondo Keniston i giovani contestatori, in maggioranza provenienti da famiglie della media e dell'alta borghesia, criticavano, è vero, i propri padri, ma li criticavano in nome dei loro stessi valori. Ciò che la rivolta antiautoritaria metteva in discussione non era tanto la validità di determinati princìpi, quanto — innanzitutto — l'incapacità degli adulti di vivere alla loro altezza. Non a caso una delle tematiche centrali di quegli anni era la critica dell'ipocrisia, la 'demistificazione' della falsa coscienza della società adulta. Anche la ricerca di valori e di modelli alternativi, o le esperienze 'controculturali' di allora, nello stesso momento in cui marcavano la propria distanza dall'universo culturale borghese, presupponevano pur sempre la continuità con ciò che veniva negato.

È chiaro che, visto in questa luce, uno schema interpretativo come quello de La riproduzione diventa assai meno sconcertante di quanto possa apparire a prima vista. Del resto già nel '64 gli stessi Bourdieu e Passeron descrivendo, ne I delfini, la propensione alla frammentazione ideologica e alla radicalizzazione dei gruppi studenteschi universitari avevano parlato a questo proposito di «dissenso nel consenso», sottolineando proprio gli elementi di continuità culturale che possono fare da sfondo a certe rotture sul piano politico.

In realtà lo schema di Bourdieu e Passeron — apparentemente messo in crisi dall'esplosione delle lotte studentesche — conservava, all'inizio del decennio, una sua fondamentale validità. Ed è invece proprio oggi, quando il 'ritorno all'ordine' del sistema scolastico sembra riproporne l'attualità, che esso, paradossalmente, diventa meno plausibile. Oggi gli studenti assomigliano sempre di meno ai 'delfini' che Bourdieu e Passeron avevano in mente. I loro orientamenti non solo sono tutt'altro che 'moderati' sul piano politico, ma manifestano una precisa soluzione di continuità con l' 'ordine culturale' borghese, o meglio con i modelli propri della società adulta. Si tratta di una vera e propria cesura, culturale e di costume, prima ancora che politica. Gli atteggiamenti degli studenti nei confronti dell'autorità, del lavoro, della sfera privata e di quella pubblica, per il tipo di contenuti che esprimono, non sono, semplicemente, incompatibili con i modelli dominanti nella società adulta, ma non si lasciano facilmente ricondurre neppure ad una concezione politica o ideologica alternativa, quale è stato — ad esempio — il marxismo per la generazione del '68.

Se si dovessero caratterizzare con un solo termine gli orientamenti culturali degli studenti oggi, assai piú che di opposizione rispetto ai valori tipici della società adulta, si dovrebbe parlare di una radicale diversità. È una diversità che riguarda le forme soggettive della coscienza, ma è anche, e in primo luogo, una diversità che ha dietro di sé una modificazione profonda dei meccanismi stessi attraverso cui gli orientamenti culturali si formano.

Il cambiamento riguarda innanzitutto i luoghi della socializzazione, della trasmissione dei modelli culturali e di comportamento. Alla famiglia come centro dei processi di socializzazione si è andata progressivamente sostituendo una struttura policentrica, di cui la scuola e le diverse forme di aggregazione di tipo generazionale — dalle piú fluide e informali alle piú istituzionalizzate — costituiscono gli elementi portanti. Nel corso degli anni '70 sembra cioè essere definitivamente 'decollato', anche in Italia, quel processo di autonomizzazione della cultura giovanile il cui inizio in altri paesi — negli Stati Uniti soprattutto — risale almeno ai primi anni '60.

Ma il cambiamento investe anche i modi della socializzazione, cioè i meccanismi attraverso cui i modelli culturali si costituiscono. Nella stessa misura in cui 'medium' della socializzazione diventano soprattutto la scuola ed il tessuto associativo, ad una trasmissione di tipo 'verticale' — dai padri ai figli, «da generazione a generazione» — tende a sostituirsi un altro tipo di trasmissione, che procede per linee 'orizzontali', da una leva giovanile all'altra. Anzi piú che di 'trasmissione', a questo punto, occorrerebbe parlare di 'interazione': il fatto che la trasmissione avvenga lungo linee orizzontali, in cui prevalgono le relazioni fra pari, fa si che la trasmissione stessa non sia piú riducibile a mera riproduzione di modelli dati, ma possa anche funzionare come produzione di contenuti nuovi.

In questa direzione, di uno spostamento al di fuori della famiglia dei processi di socializzazione, va uno dei risultati principali che emergono dai modelli presentati nella seconda parte di questo volume: l'autonomizzazione degli orientamenti culturali dall'origine di classe, e il ruolo determinante che, viceversa, assumono i meccanismi orizzontali, dall'associazionismo, all'esperienza lavorativa, alla socializzazione scolastica.

Il passaggio dalla scuola di élite alla scuola di massa, l'impatto di una generazione di insegnanti socializzata in un clima politico come quello del '68, l'articolazione, infine, del tessuto associativo e l'infittirsi delle reti di solidarietà hanno cambiato profondamente il funzionamento del sistema scolastico, che ha assunto tratti ambivalenti: la scuola cessa di essere soprattutto un apparato di riproduzione, per diventare anche un 'laboratorio' in cui si sperimentano forme di comportamento e modelli culturali nuovi.

Diventa forse piú chiaro, in questa prospettiva, perché gli studenti di oggi siano al tempo stesso cosí simili e cosí diversi rispetto a quelli di dieci anni fa. Simili in quanto i loro orientamenti rappresentano in molti casi una generalizzazione di tematiche tipiche del movimento studentesco: dalla critica dell'autorità, al riconoscimento della non-neutralità dei ruoli sociali, alla critica dell'etica della prestazione. Anche su un piano piú immediatamente politico le preferenze elettorali degli studenti, anziché mettere in evidenza un trend quale quello suggerito dalle teorie del riflusso, sembrano evolvere esattamente nella direzione opposta. Il consenso all'insieme delle forze politiche della sinistra è cresciuto, e non diminuito, negli ultimi dieci anni, estendendosi alla maggioranza degli studenti. Ma l'aspetto forse piú rilevante è che questa estensione ha coinvolto, nel giro di pochissimi anni e in misura senza precedenti, la componente femminile della popolazione studentesca, determinando un vero e proprio capovolgimento della situazione: se fino a ieri, anche fra gli studenti, il 'moderatismo' era, quasi per antonomasia, un tratto femminile, oggi, al contrario, sono proprio le ragazze ad esprimere gli orientamenti piú avanzati e piú radicali.

Ma gli studenti della fine degli anni '70 sono anche, per altri aspetti, profondamente diversi da quelli di dieci anni fa. Il processo di generalizzazione, proprio perché rappresenta un' estensione alla maggioranza degli studenti di atteggiamenti e forme di coscienza un tempo patrimonio di settori particolari e ancora relativamente ristretti del mondo studentesco, comporta anche, in certo senso, uno 'stemperamento' di ciò che viene generalizzato, una perdita di carica e, forse, di univocità ideologica. La critica dell'autorità — per fare un esempio — è oggi sí un atteggiamento largamente diffuso fra gli studenti, ma ha perso proprio quei tratti aggressivi e ideologizzati che piú la caratterizzavano negli anni della contestazione: passando da tratto distintivo della rivolta studentesca a componente quasi fisiologica della mentalità e del costume, l'antiautoritarismo subisce anche una trasformazione qualitativa, diventa per cosí dire 'personalità' non autoritaria. Cosí per l'idea della non-neutralità del ruolo degli insegnanti: se ieri aveva un significato di rottura, o il valore di una provocazione, oggi, anche perché è profondamente cambiata la realtà della scuola e dello stesso corpo insegnante, è diventata senso comune, un elemento della definizione 'normale' della realtà.

Questo discorso vale anche sul piano degli orientamenti politici. La tendenza di sinistra presente oggi fra gli studenti esprime, a sua volta, piú una sorta di senso comune o, per usare la parola di P. L. Berger, uno «stato d'animo di sinistra», che non la identificazione con un determinato schieramento politico.

D'altro canto il fatto che il processo di generalizzazione avvenga soprattutto per linee orizzontali, fa sí che da questo stesso processo, dall'interazione fra una leva giovanile e l'altra, possano emergere anche contenuti decisamente nuovi: il modo in cui gli studenti vedono il potere, la concezione della politica e delle relazioni interpersonali, o il modo stesso di intendere l'esperienza lavorativa ne sono forse gli esempi piú significativi.

Il nucleo centrale del cambiamento risiede nella ripresa di attenzione per l'individuo e per le sue problematiche al di fuori però di ogni riferimento a quel complesso di valori e di atteggiamenti che era costitutivo dell'individualismo classico: il privatismo, l'etica della prestazione, il mito del successo. Proprio perché il concetto di individualismo è inestricabilmente legato a questo complesso di valori, la natura del cambiamento — in attesa di categorie piú adeguate — può essere espressa, in positivo, soltanto in termini contraddittori, coniugando termini come individuale, privato, quotidiano con i loro contrari. Nelle nuove forme della soggettività l' 'individuale', sconvolgendo il senso di antiche antinomie, assume sempre piú contenuti relazionali e collettivi, il privato, perdendo la sua separatezza, si carica di pubblico, la quotidianità, infine, acquista una rilevanza ed una dignità ieri del tutto sconosciute, e tende a farsi storia.

È difficile non vedere come mutamenti di questa portata, che investono il modo stesso di definire il rapporto fra sé e gli altri, non giochino soltanto su un piano, per cosí dire, culturale, o puramente cognitivo, ma coinvolgano più in generale i modi di formazione dell'identità.

Il venir meno della famiglia come centro unificante dell'esperienza, e l'affermarsi di una struttura policentrica o, per usare un'efficace espressione di Berger, di una «pluralizzazione di mondi di vita», si proietta anche sul piano delle forme di coscienza e della identità:

Sosteniamo che una delle caratteristiche specifiche in questione è la pluralità di mondi di vita in cui l'individuo tipicamente vive in una società moderna [...] Settori differenti della loro [degli individui, N.d.A.] vita quotidiana li mettono in relazione con mondi di significato e di esperienza largamente diversi e sovente profondamente discrepanti. La vita moderna è tipicamente segmentata a un grado molto elevato, ed è importante comprendere che questa segmentazione (o, come preferiamo chiamarla, pluralizzazione) non si esprime soltanto al livello della condotta sociale osservabile, ma ha anche importanti manifestazioni al livello della coscienza.

L'«identità moderna» tende, proprio in ragione di questa «pluralizzazione di mondi di vita», a definirsi sempre piú come «aperta, differenziata, riflessiva, individuata». La riflessività, in particolare, sembra costituirne un tratto essenziale:

La società moderna pone l'individuo di fronte ad un caleidoscopio sempre cangiante di esperienze sociali e di significati. Lo costringe a prendere decisioni e a fare piani. Per la stessa ragione lo costringe alla riflessione. La coscienza moderna è perciò tipicamente consapevole, tesa, «razionalizzante». Ne consegue che questa riflessività si riferisce non solo al mondo esterno ma anche alla soggettività dell'individuo e in particolare alla sua identità. Non solo il mondo ma anche il sé diventa un oggetto di deliberata attenzione e, qualche volta, di osservazione angosciata.

Fenomeni come la ripresa di attenzione per l'individuo, la relativa assenza — fra gli studenti — di scelte ideologiche precise, o la stessa natura endemica che la crisi di identità tende ad assumere fra i giovani, diventano piú comprensibili se riferiti al carattere policentrico dei processi di formazione dell'identità: la condizione dell'individuo moderno è sempre di piú la mancanza di basi, la perdita di riferimenti unitari o, per usare ancora un'espressione di Berger, la sua «homelessness».

L'associazione fra crisi di identità e crescita di riflessività capovolge, in un certo senso, l'immagine marcusiana dell'uomo ad una dimensione. Gli esiti soggettivi di determinati processi storici, dal rafforzamento dei canali collettivi di socializzazione allo sviluppo di una cultura di massa, sembrano assai difficilmente riducibili al comune denominatore di un'eterodirezione crescente, alla visione 'apocalittica' di una società sempre piú integrata e uniforme: è la frantumazione, la multidimensionalità che definisce la identità moderna assai piú che l'appiattimento su un' unica dimensione. Omogeneità crescente della cultura non vuol dire soltanto livellamento, degradazione — il processo di 'omologazione' di cui parlava Pasolini —, ma può significare anche, tutto al contrario, capacità di muoversi in universi di discorso diversi, di padroneggiare una pluralità di linguaggio e di codici, di reggere livelli crescenti di complessità. Le categorie, i simboli, le identificazioni attraverso cui gli studenti si definiscono oggi riflettono proprio questa molteplicità, quest'assenza di un centro unico di gravità che organizzi e dia senso all'insieme delle esperienze dell'individuo. Nel '68 questo centro, per molti versi, esisteva ancora. La famiglia, con il suo universo di valori e di modelli di comportamento, costituiva ancora un termine di riferimento fondamentale, da assumere o rispetto al quale entrare in conflitto. Ma questo stesso entrare in conflitto, proprio perché i valori da cui si dovevano prendere le distanze erano ancora integri e profondamente interiorizzati, richiedeva a sua volta un centro di gravità e un universo di significati alternativi: la politica e l'ideologia, per la generazione del '68, hanno rappresentato anche questo.

Oggi la critica dell'autorità, dell'universo di valori dei padri, non può piú assumere quei significati simbolici ed ideologici che aveva in passato proprio perché non c'è nessuna continuità da interrompere o identificazione da negare e, spesso, non c'è neppure un'eredità culturale con cui fare i conti. La definizione di sé diventa dunque, innanzitutto, affermazione dell'irriducibilità dei propri bisogni e interessi: non piú negazione all'interno di una continuità, ma affermazione di una diversità.

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