Copertina
Autore Jørn Riel
Titolo Uno strano duello
EdizioneIperborea, Milano, 2005 , pag. 192, cop.fle., dim. 100x200x15 mm , Isbn 978-88-7091-140-4
OriginaleEn underlig duel og andre skrøner [1976]
PrefazioneMaria Valeria D'Avino
TraduttoreMaria Valeria D'Avino
LettoreGiorgia Pezzali, 2005
Classe narrativa danese
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Indice


Una prova di virilità            9
La sala dei concerti            35
Uno strano duello               57
La passione segreta di Fjordur  77
L'eredità del Conte            101
Legittima difesa               129
Labano                         159

Postfazione                    179

 

 

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Pagina 9

UNA PROVA DI VIRILITÀ



Lasselille, il piccolo Lasse, era il più giovane cacciatore della Groenlandia nordorientale. La sua domanda di impiego presso la Compagnia si doveva in realtà a una serie di circostanze sfortunate.

Sua madre era svedese, o meglio della Scania, e suo padre danese. Il che avrebbe potuto rappresentare una miscela perfettamente accettabile, se solo il ragazzo avesse avuto il tempo e la calma di maturare tra un paese e l'altro. Le isole nelle stretto, Hven o Saltholm, a metà tra i due, avrebbero fatto al caso suo. Ma dato che suo padre era un cosiddetto cantoniere "volante", addetto al tratto di strada tra Hillerod e Nødebo, e come tale non poteva ovviamente abitare in mezzo allo stretto, Lasselille fu obbligato a stabilirsi in territorio danese. Divenne un danosvedese o uno svedodanese, a piacere o nel suo caso non era sempre piacevole.

Con l'aiuto di una forte personalità il ragazzo avrebbe forse potuto superare gli ostacoli linguistici e culturali. Un cervello pronto e vivace avrebbe giocato la carta svedese facendone un elemento misterioso ed esotico, superiore e fuori dalla portata dei danesi normali. Ma Lasselille non aveva una forte personalità, né molto sale in zucca. Era insicuro, un po' lento di comprendonio e con un fisico piuttosto infelice. Non aveva abbastanza orgoglio per tenere a distanza la teppaglia, né tanta forza nei bicipiti da gratificare di nasi sanguinanti i ragazzacci che lo chiamavano buzzurro di Scania, Carlo il Tonto o diavolo d'uno svedese.

Per farla breve, Lasselille aveva avuto un'infanzia miserabile.

E poiché desiderava moltissimo lasciarsi tutto alle spalle, fece domanda per essere assunto come cacciatore in Groenlandia orientale. Infilò due maglioni islandesi per enfatizzare il torace e si presentò al direttore della Compagnia. Sforzandosi di usare al meglio il suo dialetto della Scania, s'inventò una giovinezza nella parte più a nord del Paese, tra lapponi e renne. Il direttore, che vide in lui un ragazzo sveglio, e che aveva pure qualche difficoltà a comprenderlo, lo guardò in fondo agli occhi azzurri e ravvicinati e lo ingaggiò seduta stante.

Lasselille fu inviato a Bjørkenborg come apprendista. E qui iniziò una vita che avrebbe ben presto amato. Qui non era né svedese né danese, né buzzurro, tonto o diavolo. Fu considerato dal primo momento una persona normale, a cui dare il benvenuto con una naturalezza che lo stupì oltre ogni dire. Si affezionò molto a Sylte e a Bjørk, le prime persone che gli avevano dimostrato una naturale benevolenza, e nel corso dei suoi anni d'apprendistato crebbe sia nello spirito sia nel corpo, come diceva Bjørk, dal semplice al doppio.

Per tre anni rimase apprendista. Tre anni bellissimi, in cui imparò quasi tutti i segreti del mestiere. Solo una cosa gli impediva ancora di essere promosso al rango di cacciatore. Lasselille non aveva mai preso orsi. Perciò nessuno desiderava abbattere uno di quei bianchi vagabondi più dell'allievo di Bjørkenborg. Appena le condizioni del tempo lo permettevano si metteva in viaggio sul mare, nei fiordi, addentrandosi nelle valli più remote e visitando tutti i luoghi che i cacciatori esperti sostenevano fossero normalmente frequentati dagli orsi. Ma un orso vivo non lo vide mai, e di rado un'impronta.

Lasselille aveva passato tre anni a Bjørkenborg. E Bjørk, che era il capo di quella stazione di caccia, pensò che ormai Lasselille fosse ben istruito. C'era giusto solo questo fatto degli orsi. Sia Sylte che Bjørk catturavano orsi, ma Lasselille era sprovvisto di ogni attrattiva agli occhi dei plantigradi.

Nel corso del quarto inverno Lasselille giurò su tutti i santi che, se non avesse avuto il suo orso prima dell'arrivo della nave, avrebbe rinunciato all'incarico e se ne sarebbe tornato a Hillerød. Era un impegno serio, che mostrò ai suoi compagni a che punto fosse arrivata la sua disperazione. Perciò, quando il primo raggio di sole accarezzò il ghiaccio, Lasselille diede inizio alle sue battute di caccia all'orso.

Già nel suo primo anno alla stazione di caccia, Bjørk aveva regalato a Lasselille cinque cuccioli. E lui, che mai prima d'allora aveva posseduto un cane, aveva dimostrato una mano felicissima per l'allevamento. Trattava i suoi animali come compagni alla pari, parlava con loro come se fosse la cosa più naturale del mondo, ed essi impararono presto ad ascoltare e a capire. I cani divennero la metà del suo mondo, e Lasselille divenne per loro quasi un dio. Lo amavano senza riserve, lo rispettavano e gli obbedivano, e il loro umore si modellava sul suo.

Andava così anche durante la caccia all'orso. Partendo da Bjørkenborg i cani tiravano la slitta leggera pieni d'entusiasmo e di aspettative. Abbaiavano di gioia e voltavano la testa verso Lasselille, che trottava dietro il montante, e gli sorridevano. Lasselille, che vedeva il loro largo sorriso, sentiva il calore e la gioia invadergli il cuore. Lui che in tutta la vita a Hillerød non aveva mai avuto un amico era quasi sopraffatto dalla loro devozione.

Ma quando ebbero vagato per giorni e giorni senza profitto, e Lasselille cominciò ad avere il muso lungo, il buonumore svanì. I cani si avvilirono per conto di Lasselille, rallentarono notevolmente il passo e proseguirono con la testa rasente il ghiaccio e la coda folta nascosta sotto il ventre.

Passarono marzo e aprile, e Lasselille non era ancora riuscito a trovare un orso. Dimagrì e si chiuse in se stesso. Gli occhi gli si cerchiarono di nero, e sembrava sempre sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all'altro. Anche i cani offrivano uno spettacolo desolante. Il pelo era diventato opaco e le zampe dolenti, e smisero completamente di azzuffarsi tra loro, cosa che in altri tempi era stata il loro divertimento preferito.

Anche il giorno di Pasqua e quello dell'Ascensione Lasselille e i suoi amici a quattro zampe continuarono a vagare sul ghiaccio. La situazione era così allarmante che l'ultimo giorno di maggio Bjørk e Sylte si misero intorno al tavolo per discutere cosa si potesse fare per l'apprendista.

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Pagina 57

UNO STRANO DUELLO



Proprio nel bel mezzo dell'inverno più buio, Lause e il Luogotenente Hansen ebbero un grave litigio. Molti si stupirono che fosse capitato proprio a loro. Erano entrambi persone colte e civili, dotate di vaste conoscenze, ottima formazione e ampi orizzonti, e avrebbero dovuto esser capaci di mantenere qualunque discussione su un piano obiettivo.

Ma le cose si misero in modo che i due, in occasione di una serata conviviale a Grover Bay, ebbero uno scontro sul modo di servire a tavola, se da destra o da sinistra, nelle case raffinate.

E poiché nessuno dei presenti era in grado di avallare gli argomenti dell'uno o dell'altro, andò a finire che Lause chiamò il Luogotenente Hansen stupido assassino prezzolato, e il Luogotenente Hansen diede a Lause del bifolco d'un mercante di cani. Mads Madsen cercò di svegliare il Conte perché provasse a comporre la lite, ma il distillato di mirtilli di Valfred aveva avuto sulla sua aristocratica fronte l'effetto di un colpo di mazzuolo. Prima che il conflitto degenerasse in zuffa, Lause e il Luogotenente erano rientrati ognuno a casa propria, ugualmente inalberati e ugualmente offesi.

Quella discussione di per sé ridicola fu all'origine di molti ulteriori e più profondi malintesi. L'odio tra i due interessati si rinfocolava spesso e ardeva in maniera quasi visibile, con gran divertimento degli altri cacciatori della costa. Il Luogotenente sbuffava quando si parlava di Lause, e Lause, che era un tipo più intellettuale, ignorava nel modo più assoluto il suo rivale. E questa era la cosa peggiore. Perché era orribile per un ex militare vedersi ignorato. Nelle occasioni sociali i due non si salutavano più, e raccontavano ai quattro venti di non avere la minima intenzione di fermare la slitta nel caso si fossero incontrati sul ghiaccio.

Considerando che Lause e il Luogotenente abitavano a una distanza di tre giorni di viaggio con il bel tempo, e più del doppio con tempo cattivo e neve alta, si sarebbe portati a credere che il rischio di collisione fosse minimo. Di certo non si incontrarono mai sul ghiaccio, ma da allora il Luogotenente Hansen moltiplicò rispetto al passato le sue visite a Blasehytten, la Capanna del Vento.

Fu così che fece due campagne una dopo l'altra prima di Natale. Una per urlare parolacce a Lause da un'opportuna distanza, e un'altra per denigrare il suo gabinetto, mettendosi ovviamente in cattiva luce agli occhi di Siverts, che divideva con Lause la proprietà del suddetto fabbricato. Durante quest'ultima visita il Luogotenente ebbe la faccia tosta di spingersi fino all'interno della casa, pur dovendo ammettere in seguito che si trattò di un errore tattico. Lause infatti riconobbe di colpo l'esistenza del Luogotenente Hansen e lo picchiò con un badile, in modo tanto energico che il guerriero ridotto da far pietà dovette essere riportato a Fimbul da Siverts.

Per quindici giorni il tenente Hansen rimase a leccarsi le ferite. La battaglia era stata umiliante, ed era suo dovere d'ufficiale pretendere soddisfazione. Lause doveva essere sfidato a duello, e poi che succedesse quel che doveva succedere

Il Luogotenente ripensò con profondo rimpianto alla sua mancanza d'interesse per le ore di scherma alla scuola di guerra, e si sentì piuttosto sollevato quando Valfred dichiarò che in ogni caso non esistevano armi bianche sulla costa, al di fuori dei coltelli da cacciatori da cinque pollici che si utilizzavano per scuoiare gli animali.

"Ma forse potreste usare quelli", ridacchiò Valfred. "E anche fabbricarvi degli scudi con i coperchi dei barili del burro. Che ne dici? Sembrereste due gladiatori sputati, parola mia."

Il Luogotenente meditò la proposta. Non c'era dubbio che i lunghi coltelli da caccia a doppio taglio avessero delle affinità con il magnifico gladio romano. Un'arma di quel tipo sarebbe stata quasi un classico e avrebbe fatto onore a chi la portava. D'altra parte l'idea di farsi infilare cinque pollici d'acciaio tra le costole era francamente poco simpatica. Il Luogotenente si riservò il coltello come soluzione alternativa e cominciò a esaminare altri tipi di armi possibili, dalla cerbottana al cannone a salve. Ma nessuna sembrava adattarsi al duello imminente. Si rivolse perciò di nuovo a Valfred, che era il più a portata di mano e che aveva accettato di fargli da padrino.

Valfred meditò a lungo, grattandosi la nuca tra i sottili capelli grigi e facendo ticchettare pensieroso la dentiera.

"Eh già, piccolo Hansen, è una parola. Non è mica una passeggiata, questa", rispose alla fine. "Certo, potremmo rimettere in sesto un paio di vecchi revolver. Io ne ho uno, e per quanto mi ricordo Bjørk ne usa un altro per difesa personale. È già qualcosa. E poi c'è sempre l'89. È un'arma affidabile e robusta, e la puoi usare per sparare o per picchiare, come ti pare." Valfred si sedette sul bordo della cuccetta del Luogotenente e intrecciò le mani sulla pancia.

"Sono faccende pericolose", mormorò il Luogotenente. "Pensa se Lause mi colpisce." "Già, in quel caso creperesti", annuì Valfred. "E sarebbe una bella grana, accidenti. Il peggio è che dovrei mettermi a cercare un compagno nuovo, proprio adesso che cominciavo ad abituarmi a te."

Hansen gli diede ragione. Sarebbe stato estremamente spiacevole se fosse crepato. Dall'altra parte si rendeva conto che un duello ha quasi sempre un esito mortale.

"Uno di noi due dovrà per forza levare il disturbo", disse con voce ferma. "Naturalmente sarebbe un peccato per Lause, che potrebbe ancora avere tanti begli anni davanti a sé. In effetti non gli serve altro che una bella lezione, ma è pur vero che non si sa mai dove può andare a finire una pallottola..."

Valfred allungò le gambe e fissò le sue ciabatte di paglia. "Questa faccenda dei duelli non è così semplice, Hansen. Non abbiamo nessun vero precedente, quassù." Il cucuzzolo lustro gli brillava come vecchia pergamena alla luce della lampada a petrolio. Valfred guardò perplesso il Luogotenente, che stava disteso con la testa tutta incerottata. "Mi domando addirittura se si può fare. Gli unici duelli di cui ho sentito parlare qui sono quelli che combattono i buoi muschiati. Ma capita solo nel periodo dell'accoppiamento, e per questioni di donne: e non è di questo che si tratta, tra te e Lause."

"Si tratta di un'offesa all'onore". Precisò Hansen.

"Be', allora non so se c'entra. Ma a parte tutto quei duelli hanno stile. Ne ho osservato qualcuno di nascosto, nella Valle del Morto. Se le danno di santa ragione."

Il Luogotenente si tirò su a metà nella branda. "Come si svolgono, Valfred?" "Già, vedi, bisticciano su una giovenca, e poi prendono un po' di rincorsa. Un centinaio di metri o giù di lì. Poi sistemano ben bene i piedi nei blocchi di partenza, fanno un tremendo muggito e partono."

"E poi?" Hansen cercò di evocai a scena.

"Sì, poi a un certo punto si incontrano e sbattono la testa una contro l'altra. Diavoli d'una miseria, che botti! Quella sì che è forza, Hansen. Par di sentire odore di ossa bruciate per tutta la valle."

"E dopo che hanno fatto a testate cosa succede?" chiese Hansen. "Voglio dire, questo non può certo risolvere la lite?"

Ah no? E invece sì, uno scontro del genere è quasi sempre decisivo. Ma se per caso tutti e due hanno ancora voglia della vacca, ricominciano da capo un altro paio di volte. Vanno avanti finché uno dei due ha le zampe a ics e se ne va barcollando con il sangue che gli esce dal muso. È un duello da gentlemen, Hansen, dovreste provare. Dovete solo sbattere una contro l'altra le teste di rapa che vi ritrovate, finché uno di voi due si sfianca.

Il giorno dopo il Luogotenente studiò l'idea.

Com'è logico, aveva delle forti contrazioni nervose alla fronte quando pensava alla violenza di quegli scontri, ma d'altra parte preferiva un paio di grossi bernoccoli a un coltello da caccia nel petto o a una palla di nove millimetri in mezzo agli occhi. Dopo matura considerazione spedì perciò Valfred a Blaesehytten perché proponesse a suo nome il suddetto duello, la più antica e unica forma di duello conosciuta in Groenlandia nordorientale, «Duel à la Omnivabis», come il Conte l'avrebbe chiamato in seguito.

In un primo momento Lause si offese e voleva prendere Valfred a sberle sul muso.

"Duellare come due tori in fregola, eh?" ruggì. "E sei venuto fino a qui per propormi questa bella trovata, razza di testa quadra?"

Siverts intervenne a ristabilire la calma: "Su, su, Lause. Valfred è solo una specie di messaggero. Fa del suo meglio per riportare un clima sereno sulla costa."

"Si merita comunque due sberle", ringhiò Lause. "A questi idioti gli fa sempre bene, una bella tarrellata sul muso."

"I suoi denti sono costati una fortuna", avvertì Siverts.

Lause trascinò la sedia accanto alla stufa e si mise a pensare. Gli altri due mangiavano frittelle bevendo birra fatta in casa. Guardando Lause con la coda dell'occhio, Valfred scoprì all'improvviso che stava ridendo.

"Che cosa ti fa ridere?" gli chiese.

"Hansen." Lause si appoggiò un dito sulla fronte e imitò il ronzio di un calabrone. "Mi sa che ho esagerato con la vanga, l'ultima volta che è stato qui. Ah ah, ci vedete, noi due, a correre a rotta di collo uno contro l'altro come due tori infuriati? Dev'essere tutto scemo, quello. Impossibile prenderlo sul serio." Si alzò e si accomodò a tavola, dove fece onore alle frittelle di Siverts. "Per quanto mi riguarda, Hansen è libero di andare a fare a cornate con tutti i tori che vuole, ma può scordarsi che io lo segua in queste pagliacciate." Scavò in profondità nel piatto delle frittelle. "Non che abbia nulla in contrario ai duelli in quanto tali, ma combattere come due manzi è un'idea che può venire in testa solo a un individuo che pensa da bestia come Hansen."

Valfred, che era il vero artefice dell'idea, aveva la bocca piena di frittelle ed era perciò tagliato fuori da qualsiasi possibilità di replica. Laus proseguì:

"No: se duello dev'essere, sarà alla maniera classica degli eschimesi. Una cosiddeta tenzone canora. Qui vale la superiorità dello spirito sulla forza bruta."

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