Copertina
Autore Enrica Rigo
Titolo Europa di confine
SottotitoloTrasformazioni della cittadinanza nell'Unione allargata
EdizioneMeltemi, Roma, 2007, meltemi.edu 75 , pag. 240, cop.fle., dim. 12x19x2,2 cm , Isbn 978-88-8353-527-7
LettoreFlo Bertelli, 2007
Classe politica , diritto , storia contemporanea , storia: Europa
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Indice


  7 Prefazione
    Il diritto al territorio
    Étienne Balibar


 25 Introduzione

 33 Capitolo primo - Cittadini migranti

 33 1. Il "posto" delle migrazioni
       nel dibattito sulla cittadinanza
 40 2. Asimmetrie liberali
 46 3. Cittadini e ospiti
 51 4. Cittadini globali
 59 5. La proprietà dei cittadini
 64 6. Il lavoro degli immigrati
 70 7. Cittadini illegali

 77 Capitolo secondo - Cittadini d'Europa

 77 1. Europa di confine
 82 2. Ethnos e territorio della nazione europea
 89 3. Riposizionare il confine orientale
 95 4. L'identità dello spazio europeo
104 5. Il governo della circolazione nello spazio
       di "libertà, sicurezza e giustizia"
111 6. Gli spazi della cittadinanza

117 Capitolo terzo - Cittadini del confine

117 1. Cittadinanze postcoloniali
123 2. I confini dell'ordine europeo
130 3. L'estensione dei confini europei
       (e la loro funzione di appropriazione)
139 4. I confini interni dell'Europa
       (e la loro funzione di differenziazione)
150 5. I confini diacronici dell'Europa

159 Capitolo quarto - Confini d'Europa

159 1. Confini virtuali di spazi concreti
168 2. Confini e frontiere nelle scienze sociali e nel diritto
175 3. Diritto al territorio e diritti sul territorio
181 4. Confini d'Europa
187 5. Confini d'ordine
191 6. Confini di produzione
198 7. Disporre dello spazio
204 8. Confinare la mobilità
210 9. Il tempo dei confini e il tempo della cittadinanza

223 Bibliografia


 

 

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Pagina 25

Introduzione


To outline the experience of the migrant worker and to relate this to what surrounds him — both physically and historically — is to grasp more surely the political reality of the world at this moment. The subject is European, its meaning is global. Its theme is unfreedom. This unfreedom can only be fully recognized if an objective economic system is related to the subjective experience of those trapped within it. Indeed, finally, the unfreedom is that relationship.

John Berger, A seventh man. The story of a migrant worker in Europe, 1973


Gli spalti dello Stadion Dziesieciolecia, collocato in una zona semi centrale di Varsavia sulla riva destra della Vistola, circondano un campo di alte erbacce che non è mai stato utilizzato per alcuna attività sportiva. Dal 1989 quegli stessi spalti si sono però trasformati nel più grande mercato all'aperto della capitale polacca e nel maggior centro di scambi commerciali per i cittadini provenienti, in particolare, dall'Ucraina e dalle altre Repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Oltre a quella polacca e ucraina, che rappresentano la componente più numerosa, vi svolgono attività commerciali persone di nazionalità rumena e vietnamita, migranti provenienti dall'Africa e da altre regioni dell'Asia e del Caucaso. Durante gli anni Novanta, la principale attività economica degli ucraini presenti in Polonia è stata il commercio di beni tra i due paesi, facilitato da una sostanziale apertura delle frontiere dell'Europa centrale e orientale, primo effetto del cosiddetto "collasso" dei regimi comunisti. A partire dal 1997 le restrizioni legislative e amministrative imposte dalla Polonia alla libertà di circolazione transnazionale hanno fatto decrescere l'ammontare degli scambi, andando a incidere soprattutto sulla mobilità di coloro che attraversavano il confine per brevi viaggi commerciali della durata di uno o due giorni (Grzymala-Kazlowska, Okolski 2003). Ciò nonostante, la presenza ucraina nel mercato di Stadion Dziesieciolecia è ancora molto numerosa ma, a differenza che negli anni Novanta, molti dei lavoratori migranti si trovano ora in posizione di "irregolarità" rispetto alle norme sull'ingresso e il soggiorno.

Ad alcune migliaia di chilometri di distanza, nell'area antistante la stazione centrale di Napoli (piazza Garibaldi) e nelle strade limitrofe, vi sono mercati che, già dagli anni Novanta, sono frequentati da acquirenti e da venditori la cui composizione nazionale è analoga, pur se diversa nelle proporzioni, a quella presente nello stadio di Varsavia. Le lavoratrici ucraine e polacche vi si incontrano il giovedì e la domenica (giornate di riposo dall'attività di lavoro domestico) e vi effettuano acquisti, specialmente di capi di abbigliamento, che solitamente vengono spediti nei paesi di origine (Dines 2001; 2002). Anche le merci vendute dai commercianti provenienti dall'Africa sub-sahariana, come occhiali, scarpe e abbigliamento sportivo, sono simili a quelle che i migranti che provengono dalle stesse aree geografiche vendono nel mercato di Stadion Dziesieciolecia. Mancano a Napoli chioschi alimentari gestiti da vietnamiti, mentre aumenta il numero di ristoranti e altri negozi della zona gestiti da cinesi. D'altro canto, vi è un elemento ulteriore che accomuna Napoli a Varsavia. Alla domanda sul perché a Napoli la presenza delle lavoratrici provenienti dalle ex Repubbliche sovietiche, diversamente da quella polacca, abbia subito un notevole incremento negli ultimi anni rispetto agli anni Novanta, una sindacalista di origine polacca mi ha risposto in questo modo:

Prima venivano in Polonia perché le frontiere erano aperte. Non venivano per fare le lavoratrici domestiche, ma il piccolo commercio. Poi qualcuna ha iniziato a fare il visto per l'Italia e la voce si è diffusa: funziona così.

Pur se con i dovuti distinguo, analogie simili a quelle evidenziate tra lo Stadion Dziesieciolecia e l'arca antistante la stazione di Napoli si possono rintracciare in altre metropoli europee. Allo Stadion Dziesieciolecia, così come nei mercati di Napoli, ci si trova di fronte ad altrettante riproduzioni di quei "confini globali" che Étienne Balibar ha descritto come istituzioni che tendono a rimpiazzare modelli più convenzionali di confine con "varie forme di flessibile equilibrio tra forze 'esterne' e 'interne' confliggenti, e sono sostenute da più rafforzati e estesi 'confini globali' che appaiono come proiezioni territoriali dell'ordine (o disordine) politico mondiale" (Balibar 2004, p. 5; corsivo nell'originale). Si badi, però, che l'idea di confine non è utilizzata qui solo nel suo significato metaforico, come sempre più spesso accade in scritti e articoli che, da discipline diverse, si richiamano al filone dei border studies. Il visitatore attento non solo alla merce in esposizione noterà che una delle scene più frequenti alle quali si può assistere nello stadio di Varsavia è quella dei venditori migranti che, dopo aver riposto la merce in fretta e furia, si allontanano dal proprio stand all'avvicinarsi della polizia di frontiera. E proprio questa infatti, lontana alcune centinaia di chilometri dai confini convenzionali della Polonia, una delle aree pattugliate più assiduamente dalla polizia di frontiera che ha il suo quartier generale nel centro di Varsavia. Lo Stadion Dziesieciolecia, più che rappresentare una metafora del confine, è quindi una tangibile proiezione dei suoi molteplici significati, a partire da quello letterale di uno spazio con-diviso, fino a quello che vede il riprodursi in esso di misure di pattugliamento e controllo tipiche delle linee di partizione geopolitica fra gli Stati.


L'ipotesi di ricerca di questo libro parte da una domanda semplice, che interroga il nesso costitutivo che da sempre la nozione di cittadinanza intrattiene con quella di confine. Eppure, già l'immagine dello stadio di Varsavia, così come gli elementi che lo accomunano ai mercati di Napoli, restituisce il tema alla sua complessità. Non ci parla infatti di confini che demarcano sfere di appartenenza esclusive, limitate e omogenee, bensì di istituzioni che riproducono e diffondono il proprio ordine gerarchico su tutto lo spazio europeo. In altre parole, istituzioni la cui meccanica revoca in dubbio la nozione stessa di cittadinanza quale status omogeneo che trova applicazione all'interno di precisi confini territoriali e giuridico-politici. Dopo quasi due decenni in cui la cittadinanza si è imposta come uno dei temi centrali del dibattito filosofico, politico e giuridico, non sembra dunque possibile eludere ancora la domanda sul significato che assume continuare a investigare questa categoria, invece di escogitarne una più adatta a rappresentare le sollecitazioni alle quali sono sottoposte le società contemporanee. La sterminata letteratura critica sulla cittadinanza – di cui il primo capitolo offre una parziale rassegna – ne ha messo in luce limiti e tensioni, determinati sia dalle trasformazioni dell'orizzonte politico e istituzionale in cui la moderna nozione di cittadinanza si è sviluppata, sia dalle richieste di nuovi soggetti individuali o collettivi che hanno fatto della cittadinanza il terreno di rivendicazione delle loro domande di riconoscimento. Anche l'argomento trattato in questo libro, stringendo il fuoco sulle trasformazioni della cittadinanza in relazione al governo delle migrazioni transnazionali, se da un lato si inserisce nel quadro teorico tratteggiato, dall'altro, allude ai suoi limiti. Eppure, proprio il fatto che la grammatica della cittadinanza continui a essere utilizzata anche da coloro che ne sono parzialmente o totalmente esclusi lascia intravedere l'opportunità di approfondire la ricerca in questo campo, a condizione, però, che si assuma questa categoria come un campo aperto alla contestazione e una nozione che richiede di essere contestualizzata.

Il contesto nel quale si è scelto di parlare di migrazioni e cittadinanza è quello delle trasformazioni dei confini europei, in particolare, nell'ambito dell'allargamento a Est dell'Unione. Il dibattito sulle riforme costituzionali nei paesi dell'Europa centro-orientale ha teso, da un lato, ad attribuire gli aspetti escludenti della cittadinanza a processi di costruzione nazionale di livello intra-statuale, dall'altro, a interpretare il rafforzamento di un'appartenenza sovranazionale come connesso a processi di destatualizzazione. Questa rappresentazione dicotomica ha generalmente soprasseduto sul governo della mobilità transnazionale come cifra caratteristica della cittadinanza europea. Una caratteristica che, nel secondo capitolo, è esemplificata proprio a partire dalle trasformazioni che i confini orientali dell'Europa hanno subito nel corso degli ultimi due decenni. La Polonia (paese che ha recentemente fatto ingresso nell'Unione europea), la Romania e la Bulgaria (paesi candidati di cui è previsto l'ingresso nel 2007) sono i paesi scelti, nel terzo capitolo, come casi di studio per analizzare il processo di recepimento dell' acquis Schengen nelle legislazioni su immigrazione e asilo, e per mettere in luce come la meccanica dei confini europei si rifletta all'interno degli ordinamenti nazionali.

La ricerca che viene presentata in questo libro si presta, tuttavia, a livelli di lettura ulteriori rispetto a quello informativo. L'ipotesi analitica seguita nell'investigare le trasformazioni dello spazio giuridico e politico dell'Europa – ed esplicitata nell'ultimo capitolo – inverte il ruolo che, in riferimento alla cittadinanza statuale, hanno avuto, rispettivamente, l'istituzione dei confini e l'istituzione del territorio. La tendenza a una crescente "disaggregazione" del principio territoriale nelle trasfigurazioni contemporanee della sovranità ha portato la letteratura sull'Europa a disinteressarsi di uno dei temi classici della scienza giuridica. Ovvero, di come la legge e i suoi ambiti di governo si dispongono nello spazio. Riportare questo tema al centro del discorso risulta, invece, fondamentale per comprendere il processo di "costituzionalizzazione materiale" della cittadinanza europea. Un processo che va ben oltre la sua formalizzazione istituzionale, e le cui sfaccettature possono essere ricomposte all'analisi solo se viene accettata la sfida di non sottorappresentare l'esperienza soggettiva di coloro che attraversano i diversi spazi di cui l'Europa si compone. Non si tratta di una sfida semplice, soprattutto per discipline, come la filosofia e la scienza giuridica, dove la forma e le categorie assunte dal contesto istituzionale rischiano spesso di segnare i limiti entro i quali viene costretta la ricerca. Č probabilmente questa la ragione per cui il dibattito sulla cittadinanza si è mosso, prevalentemente, all'interno di un discorso normativo costruito sulla dicotomia tra cittadini e stranieri. Un orizzonte che, rappresentando le migrazioni come un fenomeno che preme dall'esterno sui confini della cittadinanza, impedisce di vedere come le donne e gli uomini che ne sono protagonisti non si pongano affatto al di fuori di tali confini, ma ne siano, piuttosto, la contestazione immanente. Parlare di migrazioni e cittadinanza descrivendo le trasformazioni dello spazio giuridico europeo, e ricollocando i migranti tra gli attori di queste trasformazioni, risponde, in questa prospettiva, a una scelta metodologica precisa. Quello che si propone non è un modello alternativo di cittadinanza, ma un criterio che consenta di rappresentare la particolare relazione che intercorre tra la mobilità agita dai migranti, le trasformazioni dei confini europei e quelle della cittadinanza: in altre parole, di rappresentare la stessa cittadinanza europea nella sua complessità.

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Pagina 77

Capitolo secondo

Cittadini d'Europa


1. Europa di confine

Parlare dí cittadinanza e di diritti dei migranti decontestualizzando dalle trasformazioni dello spazio che le migrazioni attraversano risulta fuorviante. Rischia di far apparire le migrazioni come un oggetto di ricerca astorico ed essenzializzato: quasi che se ne potesse parlare a prescindere dalla specifica forma di organizzazione giuridico-territoriale rispetto alla quale viene costruita la distinzione tra cittadini e stranieri. Assumere la cittadinanza nella sua dimensione contestuale significa certamente riconoscere come essa si sia presentata sotto forme diverse a seconda dei mutati contesti storici, sociali, politici e istituzionali; ma significa anche riconoscere come questi non siano le narrative di evoluzioni deterministiche, bensì il risultato di processi concreti e conflittuali. Il contesto a cui si farà riferimento nell'indagine analitica sulle trasformazioni della cittadinanza è quello dell'Europa e delle trasformazioni del suo spazio giuridico e politico.

L'Europa non è certo soltanto, e neppure principalmente, un'espressione geografica. Ciò nonostante, i processi di trasformazione che la investono non fanno venire meno la necessità di considerare come i dispositivi della sovranità, pur se trasfigurati, continuino a distendersi nella dimensione dello spazio. Una dimensione che per essere compresa non può prescindere dai confini che la delimitano, siano essi confini geografici, simbolici o politico-giuridici. Sono i confini in quanto "soluzioni di continuità" nell'estensione dello spazio (Cella 2006) a renderne conoscibili le partizioni e, allo stesso tempo, è la possibilità di superarli a far sì che la continuità dello spazio venga percepita come una condizione possibile. Anche lo spazio giuridico segue regole che vengono dettate dai suoi propri confini: ovvero, da quelle norme e disposizioni che governano la condotta umana attraverso lo spazio. L'ambito topografico e cronologico rispetto al quale le norme producono i loro effetti è determinato dalle norme stesse, secondo quel rovesciamento di prospettiva per cui, nella modernità, sono la politica e il diritto a dare forma allo spazio geografico, rendendolo politico (Galli 2001). Questo, tuttavia, non deve far perdere di vista che, come ha evidenziato Georg Simmel, le forme specifiche di organizzazione della politica "ottengono soltanto in virtù di altri contenuti la particolarità dei loro destini" (1908, p. 523; corsivo mio). I confini dell'Europa attengono a questo secondo genere di contenuti. Non potendo essere circoscritti a quella linea di demarcazione territoriale che, come già sottolineava Friedrich Ratzel (1897), ne costituisce solo l'astrazione figurativa, essi rappresentano piuttosto la zona di tensione dove, venendo esercitata in relazione a un limite, l'interazione umana si manifesta come "un'azione reciproca del tutto caratteristica" (Simmel 1908, p. 531):

Non già i paesi, i fondi, il circondario cittadino e quello regionale si delimitano l'un l'altro; ma sono gli abitanti e i proprietari che esercitano l'azione reciproca alla quale si è testé accennato (ib.).

Parlare delle trasformazioni dello spazio giuridico e politico europeo richiede di esplicitare, se non una sua aprioristica definizione, per lo meno le principali coordinate entro le quali viene orientato il discorso. Lo spazio giuridico europeo viene indagato qui secondo una prospettiva che lo vede coincidere con l'estensione dello stesso ordinamento europeo, inteso, a sua volta, come un ordinamento composito nel cui ambito le legislazioni e le prassi nazionali non giocano un ruolo indipendente rispetto alle regole riconducibili direttamente alla produzione normativa delle istituzioni europee. Allo stesso tempo, l'ordinamento europeo riconosce e comprende gli ordinamenti degli Stati membri, senza, tuttavia, essere finalizzato al loro superamento. Investigare entrambi i livelli nella loro complessità è una scelta obbligata quando si voglia fare riferimento al processo di "costituzionalizzazione materiale" dell'Europa, il quale rimanda a una letteratura critica che considera l'ordinamento europeo come un processo in dinamica trasformazione (cfr., per esempio, Weiler 1999; in Italia, Cassese 2002; Torchia 2006) e del quale fanno parte sia gli Stati che – con rilevanza ancora maggiore – i loro cittadini (Cassese 2003, pp. 29 sgg.). Che l'Europa si trovi al cospetto di un rilevante "momento" costituzionale (Walker 2005; Weiler 1999) non dipende certo dalla sua formalizzazione in un trattato, ma appare evidente adottando una prospettiva più ampia che tenga conto delle dimensioni materiali dei processi in corso. Utilizzando il termine di "costítuzionalizzàzione materiale" non si propone pertanto di indicare un diritto superiore o un insieme di principi che regolano di fatto la convivenza sociale, ma di cogliere il diritto ovunque esso si ponga come costitutivo, o quantomeno come trasformativo dell'esistente anche in riferimento ai rapporti sociali e alle loro gerarchie (Weiler 1999). Vi è, poi, un'accezione ulteriore che emerge quando si guardi all'Europa come a un'entità politica non riconducibile alla sommatoria di sovranità, pur limitate, degli Stati che la compongono, ma neppure contrapposta a esse: ovvero, la necessità di cogliere il carattere processuale della sue dinamiche di costituzionalizzazione, piuttosto che provare a rappresentarne gli esiti possibili come definitivi.

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