Autore Francesca Rigotti
Titolo Buio
Edizioneil Mulino, Bologna, 2020, Parole controtempo , pag. 136, cop.fle., dim. 11x17,6x1,2 cm , Isbn 978-88-15-28642-0
LettoreGiorgia Pezzali, 2020
Classe sensi , psicologia , filosofia , storia letteraria , mitologia












 

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Indice


    Prologo                               7

    I.    Il fulgore del buio            11

    II.   Il sapere del buio             37

    III.  Paura del buio                 79

    IV.   Il buio è, ed è bello         111


 

 

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Pagina 7

Prologo



È stata una splendida giornata di sole, tersa e luminosa. Ora, al crepuscolo che precede il tramonto, il cielo si tinge di tonalità rossastre, con strisce di grigio più chiaro e più scuro. Verrà la notte. Lo sappiamo, la percepiamo, ne cogliamo i segni premonitori e ci poniamo in attesa del suo prezioso compagno, il buio. Ma proprio quando mente e occhi attendono il calare dell'oscurità che ci porterà nell'ambiente notturno, esattamente nel momento in cui l'organismo si predispone ad accogliere la nuova condizione atmosferica, ecco che - clic, tac, zac - partono i sistemi di illuminazione automatici e mille fari e faretti, alcuni blandi altri potentissimi, ecco che mille lampioni e lampadine ci sparano addosso fasci di lancinante luce artificiale, contro la quale siamo per lo più impotenti. La notte è finita ancor prima di cominciare. Il buio è stato scacciato, eliminato, ucciso, nei miei e in tantissimi luoghi del pianeta, come se ciò fosse incondizionatamente una buona cosa. Come se per vivere bene ogni cosa dovesse essere illuminata. Troppa luce sulla Terra? Sì. Siamo andati troppo in là, abbiamo esagerato. Dovevamo fermarci. E temo che siamo soltanto agli inizi di una progressiva eliminazione del buio dal pianeta, come se l'oscurità non avesse dignità di esistenza, fosse non-essere, assenza, mancanza, privazione.

Dopo aver raggiunto uno stadio nel quale, grazie ai progressi della scienza e della tecnica, nei nostri paesi v'era un livello di illuminazione adeguato a soddisfare i più diversi scopi - per esempio sicurezza di movimento e comodità abitativa e di lavoro - ma rimaneva anche una quota sufficiente di buio, ora in molti luoghi, soprattutto urbani, il buio non c'è più. Scomparso, soppresso, vinto e battuto, divenuto un privilegio per ricchi raffinati, che infatti vanno a cercarlo in località remote e incontaminate, mentre altri ricchi, stolti e paurosi, immergono in fasci di luce ogni angolo delle loro lussuose dimore; e anche di quelle meno lussuose, con esse sfortunatamente confinanti.

Eppure il buio è bello, lo sappiamo tutti. Il buio dell'intimità, dell'introspezione, della meditazione. Il buio della calma serale e del riposo notturno. Se la luce alimenta la ragione, il buio abita nelle regioni dell'immaginazione. Quando la luce eccita il pensiero, il buio calma la mente ansiosa ed è fonte di idee irraggiungibili alla chiara luce del giorno.

Il buio offre una condizione di pienezza di vita e una ricchezza speculativa che andremo a esplorare, soprattutto da un punto di vista concettuale, in questo piccolo libro, nel quale e con il quale cercheremo di recuperare i pregi dell'oscurità. «Buio» sarà la nostra parola controtempo, sarà per noi la parola all'«ordine della notte».

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Pagina 15

2. Il buio è nero


Nero è il buio, dal momento che il gioco di oscurità e luce coinvolge anche la semantica dei colori. Talvolta si tratta di un nero opaco e caliginoso, talvolta di un nero brillante, anche se oggi per distinguere le sfumature del buio dobbiamo allontanarci da ogni insediamento umano. Nero, però, nella cultura occidentale dominata dall'avvaloramento del bianco accostato alla luce del sole (il latino dice albus e albescere, «bianco», «diventar bianco come il cielo all'alba»), è un colore prevalentemente triste e legato alla morte. Un personaggio vestito di nero interviene a turbare la serenità; un punto nero guasta una situazione armoniosa e controllabile.

Il nero - c'è anche da chiedersi - si può definire un colore? Spiega infatti lo stesso Pastoureau , nell'introduzione al suo studio, che il nero è stato per secoli, addirittura per millenni, un colore autonomo, anzi un elemento centrale della tavolozza. Finché giunse a spodestarlo, alla fine del XVII secolo, nientemeno che Isaac Newton , il quale, nello scomporre lo spettro, sconvolse anche l'ordine mondiale dei colori, togliendo il diritto di esistenza sia al nero sia al bianco. Bianco e nero divennero non-colori, somma o assenza di tutti gli altri, ma di per sé inesistenti. La sensibilità contemporanea ha comunque modificato tale assetto, se non nel campo della fisica almeno in quello delle arti, e ha riconosciuto e riconosce al nero sia la dignità di colore sia un suo posto specifico nella cultura non solo figurativa, dove regna il «nero su bianco».

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Pagina 30

Anche la fede, «per troppo illuminare, accieca», annota brevemente ma acutamente Norberto Bobbio , subito dopo aver dichiarato di non essere uomo di fede. E aggiunge: «Donde nascono, se non da questo accecamento, gli aspetti perversi della religione?».

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Pagina 33

Il prezzo della contemplazione, della luce è dunque talvolta l'oscurità: ma non l'oscurità dell'ignoranza e nemmeno quella della morte; non l'oscurità quale assenza di luce, bensì l'oscurità luminosa che contiene la luce. Come scrive ancora Maria Zambrano ,

nell'essere umano, come si sa, c'è luce nascosta nelle tenebre, ma è lei, la luce, l'inizio. E così l'Aurora non è il preludio, bensì il centro stesso del giorno nel mezzo della notte, íl giorno-notte, la luce-tenebra che poi si separano senza perdersi l'una nell'altra. La vita stessa.

A ulteriore conferma del fatto che il buio non è negativo, malvagio, cattivo. Non è un nemico da sconfiggere affliggendogli sempre più luce. Sopprimendo il buio si rischia di cancellare il sapere, ricco e importante, delle «feconde valli di oscurità e di penombra», nelle quali ci accingiamo ora a entrare.

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Pagina 46

Il passaggio dal buio alla luce è una locuzione costantemente impiegata per designare il transito dal peccato alla salvezza dell'anima. Ma anche per indicare una «salvezza politica»: la città di Dio, la realizzazione del Regno di Dio sulla Terra, e pure il passaggio dallo sfruttamento del proletariato alla sua liberazione sono resi con la stessa immagine buio/luce. Una lettura condivisa da chi ritiene che il marxismo sia un'escatologia secolarizzata, sostanzialmente ispirata dalla visione giudaico-cristiana del tempo, e in sintonia con chi attribuisce ai filosofi illuministi una ripresa di fatto della tradizione cristiana, dalla caduta di Adamo all'Apocalisse. Si tratta di un modello che prevede costantemente il superamento del buio e della notte (del peccato, dello sfruttamento, dell'oppressione ecc.) con la venuta del giorno, dopo un periodo di attesa e di speranza.

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Pagina 61

Nel mondo preindustriale la notte e l'oscurità erano momenti di libertà e di attività notturne diverse da quelle diurne: riposo, sonno, sesso, cibo e alcol in compagnia (o in solitario), raccontare e ascoltare storie, ballare e cantare intorno al fuoco, guardar le stelle, osservare la luna, sognare e immaginare fenomeni sovrannaturali; ma anche provare timore e paura per pericoli fittizi o reali. Il buio della notte offriva inoltre riparo a dissidenti di vario genere: cospiratori, contrabbandieri, omosessuali. Presentava la possibilità di svagarsi un po' dopo la giornata passata a lavorare: giochi di carte, giochi amorosi, letture (leggiamo ancora la sera, a letto).

Tutto questo è scomparso, o è stato comunque notevolmente alterato nel mondo sovrailluminato nel quale ci tocca vivere, e dove le città, nelle quali risiede ormai più della metà della popolazione mondiale, sono avvolte, invece che dal buio notturno, da una penombra biancastra e mucillaginosa di smog e illuminazione ad alta intensità.

Ben lo mostra Jonathan Crary in un saggio «illuminante»" dedicato alla società «24/7», cioè attiva ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana, trionfo del capitalismo mondiale, nella quale non soltanto sempre minore è il tempo dedicato al sonno - anche per i bambini! - ma, sottolinea Crary, si mina anche la distinzione tra giorno e notte, luce e buio, attività e riposo, a favore di uno stato di sospensione che non si spegne mai, un mondo omogeneo e identico a sé stesso, che ha sradicato ombra e oscurità. Un mondo che è un'unica pappa omogenea senza confini e demarcazioni, senza l'alternanza sana di attività e riposo, del ritmo veglia-sonno.

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Pagina 82

Il filosofo politico nonché teorico dell'educazione Jean-Jacques Rousseau affronta l'argomento nel suo poema pedagogico Emilio o dell'educazione, del 1762. Rousseau constata una diffusa paura del buio in molti adulti, ma è nei bambini che si preoccupa di sfatarla. Al solito disfattista eventualmente pronto a obiettare - «Esiste l'illuminazione, mi si dirà» (ma quale luce artificiale potevano avere all'epoca se non candele, fiaccole, lumi a olio?) -, Rousseau risponde lasciando trapelare un sano scetticismo nei confronti della tecnologia: «E che! Sempre mezzi artificiali! Chi vi garantisce che ne disporrete ovunque in caso di bisogno?». Meglio dunque insegnare ai bambini a non temere il buio: mostrando loro come usare la destrezza delle mani, come esercitare gli altri sensi (udito, odorato) o incoraggiandoli a giocare durante la notte. In questo modo, una volta divenuti adulti, non si comporteranno come quei «fior di ragionatori, uomini dalla mente quadrata, filosofi e soldati, pieni di coraggio alla luce del giorno» che Rousseau afferma di aver visto «tremare come donne di notte allo stormir di una foglia» (grazie, Jean-Jacques, per il tocco di gender). Le virili paure notturne sono causate dall'ignoranza delle cose che ci circondano e di ciò che succede intorno a noi, conclude l'illuminista, che torna poi a rivolgere l'attenzione ai più piccoli, aprendoci fra l'altro un varco su quelle che dovevano essere le pratiche punitive della sua epoca (e non solo): raccomanda infatti di non rinchiudere mai un bambino, anche se ha superato la paura del buio, in uno stanzino buio (cachot), perché è un'esperienza troppo triste, e non si otterrà alcun risultato. Fate che il bambino (ché per le bambine è un'altra storia) entri con gioia nell'oscurità, e sia capace di sorridere anche quando vi si trova immerso.

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Pagina 90

3. Il buio e il silenzio


Grande alleato del buio, nel bene e nel male, è il silenzio. «EI silencio en la oscuridad de los días» di Borges , divenuto cieco a cinquant'anni. Il silenzio dei morti: il defunto silet, «tace», è inciso sulla pietra di molte antiche tombe romane, a conferma del silenzio dell'oscuro aldilà. Il silenzio sta infatti, non dimentichiamolo, sul versante del mondo negativo, regno della tenebra e del male, mondo freddo, tetro, muto, oscuro; del mondo - si pensa e si dice - privato della vita, mancante, non esistente. Silenzio e parola, non dimentichiamo neppure questo, appartengono l'uno all'altro, sono complementari come buio e luce. E come il silenzio non è un negativo - non è non-suono né non-parola - così non lo è il buio: esso non è semplicemente non-luce, è invece un mondo a sé che non ha bisogno di altro per esistere né per riempire lo spazio. Esattamente come il silenzio, anche il buio è un dato primario, insostituibile.

A conferma della loro alleanza e somiglianza, dal buio - raccontano i miti cosmogonici - nasce la luce; dal silenzio emergono le parole, come fasci luminosi che si aprono un varco nelle tenebre. Dura è la luce (ma tenera la notte), e dure sono le parole: esse si fanno strada nel silenzio, talvolta perforandolo con la violenza di una freccia, così come il fascio di luce lacera il buio. Nel profondo stanno buio e silenzio; riposo, tranquillità, inattività sono di loro pertinenza. Eppure è dal silenzio che nasce la parola che illumina, il verbo che è luce, il canto del gallo che crea il giorno, il cinguettio dell'usignolo che crea la notte.

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Pagina 96

4. Il buio, i mostri e i fantasmi


L'estate del 1816 fu uno dei periodi di buio atmosferico più lunghi e impressionanti dei quali ci sia memoria. L'anno precedente, infatti, la violentissima eruzione del vulcano del monte Tambora, in Indonesia, la più imponente mai registrata, devastò le regioni circostanti. Un'immensa nube di polvere contenente zolfo, spinta dai venti, giunse sul continente europeo: l'aria era umida e fredda, il cielo coperto da oscurità diffusa. Proprio quell'estate, alcuni giovani inglesi si trovavano sul lago di Ginevra, dove si erano stabiliti, attratti dalle condizioni economiche molto più vantaggiose (sic) rispetto alla costosa Inghilterra. La combriccola di amici - che comprendeva oltre a Lord Byron , Mary Godwin e Percy Bysshe Shelley (che si sarebbero poi sposati), Claire Clermont e John William Polidori (autore, non a caso, del primo racconto moderno sui vampiri) - si diede il compito di scrivere e raccontare storie di fantasmi, in sintonia con l'atmosfera di quell'estate particolare, comportandosi quindi un po' come l'allegra brigata di giovani, uomini e donne, che nel Decamerone esorcizzano la paura della peste e cercano di superare la noia della reclusione raccontando storie. Fu così che dalla penna di Mary Godwin nacque il racconto nel quale si narra di Victor Frankenstein, il giovane scienziato che dà vita a un'orrenda creatura, composta di diverse parti umane, che sovente assume il nome del suo inventore.

Il giovane Lord Byron, per parte sua, contribuì alla tenzone con una poesia, Darkness, composta pare in un'unica buia giornata, quando a mezzogiorno le candele erano accese come a mezzanotte. È dubbio che i giovani inglesi, e con loro praticamente tutta la popolazione europea, conoscessero le reali cause di quel fenomeno, che fece pensare a un'imminente fine del mondo. La poesia, infatti, riflette il senso di un'apocalissi incombente, evoca la desolazione della natura, il freddo e la paura che il sole si stesse spegnendo:

I had a dream, which was not all a dream.

[...]

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Pagina 114

Sulla scorta di Kant , che mescola l'elemento reale e materiale (la volta celeste, il firmamento) con quello concettuale e immateriale (la legge morale), proponiamo e motiviamo la nostra metodologia, che ho già definito impertinente. Applicata al buio, essa sovrappone la dimensione reale dell'oscurità, di competenza delle scienze fisiche e naturali, con quella concettuale, elaborata dall'immaginazione e analizzata dal pensiero filosofico. Su questa linea, riteniamo che un intervento che restituisca dignità concettuale al buio potrà forse anche restituirgli rispetto dal punto di vista reale e materiale; uniamo dunque risorse e competenze al fine di preservare la visione del cielo stellato, di evitare lo spreco di energia, di essere liberi di dichiarare che buio è bello. Voglio dire che, per far capire alle istituzioni e ai singoli che con le loro luminarie scatenate alterano e distruggono il patrimonio naturale e culturale, è decisivo ascoltare anche contributi dal sapore analogico oltre che logico, e tener conto delle qualità concettuali del buio sottraendolo, come qui si è cercato di fare, alla dimensione del non-essere.

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Pagina 117

Ora, non siamo qui per esaltare i tempi bui né per fare del romanticismo improvvisato e gratuito elevando l'esperienza della notte oscura a verità metafisica; non è neppure il caso di lodare il genere dark o horror, né tantomeno di darsi al thanatotourism, una lugubre forma di viaggio nella quale i visitatori vengono condotti in luoghi devastati da tortura, morte e tragedia. Siamo qui per riconoscere semplicemente dignità e autonomia al buio: magari, invece di pensarlo come assenza di luce, provando a immaginare la luce come assenza di buio.

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Pagina 130

Nel suo libro sulla notte, che riprendiamo in conclusione, Michaël Foessel ritorna alle osservazioni di Blanchot e Genette notando che si parla del «giorno» e della «notte», come dell'«uomo» e della «donna»: i primi termini designano il tutto e la parte insieme, anzi posseggono l'esorbitante potere di indicare il tutto (il genere umano e l'intera giornata) tramite la loro parte nobile e privilegiata (il maschile e il diurno). La notte è inclusa nel giorno; ma le donne sono incluse nell'umano dell'uomo? Possiedono l'anima e la razionalità considerate distintive del maschile? Vedono riconosciuti gli stessi diritti e le stesse condizioni di trattamento che spettano agli uomini? I «diritti dell'uomo» sono stati e sono, di fatto e di diritto, anche «diritti della donna»?

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