Copertina
Autore Franco Romanò
CoautoreMarcella Borghi, Luigi Mariani, Adriano Voltolin
Titolo '68-'78: dalla critica alla transizione
Sottotitoloanalisi di un decennio
Edizioneottaviano, Milano, 1978, , pag. 174, cop.fle., dim. 110x185x10 mm
PrefazioneEnzo Morpurgo
LettoreRenato di Stefano, 1978
Classe storia contemporanea d'Italia , universita' , movimenti , politica
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Indice


PREFAZIONE                                                 7


A DIECI ANNI DAL "SESSANTOTTO"                            13

1. La sconfitta della legge truffa                        15
2. La nascita del centro-sinistra                         16
3. Il fallimento dell'unificazione socialdemocratica e
    la fine del centro-sinistra
    Il "sessantotto"                                      18
    Movimento degli studenti, "maggio francese" e
    Partito Comunista                                     27
    Dalle elezioni del '68 al '69 operaio                 31
    Lotte operaie, Partito Comunista e movimento
    degli studenti                                        36
    La controrivoluzione                                  55
    La svolta a destra e le elezioni del '72              63
    La "fine del 68", la sconfitta dell'ala eversiva e
    la nascita della "nuova sinistra"                     78
    Il 12 Maggio, il 15 Giugno e il 20 Giugno             82
    La diversità del "Manifesto" ed il suo limite         92
4. L'accordo fra i partiti dell'arco costituzionale       98

IL '68. MARX E ALTRO                                     111

La questione dei riferimenti ideologici                  112
Il '68 e Marx; ovvero, sessantotto Marx                  115
I Manoscritti e l'utopia                                 122

RELIGIOSITÀ E PRASSI POLITICA: CRISTIANESIMO E MARXISMO  131

PROPOSTE PER UN DIBATTITO: DISSENSO CRISTIANO,
MOVIMENTO OPERAIO E D.C.                                 155


 

 

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Pagina 13

A DIECI ANNI DAL "SESSANTOTTO".

di Franco Romanò


Il periodo di tempo intercorso fra il 1967-69 ad oggi, segna una fase definita nella storia del nostro paese; durante questo tempo sono avvenute trasformazioni profonde che si possono riassumere sinteticamente in questo: i rapporti di forza fra le classi sociali ed i rapporti politici fra i partiti sono mutati in senso favorevole al blocco di forze raccolte intorno alla classe operaia come mai prima d'ora nella storia italiana. Tale spostamento, rilevante in termini assoluti, ma ancor più considerevole se paragonato a successi relativi ottenuti in altri momenti storici, consente di considerare realistica l'ipotesi di una trasformazione profonda della società italiana con l'ingresso a pieno titolo nell'area del governo e del potere di masse che in cento anni e più di storia unitaria ne sono sempre state escluse.

Questa trasformazione è cominciata da lungo tempo, ma questo decennio, con le sue battaglie, con l'emergere sulla scena di nuovi soggetti sociali e politici anticapitalistici, con il venire a maturazione di contraddizioni esplosive di un modello di società e di vita, ha contribuito in modo decisivo ad accelerare questo processo di spinta a sinistra ed ha introdotto nel processo stesso alcuni elementi qualitativi nuovi.

A dieci anni di distanza, il 68 non appartiene più ai suoi protagonisti, ma all'insieme del movimento operaio e alla nostra storia nazionale: esso non è più un patrimonio unitario i cui eredi siano questo o quel settore particolare o la stessa nuova sinistra presa nel suo complesso. Tutti i partiti, le organizzazioni di massa si ritrovano oggi cambiati da come erano dieci anni fa e collocati in modi diversi gli uni rispetto agli altri. Può sembrare banale fare questa affermazione poichè questo sembra essere un dato generalmente connesso con tutte le trasformazioni sociali di una certa rilevanza e tuttavia credo che ci sia una differenza: la società italiana è entrata in questo decennio in una crisi organica per via di un sommovimento che nasceva da dentro il suo tessuto sociale, frutto delle sue contraddizioni e anche della ricchezza e dell'articolazione delle sue istituzioni. Per rendere ragione di questa affermazione, è utile tenere presente, sebbene in modo schematico, i passaggi essenziali ed i punti di svolta fondamentali di questi ultimi trenta anni di storia italiana.


Il punto di partenza di questa sommaria ricostruzione, è il 48, la fine della fase resistenziale, la rottura dell'unità antifascista e la vittoria della D.C. alle elezioni del 18 aprile.

Il 48 aprì una fase che è stata definita, in modo particolare durante quest'ultimo decennio, "regime democristiano".

Dobbiamo penetrare di più in questo giudizio sinteticamente esatto, per cogliere nel trentennio che ci sta alle spalle, non solo l'evidente dato di continuità costituito dall'egemonia democristiana, ma anche le differenze, i momenti di svolta che in esso si possono cogliere.

Questi momenti sono sostanzialmente quattro: 1) la sconfitta della legge truffa alle elezioni del 53: 2) La nascita del centro-sinistra; 3) la sconfitta dell'unificazione socialdemocratica e la fine del centro-sinistra: 4) l'accordo programmatico fra i partiti dell'arco costituzionale.

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3. Il fallimento dell'unificazione socialdemocratica e la fine del centro-sinistra.


Il "sessantotto".

Verso la fine degli anni 60 accadde in Italia ed in tutto l'Occidente capitalistico un fatto nuovo e di importanza storica: l'eslodere improvviso di un movimento di massa autonomo ed imponente sia per dimensione quantitativa che qualificativa, il quale, partito in generale dalle università, investì progressivamente in un arco di tempo che variò a secondo dei paesi, la classe operaia, fasce consistenti di ceti intermedi, donne ed in generale modificò profondamente la società civile e tutte le classi sociali.

Questo movimento, culminato durante il 68 nel 'maggio francese', scosse gli equilibri politici e mise a dura prova le stesse forze di sinistra: in Francia esso fu un elemento decisivo nella crisi del gollismo.

I suoi tratti caratteristici erano i seguenti:

a) la sua contemporaneità in tutto l'occidente capitalistico; b) la sua affinità ideale con fenomeni analoghi avvenuti in paesi socialisti come la Cina popolare e la stessa Cecoslovacchia durante la primavera di Praga; c) la composizione prevalentemente studentesca del movimento; d) la sua origine relativamente spontanea, nel senso che esso non nasceva da un'azione diretta dei partiti operai; e) l'opzione per il socialismo; f) la forte connotazione internazionalista.

In Italia il movimento non fa eccezione e tali caratteristiche si possono ritrovare tutte: ma insieme a queste alcune particolarità, come la presenza in esso dei cattolici e la forte connotazione classista.

Il primo vero atto di quello che si chiama il "68", in Italia fu l'occupazione, avvenuta verso la fine del 67, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. L'università Cattolica era ed è una sede nella quale si concentrano alcuni tratti tipici della struttura del potere capitalistico in Italia. Essa è prima di tutto la più importante istituzione culturale cattolica e ha formato da sempre i quadri ed i leaders più prestigiosi della D.C. e dello stesso sindacato CISL. Ma essa è pure una università nella quale, per via dello statuto particolare che la governa, le caratteristiche tipiche della cultura universitaria italiana, la forte gerarchizzazione ed l'autoritarismo di cui è impregnata, vengono portate alle estreme conseguenze. L'università Cattolica, non era stata toccata dai fermenti conciliari che avevano aperto un interessante dibattito fra i cattolici italiani: fu la ribellione studentesca a dare a questo dibattito una misura di concretezza ignorata fino ad allora. L'occupazione dell'università, divenne per gli studenti impegnati in essa, la prova del nove della reale volontà di rinnovamento del mondo cattolico. La reazione delle autorità accademiche fu delle più chiuse: non solo le richieste degli studenti non vennero accolte, ma la risposta fu immediatamente repressiva (sgombero della Facoltà da parte della polizia) e culminò mesi dopo, nell'espulsione di alcuni studenti dall'Ateneo. Il brusco ricorso alla repressione fu per il mondo cattolico un potente richiamo alla realtà: ancora una volta il movimento reale faceva fare alla storia, nel breve giro di pochi giorni, un enorme passo in avanti, ben più grande di tutti i dibattiti ed i fermenti puramente verbali. Il giudizio sulla Cattolica divenne uno dei primi elementi discriminanti per chi sceglieva la via del rinnovamento.

La sorpresa suscitata dai fatti della Cattolica fu grande: una ribellione studentesca di così ampie proporzioni e di così matura politicità (una delle prime manifestazioni si consluse al congresso della D.C. che si teneva a Milano in quei giorni), non si era mai vista e non era paragonabile alle stesse croniche agitazioni della facoltà di architettura. La solidarietà degli Atenei milanesi fu immediata: l'occupazione non era isolata e questo era già un segnale di diversità rispetto al passato.

Contemporaneamente, a Trento, gli studenti di sociologia avevano iniziato una lotta che avrà un'importanza fondamentale negli sviluppi del movimento del 68. Fu qui infatti, in una università del tutto particolare e nel cuore del Veneto bianco, che vennero elaborati i contenuti più avanzati della lotta universitaria. L'esperienza trentina aveva molti tratti di eccezionalità; prima di tutto essa era andata da subito al di là dei limiti rivendicativi della stessa lotta degli studenti della Cattolica: gli studenti di Trento percorsero in breve tempo il cammino politico che dai tentativi di riforma dei piani di studio giungerà a misurarsi con la critica al ruolo sociale del sociologo, con la critica della cultura borghese, fino ad investire le stesse funzioni dell'università del nostro paese, per approdare infine, con la famosa settimana del Vietnam, alla dimensione internazionalista. Fu questa la falsariga su cui si svilupperanno le lotte delle altre università italiane.

L'esperienza trentina fu determinante come poche altre: i suoi contenuti, le mozioni, i documenti cominciarono a girare in mille modi, sia dai più tradizionali (si pensi al ruolo svolto da una rivista come "Lavoro Politico"), sia attraverso le testimonianze personali, sia in incontri di massa occasionali, come quello commovente di Firenze dopo l'alluvione: stava nascendo qualcosa di nuovo e le idee filtravano lentamente attraverso mille strade impensate. L'esplosione dei primi mesi del 68 colse tutti di sorpresa, ma era nell'aria.

Nel giro di pochi mesi tutte le università italiane furono occupate; l'entrata in lotta degli studenti tedeschi, francesi, il blocco dei giornali di Springer, gli echi lontani ma nitidissimi della Rivoluzione Culturale Proletaria e della resistenza vietnamita diedero alla lotta una dimensione internazionale. Di là a pochi mesi, durante il "maggio francese", Mao Tse Tung saluterà personalmente il movimento degli studenti come l'inizio di una nuova ondata rivoluzionaria in Europa. Ho voluto ricordare questi fatti, scontando anche il rischio della cronoca per altro arcinota, perché anche in essa si può cogliere un segno di grandezza. Grandi masse di studenti italiani, per lo più di estrazione piccolo-borghese e borghese, in buona parte provenienti dalla periferia delle grandi città o dalle piccole città di provincia, chiusi dunque in una tradizione culturale dagli orizzonti ristrettissimi, in una scuola ed in una università che ben raramente riuscivano ad andare oltre il cupo provincialismo e che era comunque estranea alle grandi correnti culturali europee ed anche italiane (si pensi alla stessa ignoranza di Gramsci, persino come uomo di cultura, largamente praticate anche da illustri professori di sinistra!), acquistavano improvvisamente una identità addirittura internazionale, irrompevano letteralmente sulla scena della storia; la cronaca non scandiva che apparentemente i mesi: erano gli anni a bruciarsi in pochi mesi per masse consistenti di giovani.

Il movimento colpì tutti i partiti; in realtà per i protagonisti la sorpresa era alquanto minore: l'incubazione era stata lunga e molte delle idee forza del movimento erano già diventate senso comune prima che esso esplodesse. In questo senso il 68 non fu un fatto spontaneistico; spontaneo certo, nel senso che non era una filiazione diretta dei partiti di sinistra, ma solo in questo senso.

Lo scarto esistente fra la sorpresa delle forze politiche e la relativa consapevolezza del movimento, fu il segno più evidente di una contraddizione e di una frattura che si era prodotta nel corpo della società italiana. Tale contraddizione andava cercata direttamente nel modello di sviluppo capitalistico ed in particolare, almeno per quanto riguarda la scuola, nel rapporto fra forza lavoro qualificata e mercato del lavoro. La esplosione del movimento (ma di questo gli studenti di allora non potevano essere consapevoli) era determinata dal venire a maturazione di contraddizioni tipiche di questo rapporto, mentre la contemporaneità del movimento in tutto l'occidente sottolineava che si trattava di contraddizioni nuove del sistema capitalistico ad un certo grado del suo sviluppo, contraddizioni che maturavano in settori della società civile che fino ad allora sembravano sottratti allo scontro di classe diretto. La nascita del movimento degli studenti era la risposta politicamente matura e razionale di una parte delle moderne forze produttive in formazione ai rapporti di produzione capitalistici; nel contempo esso costituì in Italia il preludio alla maturazione delle stesse contraddizioni, nel cuore del rapporto di produzione.

Tuttavia, la contemporaneità della lotta studentesca in tutto l'occidente, non deve trarre in inganno: il caso italiano ed anche quello francese, sono diversi. Se alcune particolarità sono già state considerate, occorre andare più a fondo nel determinare analogie e differenze.

Gli universitari italiani, tedeschi, francesi e americani dicevano su alcuni punti le stesse cose. Per tutti, la ragione immediata del loro disagio stava nel rapporto di reciproca estraneità esistente fra docente e discente, fra studenti ed istituzione, fra studio/cultura da una parte e studente dall'altra. Tale estraneità, intrinseca nel loro lavoro di studenti, aveva bisogno per reggersi di un involucro autoritario e repressivo occultato nei regolamenti apparentemente funzionali allo studio, ma in realtà strumenti di coercizione. Per tutti, il tentativo di spezzare questa estraneità coincise con lo sforzo atto a mutare il proprio rapporto con lo studio e con i docenti: i controcorsi furono la risposta politica a questa esigenza. Ma quando l'istituzione reagì con la repressione (dalla più blanda, costituita dal rifiuto degli insegnanti a modificare il proprio ruolo, fino alla repressione diretta da parte dei corpi dello stato), gli studenti cominciarono a comprendere che essi non avevano alcuna autonomia e diritto dentro l'istituzione e che per di più essa si comportava con loro secondo una logica che era estranea al rapporto di scambio culturale: insomma, l'autorità del sapere poggiava in ultima analisi sull'autorità del poliziotto. Lotta per la modificazione del proprio rapporto con lo studio e lotta all'istituzione repressiva e alla società repressiva divennero così due momenti contemporanei e necessari della lotta studentesca.

Gli studenti percorsero molto in fretta il cammino che dalla università li avrebbe portati nella società a scontrarsi con lo stato e con l'insieme dei rapporti sociali, ma della società e dello stato colsero, prima di ogni altro, il suo aspetto repressivo. Essi avevano comunque messo le mani su di una contraddizione molto grossa. L'estraneità che essi avvertivano come disagio era una estraneità del tutto particolare: non era l'istituzione universitaria in quanto tale ad essere estraniata dal resto della società: se ne erano ben accorti quando il poliziotto era intervenuto contro le loro lotte! L'istituzione era anzi organicamente legata alla società: erano loro, in quanto forza lavoro intellettuale in formazione ad essere estranei, alientati dal rapporto particolare che lega l'università alla società. Questa contradditorietà della scoperta degli studenti è ampiamente dimostrata dagli stessi documenti: non é raro trovare nello stesso volantino la denuncia dell'astratezza e della separatezza della cultura accademica dal contesto sociale, accanto alla denuncia del legame organico fra istituzione universitaria e capitale. Questa alienazione, essi la avvertivano come estraneità rispetto allo studio: in questo vi era una verità nel senso che l'istituzione funziona in modo da appropriarsi privatamente del frutto del loro stesso lavoro (basta pensare a questo proposito all'uso delle tesi di laurea, alle ricerche direttamente commissionate dalla grande industria o dallo stato come era il caso della ricerca per scopi militari negli USA), ma questo tipo di alienazione tutta interna all'istituzione era specchio di una alienazione più profonda che tiene separata la forza lavoro intellettuale dal lavoro direttamente produttivo e manuale, impedendo così alla forza lavoro stessa di cogliere il nesso esistente fra la tecnica e la produzione, l'arte e l'ideologia dominante.

Scoprendo la propria separatezza come soggetti ed il legame che legava università e società, gli studenti mettevano le mani su di una contraddizione fondamentale dello sviluppo capitalistico, contraddizione la cui risoluzione stava però al di fuori dell'università e quindi anche fuori di loro. Gli studenti dunque, compresero in fretta e quasi per necessità, che rivoluzionamento della scuola e rivoluzionamento della società, erano i due lati di un unico e inscindibile processo: La prima manifestazione di questa consapevolezza fu senza dubbio la denuncia che la repressione delle loro lotte era il sintomo di una società repressiva: le parole d'ordine antiautoritarie mettevano in luce questo legame.

Ma le analogie si fermano qui; di per sé la scoperta della repressione insita nello stato, se non é accompagnata da una chiara consapevolezza che essa é manifestazione della repressione insita nei rapporti sociali, non va al di là di una denuncia che coglie solo gli aspetti superficiali ed epidermici della realtà capitalistica, che scambia a lungo andare gli effetti con le cause. Gli studenti di Berkley furono i primi ad individuare (e con singolare chiarezza di idee), che la ragione profonda del loro disagio stava nella subordinazione della produzione del sapere ai bisogni dell'industria bellica americana e della industria in generale; ma pur cogliendo giustamente questo nesso, essi non uscirono dall'università ma rivendicarono semplicemente la "libertà" di ricerca e di partecipazione alle scelte culturali, riducendo il loro impatto con la società al solo momento della risposta antirepressiva: ma non erano forse la libertà di ricerca e di cultura le prerogative sulle quali pretendono di basarsi le istituzioni culturali dell'occidente?

Il neoliberalismo degli studenti americani li portò ben presto a rivendicare il "potere studentesco", cioé la contrattazione della loro partecipazione adeguata agli utili dell' "azienda università".

Gli studenti tedeschi erano andati più in là dei loro compagni americani, ma la loro fine non sarà migliore. Essi furono quelli che più coerentemente degli altri ridussero la società capitalistica a puro momento repressivo; dell'università essi avevano colto più chiaramente degli altri l'aspetto ideologico, la manipolazione delle masse insita in essa; da qui erano risaliti alla società colpendo non a caso i giornali di Springer che di questa manipolazione erano i protagonisti principali; ma Springer era il simbolo, non la sostanza dei rapporti capitalistici. Le caratteristiche esasperatamente antiautoritarie e antirepressive della loro lotta li porteranno alla rivolta disperata nel giro di pochi anni. Pur fra grandi differenze, vi era nell'esperienza degli studenti americani e tedeschi un dato comune: l'incapacità di cogliere politicamente il nesso fra la propria lotta nella scuola e la necessità di una lotta a livello della società in collegamento con la classe operaia.

Anche gli italiani ed i francesi combattevano contro l'autoritarismo, ma in loro ed in modo particolare negli studenti italiani, accanto a questi concetti si trovò subito chiaramente espressa la consapevolezza della natura di classe della scuola e della necessità di un rivoluzionamento generale della società basata sull'alleanza fra studenti e operai.

Ma da dove giungeva questo elemento agli studenti italiani? Nell'immediatezza della loro condizione e della loro lotta, al pari dei loro compagni tedeschi ed americani, essi erano giunti a cogliere solo la natura repressiva del potere a livello della società e non solo della scuola; ma non più di questo.

Nella situazione italiana, ed anche (sebbene in misura minore) in quella francese, esisteva un elemento in più che va a mio avviso cercato nella presenza in questi paesi di un forte movimento operaio con una tradizione di classe. In questo elemento va cercata la ragione della persistenza del movimento in Italia al contrario di altri paesi dove esso sparì nel giro di due o tre anni: la sua capacità propositiva, in positivo, di trovare risposte politiche più mature è legata proprio alla particolarità della situazione italiana e non tanto alla contemporaneità di un processo che investe altri paesi capitalistici: si può dire in sintesi che finchè si trattò di denunciare in negativo la natura dell'istituzione, vi fu un accordo sostanziale fra le esperienze di lotta di tutti i paesi, ma non appena si passò dalle denunce alle proposte vi fu una profonda differenziazione. Su questo argomento ritornerò più volte perchè è centrale per comprendere le caratteristiche italiane del fenomeno, anche se (è bene ricordarlo), la mitologia del 68 ha sempre insistito ed insiste ancora in parte sui legami di affinità fra il movimento italiano e quello degli altri paesi capitalistici, sottolineando del 68 gli aspetti antiautoritari e creativi.

Il primo effetto politico del movimento in Italia fu la pesante sconfitta del PSU alle elezioni del maggio 68. Con questa sconfitta, resa ancor più bruciante dalla contemporanea avanzata del PCI e dello PSIUP, fu il centro-sinistra ad entrare in crisi. Il movimento aveva vanificato l'ideologia dell'integrazione della classe operaia e di tutte le classi antagoniste del sistema neocapitalistico più o meno riformato.

Non solo tale integrazione non era avvenuta, ma nuovi soggetti politici e sociali anticapitalistici entravano in lotta. Il movimento degli studenti era importante al di là delle sue stesse lotte in quanto rompeva l'isolamento sociale della classe operaia, diventando veicolo di trasmissione della stessa cultura della lotta operaia fra gli strati intermedi della società: questo fatto era di importanza storica, poiché cambiava la sostanza stessa della politica delle alleanze. Con l'entrata in lotta degli studenti e più tardi dei tecnici, degli impiegati ecc., non si trattava più per il movimento operaio di neutralizzare questi ceti o di assimilarli al proprio blocco sociale attraverso una politica accorta: dal momento che parte dei ceti intermedi faceva autonomamente la propria azione per il socialismo scoprendolo per vie proprie (per usare una espressione simile a quella usata dal PCI per indicare questo fenomeno), il problema era quello di individuare la specificità dell'apporto politico che questi ceti davano alla comune lotta per la trasformazione socialista della società.

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