Autore Sally Rooney
Titolo Dove sei, mondo bello
EdizioneEinaudi, Torino, 2022, Supercoralli , pag. 308, cop.rig.sov., dim. 14x22,3x2 cm , Isbn 978-88-06-25193-2
OriginaleBeautiful World, Where Are You
LettoreLuca Vita, 2022
Classe narrativa irlandese












 

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Pagina 3

1.


Una donna era seduta nel bar di un albergo, con gli occhi alla porta. Il suo aspetto era lindo e curato: camicetta bianca, capelli biondi ravviati dietro le orecchie. Diede un'occhiata allo schermo del telefono, su cui era aperta un'interfaccia di messaggistica, poi tornò a guardare la porta. Era marzo inoltrato, il bar era tranquillo e oltre la vetrata alla sua destra il sole iniziava a tramontare sull'Atlantico. Erano le sette e quattro minuti, poi cinque, sei. Si ispezionò brevemente le unghie senza percettibile interesse. Alle sette e otto minuti un uomo entrò dalla porta. Fisico snello e capelli scuri, la faccia stretta. Si guardò intorno, passando in rassegna gli altri avventori, dopodiché tirò fuori il telefono e controllò lo schermo. La donna accanto alla vetrata lo notò ma, a parte osservarlo, non tentò di catturarne l'attenzione. Sembravano avere piú o meno la stessa età, intorno ai trent'anni. Lei lo lasciò dov'era finché lui la vide e si avvicinò.

Alice? disse.

Sono io, disse lei.

Ottimo, io sono Felix. Scusa il ritardo.

Con tono garbato lei rispose: Non c'è problema. Lui le chiese che cosa voleva bere e andò a ordinare al bancone. La cameriera gli chiese come se la passava e lui rispose: Bene, bene, tu? Ordinò un vodka tonic e una pinta di lager. Anziché portare al tavolo la bottiglietta di acqua tonica, la vuotò nel bicchiere con un rapido ed esperto movimento del polso. La donna al tavolo tamburellava le dita su un sottobicchiere, in attesa.

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Pagina 14

2.


Cara Eileen. Ho aspettato talmente a lungo la tua risposta alla mia ultima mail che - renditi conto! - torno a scriverti prima ancora di riceverla. A mia discolpa, ho ormai raccolto troppo materiale, e se aspetto te inizierò a dimenticare le cose. Dovresti sapere che la nostra corrispondenza è il mio modo di aggrapparmi alla vita, di prendere appunti e cosí preservare qualcosa della mia esistenza - altrimenti pressoché, se non del tutto, inutile - su questo pianeta in rapido decadimento...

Includo questo paragrafo essenzialmente per farti sentire in colpa di non avermi risposto prima, e assicurarmi pertanto una risposta piú sollecita a questa mia nuova. Del resto, cos'hai da fare, a parte scrivere a me? Non dirmi che lavori.

Pensare all'affitto che paghi a Dublino mi manda fuori di testa. Lo sai che adesso è piú caro lí che a Parigi? E, perdonami, ma quello che Parigi ha, a Dublino manca. Uno dei problemi è che Dublino è, letteralmente e topograficamente, piatta - cosicché tutto deve per forza svolgersi su un unico piano. Altre città hanno una rete metropolitana, il che conferisce profondità, e per l'altezza, ripide colline o grattacieli, mentre Dublino ha solo grigi edifici bassi e tozzi e tram che circolano a livello strada. E poi a differenza delle città continentali non ha cortili o giardini pensili, che se non altro muovono la superficie - se non verticalmente, quantomeno concettualmente. Ci avevi mai pensato in questi termini? Se anche non ci avessi pensato, l'avrai forse registrato a livello inconscio. A Dublino è difficile salire o scendere piú di tanto, difficile perdersi o perdere qualcuno, o acquisire un senso della prospettiva. Si potrebbe considerarlo un modo democratico di organizzare una città - perché tutto accade in modo frontale, intendo, su base paritaria. È vero, nessuno ti guarda dall'alto. Ma questo dà al cielo una posizione di predominio assoluto. Il cielo non è mai significativamente interrotto o intervallato da alcunché. Lo Spire, potresti obiettarmi, e io potrei ammettere lo Spire, che comunque è la piú esigua delle interruzioni possibili, e pende come un metro da sarto ad attestare le dimensioni lillipuziane di qualunque altro edificio dei dintorni. L'effetto totalizzante del cielo alla gente del posto fa male. Non c'è mai niente che intervenga a ostruirne la vista. È come un memento mori. Vorrei che ti ci ritagliassero un buco.

Ultimamente ho riflettuto (immagino come tutti) sulle politiche di destra, e su come il conservatorismo (la forza sociale) ha finito con l'essere associato all'avido capitalismo di mercato. Il nesso non è ovvio, quantomeno per me, perché i mercati non preservano alcunché, anzi, assorbono tutti gli aspetti di un paesaggio sociale esistente e li espellono, spogliati di senso e memoria, sotto forma di transazioni. Cosa può avere di "conservatore" un simile processo? D'altro canto mi pare che l'idea di "conservatorismo" sia intrinsecamente fallace, perché niente può essere conservato in quanto tale - il tempo si muove in una sola direzione, voglio dire. È un'idea cosí elementare che quando mi è venuta in mente mi sono sentita geniale, dopodiché mi sono chiesta se non fossi idiota. A te come suona, sensata? Non possiamo conservare alcunché, specie i rapporti sociali, senza alterarne la natura, impedendo parte della loro naturale interazione con il tempo. Pensa soltanto a quello che i conservatori fanno dell'ambiente: la loro idea di conservazione equivale a estrarre, saccheggiare e distruggere, "perché cosí abbiamo sempre fatto" - ma proprio per questo, la terra cui infliggiamo questo trattamento non è piú la stessa. Immagino che penserai che tutto ciò sia estremamente rudimentale e forse perfino che io sia adialettica. Ma sono solo pensieri vaghi che avevo bisogno di mettere per iscritto, e dei quali ti ritrovi (volente o nolente) a essere la destinataria.

Oggi ero all'alimentari del paese a comprare qualcosa per pranzo, quando a un tratto ho avuto una sensazione stranissima - una consapevolezza istintiva dell'improbabilità della vita. Voglio dire, ho pensato al resto della popolazione umana - di cui la maggioranza vive in quella che io e te considereremmo assoluta povertà - che non ha mai né visto né messo piede in un simile negozio. E questo, questo è quanto tutto il loro lavoro sostiene! Questo stile di vita, per gente come noi! Tutte le varie marche di bibite in bottiglie di plastica e tutte le vaschette preconfezionate e i dolciumi in sacchetti sigillati e i prodotti da forno dell'area panetteria - eccolo, l'esito di tutto il sudore versato nel mondo, di tutta la combustione dei combustibili fossili e di tutto il lavoro massacrante nelle aziende di caffè e nelle piantagioni di canna da zucchero. Tutto ciò per questo! Per questo minimarket! Pensandoci ho avuto un senso di vertigine. Voglio dire, mi sono veramente sentita male. Era come se a un tratto mi fossi ricordata che la mia vita era parte di un programma televisivo - e ogni giorno delle persone morivano realizzando il programma, venivano fatte a pezzi nei modi più raccapriccianti, bambini, donne, e tutto ciò perché io potessi scegliere tra vari menu pranzo, ciascuno imballato in vari strati di plastica monouso. Morivano per questo - era questo il grande esperimento. Ho creduto di essere sul punto di vomitare. Naturalmente, una sensazione del genere non può durare. Magari per il resto della giornata mi sento in colpa, perfino per il resto della settimana - e allora? Devo pur sempre comprarmi il pranzo. E caso mai ti preoccupassi per me, rassicurati, l'ho comprato.

Un aggiornamento sulla mia vita rurale e poi chiudo. La casa è caoticamente enorme, quasi fosse un generatore spontaneo di nuove stanze precedentemente invisibili. Inoltre è fredda e in certi punti umida. Abito a venti minuti a piedi dal summenzionato alimentari e ho l'impressione di trascorrere gran parte del mio tempo a fare avanti e indietro per comprare cose dimenticate la volta prima. Non metto in dubbio che forgi il carattere, e quando ci rivedremo avrò una personalità eccezionale. Una decina di giorni fa sono uscita con uno che lavora in un magazzino di spedizione merci e mi ha profondamente disprezzata. A essere onesta con me stessa (lo sono sempre), credo di avere dimenticato come si gestiscono i rapporti sociali. Non oso immaginare le facce che ho fatto sforzandomi di assomigliare al tipo di persona che interagisce regolarmente con gli altri. Perfino mentre scrivo questa mail mi sento vagamente sconnessa e dissociata. C'è una poesia di Rilke che finisce cosí: "Chi è solo a lungo solo dovrà stare, | leggere nelle veglie, e lunghi fogli | scrivere, e incerto sulle vie tornare | dove nell'aria fluttuano le foglie". Non avrei saputo concepire una descrizione migliore del mio stato attuale, salvo che siamo ad aprile e le foglie non fluttuano. Perdonami dunque il "lungo foglio". Spero che verrai a trovarmi. Baci baci e ancora baci, Alice.

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Pagina 36

[...] Per certi versi, penso che perfino alcuni dei sintomi strutturali piú "tacitati", come gli annegamenti di massa dei profughi e le reiterate catastrofi meteorologiche innescate dai cambiamenti climatici, comincino a venire letti come manifestazioni di una crisi politica. E, se non erro, certi studi dimostrano che negli ultimi due anni la gente ha passato molto piú tempo a leggere i giornali e a informarsi sull'attualità. Nella mia vita, per esempio, è diventato normale scrivere messaggi del tipo: tillerson silurato LMAOOOO. Ma mi rendo conto che scrivere messaggi del genere non dovrebbe essere normale. Fatto sta che, di conseguenza, ogni giorno è ormai diventato una nuova e irripetibile unità informativa, che interrompe e sostituisce il mondo informativo del giorno prima. E mi chiedo (oziosamente, dirai tu) cosa significhi tutto ciò per la cultura e per l'arte. Voglio dire, siamo abituati a dialogare con opere culturali collocate "nel presente". Ma questo sentimento di presente continuo ha smesso di essere una caratteristica delle nostre vite. Il presente è diventato discontinuo. Ogni giorno, per non dire ogni ora di ogni giorno, sostituisce e rende irrilevante il tempo trascorso, e gli avvenimenti delle nostre vite hanno senso soltanto in rapporto a una timeline di nuovi contenuti in costante aggiornamento. Tanto che, guardando i personaggi di un film seduti a cena o in giro in macchina, impegnati ad architettare omicidi o afflitti per le loro vicende sentimentali, proviamo spontaneamente il bisogno di sapere in quale momento preciso stiano facendo queste cose rispetto agli eventi storici catastrofici che strutturano il nostro attuale senso della realtà. Non esiste piú uno scenario neutro. C'è solo la timeline. Non so proprio se questo darà luogo a nuove forme d'arte o se delle arti segni semplicemente la fine - quantomeno delle arti cosí come le conosciamo oggi.

Il tuo paragrafo sul tempo mi ha inoltre ricordato una cosa letta recentemente in rete. Pare che nella tarda Età del bronzo, iniziata all'incirca 1500 anni prima dell'era cristiana, il Mediterraneo orientale fosse caratterizzato da un sistema di governi centralizzati che ridistribuivano beni e denaro tramite economie cittadine complesse e specializzate. L'ho letto su Wikipedia. A quel tempo le rotte commerciali erano altamente sviluppate, e le lingue scritte facevano la loro comparsa. Costosi beni di lusso venivano prodotti e venduti a enormi distanze - negli anni Ottanta al largo della costa turca fu rinvenuto il relitto di una nave risalente a quel periodo carica di gioielli egiziani, ceramiche greche, palissandro del Sudan, rame irlandese, melagrane, avorio. Dopodiché, nell'arco di tempo di settantacinque anni che va dal 1225 al 1150 a.C., la civiltà è collassata. Le grandi città del Mediterraneo orientale sono state distrutte o abbandonate. L'alfabetismo è pressoché morto, e interi sistemi di scrittura sono andati perduti. Nessuno, tra l'altro, sa con certezza perché accadde tutto ciò. Wikipedia suggerisce una teoria chiamata "collasso generale di sistema", secondo la quale "la crescente complessità e specializzazione dell'organizzazione politica, sociale ed economica della tarda Età del bronzo rappresenta una debolezza che, assieme alla centralizzazione ed alla concentrazione del potere politico" rese la tarda Età del bronzo particolarmente esposta al disfacimento. Un'altra teoria porta semplicemente il titolo di: "cambiamento climatico". Non so a te, ma a me pare che tutto ciò getti sulla nostra civiltà una luce sinistra. Il collasso generale di sistema non è una cosa cui avessi seriamente pensato in termini di possibilità, prima d'ora. Certo, sono consapevole che tutto quello che ci raccontiamo sulla civiltà umana è una menzogna. Ma immagina doverlo sperimentare nella vita reale.

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Pagina 88

[...] Forse allora saremmo finalmente costretti a prendere atto di quanto sbagliato, quanto profondamente e filosoficamente sbagliato sia l'attuale sistema di produzione letteraria - di quanto distolga gli scrittori dalla vita normale, gli chiuda la porta alle spalle ripetendogli all'infinito quanto siano speciali e quanto importanti siano le loro opinioni. E quelli tornano a casa dai loro weekend a Berlino, dopo quattro interviste ai giornali, tre servizi fotografici, due eventi sold-out, tre cene rilassate a base di lamentele per le cattive recensioni, aprono il buon vecchio MacBook e scrivono un romanzetto splendidamente controllato sulla "vita ordinaria". Non lo dico a cuor leggero: tutto ciò mi fa venire il vomito.

Il problema, con il romanzo euroamericano contemporaneo, è che la sua integrità strutturale dipende dall'occultamento delle realtà vissute da pressoché tutti gli esseri umani sulla terra. Affrontare la povertà e la miseria in cui milioni di persone sono costrette a vivere, accostare quella povertà, quella miseria, alle vite dei "personaggi principali" del romanzo, verrebbe giudicato di cattivo gusto o semplicemente fallimentare sul piano artistico. In sintesi, a chi potrebbe importare cosa accade ai protagonisti, se ciò accade nel contesto di un sempre piú rapido, sempre piú brutale sfruttamento di gran parte del genere umano? I protagonisti si lasciano o rimangono insieme? Che importanza ha, in questo mondo? Il romanzo, quindi, funziona se occulta la verità del mondo - comprimendola sotto la superficie sfavillante del testo. E che le persone si lascino o rimangano insieme può tornare a essere di qualche interesse, com'è nella vita vera, se, e solo se, siamo riusciti a dimenticarci di tutte le cose piú importanti, vale a dire tutto.

Va da sé che a tal proposito non c'è peggior colpevole del mio stesso lavoro. Ragione per cui non credo che scriverò mai piú un romanzo.

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Pagina 102

12.


Alice, davvero credi che il problema del romanzo contemporaneo sia semplicemente il problema della vita contemporanea? Sono d'accordo che investire energie nelle trivialità del sesso e dell'amicizia quando la civiltà umana è sull'orlo dell'abisso possa sembrare volgare, decadente, perfino epistemicamente violento. Ma al tempo stesso è quello che faccio ogni giorno. Certo, possiamo aspettare di elevarci a qualche livello superiore dell'essere, e a quel punto inizieremo a indirizzare tutte le nostre risorse mentali e materiali su interrogativi esistenziali e smetteremo di pensare alle nostre famiglie, ai nostri amici, amanti e cosi via. Ma a mio avviso aspetteremo a lungo, e di fatto moriremo prima. Dopotutto, sul loro letto di morte, le persone non iniziano forse puntualmente a parlare dei loro consorti e dei figli? E la morte non è forse semplicemente l'apocalisse in prima persona? In questo senso, quindi, non c'è niente di piú grande di quello che tu tanto beffardamente definisci "lasciarsi o rimanere insieme" (!), perché alla fine della nostra vita, quando non abbiamo piú niente davanti, resta l'unica cosa di cui vogliamo parlare. Forse siamo nati soltanto per amare e preoccuparci delle persone che conosciamo, e per continuare ad amare e a preoccuparci anche quando ci sarebbero cose piú importanti da fare. E se questo significa che la specie umana si estinguerà, in un certo senso non è forse un bel motivo per estinguersi? Il motivo piú bello che si possa immaginare? Perché quando avremmo dovuto riorganizzare la distribuzione delle risorse del pianeta e passare collettivamente a un modello economico sostenibile, ci stavamo preoccupando di sesso e amicizia. Perché ci amavamo troppo e ci trovavamo reciprocamente troppo interessanti. E io questa cosa dell'umanità l'adoro, e in realtà è precisamente la ragione per cui faccio il tifo per la nostra sopravvivenza - perché siamo cosi stupidi gli uni con gli altri.

Quanto a quest'ultimo punto, parlo per esperienza diretta. Rientrando da un compleanno, ieri sera, sono scesa un po' per caso dall'autobus a Grove Park e ho proseguito a piedi fino a casa di Simon. Immagino che fossi leggermente ubriaca e mi sentissi in colpa con me stessa, e forse ho pensato di poter contare su di lui per una pacca sulla spalla e qualche complimento. O forse volevo che non fosse a casa. O che ci fosse insieme a quella ragazza con cui si sta vedendo, per potermi sentire anche peggio. Non lo so. Non so cosa volessi, o cosa pensassi che sarebbe successo. Fatto sta che quando sono arrivata in cima alle scale era chiaro che il citofono l'aveva svegliato, e che si era dovuto alzare per venire ad aprirmi. Non era tardissimo, piú o meno mezzanotte. In piedi sulla porta, lui aveva un'aria vecchia e stanca. Non lo dico in senso negativo, eh. Ma immagino che in genere, quando lo vedo, sono abituata a vedere il solito bell'adolescente biondo che ho sempre visto fin da ragazzina. E trovandomelo lî sulla porta, ieri sera, mi sono resa conto che non è piú quel ragazzo. Che cosa so della sua vita, in realtà? Quando mi sono presa la mia prima cotta adolescenziale per Simon non capivo molto bene le emozioni sessuali, e per descrivere a me stessa come mi sentivo quando mi toccava - cosa che peraltro accadeva solo per sbaglio o nel modo piú casto che si possa immaginare - mi sono inventata l'espressione "il tocco speciale". Non la trovi molto buffa come espressione, "il tocco speciale"? A ripensarci adesso mi viene da ridere. Poi però ieri sera a letto mi ha preso tra le braccia e mi sono subito tornate in mente quelle parole, come se gli ultimi quindici anni non contassero niente, e l'emozione era la stessa.

Ed è finita che stamattina siamo andati a messa insieme.

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Pagina 109

13.


Quella stessa domenica mattina, a Roma, Alice non riusci a chiudere l'acqua della doccia. Dopo essersi asciugata e infilata la vestaglia, chiese a Felix di dare un'occhiata. Lui entrò in bagno e ruotò il soffione fissato al muro e controllò il modulo, premendo invano il pulsante d'accensione mentre lei stava dietro di lui con i capelli che le gocciolavano sulle spalle. Felix tolse la mascherina di plastica e strizzò gli occhi cercando di leggere una scritta all'interno. Con la mano sinistra si sfilò di tasca il telefono e lo allungò a Alice. Lesse ad alta voce marca e numero di modello e le chiese di metterli in Google, tornando a premere il pulsante d'accensione e osservando come si muoveva il congegno interno. Lei selezionò l'icona del browser e sullo schermo del telefono si aprí la pagina di un famoso sito porno. Sulla pagina apparvero una serie di risultati di ricerca per le parole chiave «anale spinto». Nel primo thumbnail si vedeva una donna inginocchiata su una sedia con un uomo alle spalle che la teneva per il collo. Sotto, in un altro thumbnail, una donna piangeva, con il rossetto sbavato e il mascara che le colava dagli occhi in modo eccessivo. Senza toccare lo schermo né interagire in alcun modo con la pagina, Alice restituí il telefono a Felix e disse: Magari prima esci da qui. Lui lo riprese, diede un'occhiata e arrossí istantaneamente fino al collo. La mascherina di plastica si staccò di nuovo, e dovette recuperarla e rimetterla a posto con l'altra mano. Uh, disse. Scusa. Gesú, che imbarazzo, scusa. Lei annui, infilò le mani nelle tasche della vestaglia, le tirò fuori di nuovo e andò in camera sua.

Pochi minuti piú tardi, Felix trovò una soluzione al problema della doccia. Dopodiché usci di casa e andò a fare un giro. Passarono diverse ore, Alice in camera sua a lavorare, Felix a camminare da solo per la città. Con gli auricolari nelle orecchie Felix passeggiò per il corso, guardando le vetrine e ogni tanto controllando il telefono. All'appartamento, Alice andò in cucina, mangiò una banana, un po' di pane, mezza barretta di cioccolato e si richiuse in camera.

Quando Felix fu di ritorno, bussò alla porta di Alice e, senza aprirla, chiese se le andava di mangiare qualcosa.

Ho già mangiato, rispose lei da dentro. Grazie.

Lui annui tra sé, si pizzicò con le dita il ponte del naso, si allontanò dalla porta poi tornò sui suoi passi. Scrollò la testa e bussò di nuovo.

Posso entrare?

Certo.

Aprí la porta e la trovò seduta contro la testiera del letto con il portatile in grembo. La finestra era aperta. Felix rimase sulla soglia, senza entrare, con una mano sullo stipite. Lei piegò la testa di lato, interrogativa.

Ho riparato la doccia, disse lui.

L'ho notato. Grazie.

Alice tornò a concentrarsi su quello che stava facendo al computer. Lui rimase li in piedi, apparentemente insoddisfatto.

Sei arrabbiata con me? chiese.

No, non sono arrabbiata.

Mi spiace per quello che è successo prima.

Non ti preoccupare, disse lei.

Lui strofinò la mano sullo stipite, continuando a guardarla.

Davvero non devo preoccuparmi, o lo dici per dire? chiese.

In che senso?

Sei diversa.

Lei alzò le spalle. Lui aspettò che dicesse qualcosa ma lei non lo fece.

Ecco, vedi, disse lui. Praticamente non parli.

Non so cosa vorresti che dicessi. Sono fatti tuoi che tipo di porno ti piace guardare. Ma sarebbe stato piú opportuno chiudere la pagina, perché l'ho trovato inquietante.

Lui aggrottò la fronte e disse: Proprio inquietante io non direi.

No, tu no di certo.

Cosa vuol dire?

Alice adesso alzò gli occhi su di lui e con un'espressione piuttosto aggressiva disse: Cosa vuoi sentirti dire, Felix? Ti piace guardare dei video in cui delle donne vulnerabili subiscono cose orribili e cosa vuoi che dica? Che va bene? Sono certa che va bene. Non finirai in prigione per questo.

Ma tu pensi che dovrei, giusto?

Quello che penso non sono fatti tuoi, o sbaglio?

Lui rise. Aveva le mani nelle tasche e scrollava la testa. Picchiettò la punta del piede contro lo stipite. Immagino che nella tua cronologia di ricerca non ci sia niente di imbarazzante, disse.

Niente del genere, no.

Be', sei veramente superiore, allora.

Lei stava battendo sui tasti e aveva smesso di guardarlo. Lui la osservava.

Secondo me non te ne importa davvero di quelle donne, disse alla fine. Secondo me ti dà semplicemente fastidio il fatto che mi piace qualcosa che a te non piace.

Forse.

O forse le invidi.

Si guardarono per un istante. Pacata, lei disse: Penso sia un peccato che mi parli in questo modo. Ma no, non invidio nessuno che debba degradarsi per soldi. Mi considero fortunata a non doverlo fare.

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