Copertina
Autore Michael Rowan-Robinson
Titolo I nove numeri del cosmo
SottotitoloL'origine e la natura del nostro universo
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2002, Futura , pag. 200, dim. 140x210x12 mm , Isbn 978-88-359-5015-8
OriginaleThe Nine Numbers of the Cosmos
EdizioneOxford University Press, Oxford, 1999
TraduttoreYurij Castelfranchi
LettorePiergiorgio Siena, 2002
Classe astronomia , fisica , cosmologia
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Indice

  7 Prologo. Que sais-je?

    I nove numeri dcl cosmo

 15 I.    Noi esistiamo
 39 II.   Non siamo in un luogo speciale
 57 III.  Un universo in espansione
 81 IV.   Un universo di età finita
 95 V.    Il Big Bang caldo
113 VI.   Materia oscura fredda
131 VII.  L’ingrediente mancante:
          «inclinazione», stringhe o
          materia oscura calda
147 VIII. Quanto pesa il vuoto?
159 IX.   Come si formano le galassie?
181 X.    I nove numeri del cosmo

195 Note
197 Altre letture
198 Referenze iconografiche

 

 

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Pagina 11

I numeri governano l’universo? Nel rappresentare tramite numeri lo stato della nostra conoscenza della cosmologia, i successi del ventesimo secolo e le prospettive per il futuro, sono stato costretto a dare l’impressione che i numeri governino l’universo. Alcuni teorici difendono il punto di vista che l’universo sia profondamente matematico nella sua struttura, e che il nostro scopo sia perciò di districare questa profonda struttura matematica. Questa visione platonica, che l’universo sia manifestazione di un qualche tipo di forma ideale, matematica, è assai di moda oggi. Alcuni di coloro che la propongono sono tanto sbalorditi da tale intuizione che si sentono spinti a darne un’interpretazione mistica. Tale profonda struttura matematica sarebbe Dio, o la mente di Dio, o la prova che esiste un Creatore. Ma perché tale intuizione, che l’universo è profondamente matematico, non è sufficiente di per sé? L’interpretazione mistica supplementare non sembra aggiungere nulla.

C’è, tuttavia, un’alternativa a tale visione platonica: potremmo pensare che la matematica sia semplicemente un’invenzione della mente umana, utilizzata come strumento per costruire un modello delle nostre percezioni limitate dell’universo. Naturalmente, man mano che tentiamo di riprodurre in un modello le condizioni estreme dell’universo primordiale e mettiamo insieme tutte le forze della fisica in una singola struttura matematica, tale struttura diviene via via più grande, approfondita, complessa. Ma resta una nostra invenzione, e non rappresenta alcuna verità ultima sull’universo. Tale punto di vista aristotelico, che io condivido, vede l’universo come qualcosa che noi tentiamo di caratterizzare, misurare, descrivere. I numeri messi in evidenza in questo libro sono, dunque, pioli sui quali appendere diversi aspetti della nostra conoscenza dell’universo. Molti di essi hanno un ricco retroterra. Tutti sono connessi tanto alla nostra conoscenza empirica (o alla mancanza di conoscenza empirica) quanto al progresso che abbiamo compiuto nella comprensione teorica.

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Pagina 126

La natura della materia oscura fredda

Ma cosa potrebbe essere questa materia oscura fredda? Attualmente, l’idea che riscuote maggior consenso è che essa sia costituita da una delle particelle postulate dai fisici delle particelle nei loro sforzi per unificare le forze della fisica. Al fine di rendere i diversi tipi di particelle fondamentali, come quark ed elettroni, equivalenti fra loro, i teorici postulano il concetto di «supersimmetria», che richiede l’esistenza di molte nuove particelle, sostanzialmente una nuova particella per ciascuna delle particelle già note (esse vengono indicate aggiungendo una «s» prima del nome della particella nota, oppure il suffisso «-ino»: squark, selettroni, fotini, neutralini o sneutrini, gravitini e cosi via). La maggior parte di queste particelle supersimmetriche, se esistono, dovrebbero essere di gran lunga troppo pesanti per fare la loro comparsa oggi in natura o persino nei nostri più potenti acceleratori di particelle. Tuttavia, la più leggera di esse, il neutralino, potrebbe avere una massa compresa fra cento e mille volte la massa di un protone, e potrebbe perciò esistere nell’universo in quantità sufficiente a costituire (in parte o tutta) la materia oscura fredda. Ci sono anche altri candidati, sempre ipotizzati dai fisici delle particelle, per la materia oscura fredda, per esempio l’assione, una particella postulata in alcuni modelli teorici allo scopo di risolvere alcuni problemi che sorgono nella teoria standard delle interazioni forti, la cosiddetta cromodinamica quantistica, o QCD. C’è poi una possibilità del tutto diversa, e cioè che la materia oscura fredda consista di buchi neri «primordiali», di masse comprese fra una e mille volte quella del Sole, [...]

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Pagina 147

L’ottavo numero del cosmo, la costante cosmologica lambda, fu introdotto da Einstein nel 1917 allo scopo di permettere l’esistenza di un modello statico di universo. L’idea è che su scala cosmologica operi una forza repulsiva, la cui forza aumenta con la distanza, e che impedisce all’universo di precipitare su se stesso per colpa della gravità. Ricordiamo che Newton, discutendo con Richard Bentley, non era riuscito a stabilire quale potesse essere il destino di un universo omogeneo, uniforme, infinito. Ipotizzò che, dato che la materia non poteva sapere da quale parte precipitare, sarebbe rimasta al suo posto. Ma, messa da parte la questione della stabilità in un simile universo infinito, statico, newtoniano, il problema è risolto nella teoria della relatività generale di Einstein. Un universo infinito e uniforme non potrebbe essere statico, se non aggiungendo la repulsione cosmologica.

Quando de Sitter, Lemaitre, Eddington e Friedmann mostrarono che erano possibili modelli in espansione senza una costante cosmologica, e quando Hubble mostrò che l’universo si stava davvero espandendo, Einstein si pentì di aver introdotto la complicazione inutile di una costante cosmologica: la chiamò «il mio più grande errore». Sentiva che l’eleganza e la semplicità della relatività generale erano state compromesse dall’introduzione di quel termine aggiuntivo e, dal suo punto di vista, non necessario. Da allora, la moda fra i cosmologi ha oscillato fra la convinzione che la costante cosmologica sia rigorosamente uguale a zero e quella che invece una costante cosmologica diversa da zero possa avere un ruolo cruciale [...]

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Pagina 193

Epilogo

Il ventesimo secolo è stato un’epoca di progressi scientifici straordinari, e ciò è più che mai evidente nel settore della cosmologia: quasi tutto ciò che sappiamo sull’universo che si estende al di là della nostra galassia, lo abbiamo appreso a partire dal 1900. I prossimi dieci o vent’anni dovrebbero portarci alla comprensione dell’universo osservabile e a determinare tutti i nove numeri del cosmo. Oltre a ciò, dobbiamo escogitare maniere di rendere visibile a noi l’universo primordiale, inosservabile. Conoscendo l’immaginazione umana, potrebbe non esserci limite a ciò che siamo in grado di fare. Sarebbe sciocco dire che la cosmologia arriverà al suo traguardo finale nel prossimo secolo. Al contrario, nasceranno intere nuove aree, che oggi non possiamo neppure immaginare, della scienza cosmologica. Faccio solo una previsione per il 2100, basata sui limiti fisici legati alla dimensione dei telescopi e degli acceleratori di particelle che possiamo costruire, e sui fondi che possono essere investiti in ricerca scientifica: credo che l’era di Planck e ciò che l’ha preceduta (se davvero è stata preceduta da qualcosa) rimarranno avvolti nel mistero. E non mi sorprenderei se restassero avvolti nel mistero persino nell’anno 3000.

 

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Riferimenti

Richard Dawkins, L’orologiaio cieco,
    Milano. Rizzoli, 1988.
George Gamow, The Creation of the Universe,
    New York, Viking, 1957.
Stephen Jay Gould, La vita meravigliosa,
    Milano, Feltrinelli, 1990.
Stephen Jay Gould, Gli alberi non crescono fino in cielo,
    Milano, Mondadori, 1997.
Edward Harrison, Darkness at Night,
    Harvard, Harvard University Press, 1987.
Edwin Hubble, The Reality of the Nebulae,
    Yale, Yale University Press, Dover, 1936.
Georges Lemaitre, L’hypothèse de l’atome primitif,
    Neuchatel, Editions du Griffon, 1946.
John Mather e John Boslough, The Very First Light,
    New York, Basic Books, 1996.
Michael Rowan-Robinson, The Cosmological Distance Ladder,
    London, W.H. Freeman, 1985.
Michael Rowan-Robinson, Ripples in the Cosmos,
    London, W.H. Freeman-Spektrum, 1993.
Michael Rowan-Robinson, Cosmology, 3a ed.,
    Oxford, Oxford University Press, 1996.
David Schrarnm e Michael Riordan, The Shadows of Creation,
    London, Viking, 1990.
George Smoot e Keay Davidson, Nelle pieghe del tempo,
    Milano, Mondadori, 1994.
Steven Weinberg, I primi tre minuti,
    Milano, Mondadori, 1977.

 

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