Copertina
Autore Massimiliano Ruzzeddu
Titolo Teorie della complessità e produzione di senso
EdizioneFrancoAngeli, Milano, 2007 , pag. 176, cop.fle., dim. 155x240x110 mm , Isbn 978-88-464-8598-4
PrefazioneMassimo Corsale
LettorePiergiorgio Siena, 2007
Classe sociologia , filosofia , natura-cultura
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

Prefazione,
di Massimo Corsale                                        9

Introduzione                                             17


1.  Le dimensioni della Complessità                      17

    1. Introduzione                                      21
    2. Il concetto                                       21
    3. Il Sistema                                        28
    4. Le Teorie del Caos                                36
    5. Incertezza                                        39

2.  Punti di vista. Gli Autori e le Scuole               61

    1. Il Santa Fé Institute                             61
    2. Morin                                             77
    3. Luhmann                                           83

3.  Natura e Cultura nelle Teorie della Complessità      91

    1. Teoria Unificata e multidisciplinarismo           91
    2. Le basi culturali della scienza moderna           94
    3. Natura naturale e natura costruita                98
    4. Natura, cultura e scienza: la proposta di Morin  108

4.  Complessità e sociologia                            117

    1. Introduzione                                     117
    2. Complessità e teoria sociologica                 118
    3. Riduzione di Complessità e produzione di senso   129
    4. Il contesto e la produzione di senso             139
    5. Linguaggio e produzione di senso                 143

Conclusioni                                             165


Bibliografia                                            169

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 21

1. Le dimensioni della Complessità


1. Introduzione


Scopo di questo capitolo è di fornire una panoramica generale delle TC attraverso un esame dei principali concetti indipendentemente dalle singole scuole teoriche, che verranno mostrate nei capitoli successivi.

Le ragioni di questa scelta sono essenzialmente due: primo, alcuni di tali concetti sono abbastanza inconsueti ed estranei sia al senso comune che al lessico sociologico abituale, per cui è opportuna una introduzione che ne chiarifichi il significato e l'importanza.

Secondo, lo spirito del presente lavoro è di esaminare se ed in che misura il pensiero sociologico sia compatibile ed integrabile con le TC, ragion per cui, in seguito, si utilizzeranno solo i concetti che più si prestano a tale confronto; una trattazione generale, allora, si rivela necessaria, in quanto permetterà, spero, al lettore di avere in seguito chiare la natura e le ragioni della selezione operata.

In altre parole, quello che mi propongo di fare in questo capitolo è fornire un'ipotesi di idealtipo di Complessità, costruito attraverso un esame dei problemi che i vari autori si sono trovati ad affrontare e delle soluzioni proposte; idealtipo che verrà poi confrontato con alcune delle principali teorie sociologiche.

Il lettore noterà, infine, che nelle prossime pagine si farà riferimento ad illustri rappresentanti, relativamente noti nella comunità scientifica, delle discipline da cui le TC sono state elaborate, a cui non è dedicato un apposito capitolo o paragrafo, come invece si farà per altri autori forse meno conosciuti (ma non necessariamente meno autorevoli).

Ho infatti deciso di trattare sistematicamente solo quelle correnti di pensiero, collocabili esplicitamente all'interno della TC; sebbene costoro ammettano quasi all'unanimità di avere enormi debiti intellettuali nei confronti di Sistemica, Cibernetica, ecc., in questi ambiti non si fa mai riferimento alla Complessità come disciplina autonoma, e di conseguenza verranno esaminati solo in ragione del loro contributo all'elaborazione di questa.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 28

3. Il Sistema


Quanto abbiamo appena detto è valido soprattutto per il Sistema, concetto cardine per le TC, anche se con una notevole eterogeneità di significati nel linguaggio comune che in diversi ambiti accademici. Nel linguaggio comune esso presenta vari significati: da sinonimo di "mezzo" od "espediente" ("c'è un solo sistema per uscire da questa situazione"), a radice semantica relativa all'ambito meccanico e tecnologico ("questo motore è un sistema complicatissimo"), a omologo di "istituzione" ("il sistema giuridico", "il sistema radio-televisivo" ecc.).

In un ambito più strettamente scientifico, il sistema implica un numero così elevato di spunti di riflessione da aver dato luogo ad una disciplina autonoma, la Sistemica, i cui contenuti, peraltro coincidono spesso con quelli delle TC propriamente dette (cfr. de Angelis, 1996), soprattutto per quello che riguarda la questione dell'incertezza.

Per entrare nel vivo del problema, vediamo come il sistema viene definito nella letteratura classica.

Scrive Von Bertalanffy: "Un sistema è definito come un complesso di elementi interagenti" (Von Bertalannfy, 1971, pag. 95 e segg.).

Se questi elementi, invece vengono presi singolarmente in considerazione (come elementi sommabili), oppure si classificano in base alle caratteristiche di ognuno (come elementi costitutivi), si assume che formino, rispettivamente, degli "insiemi" o degli "aggregati", i quali sostanzialmente coincidono con la somma delle loro parti.

Una definizione più recente, sul modello di quella di Von Bertalanffy, stabilisce che si può parlare di sistemi quando degli "insiemi di elementi, con le loro proprietà" vengono osservati tenendo presente che essi danno origine ad un'altra cosa (un sistema) altro dagli elementi, con proprietà indeducibili dagli elementi stessi e sulle quali si può agire con scarsa efficacia se si agisce solo su di essi singolarmente (Minati, 1998, pag. 25).

Un esempio potrà essere d'aiuto: un insieme di giocatori su un campo sportivo diventa un sistema quando essi si comportano come una quadra, ovvero interagiscono secondo regole prestabilite, rispettando i rispettivi ruoli e in vista di un fine comune (la vittoria in una partita).

Allo stesso modo, delle parole scritte o stampate su carta costituiscono un insieme, per esempio, se lo scritto è una lista od un elenco telefonico; se esse invece assumono una struttura coerente ed esprimono le intenzioni, le opinioni od i sentimenti di chi le ha scritte, allora formano un romanzo, un saggio, una poesia e vanno considerati come un sistema (ivi, pag. 26).

Esempi del genere sono potenzialmente infiniti e riteniamo utile soffermarsi su un ulteriore raffinamento di questa classificazione distinguendo insieme, insieme strutturato e sistema.

Si immagini la situazione in cui un passante cammina accanto ad un cantiere edile e chieda ad un operaio che gli passa vicino trasportando una carriola piena di mattoni: "scusi, che cosa sta facendo?".

Se il muratore risponde "sto trasportando un carico di mattoni!", al di là dell'ostilità che una risposta così ovvia comunicherebbe al passante, essa indica che il muratore si considera come parte di un aggregato di lavoratori, ognuno con il suo incarico specifico, agente in modo autonomo rispetto agli altri (ovvero, egli si definisce parte di un insieme).

Se il muratore risponde al passante: "stiamo costruendo un muro", significa che egli percepisce la sua attività come parte di un insieme strutturato, dove egli collabora con altri lavoratori rispettando regole e riconoscendo ruoli.

Se invece dichiara: "stiamo costruendo un palazzo", dimostra di sentirsi parte non solo di una pluralità di individui e di essere consapevole dell'interazione reciproca, ma anche del fatto che tale attività si riferisce ad un progetto complessivo, (la costruzione dell'edificio) (Minati, 1998, pp. 27-29).

Mi sono proposto con questo esempio di fornire l'occasione per una comprensione migliore della classificazione di Von Bertalanffy, intendendo mostrare come, data una pluralità di elementi, si possa costruire una scala di possibili atteggiamenti da parte dell'osservatore; ad un estremo, abbiamo il considerare i singoli elementi, studiarne la natura e tentare delle spiegazioni o delle previsioni solo in base a informazioni su tale natura; all'estremo superiore troviamo invece l'atteggiamento "sistemico", per cui si ritiene che la natura e i caratteri di singoli elementi costituenti un insieme non siano sufficienti a spiegarne le dinamiche, le quali assumono dei connotati assolutamente imprevedibili rispetto agli elementi costituitivi. Tale distinzione, però, introduce un problema ancora irrisolto nell'ambito delle TC, affrontato nel prossimo paragrafo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 61

2. Punti di vista. Gli Autori e le Scuole


1. Il Santa Fé Institute


Tipico esempio di associazionismo privato nordamericano, il Santa Fé Institute (Sfi) si costituisce nella capitale del New Mexico nel 1984, a coronamento di una lunga storia di collaborazione più o meno occasionale fra specialisti di diverse discipline, segnatamente fisica, biologia ed economia, col fine dichiarato di studiare la Complessità, nei suoi aspetti sia teorici che operativi. La storia della sua fondazione non è priva di interesse e costituirebbe già di per sé un oggetto di ricerca autonomo, ma in quest'ambito l'attenzione sarà concentrata soprattutto sugli aspetti epistemici dell'attività dell'Istituto, senza alcuna pretesa, d'altra parte, di completezza e profondità di analisi, per le quali sarebbe necessario prendere in esame raffinatissimi modelli matematici.

La Complessità al Santa Fé Institute è caratterizzata da un marcato approccio quantitativo, che la distingue da altre scuole già a partire dalla definizione di uno dei concetti fondanti della disciplina, quello di "sistema complesso", il quale risulta essere un sistema in cui sono diversamente coinvolti numerosi fattori indipendenti. Pensiamo ai milioni di miliardi di proteine, lipidi ed acidi nucleici che interagendo generano una cellula vivente, o ai miliardi di neuroni interconnessi per formare il cervello, o ai milioni di individui autonomi alla base di una società umana (Waldrop, 1996, pag. 6).

Quello che caratterizza un oggetto complesso, quindi, è il fatto di essere composto da un elevato numero di unità; anche se non si definisce una soglia quantitativa al di sotto della quale l'oggetto rimane "semplice".

Il sistema peraltro è caratterizzato dai seguenti fattori:

- Autorganizzazione spontanea: l'elevata quantità di interazioni fra le unità del sistema, e la loro ricchezza qualitativa, ne determinano la struttura, secondo una configurazione non prevedibile né determinabile in base alla natura delle unità. Così individui che cercano di soddisfare i propri bisogni materiali si danno inconsciamente una struttura economica fondata su infiniti atti di compravendita; (...). I geni di un embrione si sviluppano in un determinato modo per produrre una cellula epatica e in un altro per produrre una cellula muscolare. Gli atomi si adattano di continuo l'uno all'altro tramite il processo di evoluzione, formando un ecosistema ben sintonizzato. (...). Sono tutti esempi in cui i gruppi di agenti alla ricerca della propria consistenza e di un reciproco accomodamento riescono a trascendere sé stessi, acquisendo proprietà collettive irraggiungibili a livello individuale, quali la vita, il pensiero e l'intenzionalità (ivi, pagg. 6-7).

- Adattamento: uno dei caratteri indispensabili ad individuare e descrivere un sistema complesso, è la sua interazione con l'ambiente circostante. L'insieme di azioni e reazioni attraverso cui un sistema cerca "di volgere a proprio vantaggio qualsiasi circostanza" (ibidem), conferiscono ad esso la caratteristica definita con tale termine mutuato dal linguaggio biologico.

- Caos: questo carattere non va inteso nel senso di assoluta imprevedibilità del comportamento delle unità del sistema, ovvero non va considerato nella sua accezione comune di disorganizzazione e disordine, ma, come abbiamo già visto, nell'impossibilità di distinguere il disordine dall'ordine nell'ambito dello stesso fenomeno.

Abbiamo già avuto occasione di esaminare tali concetti in modo più ampio ed esaustivo; qui sono stati riassunti insieme per mostrare come la TC adotti gli stessi concetti per esaminare un oggetto in qualunque ambito della realtà.

I seguenti, infatti, sono degli interrogativi proposti da Waldrop, interrogativi che, per ottenere una risposta, richiederebbero categorie interpretative Complesse:

- Perché dopo decenni di dominio incontrastato in Unione Sovietica e in Europa 0rientale, il sistema a socialismo reale crollò nel giro di pochi mesi nel 1989?

- Quali sono le cause della crisi della borsa nell'ottobre 1987?

- Perché l'evoluzione delle specie viventi, nel corso di intere ere geologiche, sembra mantenersi immobile o procedere lentissima per provocare poi estinzioni di interi ecosistemi improvvise e catastrofìche che cambiano la faccia del pianeta come quella che causò l'estinzione dei dinosauri?

- Come ebbe origine la vita sulla terra? È possibile che si tratti solamente di un caso, di una combinazione favorevole fra molecole inorganiche fra le innumerevoli possibili?

- Come è stato possibile, poi, che gli organismi unicellulari si unissero per creare esseri pluricellulari, tra cui l'uomo, che a loro volta si riunirono per formare aggregati di ogni dimensione?

- Che cosa è la mente umana?

- E, soprattutto, "perché esiste qualcosa invece del nulla?" (Waldrop, 1996, pagg. 3-6).

Domande, quindi, relative ad ambiti disciplinari decisamente eterogenei e, peraltro, destinate a rimanere prive di risposta, sostiene Waldrop, finché si utilizza solo il corpus teorico specialistico di ogni singola disciplina.

Adottare invece categorie proprie delle TC potrebbe, secondo i membri del Sfi, permettere almeno una descrizione, se non una spiegazione, più efficace dei problemi sopraesposti, rafforzando, inoltre, l'opinione che sia possibile un approccio unificato all'esame scientifico della realtà, sia essa naturale, sociale o culturale.

Vediamo allora nel dettaglio la narrazione di alcune esperienze condotte al Sfi, in diversi ambiti disciplinari, per capire se effettivamente esso abbia proposto una pratica di indagine unificata e con quali risultati.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 91

3. Natura e Cultura nelle Teorie della Complessità


1. Teoria Unificata e multidisciplinarismo


Abbiamo visto che, nell'ambito dei rapporti fra discipline diverse, i teorici della Complessità si pongono, soprattutto gli ottimisti, al confine fra una posizione favorevole ad un approccio multidisciplinare ed il postulare una Teoria Unificata.

In questo capitolo si tenterà di sistematizzare entrambe le posizioni e di valutarne le implicazione teoriche in ambito sociologico.

Il Sfi, per esempio, esprime una sorta di multidisciplinarismo "temperato", cioè limitato a settori scientifici che utilizzano strumenti matematici, alternandolo con la configurazione di un sapere unico, comune all'ambito naturalistico,sociale e culturale.

Morin, dal canto suo, è alla ricerca di un paradigma comune che permetta il superamento di quello che secondo lui è il limite fondamentale della conoscenza umana contemporanea: la separazione dei saperi e la conseguente divisione di esso in discipline non comunicanti.

Tale separazione in realtà, riconosce Morin, ha permesso un notevole incremento quantitativo del sapere socialmente acquisito, e grazie a tale dissociazione

la scienza ha scoperto la cellula, la molecola, l'atomo, la particella, le galassie, i quasar, le pulsar, la gravitazione, l'elettromagnetismo, il quanto di energia (...) e ha imparato a interpretare le pietre, i sedimenti, i fossili, le ossa, le scritture sconosciute, compreso il codice iscritto nel DNA (Morin, 1985, pagg. 16-17).

Infatti, il continuo progredire della scienza dal XVII secolo a questa parte avrebbe generato una estrema parcellizzazione in una moltitudine di discipline diverse ed una conseguente iperspecializzazione degli scienziati, competenti in settori estremamente specifici di ogni disciplina.

Costoro quindi rimangono all'oscuro degli aspetti del sapere non strettamente legati al loro campo e questo implica due conseguenze: da una parte la perdita di consapevolezza da parte del singolo individuo dello stato di avanzamento e delle potenzialità della scienza, intesa sia come sapere sociale in generale che come singola disciplina. L'insieme delle informazioni raccolte, dall'altra, è quantitativamente troppo ampio per essere elaborato individualmente e viene raccolto in banche dati esterne che si prestano a manipolazione da parte di poteri forti, primo fra tutti lo Stato. Ci troviamo quindi di fronte al seguente paradosso. Più la conoscenza scientifica aumenta in quantità, più si rafforza un aumento della ignoranza generale, fenomeno definito da Morin come "intelligenza cieca". In altre parole, il progresso quantitativo della conoscenza scientifica non coincide necessariamente con un aumento qualitativo del sapere sociale e quindi con una scienza che effettivamente sappia rispondere ad interrogativi fondamentali, per cui "la domanda che giustificava (alla scienza) la sua ambizione di scienza "Che cos'è l'uomo, che cos'è il mondo, che cos'è l'uomo nel mondo?", la scienza oggi la rimanda alla filosofia, ai suoi occhi sempre incompetente per etilismo speculativo, e la rimanda alla religione, ai suoi occhi sempre illusoria per mitomania inveterata" (ivi, pag. 16).

Tuttavia per Morin la scienza avrebbe le potenzialità per rispondere alle grandi questioni esistenziali, ovvero potrebbe effettivamente svelare il senso dell'esistenza della specie umana, e quello della sua natura e del suo posto del mondo; questo però a condizione che una lunga e rigorosa riflessione filosofica dia vita ad una pratica scientifica tale da cogliere gli aspetti complessi della realtà empirica.

La Complessità secondo Morin, peraltro, è per definizione multidisciplinare, in quanto consiste in un tentativo di riunificazione del sapere umano le cui potenzialità, fintanto che esso rimane diviso in settori disciplinari distinti e non comunicanti, rimangono estremamente limitate.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 117

4. Complessità e sociologia


1. Introduzione


Abbiamo concluso il capitolo precedente mostrando che la convinzione che in qualche modo sia possibile comprendere e, di seguito, padroneggiare la Complessità rischia di ridurre le potenzialità che questa teoria possiede, di evidenziare i limiti del modello scientifico classico e dell'ideologia scientista contemporanea.

Potenzialità che ovviamente appartengono all'approccio pessimista, quando considera i limiti e l'ignoranza dell'osservatore come variabili essenziali, sottolineando "l'incertezza irriducibile delle nostre conoscenze" e lo "sgretolarsi dei miti della certezza, della completezza, dell'esaustività, dell'onniscienza che per secoli - quali comete - hanno indicato e regolato il cammino e gli scopi della scienza moderna" (Bocchi, Ceruti, 1986, pagg. 7-8).

A partire dagli anni Ottanta, tale approccio si riscontra piuttosto frequentemente nella letteratura, insieme all'idea, sempre più diffusa, che non sia nelle possibilità attuali conoscere anche la sola portata della distorsione provocata nel processo conoscitivo, idea strettamente associata alla possibilità di rinvenire il punto archimedico a partire dal quale, in quanto inizio assoluto, costruire il saldo e compatto edificio delle conoscenze.

L'ideale gnoseologico da perseguire diventa allora quello di una trasparenza e di una visibilità immediate attraverso le quali conseguire un obiettivo di perfetta adequatio rei et intellectus (Ceruti, 1986, pag. 26).

Lo stesso Morin, contemporaneamente, riconosce che la complessità si presenta come difficoltà e come incertezza, non come chiarezza e come risposta. Il problema è di sapere se sia possibile rispondere alla sfida dell'incertezza e della difficoltà (Morin, 1985, pag. 49).

L'approccio pessimista delle TC, quindi, rientra in quel filone di pensiero che, a partire da Kant, passando per Nietzsche per giungere alla fisica del ventesimo secolo, critica, quando non abbatte, la concezione moderna della realtà, rappresentata come un gigantesco meccanismo formato da oggetti in reciproca interazione, che riempiono un spazio e un tempo oggettivi ed immutabili.

Esse quindi rappresentano efficacemente l'epoca post o tardo-moderna, caratterizzata proprio dalla diffusione di incertezze e dubbi in molteplici aspetti della vita sociale, non solo fra élite intellettuali, ma anche a livello di massa; grazie all'incremento dei tassi di alfabetizzazione, infatti, nonché alla possibilità enormi di accesso ad informazione che i media garantiscono - almeno nelle società occidentali - settori sempre più vasti sono consapevoli che l'attività conoscitiva è un prodotto, o quanto nemmeno viene condizionata, dalla stessa cultura e dalla stessa società di cui dovrebbe essere uno specchio fedele (Crespi, 1998, pag. 259). È un'epoca che si caratterizza, detto sommariamente, per il fatto che la cultura ha posto se stessa come oggetto di riflessione, scoprendo il suo carattere relativo e contingente, in quanto fenomeno legato ad un dato contesto storico-sociale; si tratta di una vera e propria rivoluzione e di una rottura irreversibile con il passato, quando convenzioni, costumi e grandi narrazioni erano considerate dagli attori che le condividevano assolute, ovvero "naturali", eterne ed immutabili.

Il punto centrale di questo capitolo, però, è che all'interno di questa cornice culturale, la riflessione sociologica ha elaborato in modo del tutto autonomo, e spesso anche prima, risposte agli stessi problemi epistemici di cui le TC si sono occupate, giungendo peraltro a conclusioni affatto compatibili.

Nelle prossime pagine ci occuperemo quindi delle analogie e delle differenze fra i due ambiti disciplinari.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 165

Conclusioni


Le Teorie della Complessità costituiscono un emblema della civiltà del Ventesimo Secolo, caratterizzata dall'aver messo in discussione praticamente in tutti i campi dello scibile e della cultura umani, le certezze su cui esse si fondavano ed i riferimenti che avevano fornito agli attori sociali per secoli o per millenni. Accanto, quindi, alle rivoluzioni di Einstein e di Heisenberg in fisica, ad una filosofa che sin dall'epoca di Nietzsche cominciava a rifiutare una speculazione tesa alla ricerca di Verità Assolute, ad un'arte ed una letteratura che sempre più si allontanavano da canoni estetici che imponevano l'imitazione della realtà a favore dell'evocazione di dimensioni irrazionali ed oniriche dell'animo umano, le Teorie della Complessità accolgono la provocazione e tentano di dare il loro contributo all'elaborazione di un sapere sociale che riconosca la sua stessa incertezza ed ignoranza ed al tempo stesso elabori degli strumenti per gestire il disagio che ne scaturisce.

Il punto è che spesso questo è un tentativo non riuscito. Le Teorie della Complessità, infatti, trovano la loro origine nei problemi, teorici e pratici, derivati dalla elaborazione, alla fine del Diciannovesimo Secolo, del principio di entropia che, secondo Morin ed altri teorici, rappresenta il primo è più micidiale colpo alla rassicurante immagine che il senso comune di allora si era fatta dell'Universo fisico, e, in un secondo momento, sociale: quello di un gigantesco e perfetto meccanismo ad orologeria il cui funzionamento era virtualmente aperto alla comprensione e al dominio umani.

Prima ancora della scoperta dell'Indeterminatezza di Heisenberg, l'entropia aveva costretto prima la comunità scientifica poi, in minor misura, il senso comune a confrontarsi con dei fenomeni di disordine e degradazione assolutamente non prevedibili e tanto meno descrivibili con le categorie scientifiche tradizionali. Le Teorie della Complessità, nelle sottoversioni della Sistemica, della Teoria del Caos e della Cibernetica, quindi, nacquero allo scopo di inquadrare in qualche modo i fenomeni entropici in una cornice di riferimento in cui l'osservatore non era più quell'essere praticamente onnipotente in grado di squarciare i veli del mistero e dell'ignoranza in qualunque ambito del reale.

Se, di fatto, tali strumenti concettuali consistevano in funzioni stocastiche particolarmente elaborate, le implicazioni filosofiche della presa d'atto di un universo disordinato non rimasero inosservate a lungo e così, alcuni esperti del ramo prima, poi dei filosofi e dei sociologi professionisti dopo, ne trassero spunto per delle riflessioni che andavano al di là della descrizione dei moti gassosi.

Ne è derivato un insieme piuttosto confuso di sistemi di pensiero, confusione dovuta non solo all'eterogeneità degli apporti teorici e degli oggetti osservati, ma anche delle conclusioni tratte, senza contare un ambiente intellettuale che, come abbiamo visto, produceva dibattiti analoghi negli ambiti culturali più disparati.

Dal materiale a mia disposizione, tuttavia, credo di essere riuscito ad individuare una linea di separazione fra due modi di intendere la Complessità: da una parte abbiamo quanti, soprattutto fra gli autori meno recenti, sostengono non solo di aver identificato i] problema dell'ordine e del caos ma anche di averlo risolto.

Dispositivi statistici e concetti come quello di emergenza, di feed back ecc. sarebbero degli strumenti che, in quanto più elaborati, hanno una capacità performativa maggiore di quelli relativi alla scienza classica. Le Teorie della Complessità, quindi rappresenterebbero, se non una rivoluzione scientifica, quanto meno quel salto di qualità in termini paradigmatici che consente al progresso della scienza e della conoscenza di continuare la sua trionfale marcia in avanti.

Ma non è tutto, perché l'aver rinvenuto delle regolarità dell'Universo dietro a fenomeni di caos e di disordine implicherebbe l'aver individuato principi organizzativi che, precedenti e trascendenti la realtà empirica, una volta riconosciuti e descritti a pieno, costituirebbero l'oggetto di una Teoria Generale Unificata, valida per descrivere qualunque fenomeno.

Questo partito, che praticamente ha cacciato dalla porta la metafisica della scienza moderna per farla rientrare dalla finestra, è stato, peraltro, quello che ha prodotto il primo tentativo di usare le Teorie della Complessità in sociologia.

A causa anche della confusione semantica fra il concetto di Sistema e quello di Sistema Sociale, così, la Teoria Sociale Complessa si è tradotto nella riproposizione di un approccio macro e struttural-funzionalista, nella cornice di una metafora organicista e, di conseguenza, di un determinismo che, sebbene di natura probabilistica e non lineare, non per questo si espone di meno a critiche di conservatorismo.

La seconda e più recente versione della Complessità, al contrario - nella quale vanno incluse sia la versione "realista" che la "pessimista" - riconosce l'esistenza dell'ignoranza e della distorsione soggettiva nei processi conoscitivi; tuttavia, pur non rifiutando gli strumenti concettuali cui abbiamo accennato prima, li considera adatti a prendere atto di questa condizione ed a gestirla, nella convinzione che un'esplorazione empirico-razionale della realtà non sarà mai in grado di oltrepassare determinati limiti.

Tale visione, fra l'altro, è quella che maggiormente si adatta alle condizioni di incertezza generalizzata, sia sul piano culturale che su quello politico-strutturale comunemente definita come tarda o post-modernità.

Dal punto di vista strettamente sociologico, quindi il mio intento è stato quello di dimostrare da un lato che da una parte le nozioni che costituiscono le TC hanno un notevole potenziale euristico non solo in un approccio macro, ma anche e soprattutto nello studio di fenomeni di azione ed interazione individuale; dall'altro che proprio gli stessi problemi di indeterminatezza erano stati affrontati autonomamente in sociologia ben prima che si operasse il tentativo di introdurvi le TC.

Ho quindi cercato di individuare le tre sfere concettuali che in sociologia maggiormente presentano tali problemi, esse sono:

- Contesto: dal punto di vista dello scienziato sociale, l'approccio contestualista, oltre ad essere teoreticamente affine a quello relazionale, implica l'inclusione nella spiegazione di un fenomeno anche delle variabili scartate in quanto contingenti. Dal punto di vista del senso comune, esso consiste nell'esame delle strategie di definizione della situazione.

- Soggettività: per il ricercatore, si traduce in tutti i modelli epistemologici che includono l'osservatore nella descrizione dell'oggetto e, di conseguenza, adottano un approccio riflessivo. Nel senso comune, essa è una dimensione relativamente ancora inesplorata, essendo un ambito di pensiero ancora legato a schemi tradizionali di approccio alla realtà.

- Linguaggio: esso corrisponde all'orizzonte insormontabile della conoscenza sia per lo scenziato che per il senso comune. Per il primo esso rappresenta lo strumento per l'interpretazione della realtà e per l'organizzazione delle proprie esperienze. Esso deve rispondere non tanto al criterio di verità quanto di adeguatezza.

Mi sono permesso di elencare questi tre punti con l'intento non solo di sistematizzare le difficoltà della ricerca contemporanea, ma anche di attribuirle all'attore sociale nella vita quotidiana, nella convinzione che essi siano i luoghi in cui maggiormente si delinea il conflitto fra crisi delle categorie razionali tradizionali ed aspettative di risposte certe ed univoche che caratterizza la crisi di senso contemporanea.

| << |  <  |