Copertina
Autore Farian Sabahi
Titolo Storia dell'Iran
Sottotitolo1890-2008
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2009, Sintesi , pag. 168, cop.fle., dim. 14,5x21x1,6 cm , Isbn 978-88-6159-239-1
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe paesi: Iran , storia: Asia , storia contemporanea
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Indice


 XI  Premessa


  1  1.   I Cagiari: una dinastia in crisi

  1  1.1  La modernizzazione mancata dell'Iran
  7  1.2  Le cause del ritardo
 13  1.3  Il ruolo delle donne
 20  1.4  Il boicottaggio della concessione per il tabacco (1890-1892)
 23  1.5  L'assassinio di Naser al-Din Shah e
          l'ascesa al trono del figlio Muzaffar al-Din

 27  2.   La rivoluzione costituzionale

 27  2.1  Le cause
 33  2.2  I protagonisti della rivoluzione
 35  2.3  La scintilla
 36  2.4  Il parlamento e la Costituzione limitano il potere
          del sovrano
 39  2.5  Il fallimento del colpo di Stato dello scià contro
          il parlamento
 40  2.6  All'indomani della vittoria costituzionale
 44  2.7  Un confronto con i Giovani Turchi

 47  3.   La prima guerra mondiale

 47  3.1  La Gran Bretagna e la Russia attaccano l'Impero
          ottomano dall'Iran
 49  3.2  Conseguenze militari per l'Iran
 51  3.3  Conseguenze economiche e politiche per l'Iran
 52  3.4  L'accordo anglo-persiano

 55  4.   Gli anni venti e trenta: Reza Shah Pahlavi

 55  4.1  Il nuovo Medio Oriente
 55  4.2  Il colpo di Stato
 60  4.3  Politica interna
 61  4.4  Comunicazioni, economia e modernizzazione
 67  4.5  I rapporti con gli 'ulema
 69  4.6  La ricchezza personale accumulata dal sovrano
 70  4.7  La politica estera di Reza Shah
 72  4.8  Un parallelo con la Turchia di Atatόrk
 73  4.9  Gli intellettuali

 75  5.   La seconda guerra mondiale e l'ascesa di Muhammad Reza Shah

 75  5.1  L'apparato militare iraniano
 76  5.2  L'invasione britannica e sovietica
 77  5.3  Reza Shah abdica: gli succede il figlio Muhammad Reza
 79  5.4  L'accordo tripartito tra Londra, Mosca e Teheran
 81  5.5  La rivolta del pane
 82  5.6  La conferenza di Teheran

 87  6.   Petrolio e nazionalismo con il premier Mossadeq

 88  6.1  Lo scià detiene il controllo?
 89  6.2  Il generale Razmara primo ministro
 90  6.3  La nazionalizzazione dell'AIOC e la nomina
          di Mossadeq a primo ministro
 91  6.4  La risposta della Gran Bretagna
 95  6.5  Il colpo di Stato contro Mossadeq
 97  6.6  Le cause del fallimento di Mossadeq
 99  6.7  La concessione dell'AIOC a un nuovo consorzio
100  6.8  Il patto di Baghdad

103  7.   Riforme e proteste degli anni sessanta e settanta

105  7.1  Le pressioni di Washington e la crisi economica
107  7.2  La "rivoluzione bianca"
108  7.3  La riforma agraria
110  7.4  L'esercito del sapere
110  7.5  L'esercito dei religiosi
112  7.6  Il petrolio e la corsa agli armamenti
114  7.7  La protesta di Khomeini, l'arresto e l'esilio
117  7.8  Il bazar e la moschea

127  8.   La rivoluzione del 1979 e la prima fase
          della Repubblica islamica

127  8.1  Le cause della rivoluzione
128  8.2  Gli eventi
133  8.3  La filosofia politica di Khomeini
135  8.4  Gli ayatollah contrari al velayat-e faqih
137  8.5  La crisi degli ostaggi
139  8.6  Bani Sadr presidente della Repubblica islamica
141  8.7  Il complotto Nuzhih
142  8.8  La presidenza di 'Ali Khamenei (1981-1989)
143  8.9  La guerra Iran-Iraq (1980-1988)
147  8.10 La fatwa di Khomeini contro Salman Rushdie
149  8.11 Perché l'Iran non riuscì a esportare la rivoluzione?

151  9.   I presidenti Rafsanjani e Khatami: ricostruzione e riforma

151  9.1  L'ayatollah Montazeri
153  9.2  La revisione della Costituzione
154  9.3  La successione di Khamenei alla carica di faqih
155  9.4  Rafsanjani presidente
160  9.5  L'economia della Repubblica islamica
163  9.6  La caduta dell'Unione Sovietica
165  9.7  L'embargo americano
166  9.8  Il primo mandato del presidente riformatore Khatami
170  9.9  Il secondo mandato di Khatami
174  9.10 Al-Qaeda
176  9.11 Il nucleare

179  10.   La presidenza di Mahmoud Ahmadinejad (2005-2009)

180  10.1  Le elezioni presidenziali del giugno 2005
181  10.2  Chi è Ahmadinejad?
182  10.3  Ahmadinejad e la rivoluzione
184  10.4  Da governatore di provincia a sindaco della capitale
188  10.5  Perché Ahmadinejad è fin dall'inizio considerato
           un estremista
189  10.6  Ahmadinejad e il suo mentore, l'ayatollah Mesbah Yazdi
190  10.7  L'insediamento di Ahmadinejad e del governo
192  10.8  Le ragioni del consenso
193  10.9  La visione mistica di Ahmadinejad
194  10.10 L'elezione di Rafsanjani alla presidenza
           dell'Assemblea degli esperti
195  10.11 Le elezioni parlamentari del 14 marzo 2008
197  10.12 Da mediatore sul nucleare a presidente del parlamento:
           'Ali Larijani
198  10.13 Il licenziamento del ministro degli Interni 'Ali Kordan
199  10.14 Le dichiarazioni di Ahmadinejad
200  10.15 La reazione della comunità ebraica in Iran
202  10.16 Il nucleare nella storia dell'Iran e
           la testimonianza dello scienziato dello scià
203  10.17 Il nucleare con Ahmadinejad
205  10.18 La condizione femminile
206  10.19 Il decreto per la protezione della famiglia
207  10.20 La campagna per l'uguaglianza
208  10.21 La lapidazione
210  10.22 Il giro di vite contro le minoranze
212  10.23 Lo sciopero dei bazarì
212  10.24 Verso le elezioni presidenziali del 12 giugno 2009
214  10.25 I marinai britannici catturati dai pasdaran
216  10.26 La connection israeliana: l'imprenditore impiccato
           e il blogger arrestato
216  10.27 Il fattore russo
219  10.28 La vittoria di Obama e le conseguenze per l'Iran

223  Cronologia
243  Glossario
251  Nota bibliografica
261  Indice dei nomi

 

 

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Pagina XI

Premessa


L'elezione di Barack Obama alla Casa Bianca segna una nuova epoca. Durante la presidenza di George W. Bush l'isolamento di Teheran si è accentuato e ormai la Repubblica islamica guarda sempre più a Oriente nelle relazioni diplomatiche, nelle possibilità di business e, per quanto riguarda i giovani, nella ricerca di nuove opportunità di studio e poi di lavoro in paesi dove sia meno difficile ottenere il permesso di soggiorno rispetto all'Europa e agli Stati Uniti.

Lascio agli specialisti di scienza politica la previsione degli scenari sui possibili sviluppi futuri ed essendo una storica con una formazione economica in questa premessa mi soffermerò invece sulle date e sui dati.

Cominciamo dalle date. Il 44° presidente americano è nato nel 1961, come il sindaco di Teheran Baqer Qalibaf. Mahmoud Ahmadinejad è nato nel 1956 e il presidente del parlamento 'Ali Larijani nel 1958. I riformatori Muhammad Khatami e Mehdi Karrubi sono invece nati rispettivamente nel 1943 e nel 1937: appartengono quindi alla vecchia guardia e – a differenza di Ahmadinejad, Qalibaf e Larijani che sono l'espressione politica dei paramilitari – portano il turbante del clero. Lo stesso vale per Hashemi Rafsanjani, considerato dapprima un conservatore e ora un pragmatico, ma comunque classe 1934 ed esponente della gerarchia sciita. Una prima riflessione riguarda quindi la nuova generazione arrivata, dopo anni di gavetta, a occupare i punti nevralgici del potere. Negli USA come in Iran.

Ma le analogie si fermano qui. Se Obama è figlio della pace e il candidato repubblicano McCain, veterano del Vietnam, lo aveva accusato di inesperienza, il presidente iraniano Ahmadinejad e i suoi colleghi hanno combattuto contro l'Iraq (1980-1988). Quando si tratterà di negoziare, il punto di partenza di Obama potrebbe quindi essere diverso da quello dei suoi interlocutori a Teheran. Senza sottovalutare il fatto che secondo la Costituzione iraniana la politica estera è – come il programma nucleare – prerogativa del leader supremo e non del presidente della Repubblica.

Prima di passare ai dati, va ricordato che il 1° febbraio 2009 ricorre il trentesimo anniversario del ritorno in patria dell'Ayatollah Khomeini e sarà quindi, tenuto conto delle sfide interne ed esterne, un momento di riflessione sul futuro della Repubblica islamica.

Passiamo quindi ad esaminare le cifre sull'economia. L'Iran è un paese molto ricco: possiede il 9% delle riserve mondiali accertate di petrolio (circa 138 miliardi di barili), seconde solo a quelle dell'Arabia Saudita, e il 15% del gas del pianeta (27,5 trilioni di metri cubi). Ma non possiede il know-how per esplorare i giacimenti, sfruttarli e costruire impianti di liquefazione del gas, tecnologie quasi tutte in mano agli americani e agli europei. Il paradosso dell'Iran è quindi la dipendenza dall'estero (soprattutto dall'Europa e dall'Asia) per i rifornimenti di carburante che, in mancanza di raffinerie in grado di far fronte al fabbisogno, deve essere in parte lavorato all'estero e poi importato.

L'Iran è un paese ricco ma la stragrande maggioranza degli iraniani non lo è: il reddito medio pro capite annuo è di 3470 dollari (Banca mondiale, 2007) e, senza una strategia di diversificazione, l'economia dipende dal petrolio in modo eccessivo: secondo l'Organizzazione mondiale per il commercio l'87,3% delle esportazioni iraniane è costituito da risorse energetiche, mentre i manufatti rappresentano l'8,7%, i prodotti agricoli il 4,1% e incidono quindi in modo decisamente minore. Le esportazioni sono dirette soprattutto verso il Giappone (23,9%), la Cina e Taipei (22,5%), e l'Unione Europea (19,8%). Da quest'ultima arriva la maggioranza dei prodotti importati (9%), a dimostrare un legame molto forte. Nella Repubblica islamica la corruzione è diffusa, mancano investimenti stranieri diretti e le banche hanno aumentato il tasso di interesse passivo, rendendo più costosi i prestiti per gli imprenditori. Secondo fonti governative il tasso di disoccupazione era pari all' 11,3% nel 2007 per ridursi al 10,3% nel 2008 ma, tenuto conto che ogni anno 750 000 giovani si affacciano sul mercato del lavoro, il dato reale è sicuramente più alto. A fronte di queste difficoltà migliaia di persone, le più qualificate, cercano nuove opportunità all'estero. La fuga di cervelli è accompagnata dalla fuga di capitali. Se questi erano un tempo depositati nei paesi occidentali, la minaccia di sanzioni per il programma nucleare iraniano ha fatto sì che gli iraniani spostassero i loro risparmi verso i mercati asiatici.

Il dato più interessante riguarda i giovani: su una popolazione di 71,2 milioni, la metà ha meno di venticinque anni. Sono proprio loro, che non hanno vissuto né il regime autoritario di Muhammad Reza Shah e le retate della spietata polizia segreta SAVAK, né l'entusiasmo della Rivoluzione islamica del 1979 e il fascino dell'Imam Khomeini, a chiedere qualcosa di diverso, ispirato agli ideali di libertà e democrazia. Come renderli concreti? Un cambio di regime difficilmente potrà dare i frutti sperati: esiste sì un'opposizione interna ma è mal organizzata e non ha un leader carismatico, la società iraniana resta tradizionale e nazionalista; un attacco esterno sarebbe quindi controproducente perché non farebbe altro che avvicinare gli iraniani alla leadership della Repubblica islamica. Anche una rivoluzione "di velluto" è un'ipotesi difficile da realizzare: i rischi per la società civile sono alti, come dimostrano gli arresti di tanti intellettuali e attivisti alcuni dei quali anche con doppia cittadinanza, e in questa fase storica gli iraniani non sembrano disposti a rischiare tanto.

Come in altre parti del mondo, gli iraniani rincorrono il benessere studiando e cercando di emigrare e in questo sembrano più determinati di altri: imparano diverse lingue straniere, si preparano all'esame di accesso all'università già dai primi anni della scuola superiore e navigano abitualmente in rete (gli utenti di Internet sono 23 milioni). Sono questi giovani, cresciuti durante i due mandati presidenziali del riformatore Khatami (1997-2005), a temere maggiormente la crisi economica. Essa è in parte motivata dall'isolamento internazionale causato da più fattori: crollato l'impero sovietico, l'Iran è diventato per gli Stati Uniti "il nemico necessario"; le dichiarazioni del presidente Ahmadinejad hanno poi peggiorato una situazione già difficile, soprattutto nei confronti di Israele, sebbene i due paesi non abbiano confini comuni né un contenzioso territoriale. La tensione tra lo Stato ebraico e la Repubblica islamica sarebbe quindi motivata da fattori esclusivamente ideologici. Diversa l'origine della tensione con i paesi arabi: con l'Iraq resta la definizione del confine lungo il fiume Shatt al-Arab, con gli Emirati le tre isole contese nel Golfo e con l'Arabia Saudita le discriminazioni di cui sono oggetto gli sciiti nella penisola. L'opposizione degli arabi nei confronti dell'Iran si spiega così: se il baricentro della politica estera statunitense si spostasse a Teheran, diminuirebbe il sostegno americano verso paesi arabi come l'Egitto il cui regime non potrebbe reggersi senza l'aiuto di Washington.

Soffocato nel 1953 dal colpo di Stato dei servizi segreti americani e britannici contro il controverso nazionalista Mossadeq, il seme della democrazia era stato gettato ancora una volta, nella Repubblica islamica fondata dall'Ayatollah Khomeini, con il presidente riformatore Khatami. Sebbene il Consiglio dei guardiani operi una severa selezione sui candidati iscritti alle elezioni e la scelta degli iraniani sia limitata a una rosa di personaggi legati all'establishment, l'ultima parola spetta al popolo, che nel 1997 aveva sorpreso tutti votando a maggioranza per il poco noto Khatami anziché per il conservatore Nateq-Nuri, favorito dal leader supremo Khamenei. E nell'estate del 2005 ha scelto, al secondo turno delle presidenziali, il populista Mahmoud Ahmadinejad sbaragliando ogni sondaggio che dava invece per vincente il conservatore pragmatico Rafsanjani, da molti iraniani accusato di corruzione e di essersi indebitamente arricchito.

Rispetto agli eventi politici nel resto del Medio Oriente, dove le repubbliche ereditarie si alternano alle monarchie insediate dalle potenze coloniali, in Iran il processo elettorale può quindi essere considerato più democratico, e sicuramente lo è di più oggi rispetto al passato. La presidenza di Khatami ha prodotto un grande cambiamento nel modo di fare politica nella Repubblica islamica, rendendo le elezioni il teatro dello scontro tra le diverse fazioni e spostando al centro della sfera pubblica la società civile. Composta da avvocati, giornalisti, insegnanti, intellettuali, studenti ed editori, la società civile è particolarmente vivace e rappresenta la vera sfida per l'establishment anche se, a mio parere, non al punto da ribaltare il sistema. Anche se Khatami e i suoi sostenitori non sono riusciti a trasformare i loro elettori in una forza coerente a sostegno di un governo democratico e la società civile è rimasta vittima della magistratura anche durante la presidenza riformatrice. In questo contesto, un intervento armato degli americani oppure degli israeliani – magari con il pretesto del nucleare – impedirebbe ancora una volta al germoglio della democrazia di crescere e fiorire.

Per spiegare il presente è fondamentale conoscere la storia e, a questo proposito, gli esempi significativi sono due. A oltre cinquant'anni dal colpo di Stato contro Mossadeq, per gli iraniani il promotore della nazionalizzazione del petrolio rappresenta il futuro negato e la sua memoria è ormai entrata nel mito sebbene, trattandosi di un laico, la Repubblica islamica non gli riservi celebrazioni particolari. Ciò nonostante il presidente Ahmadinejad ha citato proprio Mossadeq in uno dei primi messaggi apparsi sul suo blog.

Il secondo esempio riguarda le proteste. Quelle dell'ottobre 2008 dei bazarì, contrariati dall'imposizione di una tassa del 3% sul valore aggiunto, richiamano il ruolo di primo piano svolto dai mercanti nella Rivoluzione del 1979 e ricordano la rivolta del tabacco di fine Ottocento. La prima protesta popolare risale infatti al 1891-1892, dopo che lo scià aveva assegnato a uno straniero la concessione per lo sfruttamento e la vendita del tabacco, un prodotto largamente consumato in Iran. Con una fatwa, l'ayatollah Shirazi vietò agli iraniani di fumare. I mercanti, i religiosi e persino le donne dell'harem reale fecero fronte comune, astenendosi dal fumo e obbligando così lo scià ad annullare la concessione. Si trattò della prima alleanza pubblica e ufficiale fra íl clero e il bazar, due gruppi legati tra loro poiché i figli dei religiosi sposano le figlie dei mercanti e viceversa. Tuttavia, rispetto al 1892 – e al 1979 – oggi in Iran mancano un leader e una chiara proposta politica, e il fronte della protesta non è unito. I religiosi, sempre più potenti anche sotto il profilo finanziario ed economico, sono schierati dall'altra parte della barricata e questo spiega, in parte, il fallimento delle rivendicazioni di inizio millennio. Inoltre, l'affermazione dei paramilitari sulla scena politica sembra scombinare le carte e alterare la storica alleanza tra la moschea e il bazar.

Nel Novecento le rivoluzioni non sono mancate: nel 1906 la rivoluzione costituzionale portò alla creazione di un parlamento, nel 1963 la "rivoluzione bianca" diede avvio a una serie di riforme e quella del 1979 determinò l'istituzione di una Repubblica islamica unica nel suo genere. La rapida modernizzazione dell'Iran con i due sovrani della dinastia Pahlavi (1925-1979) è una delle cause della Rivoluzione islamica. Come scriveva Alessandro Bausani nel 1962, «la società persiana moderna soffre soprattutto del fatto che è passata in un periodo di tempo relativamente breve da una struttura feudale a una struttura capitalistica in decadenza, e questo soprattutto per pressione esterna».

Reza Shah, il figlio Muhammad Reza, il premier Mossadeq e l'ayatollah Khomeini sono le quattro personalità principali della storia del Novecento iraniano. Il primo, analfabeta colonnello della brigata dei cosacchi; il secondo, ambiguo riformatore educato in Svizzera e poliglotta; il terzo, campione della nazionalizzazione del petrolio iraniano; il quarto, carismatico leader religioso armato di un tale pragmatismo da non esitare a ribaltare la sharìa pur di raggiungere i propri obiettivi.

I due sovrani della dinastia Pahlavi morirono in esilio, Mossadeq agli arresti domiciliari e Khomeini in patria, con gli onori del popolo. Fu Muhammad Reza Shah a regnare per il periodo più lungo, dal 1941 al 1979. Forse addirittura troppo, al punto da essere passato alla storia più come un despota spalleggiato dall'Occidente che come uno dei grandi personaggi del secondo dopoguerra, fautore di un programma di riforme che ha trasformato l'Iran in una potenza tanto stabile e qualificata da poter sostituire la Gran Bretagna, agli occhi di Kissinger, nel ruolo di guardiano delle acque e del petrolio del Golfo Persico. Date queste quattro figure, è stato poi l'ordito delle circostanze, di tradizione e riforma, a determinare l'evoluzione del paese.


Nel 2003, quando fu pubblicata la prima edizione di questo volume, scelsi il nero come colore per contraddistinguere l'Iran del Novecento. Colore del greggio, ricchezza del paese, ha esercitato un grande fascino sulle potenze occidentali e, ancora oggi, attira le imprese petrolifere di tutto il mondo. Colore del turbante dell'Imam Khomeini e del riformatore Muhammad Khatami, ma anche di tanti altri religiosi i quali hanno determinato gli eventi e segnato il passaggio dalla monarchia a una teocrazia unica al mondo. E colore del ciadòr, segno dell'alternanza tra laicismo e religiosità obbligata: vietato da Reza Shah a metà degli anni trenta, l'abito islamico fu reso obbligatorio da Khomeini all'indomani della rivoluzione del 1979 e, nelle sue varie forme dal ciadòr al foulard, ha permesso alla massa delle donne iraniane di uscire di casa da sole e, di conseguenza, di studiare, lavorare e partecipare alla vita sociale come avviene in pochi altri paesi della regione. Una delle conseguenze del maggior coinvolgimento femminile nell'economia iraniana si riflette nel tasso di natalità: le iraniane hanno in media 1,71 figli, un numero notevolmente inferiore rispetto a quello dei paesi confinanti (Afghanistan 6,58, Iraq 3,97, Pakistan 3,58) e non troppo lontano da quello delle italiane (1,30).

Oggi, pur riconoscendo che il nero resta un colore importante, sento la necessità di spiegare ai lettori che l'Iran non è un paese monocromo. Al contrario, l'Iran va declinato a colori e in questi ultimi anni è diventato ancora più variopinto. Merito soprattutto dei foulard e degli spolverini colorati indossati dalle ragazze, un elemento rilevante dell'attuale società poiché le donne rappresentano il 65% delle matricole universitarie. L'accesso all'ateneo di Teheran, per quanto difficile e a numero chiuso, è una meta importante, al punto che sempre più genitori permettono alle figlie, in una nazione dalle tradizioni conservatrici, di trasferirsi da sole in città per proseguire gli studi universitari. L'istruzione è obbligatoria e gratuita e l'analfabetismo colpisce in pratica soltanto gli adulti, soprattutto nelle aree rurali: secondo l'UNESCO nel 2005 il tasso di analfabetismo per coloro che avevano compiuto i 15 anni di età era del 19% (13% per gli uomini e 25,1 per le donne).

Trattandosi di un testo divulgativo, ho cercato di rileggere la storia dell'Iran del Novecento nel modo più lineare e semplice possibile, fornendo al lettore il supporto di glossario, schede di approfondimento, cronologia e nota bibliografica. Rispetto alle edizioni precedenti in questa i lettori troveranno un capitolo aggiuntivo con informazioni biografiche su Ahmadinejad, sulla sua presidenza e sulle implicazioni per l'Iran dell'elezione di Barack Obama alla presidenza degli USA. Si tratta di pagine di cronaca e di analisi al servizio del lettore, prive della metodologia storica e interpretativa che anima i capitoli precedenti e, tenuto conto della rapida evoluzione degli eventi, non esaustive.

Ho inoltre tentato di tracciare paralleli con il presente, per esempio ricordando come la politica dello scià nei confronti della stampa all'inizio del XX secolo, quando la censura obbligava i giornali a chiudere i battenti, sia simile a quella di fine millennio: al tempo della presidenza del riformatore Khatami nelle edicole si trovavano 740 giornali (in tutto il paese), alcuni con un pubblico di oltre centomila lettori, mentre con Ahmadinejad le testate sono diminuite drasticamente.

Infine, ritengo sia doveroso ricordare come le violazioni dei diritti umani non siano purtroppo prerogativa esclusiva della Repubblica islamica perché lo scià non fu da meno. Nei secoli, gli iraniani hanno sperimentato sulla loro pelle periodi difficili. Il poeta Hafez visse al tempo del bigotto e violento Amir Mobarez al-Din (1318-1358) della dinastia dei Mozaffaridi che dominavano nel Fars e avevano scalzato gli Inju vassalli degli ultimi Ilkhanidi per essere poi a loro volta annientati dall'invasione dei Mongoli di Tamerlano (1393). Se Amir Mobarez ordinò la chiusura delle taverne, fra la disperazione dei buontemponi, fu suo figlio, il mecenate Shah Shoja (1358-1384), a riaprirle. E proprio alle osterie Hafez dedicò alcuni versi del suo Canzoniere, prendendo di mira gli integralisti che le avevano chiuse: Se solo le porte delle taverne potessero essere nuovamente aperte, se solo i nodi delle misure repressive potessero essere sciolti! Sii paziente, per volere di Dio riapriranno, riapriranno grazie alla purezza dei bevitori mattutini. Stanno chiudendo le porte delle taverne, o Dio, non concedere la tua approvazione, perché così apriranno le porte dell'ipocrisia. Insomma, bisogna avere soltanto pazienza, perché gli integralisti vanno e vengono e prima o poi, a dio piacendo, le taverne (e tutto quello che rappresentano) riapriranno.

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