Copertina
Autore Jonathan Safran Foer
Titolo Ogni cosa è illuminata
EdizioneGuanda, Parma, 2002, Narratori della Fenice , pag. 336, dim. 140x220x30 mm , Isbn 978-88-8246-416-5
OriginaleEverything Is Illuminated [2002]
TraduttoreMassimo Bocchiola
LettoreAngela Razzini, 2003
Classe narrativa statunitense
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Indice

Prologo al cominciamento di un molto rigido
    viaggio                                   7

Il principio del mondo giunge spesso         15

La lotteria, 1791                            22

Prologo all'incontro con l'eroe, e quindi
    incontro con l'eroe                      37

Il libro dei sogni ricorrenti, 1791          47

Innamorarsi, 1791-1796                       55

Un'altra lotteria, 1791                      64

Avanti verso Lutsk                           71

Innamorarsi, 1791-1803                       93

Segreti ricorrenti, 1791-1943               106

Una sfilata, una morte, una proposta,
    1804-1969                               111

La molto difficile ricerca                  128

La Meridiana, 1941-1804-1941                145

Innamorarsi                                 176

Il banchetto è stato davvero straordinario!
    ovvero Dopo le nozze tutto volge
    al peggio, 1941                         194

Il fantoccio della sorte, 1941-1924         199

Il sangue e un dramma, 1934                 204

Quello che abbiamo visto quando abbiamo visto
    Trachimbrod ovvero Innamorarsi          217

Innamorarsi, 1934-1941                      232

Preludio all'illuminazione                  261

Innamorarsi, 1934-1941                      273

Illuminazione                               289

Il banchetto è stato davvero straordinario!
    ovvero La fine del momento che non
    finisce mai, 1941                       300

Prime raffiche, e quindi amore, 1941        304

La petulansistenza della memoria, 1941      306

Il principio del mondo giunge spesso,
    1942-1791                               316

 

 

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Pagina 7

PROLOGO AL COMINCIAMENTO DI UN MOLTO RIGIDO VIAGGIO

Il mio nome per la legge è Alexander Perchov. Ma tutti i miei amici mi chiamano Alex, perché è una versione del nome più flaccida da pronunciare. Mia madre mi chiama Alexi-basta-di-ammorbarmi perché sempre la ammorbo. Se volete sapere perché sempre la ammorbo, è perché sempre sono in altri posti con amici, e seminando tanta moneta e eseguendo così tante cose che possono ammorbare mia madre. Mio padre mi chiamava Shapka per il cappello di pelliccia che calzavo in testa anche nei mesi d'estate. Poi ha smesso di dirmi così perché gli ho ordinato di smettere di dire così. Mi sembrava un nome bambinoso, e io invece mi sono sempre pensato un uomo molto potente e inseminativo. Ho avuto una baldoria di ragazze, credetemi, e tutte per me hanno un nome differente. Una mi chiama Baby non perché sono bambino, ma perché mi fa le coccole. Un'altra mi chiama Tutta-la-Notte. Volete sapere perché? Ho una ragazza che mi chiama Moneta perché attorno a lei spargo così tanta moneta. Che per questo bacia il terriccio dove metto i piedi. Ho anche un minuscolo fratellino, che mi chiama Alli. Io non sfagiolo troppo questo nome, ma sfagiolo molto lui, e allora okay, gli permetto di darmi il nomuncolo Alli. Ah, il suo nome è Piccolo Igor, ma il Babbo lo chiama Pasticciotto, perché sta sempre a pasticciare con le cose. Solo quattro giorni sono passati che si è fatto un occhio blu per un pasticcio con il muro di mattoni. Se siete curiosi per il nome della mia cagnetta, è Sammy Davis Junior Junior. Lei porta questo nome perché Sammy Davis Junior era il cantante preferito del Nonno e la cagnetta è sua, non mia perché non sono io quello che crede che il Nonno è cieco.

Io per me sono stato procreato nel 1977, l'anno uguale dell'eroe di questa storia. In verità, la mia vita è stata molto normale. Come ho detto già prima, faccio tante buone cose da solo e con gli altri, ma sono cose normali. Io sfagiolo i film americani. Sfagiolo i negri, soprattutto Michael Jackson. Sfagiolo di seminare molta moneta in famosi nightclub di Odessa. Le Lamborghini Countach sono bellissime cose, e anche il cappuccino. Molte ragazze vogliono essere carnali con me in tante bellissime maniere, in fattispecie il Canguro Ubriaco, la Stalattite di Gorky e il Guardiano Severo dello Zoo. Se volete sapere perché così tante ragazze vogliono stare con me, è perché io sono una molto pregiata persona. Sono alla buona, e anche simpatico: e queste sono carte vittoriose. Però io conosco molte persone che sfagiolano le automobili veloci e le famose discoteche. Ce n'è tanti che eseguono un amoreggiamento Sputnik-polmoni - che sempre termina in viscideria - che non potrei contarli tutti sulle mie mani. Ci sono anche tanti che si chiamano Alex. (Tre solo in casa mia!) Per questo ero così effervescente per andare a Lutsk e fare l'interprete per Jonathan Safran Foer. Una cosa diversa.

Nel mio secondo anno di università di inglese ho fatto paurosamente bene. Questa era una cosa molto imponente che ho fatto, dato che il mio istruttore aveva il cervello ripieno di merda. Mamma era talmente orgogliosa di me, che ha detto: «Alexi-basta-di-ammorbarmi! Sono talmente orgogliosa di te». Io le ho chiesto di comprarmi i calzoni di pelle, ma ha detto no. «Calzoncini?» «No.» Anche il Babbo era fiero. Lui ha detto: «Shapka» e io ho risposto: «Non chiamarmi così» e lui ha detto: «Alex, tua madre è orgogliosa di te».

Mia madre è una donna umile. Molto umile, umilissima. Lei affatica in un piccolo caffè a un'ora da casa nostra. Porta il mangiare e il bere ai clienti del caffè e a me dice: «Io monto sull'autobus un'ora per andare a lavorare tutto il giorno e fare cose che odio. Vuoi sapere perché? Per te, Alexi-basta-di-ammorbarmi. Un giorno farai per me cose che hai in odio. È questo che vuol dire essere una famiglia». Quello che lei non acchiappa è che io faccio già per lei cose che odio. La ascolto quando parla con me. Mi trattengo di lamentarmi della mia paga pigmea. E ho già menzionato che la ammorbo molto meno di quello che avrei voglia? Però non faccio queste cose perché siamo una famiglia. Le faccio perché è comune pudore. Comune pudore è un modo di dire che mi ha insegnato l'eroe. Le faccio perché non sono uno stronzo malcagato. Questo è un altro modo di dire che mi ha insegnato l'eroe.

Il Babbo lavora per un' agenzia dei viaggi che si chiama Viaggi Tradizione. È fatta per gli ebrei come l'eroe, che ambiscono a venire via da quel nobile territorio, l'America, e visitare umili cittadine in Polonia e Ucraina. L'agenzia del Babbo ha traduttore, guida e autista per ebrei che cercano di disseppellire i posti dove esistevano le loro famiglie. Okay, io prima del viaggio mai avevo conosciuto personaggi ebrei. Ma questa era colpa loro, non colpa mia, perché lo avrei sempre voluto: che anzi potrei quasi dire che mi sconfinferavo di conoscere uno di loro. Sarò ancora verace e dirò che prima del viaggio avevo idea che gli ebrei hanno il cervello ripieno di merda. Questo perché tutto quello che sapevo degli ebrei era che pagavano al Babbo tantissimi soldi per venire in vacanza dall' America in Ucraina. Ma dopo ho conosciuto Jonathan Safran Foer e, io vi dico, non è ripieno di merda. Lui è un ebreo geniale.

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Pagina 87

Io e l'eroe a cena abbiamo parlato molto, specialmente dell' America. «Dimmi le cose che avete voi in America» ho detto. «Cosa vuoi sapere?» «Il mio amico Gregory informa che in America ci sono tante buone scuole per i commercialisti. È vero?» «Forse. Non so. Quando ritorno, potrei informarmi.» «Grazie» ho detto perché adesso avevo un contatto in America e non ero solo e basta. «Cosa vuoi fare?» «Cosa voglio fare?» «Sì. Cosa vuoi diventare?» «Non lo so.» «Certo che lo sai.» «Varie cose.» «E che cosa vuol dire varie cose?» «Non sono ancora sicuro.» «Il Babbo mi informa che stai scrivendo un libro su questo viaggio.» «Mi piace scrivere.» Ho dato un pugno nella sua schiena. «Tu sei uno scrittore!» «Ssst!» «Ma è una buona carriera, giusto? » «Che cosa?» «Lo scrittore è molto nobiliare.» «Nobile? Non so.» «Hai già pubblicato dei libri?» «No, ma sono ancora molto giovane.» «E racconti li hai pubblicati? » «No. Be', sì... un paio.» «Come sono intitolati?» «Lascia perdere.» «Questo è un titolo di prima classe.» «No. Volevo dire proprio lascia perdere.» «Io avrei molta felicità di leggere i tuoi racconti.» «Probabilmente non ti piacerebbero.» «Perché lo dici?» «Non piacciono neanche a me.» «Oh.» «Sono esperimenti.» «Cosa vuol dire esperimenti?» «Che non sono veri racconti. Stavo soltanto imparando a scrivere.» «Ma tu un giorno avrai imparato di scrivere.» «Lo spero.» «È come diventare commercialista.» «Forse.» «Perché vuoi scrivere?» «Non so. Una volta pensavo che fosse la mia vocazione. No, non l'ho mai pensato invece. È solo una frase fatta» «No, non è vero. Io sento veramente che sono nato per fare il commercialista.» «Beato te.» «Forse tu hai la vocazione di scrivere?» «Non so. Magari. È un modo di dire orribile. Volgare.» «Non sembra orribile, e nemmeno volgare.» «È così difficile esprimersi.» «Capisco questo.» «Io mi voglio esprimere.» «Lo stesso è vero anche per me.» «Sto cercando la mia voce.» «È dentro la tua bocca.» «Voglio fare qualcosa di cui non avere vergogna.» «Qualcosa di cui essere orgoglioso, giusto?» «Neanche. È solo che non voglio vergognarmene.» «Ci sono tanti scrittori russi pregiati, giusto?» «Oh, certo. In quantità.» «Tolstoj, giusto? Lui ha scritto Guerra e anche Pace che sono libri pregiati e ha anche vinto il Premio Nobel della Pace per la Letteratura, se non mi sbaglio.» «Tolstoj, Belyj, Turgenev.» «Una domanda.» «Sì?» «Tu scrivi perché hai qualcosa da dire?» «No.» «E se posso traslocare a un altro argomento: quanta moneta guadagna un commercialista in America?» «Non so. Credo guadagnino un sacco di soldi, se sono bravi. O brave.» «Brave!» «O bravi.» «Ci sono anche commercialisti negri?» «Ci sono commercialisti afro­americani. Senti, Alex... è meglio che non usi quella parola lì.» «E commercialisti omosessuali?» «Ci sono omosessuali in tutti i mestieri. Ci sono netturbini omosessuali.» «Quanta moneta può guadagnare un commercialista negro omosessuale?» «È meglio che non usi quella parola.» «Quale parola?» «Quella prima di omosessuale.» «Quale?» «La parola che inizia per n. Cioè, non è perché inizia per n, ma...» «Negro?» «Ssst...» «Io i negri li sfagiolo.» «No, non dovresti usarla... veramente.» «Però li sfagiolo al massimo. Sono gente pregiata.» «Sì, ma è quella parola. Non è bella.» «Negro?» «Ti prego.» «Che cos'hanno i negri che non vanno?» «Ssst...» «Quanto costa una tazza di caffè in America?» «Oh, dipende. Più o meno un dollaro.» «Un dollaro! Ma è gratis! In Ucraina una tazza di caffè è cinque dollari!» «Oh, ma non intendevo il cappuccino. I cappuccini possono costare anche cinque, sei dollari.» «I cappuccini...» io ho detto elevando mani sopra di testa «... non c'è limite!» «Avete il latte macchiato in Ucraina?» «Che cos'è il latte macchiato?» «Oh, perché in America è molto figo. Davvero, te lo danno dappertutto.» «E in America avete i mocha?» «Certo, ma solo i bambini li bevono. Non sono fighi in America.» «Sì, è proprio uguale anche qui da noi. E abbiamo anche mochaccinos.» «Oh, già. Li abbiamo anche in America. Possono venire fino a sette dollari.» «E sono cosa grata?» «I mochaccinos?» «Sì.» «Be', piacciono a quelli che amano il gusto del caffè, ma anche la cioccolata calda.» «Capisco. E come sono le ragazze in America?» «Come sono?» «Sono molto informali con la loro scatolina, giusto?» «Questo lo dicono, ma nessuno che conosco ne ha mai incontrata una così.» «Tu sei carnale molto spesso?» «E tu?»

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Pagina 94

Me la sono immaginata tante volte. Un po' piccola di statura anche per la sua età - non piccola in una maniera tenera, infantile, ma come lo può essere una bambina denutrita. Idem per la magrezza. Ogni sera, prima di metterla a letto, Yankel le conta le costole, come se nel corso della giornata una fosse potuta sparire diventando seme e terreno da cui un nuovo compagno crescendo gliel'avrebbe sottratta. Mangia a sufficienza ed è sana, almeno nel senso che non si ammala mai, ma il corpo sembra quello di una bimba malata cronica, una bimba pelle e ossa, una bimba che non è del tutto libera. Ha i capelli folti e neri, le labbra sottili e lucenti e bianche. Come potrebbe essere altrimenti?

Con gran scorno di Yankel, Brod si ostinava a tagliarsi da sé quelle fluenti chiome scure.

Non è da signora, diceva lui. Quando li hai così corti sembri un maschietto.

Non dire stupidaggini, ribatteva lei.

Ma non ti danno fastidio?

Certo che mi danno fastidIo le tue sdocchezze.

Intendevo i capelli.

Secondo me stanno benisssimo.

Come fanno a stare benissimo se non piacdono a nessuno?

Secondo me stan bene.

Se sei la sola a dirlo?

Stanno abbastanza bene.

E i ragazzi, allora? Non vuoi che ti trovino carina?

Non voglio che un ragazzo mi trovi carina se non è il tipo di ragazzo che lo pensava anche prima che lo fossi.

Stanno bene, diceva allora lui. Secondo me sono stupendi.

Ripetilo un'altra volta e me li faccio crescere lunghi lunghi.

Lo so, rideva lui baciandola in fronte mentre le prendeva le orecchie fra le dita.

Il suo ammaestramento nel cucito (grazie a un libro che Yankel le portò da Lvov) coincise con il rifiuto di indossare qualsiasi indumento che non si fosse confezionata da sé; e quando Yankel le regalò un libro sulla fisiologia degli animali, Brod gli avvicinava illustrazioni alla faccia e diceva: Non trovi che è strano, Yankel, il fatto che le mangiamo?

Non ho mai mangiato un'illustrazione.

No, le bestie. Non ti sembra strano? Non posso crederci, di non averlo mai trovato strano prima. È come il tuo nome: una cosa che per un sacco di tempo non noti; ma quando finalmente lo noti non puoi tenerti dal ripeterlo un sacco di volte chiedendoti perché non hai trovato strano avere proprio quel nome, e che tutti ti abbiano chiamato così per tutta la tua vita.

Yankel. Yankel. Yankel. Non ci trovo niente di strano.

Non le mangerò più, almeno finché lo troverò strano.

Lei resisteva sempre, non cedeva in nessun caso, non cedeva, provocata o non provocata.

Io non credo che tu sia una testarda, le disse Yankel un pomeriggio, quando lei rifiutò di cenare prima del dolce.

E invece sì!

E per questo era amata. Amata da tutti, anche da quelli che la odiavano. Le strane circostanze della sua nascita intrigavano gli uomini, ma erano le sue scaltrezze, le movenze civettuole e le frasi tortuose, il rifiuto di ammettere o ignorare le loro esistenze che li spingevano a seguirla per le strade, a spiarla dalle finestre, a sognarla la notte, sognare lei, non le loro mogli e neanche se stessi.

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Pagina 98

La vita di Brod fu una lenta assimilazione del fatto che il mondo non era per lei; che, quale ne fosse la ragione, non sarebbe mai stata nel contempo felice e sincera. Aveva la sensazione di tracimare, di produrre e accumulare sempre più amore dentro di sé. Ma senza mai scioglimento. Tavolo, incanto dell'elefante di avorio, arcobaleno, cipolla, acconciatura, mollusco, Settimo Giorno, violenza, pellicina, melodramma, fossato, miele, sottocoppa... niente di tutto questo valeva a smuoverla. Si rivolgeva al suo mondo in onestà, alla ricerca di qualcosa che meritasse le quantità di amore che sapeva di avere dentro, ma a ogni cosa diceva: Non ti amo. Paletto di recinto marron-corteccia: Non ti amo. Poesia troppo lunga: Non ti amo. Cena nella scodella: Non ti amo. La fisica, l'idea di te, le tue leggi: Non ti amo. Nulla sembrava qualcosa in più di quello che era davvero. Tutto era semplicemente una cosa, impastoiata, da cima a fondo, nella propria cosalità.

Se avessimo aperto una pagina a caso del suo diario - che deve avere serbato e serbato in ogni momento, con la paura non che venisse perduto o scoperto o letto, ma di imbattersi un giorno nella cosa che finalmente valesse la pena di scrivere e ricordare e scoprire che non aveva qualcosa su cui scrivere - avremmo trovato una qualche enunciazione del seguente sentimento: non sono innamorata.

E dunque si doveva accontentare dell' idea dell'amore - di amare il fatto di amare cose della cui esistenza non le importava affatto. L'amore in sé divenne oggetto del suo amore. Lei amava se stessa innamorata, amava amare l'amore come l'amore ama amare: ed era in grado, quindi, di riconciliarsi con un mondo tanto diverso da quello che avrebbe auspicato. Non era il mondo la grande menzogna salutare: lo era la sua volontà di renderlo bello e giusto, di vivere una vita già-avulsa in un mondo già-avulso da quello dove tutti gli altri sembravano esistere.

Ragazzi, uomini giovani e maturi, e vecchi dello shtetl vegliavano seduti sotto la sua finestra a ogni ora del giorno e della notte chiedendo di poterla assistere negli studi (per i quali ovviamente non le occorreva aiuto, e nei quali non avrebbero potuto esserle di aiuto nemmeno se gli avesse permesso di provarci) o nel giardino (che cresceva come fosse incantato, e fioriva di rossi tulipani e di rose, di balsamina arancio), e forse a Brod non sarebbe dispiaciuto fare una passeggiata al fiume (dove poteva benissimo andar da sola, tante grazie). Lei non diceva mai di no e non diceva mai di sì, ma tirava, mollava, tirava le sue funi di marionettista.

Tirava: Il mio più grande desiderio, diceva, sarebbe un bicchierone di tè ghiacciato. E quel che accadeva dopo era che gli uomini facevano a gara per procurargliene uno. Il primo a ritornare poteva ricevere un rapido bacetto sulla fronte (molla) oppure (tira) la promessa di una passeggiata (da adempiersi sine die), oppure (molla) un semplice grazie, di nuovo. Dietro la sua finestra Brod manteneva un accurato equilibrio, mai permettendo agli uomini di avvicinarsi troppo, mai permettendo loro di andare troppo alla deriva. Aveva un bisogno disperato di loro, non solo per i favori, non solo per quello che avrebbe potuto ottenere a vantaggio di Yankel e di se stessa e che Yankel non poteva permettersi, ma perché fornivano dita per tappare i fori nella diga che tratteneva la verità a lei nota: cioè che non amava la vita. Che non c'era una ragione convincente per vivere.

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Pagina 296

[...] Chi sono gli ebrei ha chiesto il generale nel microfono tutti gli ebrei facciano un passo avanti ma non uno ha fatto il passo avanti. Tutti gli ebrei devono venire avanti ha detto ancora e questa volta lui gridava ma non uno ancora ha fatto il passo avanti e ti dico che se ero ebreo anch'io non facevo il passo e il Generale è venuto vicino alla prima fila e ha detto nel microfono voi indicate un ebreo o sarete considerati ebrei e la prima persona da cui è andato era un ebreo che si chiamava Abraham. Chi è ebreo ha chiesto il Generale e Abraham tremava. Chi è ebreo ha chiesto ancora il Generale e ha appoggiato la pistola alla testa di Abraham. Aaron è ebreo, Aaron e lui ha indicato il dito Aaron che era nella seconda fila dove eravamo anche noi. Due guardie hanno acchiappato Aaron e lui faceva fortissima resistenza così gli hanno sparato nella testa e questo è quando ho sentito la mano di Herschel che toccava la mia. Fate come vi è ordinato ha gridato al microfono il Generale con una cicatrice sulla faccia, altrimenti. È andato alla seconda persona della fila che era un mio amico Leo e ha detto chi è ebreo e Leo ha indicato Abraham e ha detto quell'uomo è ebreo perdonami Abraham due guardie hanno accompagnato Abraham in sinagoga e una donna nella quarta fila ha cercato di scappare via con il suo bambino nelle braccia ma il Generale ha gridato in tedesco quella lingua terribile la lingua più paurosa disgustosa e mostruosa e una delle guardie ha sparato a lei dietro la testa e dopo hanno portato lei e anche il suo bambino che era ancora vivo nella sinagoga. Il Generale è andato dal secondo uomo della fila e da quello dopo e tutti facevano segno è un ebreo perché nessuno voleva essere ucciso un ebreo faceva segno a suo cugino e uno faceva segno a se stesso perché non voleva fare segno a un altro.

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Pagina 310

E così era allorché chiunque tentasse di parlare: le loro menti restavano intrappolate nel ricordo. Le parole diventavano maree di pensiero senza inizio né fine e annegavano il parlatore prima che potesse salvarsi sulla scialuppa del punto a cui voleva arrivare. Era impossibile ricordare quello che si voleva dire; ciò a cui, dopo tutte le parole, si voleva arrivare.

Sulle prime erano atterriti. Si tenevano quotidianamente riunioni dello shtetl, le notizie dei giornali (8200 VITTIME DEI NAZISTI SUL CONFINE UCRAINO) erano passate al pettine con una cura da redattore, piani d'azione venivano disegnati e poi buttati, grandi mappe distese sui tavoli come pazienti in attesa del bisturi. Ma poi cominciarono a riunirsi a giorni alterni, e poi un giorno sì e tre no, e poi una volta alla settimana, con fnalità più di socializzazione fra scapoli e nubili che di strategia bellica. Dopo appena due mesi, senza la spinta di altri bombardamenti, i più avevano rimosso tutte le schegge di terrore che li avevano trafitti quella notte.

Non avevano dimenticato, ma si erano adattati. Il ricordo subentrò allo spavento. Nel loro sforzo di ricordare che cosa si sforzassero tanto di ricordare, poterono alla fine riflettere sulla paura della guerra. I ricordi della nascita, dell'infanzia e dell'adolescenza echeggiavano più forte delle bombe che esplodevano.

Così, nulla fu fatto. Non fu presa nessuna decisione. Niente bagagli preparati, né case svuotate. Niente scavi di trincee o fortificazione di edifici. Nulla. Aspettavano come tanti allocchi, come allocchi se ne stavano con le mani in mano e, da allocchi matricolati, parlavano di quella volta che Simon D aveva fatto quella cosa buffa con la prugna, di cui tutti potevano ridere per ore, ma che nessuno ricordava esattamente. Aspettavano di morire, e non possiamo fargliene una colpa, perché anche noi avremmo fatto lo stesso, e facciamo lo stesso. Ridevano, scherzavano. Pensavano alle candele del compleanno e aspettavano la morte, e dobbiamo perdonarli. Avvolgevano in carta di giornale le trote giganti di Menachem (I NAZISTI SI AVVICINANO A LUTSK), e portavano punte di manzo in cestini di vimini ai picnic sotto gli alti alberi vicino alle cascatelle.

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