Copertina
Autore Osvaldo Sanguigni
Titolo Il fallimento di Gorbaciov
Edizionemanifestolibri, Roma, 2005, Contemporanea , pag. 280, cop.fle., dim. 14,2x20,5x1,8 cm , Isbn 978-88-7285-510-2
LettoreFlo Bertelli, 2008
Classe storia contemporanea , paesi: Russia
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Indice


L'Andata al potere di Gorbaciov                   7

La Perestrojka                                   29

Il cruciale 1989                                 69

La crisi sociale. I movimenti sociali            83

I movimenti nazionalisti                         89

La riforma politica                             101

La contrapposizione tra Gorbaciov e Eltsin      127

La corsa verso il crollo                        151

La fine dell'Urss                               203

La tormentata fine del Pcus                     209

Il 28° Congresso del Pcus                       243

Perché il crollo dell'Urss?                     269


 

 

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Pagina 13

ECO ALL'ELEZIONE DI GORBACIOV

L'elezione di Gorbaciov a segretario generale del Pcus ebbe ovviamente una grande risonanza internazionale. Essa fu accolta con particolare entusiasmo in Italia dove i comunisti, la sinistra e non solo attendevano con ansia un profondo rinnovamento alla guida dell'Unione Sovietica. Non a caso Gorbaciov è da noi ancora popolare più che in Russia. A testimonianza delle attese che la novità di Gorbaciov aveva creato nel mondo vi è l'episodio che ebbe come protagonista Sandro Pertini, allora presidente della repubblica. Egli interruppe bruscamente la sua visita in Brasile per recarsi a Mosca ad incontrarlo. Esprimendo le speranze e le attese dei comunisti e dei democratici italiani Alessandro Natta gli inviò un messaggio in cui formulava l'augurio che l'elezione di Gorbaciov avrebbe favorito la salvaguardia della pace e il progresso economico, sociale e politico dell'Urss.

Coi comunisti italiani Gorbaciov aveva stabilito rapporti di tipo particolare. Innanzi tutto, prima ancora di diventare segretario generale del Pcus riconobbe l'autonomia del Pci nei confronti del Pcus e dell'Urss e si sforzò di «ricucire» il famoso «strappo» di Berlinguer. Agli inizi degli anni ottanta, in occasione delle vicende polacche, il capo dei comunisti italiani, oltre a criticare il comportamento dei sovietici verso la Polonia, dichiarò esaurita la carica propulsiva della rivoluzione d'Ottobre. Subito dopo la sua elezione a segretario generale del Pcus, ricordando la sua venuta in Italia in occasione dei funerali di Enrico Berlinguer, Gorbaciov a proposito dei rapporti tra i due partiti comunisti disse: «Voi italiani l'avete detto mille volte che siete indipendenti. Noi lo abbiamo detto invece duemila volte, anche ai congressi del Pcus. Siamo tutti indipendenti: sia voi che noi». E aggiunse una frase che procurò grande soddisfazione tra i comunisti italiani in quanto riconoscimento aperto del grande ruolo da essi svolti nel movimento comunista internazionale e nei confronti dell'Urss: «Le critiche di Berlinguer non sono state inutili» («L'Unità» del 13.3.1985).

I comunisti italiani si attendevano da Gorbaciov radicali mutamenti sia nella politica estera che in quella interna dell'Urss. In particolare, essi ritenevano che ai dirigenti sovietici si poneva il problema generale di una maggiore efficienza della loro società. E si chiedevano come i sovietici avrebbero risolto questo problema. A loro avviso, la soluzione non poteva dipendere solo dall'età dei dirigenti, poiché richiedeva riforme volte a modificare radicalmente i rapporti sociali e politici. Occorreva «una ventata nuova» per la società sovietica. (Boffa su «L'Unità» del 12.3.1985).


LE NOVITÀ

Quali furono le novità che comportò l'elezione di Mikhail Gorbaciov a segretario generale del Pcus? La prima e più evidente fu la novità «generazionale» che segnò di per sé un chiaro segnale delle intenzioni di rinnovamento. Chernenko e Andropov erano stati eletti segretari generali del Pcus rispettivamente all'età di 68 e 73 anni. Dopo Stalin, eletto ad appena 43 anni, Gorbaciov fu il più giovane segretario generale comunista sovietico. L'altra novità fu che Gorbaciov si era presentato già ai tempi di Chernenko come colui che aveva rotto col gruppo brezhneviano. Egli lo fece abilmente senza entrare in conflitto aperto. Spesso, ad esempio, non si recava dimostrativamente alle riunioni dell'Ufficio politico e della segreteria del Pcus per segnare un distacco dagli altri dirigenti. Pur essendo supervisore della politica agricola, si rifiutò di prendere la parola al Plenum del Cc del Pcus dedicato appunto ai problemi agricoli. Allo stesso modo disertò la riunione dell'Ufficio Politico che doveva esaminare il piano economico per il 1985. Fece di tutto per prendere le distanze dal vecchio gruppo dirigente e accreditarsi come un rinnovatore.

A tale scopo prese alcune importanti iniziative. Nel 1984 convocò una conferenza ideologica del Pcus nella quale pose con forza il problema di una migliore conoscenza della realtà sovietica e di un profondo rinnovamento della società. Dichiarò apertamente il suo sostegno ad alcuni intellettuali considerati «revisionisti» come Tatjana Zaslavskaja e Abel Aganbegjan, autori del famoso rapporto siberiano, nel quale fornivano un'analisi del tutto nuova dell'economia e dei rapporti sociali nell'Urss. Infine, c'era un'altra novità importante: Gorbaciov, per le sue doti personali, appariva di gran lunga superiore ai suoi predecessori. Ad esempio, parlava quasi sempre a braccio, senza leggere testi già preparati. Lo storico Roj Medvedev in un'intervista («Repubblica» del 24-25 marzo 1985) sostenne che Gorbaciov rappresentava una lodevole eccezione tra i dirigenti sovietici. Nel lodarne le doti personali, tra cui annoverò l'onestà, egli andò forse un po' oltre il dovuto paragonandolo a Lenin.


RIFORMATORE O CONSERVATORE?

Al momento dell'elezione di Gorbaciov la domanda che più assillava i politici e gli osservatori occidentali ma anche una buona parte dei cittadini sovietici era: sarà un riformatore o un conservatore? L'esperienza storica ha dimostrato che egli è stato un riformatore anzi un rivoluzionario. Tuttavia si è dimostrato incapace di controllare i processi da lui stesso avviati e di individuare i limiti che il sistema poneva alla sua azione riformatrice. La perdita di controllo dei processi ebbe molte cause. Non ultima la sua incapacità di invertire la tendenza storica all'indebolimento del potere della carica di segretario generale del Pcus iniziata subito dopo la morte di Stalin. Questa tendenza storica sulla quale tra i primi a richiamare l'attenzione fu il sovietologo americano Stephen Cohen (intervista a «L'Unità» del 10.3.1985) fu determinata sia dai numerosi cambiamenti avvenuti in seno alla società sovietica, che portarono al sorgere e diffondersi di altri centri di potere, sia dal fatto che salirono ai vertici del potere sovietico uomini vecchi e malati, incapaci di assicurare una direzione forte e decisa del governo del paese. Quando Gorbaciov fu eletto segretario generale del Pcus, il quesito che si posero in molti fu se questa tendenza sarebbe continuata.

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Pagina 69

IL CRUCIALE 1989



L'anno 1989 fu un anno cruciale per l'Urss. Non solo vennero al pettine tutti i problemi irrisolti, ma segnò l'inizio di un periodo di crisi della perestrojka, di rapido declino di Gorbaciov e del Pcus. «Il crollo economico – ha scritto Eric J. Hobsbawm ( Il secolo breve, p. 564) – divenne irreversibile nel corso di pochi mesi cruciali fra l'ottobre 1989 e il maggio 1990». In effetti, il bilancio di quattro anni di perestrojka in economia era assai deludente. Nell'appello rivolto «Al partito e al popolo sovietico» il 10 gennaio 1989 («Pravda» del 13.10.1989) il Pcus ammise che «l'economia ancora non ha cominciato a funzionare in modo nuovo». Ciò significava che le riforme avevano rotto il vecchio meccanismo economico, ma non avevano portato ancora alla creazione di un nuovo meccanismo. Un fallimento. Quale la conclusione politica tratta da questo fallimento? Non il ritorno indietro ma la necessità di «approfondire» la perestrojka ed estenderla a nuovi campi, in primo luogo a quello politico e istituzionale allo scopo di volgere la prua della grande nave sovietica verso la democrazia. Inoltre, la constatazione che le riforme economiche da sole come erano state concepite non portavano da nessuna parte: occorreva inquadrarle in una politica di transizione al mercato socialista.

A distanza di quattro anni dall'avvento al potere di Gorbaciov il rallentamento della crescita economica si era accentuato e riguardava sia l'industria che l'agricoltura. In quattro anni, il reddito nazionale era cresciuto in media del 3,6%, come nel periodo della stagnazione, ponendosi notevolmente al di sotto delle previsioni del piano. Ma questi dati ufficiali furono contestati da molti economisti secondo i quali non c'era stata una reale crescita. Sviluppo zero, insomma. Anche tenendo conto del doppio conteggio del valore delle materie prime e degli ammortamenti il reddito nazionale diminuiva. (V. Volovoj, L'economia al bivio, «Pravda» dell'8 marzo 1989). La politica dell'accelerazione della crescita aveva dunque fatto cilecca.

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Pagina 112

Per spiegare le cause che portarono alla nascita del «fenomeno Eltsin» si può partire dalla constatazione che l'azione di Eltsin fin dal primo momento fu caratterizzata da un forte dinamismo, come del resto quella di Gorbaciov col quale aveva in comune la radicalità. Ma, a differenza di Gorbaciov, egli finì col rappresentare l'esigenza di determinate forze sociali e politiche di passare a una diversa società basata sulla proprietà privata e sul mercato. Per questo il suo dinamismo mirò sin dall'inizio all'abbattimento del regime sovietico considerato in blocco in senso negativo. Da questo punto di vista, Eltsin può essere definito anche come l'uomo della post-perestrojka.

Eltsin ha in comune con Gorbaciov le origini sociali e l'anno di nascita: il 1931. E forse anche il coraggio. C'è voluto il coraggio di Gorbaciov ad iniziare la perestrojka rivoluzionaria in un contesto sociale e politico conservatore. C'è voluto il coraggio di Eltsin ad iniziare la lotta impari in seno all'Ufficio Politico del Pcus nel 1987, superare le avversità della disgrazia politica, avviare il processo di destrutturazione del regime sovietico. Ma mentre quello di Gorbaciov fu un coraggio razionale, che teneva conto della realtà esistente e delle resistenze che occorreva vincere per modificarla, il coraggio di Eltsin fu quello di un «kamikaze», come in seguito egli venne chiamato. Fu il coraggio di una persona che operava per istinto e ambizione. Eltsin forse era un uomo politico ma certamente non era un teorico. Nella sua ascesa politica si fece guidare da teorie elaborate da altri, da Gennadij Burbulis, da Igor Gaidar.

Di Eltsin sono state date molte definizioni. Ma chi era egli veramente durante la sua attività politica? Quale fu il segreto del suo successo? Si può iniziare a rispondere a queste domande evidenziando, innanzitutto, una qualità di Eltsin in quanto politico: quella di sapere cambiare se stesso, come un camaleonte. Era inizialmente un modesto ingegnere e si trasformò in un uomo politico capace di trascinare le folle; dal rigido funzionario del Pcus che fece distruggere su ordine di Mosca la casa di Ipatiev a Sverdlovsk (ora Ekaterinburg) dove – si diceva – fu fucilata la famiglia zarista, si trasformò nel principale sovvertitore del sistema sorto anche in seguito a quella fucilazione, da sostenitore del sistema di comando dell'economia sovietica si trasformò in fautore dell'economia di mercato più liberista al mondo. Si proclamò leninista ma mancò poco che defenestrasse Lenin dal mausoleo sulla Piazza rossa. Si definì un democratico ma prese a cannonate il parlamento russo. Dopo lo scioglimento dell'Urss, da partigiano dell'autodeterminazione dei popoli sovietici divenne negatore della loro autonomia e indipendenza, come mostra la guerra di Cecenia in corso tuttora. Eltsin dovette la sua ascesa politica anche alla fama di lottatore contro i privilegi che si era fatta. Ma, andato al potere, favorì in tutti i modi forme di clientelismo, nepotismo, appropriazione indebita e corruzione; egli stesso e i suoi famigliari furono sospettati di corruzione e concussione e questi sospetti furono una delle cause del suo anticipato abbandono del potere nel 1999.

Eltsin era anche demagogo. Quando affrontò la prima campagna elettorale per la presidenza della Russia, di fronte alla possibilità che l'allora capo del governo dell'Urss Valentin Pavlov decretasse un rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità, gridò che si sarebbe sdraiato sulle rotaie e fatto maciullare da un treno pur di impedirgli di farlo. Moderno Gandhi! Non appena andò al potere e l'Urss fu sciolta, fu egli a decretare un rialzo senza precedenti di tutti i beni di consumo, provocando un'inflazione a tre cifre. Questa decisione fu accolta con sdegno da larghe masse di persone, memori delle sue promesse e minacce di sacrificarsi per il bene del popolo, e durante le manifestazioni contro la sua politica i dimostranti portavano spesso cartelli con la scritta «Borka sulle rotaie».

È proverbiale l'imprevedibilità di Eltsin. Fu lui stesso durante la nota riunione del comitato cittadino di Mosca del partito, l'11 dicembre 1987, a dire: «il mio modo di comportarmi è semplicemente imprevedibile» («Pravda» del 13 novembre 1987). Ma il sentimento che sorresse tutta l'azione politica di Eltsin forse fu l'ambizione. In quella stessa riunione egli ammise: «negli ultimi tempi sono stato spinto da una delle mie qualità personali: dall'ambizione... Ho cercato di lottare contro di essa ma invano». Senza dubbio questa qualità è stata necessaria a Eltsin non solo per uscire dal limbo in cui era finito ma, soprattutto, per dare l'assalto al potere. Fu questa qualità a spingerlo a fare cose che molti ritenevano impossibili e a rifiutare ogni compromesso.

Eltsin non fu un vero capo di stato, per i motivi suddetti e anche perché mancava di una visione complessiva del mondo, della capacità di elaborare proprie concezioni. Ma gli vanno riconosciute alcune delle qualità richieste per essere capo di stato, come quella di ricordarsi nei dettagli tutte le questioni grazie alla sua memoria ferrea, di conoscere bene la vita concreta, di non farsi abbindolare dai ministri che lo circondavano, cosa che riesce meno, a quanto sembra, a Putin, di tenere ben ferma la barra della nave che comandava per farla giungere fino al porto da lui desiderato. Egli, inoltre, riuscì, meglio di Gorbaciov, per alcuni anni a leggere la realtà del suo paese, a interpretare le aspirazioni della parte più avanzata e riformatrice del popolo sovietico, che chiedeva radicali trasformazioni e il miglioramento sostanziale della situazione economica e sociale. Gorbaciov si fece anche lui interprete di queste aspirazioni ma pensò di non poterle realizzare se la parte conservatrice e forse maggioritaria del paese non si fosse spostata sulle sue posizioni. Di qui, la sua politica centrista e di costante alleanza coi conservatori all'interno e all'esterno del partito tanto biasimata da Eltsin e dai radicali. Fu una politica, questa, fuori del tempo poiché non si poteva puntare alle riforme e, nel contempo, allearsi con chi le riforme le temeva, non le voleva. Cosicchè, mentre Eltsin appariva agli occhi di vaste masse come un rivoluzionario, Gorbaciov che pure in sostanza voleva le stesse trasformazioni richieste dal suo rivale, appariva come un riformista moderato capace solo di barcamenarsi e prendere mezze misure.

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LA FINE DELL'URSS



LO SCIOGLIMENTO DELL'URSS

Gorbaciov andò in soccorso di Eltsin probabilmente perché questi, insieme ad altri presidenti delle repubbliche sovietiche, si era impegnato a firmare il nuovo Trattato dell'Unione il 25 novembre 1991. Non sapeva però che Eltsin, il presidente dell'Ucraina Leonid Kravchiuk e il presidente della Bielorussia Shushkevic, si stavano già accordando tra loro per liquidare l'Urss. La firma fu poi rinviata in seguito alla richiesta delle repubbliche di sottoporre il Trattato all'esame dei loro parlamenti. Questa fase era ancora in corso quando l'8 dicembre 1991 i presidenti di Bielorussia, Ucraina e Russia in un vertice presso Minsk decisero che l'Urss «quale soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica cessava la propria esistenza». Nel contempo, fu annunciata la nascita della Comunità degli stati indipendenti (Csi). Dirà Boris Eltsin in un'intervista a «Repubblica» del 19.12.1991: «Abbiamo fatto tutto in poco più di un giorno». La disinvoltura nell'accantonare i risultati del referendum del marzo 1991, nel quale la stragrande maggioranza dei sovietici si era espressa a favore della conservazione dell'Unione, la fretta con cui i tre presidenti agirono saranno sempre motivo di forti dubbi circa il loro operato.

Il vertice dei tre presidenti si svolse in un clima di segretezza sui contenuti reali dei colloqui. Si riteneva che stessero discutendo del nuovo Trattato dell'Unione e, invece, discutevano dello scioglimento dell'Unione alle spalle del suo presidente. In un'intervista a «Komsomolskaja Pravda» del 13.12.1991 Gorbaciov ammise desolato che i tre avevano fatto tutto «alle spalle del presidente» In compenso della trama dei tre era al corrente il presidente degli Usa G. Bush. Fu lo stesso Shushkevich a dirlo l'8 dicembre a Gorbaciov in una telefonata con cui gli comunicava che l'Urss era stata sciolta.

Il regista di tutta l'operazione fu Gennadij Burbulis, eminenza grigia di Eltsin. Fu lui a preparare il testo dell'accordo su richiesta dei tre presidenti. Questi avevano cominciato a pensare a una soluzione del genere più di un anno prima mettendo al corrente delle loro intenzioni Gorbaciov. Di fronte al netto rifiuto di quest'ultimo, probabilmente decisero di procedere per conto loro mentre, nel contempo, facevano finta di continuare a lavorare insieme a Gorbaciov alla nuova stesura del Trattato dell'Unione. Ecco come nell'intervista suddetta Eltsin racconta la decisione di porre fine all'Urss: «Per la prima volta se ne cominciò a parlare a dicembre dello scorso anno, quando il governo sovietico frenava le riforme. Allora Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan inviarono propri rappresentanti a Minsk per studiare la questione della formazione della comunità. Gorbaciov si oppose a questo piano ma i documenti rimasero e noi li prendemmo di nuovo in esame a Minsk l'8 dicembre. Per concludere l'accordo abbiamo avuto bisogno soltanto di un giorno e mezzo». Un giorno e mezzo per liquidare l'Urss e creare una comunità di stati indipendenti priva di linfa vitale e di prospettive di sviluppo.

La svolta dell'8 dicembre 1991 fu definita un «colpo di stato costituzionale» («Pravda» del 25.2.1992). E non poteva essere definita diversamente visto che tre signori si arrogarono il diritto di stracciare la carta costituzionale, ignorando non solo la volontà del presidente ma, soprattutto, la volontà di tutto il popolo sovietico. Solo perché il loro gesto andava nettamente a vantaggio dell'Occidente essi poterono continuare a essere chiamati da noi «democratici». Basta guardare al modo anche beffardo con cui giunsero a prendere la decisione di scioglimento dell'Urss. È lo stesso Kravchiuk, presidente dell'Ucraina a raccontarcelo con non celata soddisfazione in un'intervista a «Parismatch» dell'11 dicembre 1991: «Come si è svolto questo incontro nel bosco bielorusso?», domandò il giornalista. E Kravchiuk: «Adesso le dirò la novità. Eltsin si era portato con se il testo gorbacioviano sull'Unione. Gorbaciov ci faceva la seguente proposta: l'Ucraina può approvare qualsiasi modifica, rivedere paragrafi interi, persino produrre una nuova bozza ma a una sola condizione: essa deve prima firmare questo trattato. Eltsin posò il testo sul tavolo e riferì la richiesta di Gorbaciov. Ossia: "firmate questo documento con o senza modifiche?". Egli stesso aggiunse che avrebbe firmato solo dopo di me. In tal modo – disse Kravchiuk – il destino del trattato dipendeva interamente dall'Ucraina. Io risposi "no". Subito si pose la questione della preparazione di un nuovo documento. Gli esperti lavorarono tutta la notte». È difficile definire il comportamento descritto da Kravchiuk corretto e serio e apprezzare positivamente una scelta fatta con così tanta leggerezza, senza tenere minimamente conto delle conseguenze che essa avrebbe avuto sulla vita dei popoli dell'Urss e sul mondo intero. Mancanza di serietà e leggerezza che forse trovano spiegazione nelle voci diffuse a proposito del «vertice», secondo cui i tre presidenti si riunirono dopo avere abbondantemente gozzovigliato.

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