Copertina
Autore Gianpasquale Santomassimo
Titolo Hitler in caricatura
SottotitoloLa satira sul Führer raccolta e commentata dal suo partito
Edizionemanifestolibri, Roma, 2003, Album , pag. 160, cop.fle., dim. 166x238x11 mm , Isbn 978-88-7285-341-2
OriginaleHitler in der Karikatur der Welt
EdizioneRentasch, Berlin, 1933
PrefazioneGianpasquale Santomassimo
TraduttoreLuigi Garzone
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe satira , storia contemporanea
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Indice

Introduzione di Gianpasquale Santomassimo        7

Hitler nella caricatura mondiale                21

Perché un'edizione popolare?                    22

Le immagini                                     24

Fatti contro caricature. Raccolta di immagini   28

Indice delle testate                           158
 

 

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Pagina 7

Introduzione

Gianpasquale Santomassimo


Il libro che presentiamo è certamente unico nel suo genere. E' una raccolta di caricature di Hitler edita nell'autunno del 1933 dal suo stesso partito e diffusa in larga tiratura, con commenti che puntigliosamente ribattono alle argomentazioni dei critici. Fu ristampata nel 1938 in "edizione popolare", sostanzialmente immutata, tranne una significativa circostanza a cui accenneremo.

Nel 1939 uscì in Germania anche una raccolta di caricature di leaders mondiali, senza però vignette su Hitler. Alcune caricature di Hitler si possono trovare invece in un pamphlet del Ministero della Propaganda (Unser aller Hitler) pubblicato nel 1940, ma destinato esclusivamente ai tedeschi che risiedevano nella Francia occupata.

Di fronte a questo libro possiamo senz'altro dire che non solo non si conoscono casi analoghi nei regimi totalitari dell'epoca, ma si può anche aggiungere che essi appaiono impensabili.

Proprio facendo riferimento a questo precedente tedesco, il curatore di una raccolta di caricature di Mussolini pubblicata a Liberazione appena awenuta notava che il "Duce" non avrebbe mai tollerato l'uscita di libri simili. Aveva anzi vietato qualsiasi forma di raffigurazione irriverente di se stesso e del re. Il regime fascista era ossessionato dalle caricature della stampa estera, e in maniera particolare da quelle che provenivano dall'ambiente antifascista dei "fuorusciti". La vicenda del Becco giallo di Alberto Giannini vede numerosi tentativi di pressione sulle autorità francesi per vietarne la pubblicazione, e infine di corruzione e acquisizione del controllo della testata.

Lo stesso ordine di considerazioni può valere per l'Unione Sovietica di Stalin, dove pure si era affermata nel Krokodil una scuola di caricaturisti molto efficaci nella critica degli avversari, ma dove qualsiasi traccia di irriverenza nei confronti di Stalin era impensabile.

Eppure, sappiamo che il culto della personalità di Hitler era nella concezione del mondo dei nazisti ancora più centrale che in qualsiasi altra costruzione totalitaria, e che la volontà suprema del Führer, incarnazione dello spirito del popolo, era stata anche codificata per legge, caso unico nella legislazione mondiale. Si tratta di interrogarsi quindi sul significato che questa pubblicazione assume e su ciò che può suggerire - in termini originali, lontani dai luoghi comuni - attorno al regime che la promuove e al suo specifico meccanismo di acquisizione del consenso e di affermazione del mito del leader.

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Pagina 15

Si noterà anche nelle critiche degli avversari (soprattutto di parte socialdemocratica) una evidente sottovalutazione della forza del nazismo e, all'opposto, una enfatizzazione delle sue divisioni e lacerazioni interne.

Va ricordato però che all'inizio del 1933 gran parte dell'opinione pubblica tedesca (ma anche europea) è convinta che il movimento di Hitler sia ormai in declino. Sfogliando i giornali del Capodanno 1933 si percepisce con evidenza questo stato d'animo diffuso. L'assalto nazista allo stato democratico è stato ormai respinto, si leggeva nell'editoriale della Frankfurter Zeitung. L'editoriale del socialdemocratico Vorwärts si intitolava "Ascesa e caduta di Hitler". Ironizzava un giornalista del Berliner Tageblatt, riflettendo su cosa avrebbe raccontato ai nipoti qualche anno dopo: «Se ne parlava ovunque, in tutto il mondo... qual era il suo nome di battesimo? ...Adalbert Hitler. E poi? Svanito!».

Questa sensazione diffusa che il pericolo nazista fosse ormai alle spalle e che il movimento di Hitler avesse imboccato una china discendente, era del resto motivata da dati incontrovertibili. Sfiancato da una serie interminabile di campagne elettorali nel corso del 1932 (due turni di elezioni presidenziali, due elezioni politiche, numerose elezioni locali), il partito di Hitler era passato dal 37,8 per cento delle elezioni di luglio al 33,6 delle elezioni di novembre, perdendo milioni di elettori. Il rifiuto di accettare la carica di vicecancelliere nell'agosto e l'insistenza sulla linea del "tutto o niente" mutuata dal suo idolo Mussolini avevano suscitato dissensi sotterranei o espliciti all'interno del partito, e diffuso la convinzione che Hitler si intestardisse in una strategia ormai irrealistica. La defezione di Gregor Strasser sembrava aprire la strada a una possibilità di assorbimento in eventuali combinazioni governative (comunque non facili in un parlamento dove nazisti e comunisti detenevano la maggioranza numerica dei seggi). Si aggiunga che la fase peggiore della crisi economica appariva ormai superata, e la Borsa di Francoforte aveva ripreso dopo molto tempo a realizzare utili cospicui.

In realtà Hitler quasi sconfitto verrà imprevedibilmente rimesso in gioco da una manovra politica spregiudicata e miope di parte della destra conservatrice tedesca. Qui vanno sfatati i miti diffusi sull'avvento "democratico" di Hitler al potere; tutt'al più si può parlare di un avvento "costituzionale", data la fortissima discrezionalità che la costituzione di Weimar attribuiva al presidente (e dove ormai, in assenza di maggioranze parlamentari, si governava attraverso "gabinetti presidenziali", decreti presidenziali, continui scioglimenti del parlamento).

Contrariamente a quello che comunemente si crede (e che nel libro viene ribadito più volte) Hitler non va al potere sull'onda della volontà della maggioranza del popolo tedesco, né "vincendo regolarmente le elezioni", posto che quelle che si svolgevano nella Germania del tempo, in clima di violenza endemica e quotidiana, potessero in tutto considerarsi elezioni regolari. Ci va dopo averle perdute. Arriva al potere passando "per la porta di servizio", secondo la definizione di Shirer, sfruttando una congiura di palazzo ordita dalla destra di von Papen, dei nazionalisti e di ambienti economici e militari, convinti - come era già accaduto in Italia - di potere "costituzionalizzare" il fascismo e di servirsene per i propri scopi: un calcolo che si rivelerà suicida.

Fu indubbiamente "resistibile" l'ascesa di Hitler. Come nell'ottobre italiano del 1922, anche nel gennaio tedesco del 1933 si può ragionevolmente ipotizzare che guadagnando tempo e non cedendo all'offensiva del fascismo il sistema parlamentare, sebbene in crisi profonda, avrebbe potuto riacquistare una qualche stabilità, superata la fase di massimo declino.

Come in Italia, è solo dopo la conquista del potere, e attraverso l'uso determinato e spregiudicato del potere stesso, che il fascismo tedesco acquisisce rapidamente un consenso sempre più diffuso, organizzato e radicato. Che non sarà mai comunque realmente "totalitario".

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Il fenomeno dell'hitlerismo è molto simile a quello del "mussolinismo" in Italia: un consenso assai più vasto rivolto alla figura del leader indiscusso che non al suo partito e alle gerarchie che lo compongono. Una fiducia molto più ampia rispetto al consenso attribuito al nazismo e al fascismo in quanto tali: con la tendenza, anzi, a contrapporre la figura del leader a quella dei dignitari (che è quasi atavica nella psicologia dei sudditi rispetto al sovrano), ad assolverlo da ogni colpa scaricando sugli esecutori maldestri o infidi le responsabilità di tutto quanto appare insoddisfacente.

Fin dall'inizio, del resto, il mito di Hitler era stato consapevolmente e sapientemente "costruito", con numerosi aggiustamenti in corso d'opera. Da parte di Goebbels e dagli altri propagandisti del partito, ma in primo luogo dallo stesso Hitler. È stato detto che la sua intuizione fondamentale fu quella della costruzione di un ruolo che prima non esisteva nella storia tedesca, al punto da trasformare «se stesso in una funzione, la funzione del Führer».

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Tutto questo fu reso possibile, ovviamente, dal controllo totale dell'opinione pubblica, in un tempo storico lontanissimo da noi e certo irripetibile nelle sue forme. Ma ancora oggi, sotto l'ombrello del rispetto delle forme della democrazia, il controllo totale dei mezzi di comunicazione di massa può consentire quasi tutto, legittimare guerre e massacri, sovvertire i fondamenti sostanziali di una democrazia sempre più in bilico sul crinale che la separa dalla tirannia della maggioranza. Anche attraverso perfezionamenti e affinamenti dell'uso di un potere senza confini e senza controllo che lo stesso Orwell, al suo tempo, non avrebbe mai potuto prevedere.

Ancora Kershaw concludeva la sua introduzione al Mito di Hitler scrivendo che «per quanto la deificazione di Hitler da parte di un popolo di una moderna nazione industriale possa apparirci strana, le sue cause contengono un messaggio che non ci conforta affatto»

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