Copertina
Autore José Saramago
Titolo Memoriale del convento
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1998 [1984], UE 999 , Isbn 978-88-07-80999-6
OriginaleMemorial do convento [1982]
TraduttoreRita Desti, Carmen M. Radulet
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe narrativa portoghese , citta': Lisbona
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 11 [ inizio libro ]

Don Giovanni, quinto del nome nella successione dei re, andrà questa notte in camera di sua moglie, donna Maria Anna Giuseppa, che è giunta da più di due anni dall'Austria per dare infanti alla corona portoghese e fino ad oggi non ce l'ha fatta a ingravidare. Già si mormora a corte, dentro e fuori del palazzo, che la regina probabilmente ha il grembo sterile, insinuazione molto ben difesa da orecchie e bocche delatrici e che solo fra intimi si confida. Che la colpa ricada sul re, neppure pensarlo, primo perché la sterilità non è male degli uomini, ma delle donne e per questo tante volte sono ripudiate, e secondo, tangibil prova, se pur fosse necessaria, perché abbondano nel regno bastardi del real seme e anche ora la fila gira l'angolo. Oltre a ciò, chi si consuma nell'implorare al cielo un figlio non è il re, ma la regina, e anche qui per due ragioni. La prima ragione è che un re, e tanto più se del Portogallo, non chiede quel che unicamente è in suo potere dare, la seconda ragione perché, essendo la donna, naturalmente, vaso per ricevere, dev'essere naturalmente supplice, sia in novene organizzate che in orazioni occasionali.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 25

Durante l'anno c'è chi muore per aver molto mangiato tutta la vita, ragion per cui si ripetono i colpi apoplettici, primo, secondo, terzo, e a volte ne basta uno per mandarti all'altro mondo e se il disgraziato provvisoriamente la scampa, rimane toccato da un lato, la bocca storta, senza voce se il lato è quello e anche senza medicine che gli giovino, tolti i salassi, che si prescrivono a mezze dozzine. Ma non manca, proprio per questo decedendo più facilmente, chi muore per aver mangiato poco per tutta la vita, o quel tanto di vita che ha retto a un triste trantran di sardine e riso, oltre la lattuga che ha dato il soprannome agli abitanti di Lisbona, carne quando compie gli anni sua maestà. Vuole Dio che il fiume sia prodigo di pesce, lodiamoli per questo tutti e tre. E che la lattuga, così come le altre verdure, se ne vengano dal circondario, cestoni ricolmi, su file di asini guidate da contadini e contadine, che in questo lavoro non c'è differenza. E che il riso non manchi oltre il tollerabile. Ma questa città, più delle altre, è una bocca che mastica troppo da una parte e troppo poco dall'altra, non essendoci quindi una via di mezzo tra il gozzo pletorico e il collo raggrinzito, tra il naso rubicondo e l'altro tisico, tra la chiappa ballerina e quella floscia, tra il ventre pieno e la pancia appiccicata alle costole. La Quaresima tuttavia, come il sole, quando nasce, è per tutti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 43

Donna Marianna non andrà oggi all'auto da fé. E' in lutto per suo fratello Giuseppe, l'imperatore d'Austria, che in pochissimi giorni si è ammalato di vaiolo e ne è morto, a soli trentadue anni, ma la ragione per cui rimarrà nel chiuso dei suoi appartamenti non è questa, molto male andrebbero gli Stati se una regina si lasciasse andare per così poco, quando per così grandi e ben maggiori colpi vengono educate. Nonostante sia ormai al quinto mese, ancora soffre di nausee naturali, che tuttavia per parte loro non basterebbero a sviarle la devozione e i sensi della vista, udito e olfatto dalla solenne cerimonia, tanto nobilitatrice delle anime, atto di tanta fede, la processione compassata, la tranquilla lettura delle sentenze, le figure accasciate dei condannati, le voci querimoniose, l'odore della carne che crepita quando la raggiungono le fiamme e gocciola sulla brace quel po' di grasso che è avanzato dalle carceri. Donna Marianna non sarà presente all'auto da fé perché, nonostante sia gravida, tre volte l'hanno salassata, il che l'ha grandemente indebolita, in aggiunta ai capogiri di cui soffre da molti mesi. Le hanno ritardato i salassi come le hanno ritardato la notizia della morte del fratello perché i medici volevano rinforzarla ancora un po', essendo tanto recente la sua gravidanza. Ché, a dire il vero, l'aria non è molto buona a palazzo, come anche ora è stato dimostrato dall'intensa flatulenza che ha colto il re, per la quale ha chiesto confessione e subito gliel'hanno accordata, per il bene che sempre fa all'anima, ma saranno state fantasie sue, ché tutto si è risolto con un buon esito quando lo hanno purgato, in fin dei conti era solo un blocco intestinale. E' triste il palazzo, più triste del consueto, per il lutto che il re ha fatto proclamare per tutta la sua corte e per l'ordine che i suoi nobili e funzionari lo osservino, come ha fatto lui, tappandosi in casa per otto giorni e prendendo sei mesi di lutto stretto, tre di cappa lunga e tre di cappa corta, a testimonianza del suo gran dispiacere per la morte dell'imperatore suo cognato.

Oggi, tuttavia, è giorno di allegria generale, forse la parola sarà impropria, perché il piacere viene dal profondo, magari dall'anima, guardare questa città che esce dalle sue case, che si riversa per le strade e le piazze, che scende dalle colline, che si riunisce al Rossio per veder giustiziare ebrei e conversi, eretici e stregoni, oltre a quei casi meno facilmente qualificabili come quelli di sodomia, molinismo, sodomizzare donne e far loro proposte in tal senso e altre bagatelle passibili di esilio o rogo. Sono centoquattro le persone che compaiono oggi, per la maggior parte venute dal Brasile, ubertoso terreno per diamanti ed empietà, cinquantuno gli uomini e cinquantatré le donne. Di queste ultime, due saranno consegnate alla giustizia secolare, in carne e ossa, come recidive e cioè ricadute nell'eresia, come confesse e negatrici e cioè ostinate malgrado tutte le testimonianze, come contumaci e cioè persistenti negli errori che sono le loro verità, solo dislocate in tempo e luogo. E visto che sono passati quasi due anni da quando si è bruciato qualcuno a Lisbona, il Rossio è pieno di gente, due volte in festa, perché è domenica e perché c'è l'auto da fé, non si arriverà mai a capire che cosa piaccia di più agli abitanti, questo o le corride, anche quando si useranno solo queste ultime. Alle finestre che danno sulla piazza ci sono le donne, vestite e acconciate di tutto punto, alla tedesca, in omaggio alla regina, con il loro carminio sulle guance e sulla scollatura, facendo smorfie con la bocca sì da renderla piccola e stretta, facce diverse e tutte girate verso la strada, chiedendosi ciascuna dama fra sé e sé se siano ben fermi i nei del viso, all'angolo della bocca il tirabaci, sul brufoletto il correttore, sotto gli occhi il pazzerellino, mentre il pretendente approvato o sospirante passeggia sotto col fazzoletto in mano e facendo volteggiare la cappa. E poiché fa molto caldo, si rinfrescano gli spettatori con la ben nota limonata, il comune boccale d'acqua, la fetta di melone, che non sarà perché quelli vanno a morire che questi debbono mortificarsi. E se lo stomaco richiede un ripieno più sostanzioso, ecco lì i lupini e i pinoli, le torte al formaggio e i datteri. Il re, con gli infanti suoi fratelli e le infante sue sorelle cenerà all'Inquisizione dopo la conclusione dell'auto da fé e, liberatosi ormai del suo disturbo, farà onore alla tavola dell'inquisitore capo, magnifica di scodelle di brodo di gallina, di pernici, di petti di vitella, di crocchette, di polpette di montone con zucchero e cannella, di lesso alla castigliana con tutto ciò che ci vuole, e cosparso di zafferano, di manicaretti dolci di gallina e, per chiudere, leccornie fritte e frutta di stagione. Ma è così sobrio il re che non beve vino e poiché la miglior lezione è sempre il buon esempio, tutti lo prendono, l'esempio, il vino no.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 58

Baltasar entrò subito dietro al padre, curioso, si guardò intorno senza capire quel che vedeva, forse si aspettava un pallone, delle ali di uccello in grande, un sacco di penne, e non ce la fece a tacere i suoi dubbi. Allora è questo, e padre Bartolomeu Lourenço rispose, Sarà questo, e aprendo una cassa, prese un foglio che srotolò, dove si vedeva il disegno di un uccello, doveva essere l'uccellaccio, questo Baltasar era capace di riconoscerlo e poiché a prima vista era il disegno di un uccello, finì col credere che tutti quei materiali, uniti e sistemati ciascuno al posto suo, sarebbero stati capaci di volare. Più per se stesso che per Sette-Soli, che del disegno non vedeva altro che la somiglianza con l'uccello, e gli bastava, il padre spiegò, in tono dapprima sereno, poi animandosi, Questo che vedi qui sono le vele che servono per tagliare il vento e che si muovono secondo che è necessario, e qui c'è il timone con cui si dirigerà la barca, non a caso, ma per mano e scienza del pilota, e questo è il corpo della nave dell'aria, a forma di conchiglia marina a prua e a poppa, dove si mettono i tubi del mantice per il caso che venga a mancare il vento, come tante volte succede sul mare, e queste sono le ali, senza di loro come si potrebbe equilibrare la barca volante, e di queste sfere non ti parlerò, ché sono un segreto mio, basterà che ti dica che, senza quello che avranno dentro, la barca non volerà, ma su questo punto non sono ancora sicuro, e a questo soffitto di ferri appenderemo delle palle di ambra, perché l'ambra risponde molto bene al calore dei raggi del sole per l'effetto che voglio, e questa è la bussola, senza la quale non si va da nessuna parte, e queste sono le carrucole, servono per spiegare o raccogliere le vele, come nelle navi del mare. Tacque alcuni istanti e aggiunse, E quando tutto sarà montato e concordante in sé, io volerò. A Baltasar lo convinceva il disegno, non aveva bisogno di spiegazioni, per la semplice ragione che non vedendo noi l'uccello di dentro, non sappiamo quello che lo fa volare, eppure quello vola perché, avendo l'uccello forma di uccello, non c'è niente di più semplice, Quando, si limitò a domandare, Ancora non so, rispose il padre, mi manca chi mi aiuti, da solo non posso far tutto e ci sono dei lavori per cui la mia forza non basta. Tacque di nuovo e poi, Vuoi venire tu ad aiutarmi, domandò. Baltasar fece un passo indietro, stupefatto, lo non so niente, sono un uomo dei campi, oltre a questo mi hanno insegnato solo ad ammazzare, e così come mi ritrovo, senza questa mano, Con quella mano e quell'uncino puoi fare tutto quanto vuoi, e ci sono cose che un uncino fa meglio di una mano intera, un uncino non sente dolore se deve fissare un filo e un ferro, non si taglia, né si brucia, e io ti dico che Dio è monco, e ha fatto l'universo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 72

(...) e adesso, se vogliamo ridercela di quanto vedono i nostri occhi, che in questo paese può succedere di tutto, consideriamo il caso delle trenta navi di Francia che già si è detto si trovavano in vista di Peniche, benché non manchi chi dica di averle avvistate nell'Algarve, che è vicino, e nel dubbio si sono guarnite le torri del Tago e tutta la marina si è messa all'erta, fino a Santa Apolónia, come se le navi potessero venir giù lungo il fiume, da Santarém o Tancos, che questi francesi son gente capace di tutto, e dato che noi siamo così miserelli di imbarcazioni, lo abbiamo chiesto a delle navi inglesi e olandesi che sono lì e quelli sono andati a mettersi all'imboccatura dell'estuario in attesa del nemico che si trova sicuramente in uno spazio immaginario, già in tempi di cui si è discorso prima è capitato quel famoso caso dell'entrata del baccalà, e ora si è venuto a sapere che erano vini comprati a Porto, e le navi francesi sono alla fin fine navi inglesi che navigano per i loro commerci, e per la strada se la ridono a nostre spese, siamo una buona pietanza per barzellette straniere, che anche noi ne abbiamo alcune di primordine di nostra produzione, è giusto che lo si dica, come s'è visto chiaramente il giorno che non sono stati necessari gli occhi di Blimunda, e fu il caso di un certo chierico, abituato a frequentare case di donnine allegre o ancor meglio disposte a farsi tenere allegre, soddisfacendo gli appetiti dello stomaco e alleggerendosi da quelli della carne, e sempre, puntualmente, dicendo la sua messa, il quale, quando gli pareva giunto il momento, alzava i tacchi portandosi via tutti i beni che si trovavano a portata di mano, e tante ne fece che un giorno l'oltraggiata, cui molto di più si era sottratto di quanto lei stessa aveva dato, fece spiccare ordine di carcerazione e quando i funzionari e gli sbirri se ne venivano ad eseguirlo per ordine del giudice in una casa dove il religioso era già installato con altre innocenti donnine, entrarono, ma così disattenti al loro dovere che non si avvidero di lui, che se ne stava ficcato in un letto, e andarono in un'altra dove credevano che lui fosse, dando al prete il destro di saltar giù, nudo come un verme, e di squagliarsela giù per le scale, facendosi strada a pugni e calci, rimasero a lamentarsi gli sbirri negri ma poi, come poterono, con gran cagnara, corsero dietro al prete pugile e stallone che se ne scappava lungo la Rua dos Espingardeiros, e questo alle otto del mattino, cominciava bene la giornata, sghignazzate alle porte e alle finestre al vedere il chierico correre come una lepre, con i negri alle calcagna, e lui, cazzo in resta e tanto bene attrezzato, Dio lo benedica, che un uomo così dotato, il suo posto non è al servizio degli altari ma nel letto al servizio delle donne, e questo spettacolo fu un gran colpo per le signore del luogo, poverette, prese così alla sprovvista, così come sprovvedute e innocenti sarebbero state poi quelle che stavano pregando nella chiesa della Conceiçáo Velba e si videro entrare il prete ansante, sotto le spoglie di un innocente Adamo, ma così carico di colpe, scuotendo batacchio e zebedei, alla prima apparve, dalle altre due si nascose, dalle tre non fu mai più visto, che in quella scena di commedia di magia s'inserì l'intervento dei preti che lo soccorsero e lo fecero fuggire su per i tetti, già vestito, né questo è un evento che sorprenda se i francescani di Xabregas riescono a issare le donne dentro le ceste fin nelle celle e poi con loro se la spassano, questo prete invece se ne saliva con i propri piedi a casa delle donne che ne bramavano il sacramento, e per non uscire dal nostro solito, tutto rimane fra il peccato e la penitenza, che non è solo nella processione della Quaresima che escono per strada i flagelli eccitanti, quanti cattivi pensieri non dovranno mai confessare le signore abitanti del centro di Lisbona e le devote della Conceição Velha, per essersi godute con la vista un così bel tocco di prete, e gli sbirri alle sue calcagna, prendilo, prendilo, magari si potesse prenderlo per una cosa che so io, dieci paternostri, dieci salveregine e dieci centesimi di elemosina al nostro padre Sant'Antonio, e star sdraiata a letto un'ora intera, con le braccia in croce, a pancia in giù come alla prosternazione si conviene, a pancia in su che è la posizione della più celestíale goduria, ma sempre innalzando i pensieri, non le gonne, che questo sarà per il prossimo peccato.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 79

Ogni tanto Blimunda si alza più presto, prima di mangiare il pane di ogni mattina, e, scivolando lungo la parete per evitare di posare gli occhi su Baltasar, sposta il telo e va a ispezionare il lavoro fatto, a scoprire le magagne occulte dell'armatura, la bolla d'aria nell'anima del ferro e poi, terminata l'ispezione, si mette finalmente a masticare il cibo, a poco a poco divenendo cieca come l'altra gente che può vedere solo quello che è in vista. Quando lo fece la prima volta e Baltasar, dopo, disse a padre Bartolomeu Lourenço, Questo ferro non serve, ha una crepa dentro, Come lo sai, E' stata Blimunda che lo ha visto, il prete si girò verso di lei, sorrise, guardò l'uno e guardò l'altro e dichiarò, Tu sei Sette-Soli perché vedi alla luce, tu sarai Sette-Lune perché vedi al buio, e così Blimunda che fino ad allora si chiamava solo, come sua madre, de Jesus, divenne Sette-Lune ed era ben battezzata, ché era stato battesimo di prete e non soprannome del primo venuto. Dormirono quella notte i soli e le lune abbracciati, mentre le stelle giravano piano nel cielo, Luna dove sei, Sole dove vai.

Quando capita padre Bartolomeu Lourenço viene a sperimentare qui i sermoni che ha composto, per la bontà dell'eco che hanno queste pareti, il sufficiente appena perché la parola sia rotonda, senza la risonanza eccessiva che accavalla i suoni e finisce per impastare il senso. E' così che dovevano risuonare le imprecazioni dei profeti nel deserto o nelle piazze pubbliche, luoghi senza pareti o che almeno non le hanno vicine, e perciò innocenti delle leggi dell'acustica, la grazia sta nell'organo che proferisce la parola, non negli uditi che la sentono o nei muri che la restituiscono. Questa religione è tuttavia da oratorio lezioso, con angeli cicciuti e santi estasiati e molto agitar di tunica, braccia grassocce, cosce indovinate, petti che si gonfiano, stravolgimento d'occhi, tanto sta soffrendo chi gode quanto sta godendo chi soffre ed è perciò che non tutte le strade portano a Roma ma al corpo. Si sforza il prete nell'oratoria, tanto più che qui c'è subito chi lo ascolta ma, o per effetto intimidatorio dell'uccellaccio o per freddezza egoista degli uditori, o perché manca l'ambiente ecclesiastico, le parole non volano, non rimbombano, si intrecciano le une alle altre, sembra quasi ingiusto che padre Bartolomeu Lourenço abbia così gran fama di oratore sacro, al punto da essere stato paragonato al padre Antonio Vieira, che Dio abbia in cielo, e il Santo Uffizio ebbe in terra. Ha saggiato qui padre Bartolomeu Lourenço il sermone che è andato a predicare a Salvaterra de Magos, quando vi si trovavano lì il re e la corte, e ora sta sperimentando qui quello che proferirà alla festa degli sponsali di S. Giuseppe, che glielo hanno commissionato i domenicani, in fondo non nuoce granché la fama che ha di volatore e stravagante se perfino i figli di S. Domenico lo richiedono, non parliamo del re che, essendo così giovane, gli piacciono ancora i giocattoli e perciò protegge il prete, per questo si diverte tanto con le monache nei monasteri e le va ingravidando, una dopo l'altra, o molte contemporaneamente, che quando finirà la sua storia si conteranno a decine i figli così fabbricati, povera regina, che ne sarebbe di lei se non ci fosse il suo confessore, Antonio Stieff, gesuita, a insegnarle la rassegnazione, e i sogni in cui le appare l'infante don Francisco con marinai morti sospesi agli arcioni delle mule, e che ne sarebbe di padre Bartolomeu Lourenço se entrassero qui i domenicani che gli hanno commissionato il sermone e s'imbattessero in questo uccellaccio, questo monco, questa strega, questo predicatore che cesella parole e forse nasconde i pensieri, che quelli non li vedrebbe Blimunda, neanche se digiunasse un anno intero.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 84

Un'altra contrarietà attesa è l'auto da fé, non per la chiesa che se ne giova come di un rinforzo pietoso e per altri suoi utili, né per il re che, quando siano stati inclusi nell'auto proprietari di terra brasiliani, si giova della loro fattoria, ma per chi si prende le frustate, o è esiliato, o è bruciato sul rogo, per fortuna questa volta ne è uscita alleggerita della carne solo una donna, non sarà molto il lavoro di dipingerne il ritratto nella chiesa di S. Domingos, accanto a quello di altri rosolati, arrostiti, dispersi e soppressi, che pare ignobile come non serva di monito agli uni il supplizio di tanti, magari piacerà agli uomini soffrire oppure ci tengono di più alla convinzione dello spirito che non alla conservazione del corpo, Dio non sapeva in che cosa si metteva quando creò Adamo ed Eva. Che si deve dire, ad esempio, di questa suora professa che era alla fin fine ebrea, ed è stata condannata a carcere e abito perpetuo, e anche di questa negra d'Angola, un caso nuovo, che è arrivata da Rio de Janeiro incolpata di giudaismo, e di questo mercante dell'Algarve che affermava che ciascuno si salva nella legge che segue, perché tutte sono uguali, e tanto vale Cristo come Maometto, il Vangelo come la Cabala, il dolce come l'amaro, il peccato come la virtù, e questo tocco di mulatto dalla Caparica che si chiama Manuel Mateus, ma non è parente di Sette-Soli, e ha come soprannome Saramago e cioè Rafano, vai a sapere quale sarà la sua discendenza, e che è uscito condannato per colpe da esimio stregone, con altre tre giovani che avevano studiato sullo stesso sillabario, che si dirà di tutti questi e di altri centotrenta che sono stati inclusi nell'auto, molti andranno a far compagnia alla madre di Blimunda, chissà se è viva ancora.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 108

Di prima mattina arrivarono Baltasar e Blimunda, conducevano la mula per la cavezza, ma padre Bartolomeu Lourenço non ebbe bisogno che lo chiamassero, aprì la porta appena sentì battere gli zoccoli sulle pietre e uscì subito, i commiati erano già fatti, al vicario di Mafra restava di che pensare, se Dio era fonte e gli uomini oceano, e che parte del sapere generale gli spetterà da oggi innanzi, che del sapere passato ha dimenticato quasi tutto eccetto, grazie ad una pratica continuata, il latino della messa e dei sacramenti e la strada fra le gambe della perpetua che stanotte, per via del visitatore, ha dormito nel sottoscala. Baltasar teneva la mula e Blimunda se ne stava un po' in disparte, gli occhi bassi, con il fazzoletto tirato in avanti, Buongiorno, dissero loro, Buongiorno, disse il prete, e chiese, Blimunda non ha ancora mangiato, e lei, dall'ombra maggiore delle vesti, rispose, Non ho mangiato, allora si erano detti pur qualcosa Baltasar e padre Bartolomeu Lourenço, Di' a Blimunda che non mangi, e così le era stato detto, mormorato all'orecchio, quando ormai erano coricati, perché non li sentissero i vecchi, di mistero ce n'era fin troppo.

Per sentieri bui salirono fino in cima alla Vela, quella non era la strada per il paese di Paz, tragitto obbligato verso il nord dove va il prete, tuttavia, era come se dovessero allontanarsi dai luoghi abitati, anche se in tutte queste baracche ci sono degli uomini che dormono o che cominciano già a svegliarsi, sono costruzioni di fabbricazione precaria, per la maggior parte, quelli che sono qui sono sterratori, gente di molta forza e pochi complimenti, dovremo ripassare da queste parti di qui a qualche mese, meglio ancora fra qualche anno, allora vedremo una grande città di legno, più grande di Mafra, chi vivrà vedrà, questa e altre cose, per ora bastino le rozze dimore perché vi si riposino le ossa gli stanchi uomini della vanga e della zappa, fra poco suoneranno le trombe perché anche qui c'è l'esercito, ormai non va più a morire in guerra e quel che fa è tenere a bada queste rozze legioni o dar aiuto dove l'uniforme non soffra umiliazioni, in verità, a malapena si distingue chi guarda da chi è guardato, rotti gli uni, strappati gli altri. Il cielo è grigio perla dalla parte del mare, ma sopra le colline che gli stanno davanti si spande lentamente un colar sangue annacquato, poi vivo e vivissimo, e fra poco verrà il giorno, oro e azzurro, la stagione è bella. Blimunda non vede niente, ha gli occhi bassi, in tasca il pezzo di pane che ancora non può mangiare, Chissà che cosa vorranno da me.

E' il prete che lo vuole, non Baltasar, questi ne sa tanto quanto Blimunda. In basso si distingue confusamente il tracciato degli sterri, nero su ombra, sarà lì la basilica. Il terrapieno comincia a riempirsi di uomini, stanno accendendo dei fuochi, un po' di cibo caldo per cominciare la giornata, avanzi di ieri, di qui a poco staranno bevendo il brodo dalle gamelle, inzuppandovi il pane nero, solo Blimunda dovrà aspettare il suo momento. Dice padre Bartolomeu Lourenço, Al mondo ho te, Blimunda, e te, Baltasar, i miei genitori sono in Brasile, i miei fratelli in Portogallo, ho dunque genitori e fratelli, ma per fratelli e genitori, ci vogliono gli amici, ascoltate dunque, in Olanda ho saputo che cos'è l'etere, non è quello che generalmente si crede e insegna e non si può ottenere con le arti dell'alchimia, per andare a cercarlo là dove si trova, in cielo, dovremmo volare e ancora non voliamo, ma l'etere, prestate ora ben attenzione a quanto vi dirò, prima di salire in aria per essere il dove si sospendono le stelle e l'aria che Dio respira, vive dentro gli uomini e le donne, In questo caso è l'anima, conclude Baltasar, Non lo è, anch'io, prima, ho pensato che fosse l'anima, ho anche pensato che l'etere, in fondo, fosse formato dalle anime che la morte libera dal corpo, prima che vengano giudicate alla fine dei tempi e dell'universo, ma l'etere non è fatto delle anime dei morti, ma è fatto, ascoltate bene, delle volontà dei vivi.

Laggiù, gli uomini cominciavano a scendere negli sterri, dove appena si cominciava a vedere. Il prete disse, Dentro di noi esistono volontà e anima, l'anima si diparte con la morte, se ne va là dove le anime aspettano il giudizio, nessuno lo sa, ma la volontà, o si è separata dall'uomo mentre lui era ancora vivo, o la separa da lui la morte, è lei l'etere, è pertanto la volontà degli uomini che trattiene le stelle, è la volontà degli uomini che Dio respira, E io che devo fare, chiese Blimunda, ma immaginava la risposta, Guarderai la volontà dentro alle persone, Non l'ho mai vista, come non ho mai visto l'anima, Non vedi l'anima perché l'aníma non si può vedere, non vedevi la volontà perché non la cercavi, Com'è la volontà, E' una nuvola chiusa, Che cos'è una nuvola chiusa, La riconoscerai quando la vedrai, prova con Baltasar, per questo siamo venuti qui, Non posso, ho giurato che mai lo avrei guardato dentro, Allora con me.

Avete ragione, disse il padre, ma in questo modo l'uomo non è libero di credere di abbracciare la verità e di trovarsi avvinto all'errore, Come non è neppure libero di supporre di abbracciare l'errore e di trovarsi avvinto alla verità, rispose il musicista, e subito disse il padre, Ricordatevi che quando Pilato domandò a Gesù che cosa era la verità, non aspettò la risposta, né il Salvatore gliela diede, Forse sapevano tutti e due che non esiste risposta a questa domanda, Nel qual caso, su questo punto, Pilato sarebbe uguale a Gesù, Alla fin fine, sì, Se la musica può essere così eccellente maestra di argomentazione, voglio essere musicista e non predicatore, Molto grato per il complimento, ma vorrei io, signor padre Bartolomeu de Gusmáo, che la mia musica un giorno fosse capace di esprimere, contrapporre e concludere, come fanno sermone e discorso, Anche se, pensando bene a ciò che si dice e come, signor Scarlatti, si espongono e contrappongono, il più delle volte, fumo e nebbia, e non si conclude un bel niente. A questo non rispose il musicista e il padre concluse, Ogni predicatore onesto lo sente quando scende dal pulpito. Disse l'italiano stringendosi nelle spalle, Rimane il silenzio dopo la musica e dopo il sermone, che importa che si lodi il sermone e si applauda la musica, forse solo il silenzio esiste davvero.

Scesero Scarlatti e Bartolomeu de Gusmao al Terreiro do Paco e lì si separarono, il musicista andò a inventare musiche per la città fino all'ora di incominciare il saggio nella cappella reale, il prete si ritirò a casa, alla sua veranda dalla quale si vedeva il Tago, sull'altra sponda le terre basse del Barreiro, le colline di Almada e di Pragal, e ancora più in là, ormai invisibile, fino alla Cabeqa Seca do Bugio, che giorno luminoso, quando Dio si mise a creare il mondo non disse Fiat, se così fosse ilmondo sarebbe stato tutto uguale, una parola e basta, ma andò e fece, fece il mare e vi navigò, fece la terra per potervi sbarcare, e in certi posti si trattenne, in altri passò senza guardare, quì si riposò e non essendoci nessuno della specie umana a guardarlo, fece il bagno, ed è proprio perché se ne ricordano ancora che i gabbiani si riuniscono in così grandi stormi vicino alla riva, continuano, benché altri, ad aspettare che Dio torni a bagnarsi nelle acque del Tago, perlomeno una volta, come ringraziamento per esser nati gabbiani. E vogliono anche sapere se Dio sia invecchiato molto. La vedova dei guardiaportone venne a dire al prete che il pranzo era servito, per strada passò una compagnia di alabardieri di scorta a una carrozza. Separato dai suoi fratelli, un gabbiano sorvolò la grondaia del tetto, lo sosteneva il vento che soffiava da terra, il padre mormorò, Benedetto tu sia uccello, e in cuor suo si trovò fatto della stessa carne e dello stesso sangue, rabbrividì come se stesse sentendo che gli nascevano penne sulle spalle e quando il gabbiano sparì si sentì perduto in un deserto, Caso in cui Pilato sarebbe uguale a Gesù, questo pensò all'improvviso e tornò nel mondo, colpito di sentirsi nudo, spellato come se avesse lasciato la pelle nel ventre della madre, e allora disse ad alta voce, Dio è uno.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 165

Dicono che il regno è malgovernato, che non c'è giustizia e non si accorgono che la giustizia c'è come deve esserci, con la sua benda sugli occhi, la sua bilancia e la sua spada, che altro vorremmo, ci mancherebbe proprio che fossimo noi i tessitori della fascia, i verificatosi dei pesi, gli armigeri del taglio, costantemente intenti a rammendare i buchi, ad aggiustare le cadute, a rifare il filo alla spada e infine a chiedere al giustiziato se è contento della giustizia che gli si fa, vinta o persa che sia la causa. Dei giudizi del Santo Uffizio non si parla qui, che quello tiene gli occhi ben aperti, invece della bilancia un ramo d'ulivo e una spada affilata dove l'altra è smussata e ammaccata. C'è chi ritiene che il ramoscello sia offerta di pace, quando è ben chiaro che si tratta del primo fuscello della futura catasta, o ti taglio o ti brucio, è per questo che, se si vuol offendere la legge, è meglio pugnalare la moglie, per sospetto d'infedeltà, che non onorare i cari defunti, il problema è avere buoni padrini che giustifichino l'omicidio e mille cruzados da mettere sulla bilancia, non per altro la giustizia la regge in mano. Si puniscano pure i negri e i villani perché non si perda il valore dell'esempio, ma si onori la gente dabbene e da beni, non esigendo che paghi i debiti contratti, che rinunci alla vendetta, che corregga il suo odio e se ci saranno cause, non potendosi evitarle dei tutto, si faccia ricorso al cavillo, alla truffa, all'appello, alla prassi, alle ambagi, perché vinca tardi chi per giusta giustizia dovrebbe vincere presto, perché tardi perda chi dovrebbe (...)

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 221

Oggi, dal levar dei sole fino al pomeriggio inoltrato, hanno fatto un millecinquecento passi, meno di mezza lega delle nostre, o, se vogliamo giudicare per comparazione, l'equivalente di duecento volte la lunghezza del masso. Tante ore di sforzo per tanto poca strada, tanto sudore, tanta paura, e quel mostro di pietra che scivola quando dovrebbe star fermo, immobile quando dovrebbe muoversi, maledetto sia tu, e chi t'ha fatto togliere dalla terra e ti fa trascinare da noi per queste plaghe. Gli uomini si buttano per terra, senza forze, rimangono lì col fiatone, a pancia all'aria, a guardare il cielo che lentamente si oscura, prima come se il giorno stesse per nascere e non per finire, poi facendosi trasparente man mano che la luce diminuisce, e all'improvviso dove c'era un cristallo nasce uno spessore profondo e vellutato, è la notte. La luna, oggi, verrà molto più tardi, già calante, tutto l'accampamento starà dormendo. Si mangia alla luce dei falò e la terra fa concorrenza al cielo, dove lassù ci sono stelle, qui ci sono fuochi, forse intorno ad essi, al tempo dei tempi, si saranno seduti anche gli uomini che trascinarono le pietre con le quali fu fatta la volta celeste, chissà se avranno avuto questi stessi visi stanchi, queste barbe lunghe, queste grosse e collose mani, sporche, le unghie listate a lutto, come si suol dire, questo intenso sudore. Allora Baltasar chiese, Dunque, Manuel Milho, ci racconti cosa domandò la regina quando l'eremita apparve sulla soglia della grotta, e José Pequeno si buttò a indovinare, Forse mandò via le dame e i paggi, questo José Pequeno è malizioso, ma lasciamolo alla penitenza che il confessore gli farà fare, se il confessante sarà uomo capace di buona e retta confessione, del che conviene dubitare, e stiamo attenti a Manuel Milho che sta dicendo, Quando l'eremita comparve sulla soglia della grotta, la regina avanzò tre passi e chiese, se una donna è regina, se un uomo è re, che devono fare per sentirsi donna e uomo, e non solo regina e re, questo domandò, e l'eremita rispose con un'altra domanda, se un uomo è eremita, che dovrà fare per sentirsi uomo e non solo eremita, e la regina ci pensò su e disse, la regina smetterà di essere regina, il re non sarà più re, l'eremita uscirà dall'eremo, questo dovranno fare, ma ora farò io un'altra domanda, che donna e uomo saranno questi che non sono regina né eremita, e solo donna e uomo, che cos'è essere uomo e donna senza essere eremita e regina, che cos'è essere senza essere ciò che si è, e l'eremita rispose, nessuno può essere senza essere, uomo e donna non esistono, esiste solo ciò che sono e la ribellione contro ciò che sono, e la regina dichiarò, io mi ribello contro ciò che sono, dimmi ora tu se ti ribelli contro quel che sei, e lui rispose, essere eremita è il contrario di essere, pensano quelli che vivono nel mondo, ma è ancora essere qualcosa, e lei, allora dove si trova la soluzione, e lui, se è donna che vuoi essere, smetti di essere regina, il resto lo saprai solo dopo, e lei, se vuoi essere uomo perché continui a essere eremita, e lui, perché quel che si teme è l'essere uomo, e lei, lo sai che cosa vuol dire essere uomo e donna, e lui, nessuno lo sa, con questa risposta la regina si ritirò, portandosi dietro il seguito che mormorava, domani racconterò il resto. Ben fece Manuel Milho a smettere, perché due degli ascoltatori, José Pequeno e Francisco Marques, già russavano, avvolti nelle coperte. I falò si stavano spegnendo. Baltasar si mise a guardare insistentemente Manuel Milho, Questa storia non ha né capo né coda, non somiglia per niente alle storie che si sentono raccontare, quella della principessa che guardava le oche, quella della bambina che aveva una stella in fronte, quella del boscaiolo che trovò una donzella nel bosco, quella del toro azzurro, quella del diavolo di Alfusqueiro, quella del drago-a-sette-teste, e Manuel Milho disse, Se nel mondo ci fosse un gigante alto, ma alto fino al cielo, diresti che i suoi piedi sono montagne e la testa la stella-del-mattino, per uno che ha dichiarato di aver volato e di essere uguale a Dio, sei molto diffidente. A questo rimprovero Baltasar ammutolì poi disse buonanotte, girò le spalle al fuoco e in poco tempo si addormentò. Manuel Milho rimase ancora sveglio, a pensare al modo migliore per tirarsi fuori dalla storia in cui si era cacciato, se l'eremita si faceva re, se la regina si faceva eremita, perché mai le novelle devono sempre finire così.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 290

In lontananza l'isola di Madeira era una massa confusa, un gigantesco drago sdraiato che respirava con quarantamila mantici, ché tanti sono gli uomini che li stanno dormendo, più gli sventurati delle infermerie dove non c'è una branda vuota, se non quando gli infermieri portano via qualche cadavere, uno che schiatti dentro, uno che aveva un tumore, uno che buttava sangue dalla bocca, uno che un colpo ha paralizzato e, ripetendosi, ha ammazzato. La nuvola si allontanò verso l'entroterra, si fa per dire, dentro la terra, verso l'interno dei campi, anche se non si può mai sapere che cosa fa una nuvola quando smettiamo di guardarla, o quando si nasconde dietro quel monte, tanto può essersi sprofondata dentro la terra, come essere scesa su di essa per fecondarla, chi può indovinare quali strane vite, quali rari poteri, Andiamo a casa, Blimunda, disse Baltasar.

Uscirono dal circolo delle statue, di nuovo illuminate, e quando incominciavano a scendere a valle, Blimunda si guardò dietro. Erano fosforescenti come sale. Aguzzando l'udito, si percepiva da quella parte un rumore di conversazione, era un concilio, un dibattito, un giudizio, forse il primo da quando erano partite dall'Italia, messe nelle stive, fra topi e umidità, legate violentemente sui ponti, forse anche l'ultima conversazione generale che avrebbero potuto avere, così alla luce della luna, perché fra breve sarebbero state poste nelle loro nicchie, alcune non torneranno più a guardarsi negli occhi, altre solo di sbieco, e altre continueranno a guardare il cielo, sembra un castigo. Blimunda disse, Devono essere infelici i santi, come li hanno fatti, così rimangono, se questa è santità, cosa sarà la dannazione, Sono soltanto statue, Una cosa mi piacerebbe, vederle scendere da quelle pietre ed essere persone come noi, non si può parlare con le statue, Che ne sappiamo noi se non parlano quando sono soli, Questo non lo sappiamo, ma se parlano solo tra di loro e senza testimoni, perché ne abbiamo bisogno, mi chiedo io, Ho sempre sentito dire che i santi sono necessari alla nostra salvezza, Loro non si sono salvati, Chi te l'ha detto, E' quel che sento dentro di me, Cosa senti tu dentro di te, Che nessuno si salva, che nessuno si perde, E' peccato pensare così, Il peccato non esiste, c'è solo morte e vita, La vita è prima della morte, Ti sbagli, Baltasar, la morte viene prima della vita, è morto chi siamo stati, nasce chi siamo, è per ciò che non moriamo per sempre, E quando andiamo sotto terra, e quando Francisco Marques resta schiacciato sotto il carro della pietra, non è forse questa morte senza rimedio, Se parliamo di lui, Francisco Marques nasce, Ma lui non lo sa, Proprio come noi non sappiamo abbastanza chi siamo, eppure siamo vivi, Blimunda, dove hai imparato queste cose, Sono stata ad occhi aperti nel ventre di mia madre, da lì vedevo tutto.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 311

Nove anni cercò Blimunda. Cominciò col contare le stagioni, poi ne perse il senso. Nei primi tempi calcolava le leghe che percorreva al giorno, quattro, cinque, alle volte sei, ma poi i numeri le si confusero, non tardò che lo spazio e il tempo lasciassero di aver significato, tutto si misurava in mattina, sera, notte, pioggia, sole, grandine, foschia e nebbia, strada buona, strada cattiva, pendio da salire, pendio da scendere, pianura, montagna, spiaggia dei mare, sponda dei fiumi, e facce, migliaia e migliaia di facce, facce senza numero che le dicesse, quante volte più di quelle che si erano date convegno a Mafra, e tra le facce quelle delle donne per le domande, quelle degli uomini per vedere se in loro ci fosse la risposta, e tra questi né i molto giovani né i molto vecchi, qualcuno sui quarantacinque anni quando lo abbiamo lasciato là sul Monte Junto, quando è salito in aria, per sapere l'età che avrà basta che gli aggiungiamo un anno ogni volta, per ogni mese tante rughe, per ogni giorno tanti capelli bianchi. Quante volte Blimunda immaginò che, mentre se ne stava seduta nella piazza di qualche paese chiedendo l'elemosina, un uomo si sarebbe avvicinato e al posto del denaro o del pane le avrebbe teso un uncino di ferro, e lei avrebbe infilato la mano nella bisaccia e ne avrebbe tirato fuori uno spiedo della stessa forgia, segno della sua costanza e attesa, Così ti trovo, Blimunda, Così ti trovo, Baltasar, Per dove te ne sei andata tutti questi anni, che fatti e che sventure ti sono capitate, Dimmi prima di te, sei tu che ti sei perduto, Ti racconterò, e sarebbero rimasti a parlare fino alla fine del tempo.

Migliaia di leghe percorse Blimunda, quasi sempre scalza. La suola dei suoi piedi divenne spessa, crepata come un sughero. L'intero Portogallo passò sotto questi passi, a volte attraversò il confine con la Spagna perché non vedeva sul suolo alcuna linea che separasse la terra di là dalla terra di qua, solo sentiva parlare un'altra lingua e tornava indietro. In due anni, andò dalle spiagge e dalle rive dell'oceano alla frontiera, poi ricominciò a cercare per altri luoghi, per altre vie, e camminando e cercando arrivò a scoprire com'è piccolo questo paese in cui era nata, Qui ci sono già stata, Qui ci sono già passata, e incontrava facce che riconosceva, Non ti ricordi di me, mi chiamavano la Volatrice, Ah, sì, mi ricordo, allora hai trovato l'uomo che cercavi, Il mio uomo, Sì, quello, No, non l'ho trovato, Ah, poverina, Non è per caso comparso da queste parti dopo che io sono passata, No, non è comparso, né ho mai sentito parlare di lui nei dintorni, Allora vado, arrivederci un giorno, forse, Buon viaggio, Se lo troverò.

Lo trovò. Sei volte era passata per Lisbona, questa era la settima. Veniva da sud, dalle parti di Pegóes. Attraversò il fiume, quasi notte, con l'ultima barca che approfittava della marea. Non mangiava da quasi ventiquattro ore. Aveva un po' di cibo nella bisaccia, ma ogni volta che stava per portarlo alla bocca, sembrava che sulla sua mano si posasse un'altra mano, e dicesse, Non mangiare, che il momento è arrivato. Sotto le acque scure del fiume vedeva passare i pesci a grande profondità, sciami di cristallo e argento, lunghi dorsi squamosi o lisci. La luce interna delle case s'insinuava attraverso le pareti, diffusa come un faro nella nebbia. Imboccò la Rua Nova dos Ferros, girò a destra alla chiesa di Nossa Senhora da Oliveira, in direzione del Rossio, ripeteva un itinerario di ventott'anni prima. Camminava in mezzo a fantasmi, a ombre che erano persone. Tra i mille odori fetidi della città, la brezza notturna le portò quello della carne bruciata. C'era folla a S. Domingos, torce, fumo nero, fuochi. Si fece strada, arrivò alle file davanti, Chi sono, chiese a una donna che aveva un bambino in braccio, Di tre lo so, quello dietro e quella sono padre e figlia che sono venuti qui per colpe di giudaismo, e l'altro, quello all'estremità, è uno che faceva commedie per il teatro dei fantocci e si chiamava Antonio José da Silva, degli altri non ho mai sentito parlare.

Sono undici i giustiziati. Il rogo è già molto avanti, le facce si distinguono appena. A quell'estremità brucia un uomo cui manca la mano sinistra. Forse perché ha la barba annerita, prodigio cosmetico della fuliggine, sembra più giovane. E una nuvola chiusa sta al centro del suo corpo. Allora Blimunda disse, Vieni. Si distaccò la volontà di Baltasar Sette-Soli, ma non salì alle stelle, se alla terra apparteneva e a Blimunda.

| << |  <  |