Copertina
Autore Kester Schlenz
Titolo Confessioni di un lattante
EdizioneRed, Milano, 2007, Economici di Qualità 85 , pag. 128, ill., cop.fle., dim. 12,5x19x1 cm , Isbn 978-88-7447-478-3
OriginaleBekenntnisse eines Säuglings
EdizioneGoldmann, Monaco, 2006
TraduttoreAdele Campione
LettoreSara Allodi, 2007
Classe bambini
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Indice

  7 Prefazione
  9 L'arrivo
 12 La Nazione ha trovato un superbebè
 14 Il padre di tutti i drink
 16 La prima volta
 18 Al di là della porta
 20 Occhi grandi, giudiziosi
 22 Discriminazione sociale
 23 Rudi solo solo nel suo lettino
 25 A tutto volume!
 27 Chiamatemi Smiley
 28 La fontanella è un piatto italiano?
 29 La mia testa è troppo grossa
 33 Nessun dorma!
 36 Il pugno
 38 Rudi l'oratore
 39 E come stare su un ottovolante!
 42 La poppata: variazioni sul tema
 43 Il primo volo
 46 Una poesia
 47 La nuvola di cacca
 49 Il mostro
 51 Ricambi difettosi
 56 La torre dei pannolini
 57 Il pisello deve stare giù
 58 La pompa dell'orrore
 59 Il misterioso significato mistico dell'indice
 60 La crosta lattea
 62 Nessun potere ai succhiotti!
 65 Tiratemi fuori di qui, sono solo un bambino!
 68 «Sa già stare seduto!»
 70 Fare lo scontroso mi riesce bene
 72 Falsi riguardi
 73 Rubinetti che perdono
 74 La bocca è mia. La fase orale
 76 La prima botta di astinenza
 79 Come comportarsi a tavola
 80 Un altro po' di denti, per favore!
 83 Prossimo traguardo: gattonare
 86 Mezzi di trasporto
 87 Magic fingers
 88 Il vaccino contro gli orecchioni
 89 «Tromba di cul(etto), sanità di corpo»
 91 Sabbia appetitosa
 92 La terza dimensione
 93 Via il ciarpame!
 94 Girls
 96 Piccolo Buddha
100 Quando i grandi sclerano
101 Ciucciare a vuoto
102 Bad Hair Day
104 Violenza nel gruppo dei piccoli
105 Famous first words
106 Edipo
108 Mi chiamo Rudi e sono un caccolomane
109 F.A.Q. (Frequently Asked Questions)
110 Un salsicciotto
114 Come si divertono i miei genitori
115 Nuovi modelli di tappezzeria imbrattata
    artisticamente
117 Belle paroline
118 I had a dream
122 Conclusione

 

 

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Pagina 9

L'arrivo


Chiamatemi pure Rudi. Per un riguardo verso i miei genitori ho cambiato il mio nome. Attualmente ho 12 mesi e vorrei raccontarvi la mia vita movimentata. Dunque, i miei primissimi ricordi risalgono alle pacifiche ore trascorse nel grembo materno. Un nuotare assolutamente dolce, una soffusa luce rosa e un sommesso sound proveniente dall'esterno. E poi zac, il parto. Senza preavviso. Credetemi: si viene letteralmente sbattuti fuori.

Allora: proprio in quel momento mi stavo succhiando in santa pace l'alluce. E tutt'a un tratto ho la sensazione che mi stiano precipitando addosso le pareti di destra e di sinistra, quelle di sopra e quelle di sotto. Un incubo paragonabile solo a un racconto di Edgard Allan Poe. E poi qualcosa mi spinge con violenza verso il canale del parto. E poi bang, mi sono preso uno spavento bestiale, il sacco amniotico è scoppiato e le cose hanno preso a precipitare. Una compressione totale, pensai che mi sarei ritrovato in poltiglia. E mica è durata poco; è mai possibile, dico io, che dopo 10.000 anni di civilizzazione l'uomo non sia ancora riuscito a rendere più veloce la sua nascita? È una cosa straordinariamente preoccupante per un essere umano così piccolo.

E poi, dopo un bel po', un fracasso d'inferno. «Spingere. Su, avanti, spinga così. Sì, spinga di nuovo», gridava da chissà dove la voce di qualcuno abituato a comandare e che non sembrava poi tanto di buonumore.

Sostanzialmente ne avevo già abbastanza della vita prima ancora di essere fuori del tutto. E qual è la prima cosa che vedo? Il mio vecchio! Che a occhi sbarrati, a bocca aperta e pallido da far paura guarda verso di me e strilla: «Vedo la testina!»

Proprio a causa della testina, cioè a dire del mio testone, purtroppo non ho reso le cose facili alla mia mamma, poverina. Poi l'ostetrica incominciò a tirare di qua e di là finché finalmente non fui completamente fuori.

Fuori c'era soprattutto una maledetta luce. Troppa, se proprio volete saperlo. Troppa, visto che ci trovavamo in una sala parto e non in un commissariato di polizia durante l'interrogatorio di una persona sospetta.

Io me ne stetti zitto finché qualcuno non mi mollò un ceffone. Allora feci un favore a tutti e mi misi a strillare. Ed esattamente in quel momento mi fu chiaro che stavo respirando. Ragazzi, che differenza rispetto alla tranquilla fonte di rifornimento per mezzo del caro, vecchio cordone ombelicale che per nove mesi era stato la mia personale, comodissima pipeline.

Quando dunque l'aria dell'ospedale mi entrò nei polmoni, mi sembrò di essere una camera d'aria gonfiata fino a scoppiare da una mostruosa pompa ad aria compressa. Fa un male cane!

Ma in seguito fu tutto okay. In un certo senso è divertente questo sollevarsi e abbassarsi della cassa toracica senza bisogno di fare chissà che cosa. Certo che poi gattonare e camminare è un altro paio di maniche, fatto che purtroppo fui costretto a constatare di persona.

Ma di questo parleremo un'altra volta.

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Pagina 22

Discriminazione sociale


Uno dei più assurdi enigmi delle mie prime settimane di bebè fu una strana richiesta che i miei genitori mi rivolgevano dopo la poppata. Uno dei due mi metteva a pancia in giù sulle sue cosce, mi picchiettava ritmicamente la schiena e mi chiedeva: «Su, da bravo, fai il contadinello».

Ero confuso. Che cosa cavolo volevano da me? Davvero si aspettavano che un lattante di quattro giorni si mettesse a fare il mimo per imitare un contadino?

Mi riuscì infine di capire che volevano che io ruttassi. Però non lo dicevano. Dicevano: «Fai il cafoncello». In tutto il mondo si dice 'ruttare' e invece in Germania ai piccoli si dice così. Roba da classisti.

Gli feci comunque il favore e ruttai in modo così micidiale che quasi mi venne su tutto il latte che avevo appena succhiato. Dà un gran sollievo un rutto così profondo. E tuttavia imparai a tirarla per le lunghe perché quel ritmico picchiettio sulla schiena mi piaceva assai.

Sono d'accordo con chi sostiene che ai lattanti i massaggi giovano molto. «Avanti, gente, continuate così. Ah, che meraviglia!»

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Pagina 23

Rudi solo solo nel suo lettino


Ma sapete che cosa mi dava sui nervi soprattutto durante le prime settimane in famiglia? Queste notti inquiete. Certo, dormicchiavo per la maggior parte del tempo. Però quando mi svegliavo volevo che immediatamente si desse inizio al programma: il seno, papà che mi fa divertire, gli sbaciucchiamenti e queste domandine così spassose: «Dov'è andato a finire il piccolo Rudi? Dov'è? Ma sì, è proprio qui».

E già, dove volevate che fossi? Eppure in qualche modo queste gentili, infantili domande mi piacevano. Danno una sensazione di solidarietà.

Ma, ragazzi, di notte non se ne faceva niente. Zero programmi. Io mi svegliavo. Tutto era buio. Tutto era silenzioso. Nessuno che mi domandasse dov'ero e, soprattutto, niente poppata.

Ah, è così? Allora mettetevi bene in testa che con me non c'è niente da fare! Raccoglievo un po' di forze e mi mettevo a strillare come se Osama Bin Laden in persona si fosse intrufolato in casa nostra. Che cosa devo dirvi? Neppure un minuto dopo uno dei due (parlo dei miei genitori) era già accanto al mio lettino e, con lo sfinimento dipinto sul volto, ma con un'espressione amichevole, mi rivolgeva un paio di domandine gentili: «Che cos'ha mai il mio piccolo Rudi? E perché strilla così?» E alla fine mi portava nel lettone.

E lì mi beccavo la mia materia prima. Era sempre bellissimo scivolare nel sonno nel bel mezzo della poppata.

Cercate di immaginarvi di essere in un ristorante a cinque stelle Michelin e che, mentre pranzate, a poco a poco vi venga sonno; a questo punto vi lasciate andare lentamente, appoggiate il capo sul piatto e chiudete dolcemente gli occhi.

Ancor oggi sento la mancanza di questa accoppiata succhiare-appisolarsi.

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Pagina 25

A tutto volume!


Già dopo un paio di settimane mi resi conto di una cosa: per un lattante, le possibilità di comunicare sono molto limitate. Perciò per ogni bebè è importante imparare al più presto a utilizzare una scala di urli al fine di poter reagire a seconda delle situazioni o semplicemente tanto per cambiare il tipo di sbraitamento. Consiglierei le seguenti varianti.

• Modello 'Sirena': ululato ininterrotto, chiaro, altissimo, appena al di sotto degli ultrasuoni. Molto utile quando ci si ritrova da soli nottetempo oppure in presenza di una forte sensazione di fame.

• Modello 'Vesuvio': eruttivo, un tipo di urlo esplosivo, totalmente sconvolgente per i genitori. Assolutamente adatto se amici e parenti rompono le scatole o semplicemente per attirare l'attenzione.

• Modello 'Ostaggio': piagnucolio leggero, soffocato, appena al di sopra della soglia uditiva dei genitori. Che, quando finalmente si svegliano, si fondano da voi a precipizio sentendosi la coscienza bestialmente sporca perché vi hanno lasciato trascorrere metà della nottata in lacrime come un povero prigioniero nella sua buia cella.

• Modello 'Clown triste': per lattanti esperti. Difficile, ma sempre efficacissimo. Il bello sta nel passare senza soluzione di continuità da una timida, mesta risatina ad alti e lamentosi gemiti. Come se bastasse schiacciare un bottone. Sempre utile per scombussolare i genitori. Grazie al modello clown triste i genitori si mettono subito a cercare un colpevole: fino a un momento prima il bebè 'stava così buono!' Un'ottima arma per mettere in cattiva luce i fratelli maggiori.

• Modello 'Bambi': è di altissimo livello. Ci si guarda in giro con grande dolcezza, poi si piegano proditoriamente le labbra in giù, si spreme qualche lacrimuccia e di tanto in tanto si tira su col naso. Mette tutti k.o.!

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Pagina 33

Nessun dorma!


Avevo quasi due mesi quando incominciò a profilarsi un altro problema. Addormentarmi da solo non era affar mio. Uno dei due genitori aveva ovviamente l'obbligo di starsene sempre seduto accanto al mio lettino ed escogitare ogni volta qualcosa: cantare, cianciare, cullare, dire un paio di scemenze. In una parola: intrattenimento! Solo dopo questo indispensabile rituale mi sentivo in qualche modo stanco e mi addormentavo. E tutto questo durava ogni volta piuttosto a lungo, ve lo posso assicurare.

Ma talvolta questa procedura faceva venire i nervi ai miei genitori. Ecco perché spesso prendevo per i fondelli i miei vecchi ricorrendo al mio prediletto 'metodo del telecomando'. La cosa sta così: dopo che per circa dieci ore il mio papi era rimasto seduto accanto al mio lettino cantando, blaterando ecc., chiudevo gli occhi e facevo finta di dormire. Allora papà si alzava con le ossa tutte scricchiolanti e per non svegliarmi si allontanava lentamente, centimetro per centimetro, in direzione della porta. Ma io sapevo benissimo che i gradini di legno della scala quasi sempre cigolavano quando uno ci metteva su il piede. Era solo una questione di tempo. Io potevo aspettare. Ero ancora giovane. E infatti. Dopo circa mezzo minuto arriva il cigolio e io mi scateno con i miei soliti urli. Papà ritorna indietro a rotta di collo proprio comese io avessi premuto il tasto 'Papà indietro' di uno speciale telecomando. Un vero spasso.

Un bel giorno però i miei genitori comprarono questo libro fascistoide che si intitola Tutti i bambini possono imparare ad addormentarsi da soli e, seguendone i consigli, lasciarono che continuassi a strillare nonostante avessi messo in atto una o due volte le mie azioni di richiamo.

«Dobbiamo essere coerenti», si bisbigliavano. «Gli abbiamo cantato la ninna nanna, lo abbiamo vezzeggiato, lo abbiamo coccolato. Il libro dice che adesso basta.» Mi venne una gran stizza. Secondo me questo libro andrebbe definito letteratura-spazzatura. Assolutamente nemico di tutti i bambini.

E così un altro spasso di meno. Ma va detto che a un certo punto tutta la messa in scena e quell'urlare in continuazione divennero veramente troppo stressanti, e quindi mi decisi a chiudere il becco. Comunque, quando sarò grande farò causa all'autore.

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Pagina 114

Come si divertono i miei genitori


I genitori sono sempre un grande enigma. Un bel giorno a tutt'e due venne la grandiosa idea di nascondermi sotto un asciugamano bianco. Lo chiamavano il gioco del 'baucèttete' e si divertivano come pazzi.

Il tutto procedeva così: si avvicinavano quatti quatti a me che me ne stavo seduto sul mio tappetino parlottando per i fatti miei, e senza preavviso mi buttavano l'asciugamano sulla testa. Poi si allontanavano. Derubato quasi completamente di ogni stimolo visivo, aspettavo in silenzio la loro prossima mossa. Che era la seguente: loro strisciavano lentamente fino a me, tiravano via di colpo l'asciugamano dalla mia testa e gridavano: «Baucèttete, eccolo qui!» In effetti, una constatazione corretta. Ma contemporaneamente facevano tali e tante smorfie, che non potevo fare a meno di scoppiare a ridere. Con conseguente bis della procedura: di nuovo l'asciugamano sulla mia zucca ecc. ecc.

Il tutto si ripeteva un sacco di volte finché, arrivati a un certo punto, quando strappavano via l'asciugamano io non battevo ciglio, restavo impassibile. Finalmente gli si accendeva la lampadina: «Non ne può proprio più». La smettevano e io potevo starmene di nuovo in pace. Ma devo confessarvelo: col passare del tempo mi ero abituato a quel gioco e non volevo più rinunciarci. Quei momenti di suspense prima che strappassero via l'asciugamano! Basta solo immaginarsi qualcosa alla Spielberg per capirlo.

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