Copertina
Autore Philibert Schogt
Titolo La moglie del filosofo
EdizioneGarzanti, Milano, 2008, Nuova biblioteca 54 , pag. 176, cop.ril.sov., dim. 15x22x1,9 cm , Isbn 978-88-11-68565-4
OriginaleDe vrouw van de filosoof [2005]
TraduttoreElisabetta Svaluto Moreolo
LettoreGiovanna Bacci, 2008
Classe narrativa olandese
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

1.



Il padre di Pjotr la guardò con aria gongolante.

«Ho visto il tuo ex questa mattina», disse.

«Ah sì?»

Ogni volta che Vera andava a prendere il figlio Timo a casa del suo compagno di scuola era la stessa storia. Era già abbastanza difficile non lasciarsi intimidire da quel sontuoso palazzo d'epoca, ci mancava solo quel tipo, un pagliaccio che si divertiva a mettere a disagio le persone.

«Be', l'avrai visto anche tu, immagino», aggiunse lui.

«Come? Che cos'hai detto?»

Senza risponderle, il padre di Pjotr si avvicinò all'imponente scalinata.

«Timo! C'è tua madre!»

Al piano di sopra risuonarono voci di protesta.

Il padrone di casa tornò da lei. «Allora, non sai ancora niente? Era sul "Volkskrant" di oggi. È uscito il suo libro.»

«Ah, questo intendevi...»

Alla fine, quindi, il grande giorno era arrivato. Il monumentale saggio di Luuk sul filosofo francese François Malmédy era in libreria. Quel lieto evento era stato preceduto da anni di calvario, che lei aveva avuto il privilegio di seguire da vicino quasi fino in fondo.

«Non posso crederci», disse «E la recensione com'era?»

Gli occhi del padre di Pjotr si illuminarono. «È meglio se non la leggi.»

«Dici sul serio? O mi stai di nuovo prendendo in giro?»

«Imbarazzante, francamente imbarazzante.»

«Oddio...»

Con sua somma vergogna, Vera non riuscì a reprimere un senso di esultanza che dissipò la stanchezza di quella lunga giornata di lavoro. Ma, Gesù, dopo tutto quello che aveva passato, un po' di piacere sadico era più che legittimo. Nel frattempo il padre di Pjotr godeva dei suoi tentativi di dissimulare un sorriso.

«Be'», disse lei, «secondo me è già una fortuna che un libro così difficile arrivi sui giornali. E poi non si dice sempre "se ne parli male, purché se ne parli"?»

«In questo caso c'è da chiederselo.» Al padre di Pjotr scappò da ridere.

«Guarda che non è poi così divertente. Ce l'hai qui, il giornale?»

«Oh no, mi dispiace! Madeleine lo porta sempre alla galleria, così almeno ha qualcosa da fare. Tra l'altro c'era una foto enorme.»

«Di Luuk?»

L'uomo tornò di nuovo alla scalinata. «Allora, bambini, vi muovete?»

«Arriviamooo!»

«Sì, di Luuk. Mi sono quasi spaventato.»

Stava per aggiungere qualcosa, ma proprio in quel momento Timo e Pjotr scesero giù di corsa.

«Oh, abbiamo deciso di ubbidire, finalmente?»

Vera passò una mano tra i capelli di suo figlio. «Andiamo?»

«Di cosa ti sei quasi spaventato?» volle sapere Pjotr.

«Niente, niente. Sono discorsi da grandi.»

Vera aiutò Timo a mettere il cappotto e la sciarpa, mentre il padrone di casa la osservava ridendo sotto i baffi.

Lei finse di non accorgersene. «Allora, Pjotr, che cosa farai di bello in questi giorni?» domandò con tono allegro. A scuola erano appena iniziate le vacanze autunnali.

«Vado in Sardegna con i miei genitori», rispose il bambino con una vocina squillante.

«Oh, che meraviglia! Questo giovanotto qui, invece, andrà dai nonni a Beverwijk, a fare dei bei giro in bicicletta sulle dune. Vero, Timo?»


Pochi minuti dopo, Vera stava pedalando lungo uno dei canali del centro di Amsterdam, con il figlio sul sellino posteriore della bici.

«Ti sei divertito da Pjotr?»

«Sì.»

«E che cosa avete fatto?»

«Niente.»

«Avete fatto i giochi al computer?»

«Sì.»

«Ma non solo quello, eh?»

«No, abbiamo anche guardato la TV», borbottò il bambino.

Allungando una mano, Vera gli diede dei colpetti affettuosi sulla gamba. Quel giorno non era in vena di fare la solita predica sull'importanza dei giochi all'aria aperta.

E così Luuk si era beccato una solenne stroncatura... Be', adesso toccava a Ute medicargli le ferite. Che provasse anche lei una buona volta cosa significava. Anche se... Erano entrambi talmente presuntuosi che non l'avrebbero nemmeno preso in considerazione, quel deficiente di un giornalista...

Vera si spaventò della propria veemenza. Si era ripromessa solennemente di non fare la fine della ex acida e inviperita, ed era molto orgogliosa quando le sue amiche la trovavano così calma ed equilibrata, nonostante tutto.

Ma, a prescindere dal suo eventuale rancore, era vero che quei due si sentivano al di sopra di ogni critica. In quello avevano seguito le orme del loro grande maestro, il filosofo François Malmédy, che in una delle sue massime affermava: «Qualunque cosa accada, tu resti l'eroe della storia».

Una stroncatura così era un bel banco di prova per il nostro eroe. Davvero sarebbe riuscito a far finta di niente? Vista la sua permalosità, si sarebbe dovuto arrampicare sugli specchi per non ammettere che lo faceva star male. O era solo una sua pia illusione?

Vera controllò l'orologio. Mancava poco alla chiusura, ma con un po' di fortuna avrebbe trovato la libreria ancora aperta. Se tirava dritto fino alla Koningsplein, faceva in tempo a dare una sbirciata. A proposito di banchi di prova: adesso, visto che le interessava, sarebbe stata pure costretta a comprare il suo libro. Ma no, non era eroica fino a quel punto. Oltretutto, la filosofia non l'appassionava più come una volta. In pratica, da quando aveva smesso di studiare non aveva più letto niente sull'argomento. A parte, cioè, le cose che scribacchiava Luuk. Anzi, da quel punto di vista non avrebbe dovuto proprio comprarlo, il suo libro, per dimostrare a sé stessa di aver superato il dolore. In ogni caso, meglio leggere prima la recensione. Vera svoltò come sempre a destra, imboccando la viuzza che portava al quartiere di Oud-West, dove abitava.

La casa editrice di Luuk aveva sede sul canale che avrebbe superato al prossimo incrocio. Quale occasione migliore di un venerdì sera per brindare all'uscita del suo saggio? Per la prima volta dopo i mesi d'inferno trascorsi da che lui l'aveva lasciata perlustrò con sgomento i marciapiedi, come se l'eventualità di incontrare Luuk insieme alla sua nuova fiamma fosse solo una questione di tempo. All'epoca Vera aveva capito abbastanza in fretta che il suo forte stato d'allerta era privo di senso: i due piccioncini vivevano a distanza di sicurezza ad Amsterdam-Oost, e poi Ute era di costituzione così delicata che a volte non usciva di casa per giorni interi. Però, chissà... Magari, per festeggiare il suo grande amore, avrebbe compiuto quello sforzo...

Maledizione, un altro di quei pensieri velenosi.

«Tutto bene là dietro?» domandò.

«Sì», rispose Timo.

«Bello, eh, che siano cominciate le vacanze?»

«Si.»

Attraversarono il canale. Vera guardò prima a destra, poi a sinistra: dei due innamorati nessuna traccia.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 49

4.



L'ironia di tutta quella storia era che Luuk aveva conosciuto la filosofia di Malmédy grazie a lei.

Stavano trascorrendo un weekend lungo a Parigi, non per fare romantiche passeggiate sulla Senna – no, quello non rientrava assolutamente nello stile di Luuk, e poi era novembre e faceva un freddo cane – ma per battere tutte le librerie, comprese quelle di libri usati, della città. Luuk si era portato dietro un secondo zaino, che prima di ripartire per Amsterdam aveva riempito fino all'ultima tasca. Per due costretti come loro a sbarcare il lunario con i soldi del sussidio studentesco, si trattava gioco forza di risparmiare all'osso su tutto il resto. Per questo avevano preso l'autobus notturno anziché il treno, dormivano in una pensione pulciosa vicino alla Gare du Nord e mangiavano, sia a pranzo sia a cena, baguette e camembert in camera.

Luuk era capace di passare letteralmente ore in libreria. Era fantastico vederlo così allegro. Dopo averlo frequentato per qualche mese, Vera aveva scoperto che poteva essere molto depresso. Si sentiva misconosciuto all'università: Mastenbroek e la sua cricca monopolizzavano l'attenzione dei docenti, per cui gli anticonformisti come lui restavano nell'ombra. Ma lì, nel cuore di Parigi, lontano dalla sfera di influenza di quegli odiosi gradassi, era come rinato. Lei quindi faceva il possibile per divertirsi, anche se in genere dopo cinque minuti ne aveva più che abbastanza di una libreria come quella in cui si trovavano.

Così iniziava a sfogliare libri come L'art pour l'art, l'art contre l'art, un'edizione speciale dei saggi della filosofa postmoderna Adrienne Rideau, con collage di Amadou Mwabi, un giovane artista senegalese che in quel momento faceva furore nei circoli dell'avanguardia parigina. Tutto senza dubbio molto interessante, ma l'attenzione di Vera era piuttosto attratta dalla cassiera, una donna magra, con un grande naso, l'aria ingrugnata e una testa di ricci in cui il parrucchiere aveva modellato la direzione del vento. Era il genere di donna che le incuteva soggezione, il tipo della vera intellettuale. Aveva un compagno? O una compagna? E quando tornava a casa si faceva da mangiare, oppure buttava giù uno yogurt senza nemmeno togliersi il cappotto perché aveva appuntamento a teatro con i suoi amici?

All'inizio Vera l'aveva sbirciata di nascosto, poi si era incantata a fissarla a bocca aperta. Fino a quando la donna l'aveva colta in flagrante. Era stato come se tutto il disprezzo di cui era capace il popolo francese si fosse concentrato in quella sua bocca imbronciata. Vera ripose il libro con le mani che le tremavano e corse a cercare Luuk. Gli aveva concesso anche troppo tempo.

Lo trovò in fondo al negozio, immerso in un tomo alto quattro dita. Il cestino ai suoi piedi cominciava a essere bello pieno di saggi del valore di svariate notti in una camera con bagno, magari addirittura con la vasca. E ci sarebbe stata anche una cenetta. Ma pazienza, la mancanza di comfort era ampiamente compensata dal suo insolito buon umore.

«Questo è quello studio controverso su Heidegger di cui ti parlavo in pullman», le disse raggiante.

Lei gli passò una mano tra i capelli, guardandolo con occhi colmi d'amore. Era così bello quando si entusiasmava per qualcosa! In quel momento il suo sguardo cadde su un libricino, appoggiato lì sul tavolo.

«Le printemps de Priape!» esclamò piacevolmente sorpresa.

Vera arrossi. La gioia di rivedere quel testo era stata così grande che non si era resa conto di quanto fosse osceno l'ornino nudo in copertina. Peraltro, era proprio quell'omino a esserle rimasto impresso. Il titolo del saggio e il nome dell'autore li aveva già dimenticati.

«François Malmédy», borbottò Luuk, prendendo in mano il volumetto. «Mai sentito nominare. Come diavolo fai a conoscerlo?»

«Oh, è stato l'anno scorso, al campeggio di Avignone. Angela e io abbiamo incontrato due ragazzi che lo stavano leggendo.»

«Angela? Due ragazzi? Di bene in meglio!»

«Ma guarda che erano studenti di filosofia!»

Corrugando la fronte, Luuk studiò il risvolto di copertina. «Sembra molto tendenzioso. Con il sesso come specchietto per le allodole per vendere di più.»

«Malmédy usa la libidine come metafora», si ricordò Vera, «come metafora di un nuovo modo di pensare.»

«Ma non mi dire.» Luuk rimise il libro sul tavolo. «Andiamo? Credo di aver trovato tutto quello che cercavo. E tu?»

Vera non resistette alla tentazione di prendere Le printemps de Priape e sventolarglielo sotto il naso.

«Non scherzare», disse lui, «in un posto fantastico come questo è l'unico libro che sei riuscita a trovare?»

«Be'... sì», rispose lei con aria un po' troppo sognante.

«Capisco, dev'essere stato proprio bello, con quei ragazzi francesi.» Luuk afferrò il suo cestino pieno di saggi e si avviò verso la cassa, scuotendo la testa.

Vera lo seguì a ruota. «Guarda che non è affatto come pensi tu.»

La indignava che si permettesse di liquidare in quel modo un ricordo a lei caro. Quando uscirono gli fece notare che, casualmente, era proprio grazie a quei ragazzi che aveva deciso di studiare filosofia. Gli descrisse la sua lunga conversazione con Lucien sulla riva del Rodano. Non era successo nient'altro, mentì. Una bugia a fin di bene. A Luuk non andava troppo a genio sentirla parlare dei suoi ex.

«Oddio», esclamò lui, «il ponte di Avignone come simbolo dei limiti umani. Davvero un pensiero profondo.»

«Be', Lucien lo spiegava in modo molto più convincente di quanto riesca a fare io. Possedeva una calma e una saggezza innate. Come te, del resto.»

«Ma toh...»

«Anzi, quel giorno, al laboratorio su Nietzsche mi hai proprio fatto pensare a lui.»

«Questa, poi... Che tu confonda dei vagheggiamenti romantici con la filosofia posso capirlo, ma che li associ a me... Di' un po', ma per chi mi hai preso?»

«Oh, be', scusa, sai!»

Attraversarono incupiti il ponte sulla Senna. Tirava un vento gelido e i toni grigio chiari della città si stagliavano mesti contro il cielo plumbeo. A metà del ponte i manici della borsa di Vera si ruppero e per il resto del tragitto fu costretta a portare la pila di volumi in braccio. Il rientro in albergo fu una specie di traversata della Siberia.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, era così stanca e intirizzita che i libri minacciavano di scivolarle dalle braccia anchilosate. E una volta che, a furia di tirare, spingere e imprecare, Luuk riuscì ad aprire la porta della stanza, Vera raggiunse il letto appena in tempo per assicurare al suo prezioso carico un atterraggio morbido.

Pochi minuti dopo, di ritorno dal bagno in corridoio, Vera trovò Luuk disteso a leggere il suo megasaggio su Heidegger. Avrebbe preferito fare la pace con un bicchiere di vino rosso, ma la bottiglia che avevano lasciato sul davanzale era gelata. Vera l'appoggiò vicino al calorifero, che ticchettava rumorosamente, poi si sdraiò anche lei sul letto. Dal mare di libri che li separava prese Le printemps de Priape, con evidente irritazione di Luuk.

«È possibilissimo che mi deluda, adesso che studio filosofia da un anno» gli concesse.

«Chissà.»

Meno male che in quel momento Angela non la vedeva. Era in una stanza d'albergo, a Parigi, con il suo ragazzo e... leggevano!

| << |  <  |