Copertina
Autore Joseph A. Schumpeter
Titolo Storia dell'analisi economica
SottotitoloI. Dai primordi al 1790
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2003 [1959], Gli Archi , pag. 460, cop.fle., dim. 145x220x25 mm , Isbn 978-88-339-0536-5
OriginaleHistory of Economic Analysis
EdizioneOxford University Press, New York, 1954
TraduttorePaolo Sylos-Labini, Luigi Occhionero
LettoreCorrado Leonardo, 2004
Classe economia , scienze sociali , storia della scienza
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Indice


PIANO DELL'OPERA
VOLUME 1
Introduzione all'edizione italiana di Giorgio Lunghini Prefazione della curatrice PARTE PRIMA. Introduzione: campo d'indagine e metodo 1. Introduzione e piano dell'opera 2. Interludio I: le tecniche dell'analisi economica 3. Interludio II: contemporanei sviluppi in altre scienze 4. La sociologia dell'economica PARTE SECONDA. Dai primordi alla prima situazione classica (fino a circa il 1790) l. L'economica greco-romana 2. I dottori della Scolastica e i filosofi del diritto naturale 3. I consiglieri amministratori e i saggisti 4. Gli econometrici e Turgot 5. Popolazione, produttività, salari e occupazione 6. Valore e moneta 7. La letteratura "mercantilistica"
VOLUME 2
PARTE TERZA. Dal 1790 al 1870 1. Introduzione e piano 2. I precedenti sociali e politici 3. La scena intellettuale 4. Rassegna delle truppe 5. Economica generale: uno spaccato 6. Economica generale: la teoria pura 7. Moneta, credito e cicli
VOLUME 3
PARTE QUARTA. Dal 1870 al 1914 (e oltre) l. Introduzione e piano 2. Precedenti e modelli 3. Alcuni sviluppi nei campi viciniori 4. La Sozialpolitik e il metodo storico 5. L'economica generale del periodo: uomini e gruppi 6. Economica generale: carattere e contenuti 7. L'analisi dell'equilibrio 8. Moneta, credito e cicli PARTE QUINTA. Conclusione. Un profilo degli odierni sviluppi 1. Introduzione e piano 2. Sviluppi scaturiti dall'apparato Marshall-Wicksell 3. L'economica nei paesi "totalitari" 4. La ricerca nel campo della dinamica e del ciclo economico 5. Keynes e l'odierna macroeconomica Appendice della curatrice Elenco dei libri frequentemente citati Indice generale dei nomi Indice analitico generale dell'opera
INDICE DEL VOLUME 1
Introduzione all'edizione italiana di Giorgio Lunghini Prefazione della curatrice PARTE PRIMA. INTRODUZIONE: CAMPO D'INDAGINE E METODO 1. Introduzione e piano dell'opera, 3 1. Piano dell'opera, 3 2. Perché studiamo la storia dell'economica? 4 3. Ma è una scienza l'economica? 8 2. Interludio I: Le tecniche dell'analisi economica, 15 1. La storia economica, 16 2. La statistica, 17 3. La "teoria", 18 4. La sociologia economica, 25 5. L'economia politica, 26 6. I campi di applicazione, 28 3. Interludio II: Contemporanei sviluppi in altre scienze,31 1. Economica e sociologia, 31 2. Logica e psicologia, 33. Economica e filosofia, 35 4. La sociologia dell'economica, 41 1. È la storia dell'economica una storia di ideologie? 42 (a) Natura speciale delle "leggi economiche". (b) L'esposizione marxista del pregiudizio ideologico. (c) In che cosa una storia dell'analisi economica differisce da una storia dei sistemi di economia politica e da una storia del pensiero economico? (d) Il processo scientifico: visione e regole metodologiche. PARTE SECONDA. DAI PRIMORDI ALLA PRIMA SITUAZIONE CLASSICA (FINO A CIRCA IL 1790) l. L'economica greco-romana, 63 1. Piano della parte seconda, 63 2. Dai primordi fino a Platone, 66 3. L'opera analitica di Aristotele, 70 4. Sull'origine dello stato, della proprietà privata e della schiavitú, 72 5. L'economica "pura" di Aristotele, 74 (a) Il valore. (b) La moneta. (c) L'interesse. 6. La filosofia greca, 81 7. Il contributo dei Romani, 83 (a) L'assenza di lavoro analitico. (b) L'importanza del diritto romano. (c) Scritti di agricoltura. 8. Il pensiero cristiano delle origini, 89 2. I dottori della Scolastica e i filosofi del diritto naturale, 91 1. La grande interruzione, 91 2. Il feudalesimo e la Scolastica, 92 3. La Scolastica e il capitalismo, 97 4. La sociologia e l'economica della Scolastica, 102 (a) Dal secolo IX alla fine del XII. (b) Il secolo XIII. (c) Dal secolo XIV al secolo XVII. 5. Il concetto di diritto naturale, 131 (a) Il concetto etico-giuridico. (b) Il concetto analitico. (c) Il diritto naturale e il razionalismo sociologico. 6. I filosofi del diritto naturale: l'analisi giusnaturalistica nel secolo XVII, 141 (a) Gli scolastici protestanti o laici. (b) Matematica e fisica. (c) La sociologia economica e politica. (d) Il contributo all'economica. 7. I filosofi del diritto naturale: l'analisi giusnaturalistica nel secolo XVIII e dopo, 150 (a) La scienza della natura umana: lo psicologismo. (b) Estetica ed etica analitiche. (c) Interesse individuale, bene comune ed utilitarismo. (d) La sociologia storica. (e) Gli Enciclopedisti. (f) Gli scrittori semisocialisti. (g) La filosofia morale. 3. I consiglieri amministratori e i saggisti, 174 1. Altri fatti di storia sociale, 174 (a) I fattori incidentali nella comparsa dello stato nazionale. (b) Perché gli stati nazionali erano aggressivi. (c) Influsso di circostanze speciali sulla letteratura contemporanea. 2. La letteratura economica dell'epoca, 189 (a) Il materiale escluso. (b) I consiglieri amministratori. (c) I saggisti. 3. I sistemi del secolo XVI, 196 (a) L'opera di Carafa. (b) Autori rappresentativi: Bodin e Botero. (c) Spagna e Inghilterra. 4. I sistemi del periodo 1600-1776, 203 (a) Rappresentanti della fase iniziale. (b) Justi: lo stato del benessere. (c) Francia e Inghilterra. (d) Alto livello del contributo italiano. (e) Adam Smith e la Ricchezza delle nazioni. 5. "Quasi sistemi", 236 6. Ancora sulla finanza pubblica, 242 7. Nota sulle utopie, 249 4. Gli econometrici e Turgot, 252 1. L'aritmetica politica, 252 2. Boisguillebert e Cantillon, 259 3. I fisiocratici, 269 (a) Quesnay e i suoi discepoli. (b) Diritto naturale, agricoltura, "laissez-faire" e impot unique. (c) L'analisi economica di Quesnay. (d) Il Tableau économique. 5. Popolazione, produttività, salari e occupazione, 302 1. Il principio della popolazione, 302 (a) L'atteggiamento favorevole all'incremento demografico (b) Sviluppo delle conoscenze empiriche. (c) Comparsa del principio "malthusiano". 2. Produttività crescente e decrescente e teoria della rendita, 312 (a) Produttività crescente. (b) Produttività decrescente: Steuart e Turgot. (c) La produttività crescente in senso storico. (d) Rendita della terra. 3. Il salario, 322 4. La disoccupazione e le "condizioni dei poveri", 327 6. Valore e moneta, 336 1. Analisi reale e analisi monetaria, 336 (a) Relazione fra l'analisi monetaria e l'analisi aggregativa o macroanalisi. (b) Analisi monetaria e opinioni sulla spesa e il risparmio. (c) Interludio di analisi monetaria (1600-1760): Becher, Boisguillebert e Quesnay. (d) Caro prezzo e abbondanza, buon mercato e abbondanza. 2. Questioni fondamentali, 350 (a) Metallismo e cartalismo teorici e pratici. (b) Il metallismo teorico nei secoli XVII e XVIII. (c) Sopravvivenza della tradizione antimetallista. 3. Digressione sul valore, 365 (a) Il paradosso del valore: Galiani. (b) L'ipotesi di Bernoulli. (c) La teoria del meccanismo della formazione dei prezzi. (d) Codificazione della teoria del valore e del prezzo nella Ricchezza delle nazioni. 4. La teoria quantitativa, 379 (a) La spiegazione di Bodin della rivoluzione dei prezzi. (b) Implicazioni del teorema quantitativo. 5. Credito e banche, 387 (a) Il credito e il concetto di velocità: Cantillon. (b) John Law: precursore dell'idea della moneta manovrata 6. Capitale, risparmio, investimento, 394 7. Interesse, 400 (a) Influenza dei dottori scolastici. (b) Barbon: "l'interesse è la rendita del capitale". (c) Spostamento del lavoro analitico dall'interesse al profitto. (d) La grande opera di Turgot. 7. La letteratura "mercantilistica", 410 1. L'interpretazione della letteratura "mercantilistica",411 2. Il monopolio delle esportazioni, 414 3. Il controllo dei cambi, 416 4. La bilancia del commercio, 422 (a) L'argomento pratico: la politica di potenza. (b) Il contributo analitico. (c) Il concetto di bilancia del commercio come strumento analitico. (d) Serra, Malynes, Misselden e Mun. (e) Tre proposizioni erronee. 5. Il progresso analitico dall'ultimo quarto del secolo XVII : da Josiah Child a Adam Smith, 443 (a) Il concetto di meccanismo automatico. (b) I fondamenti di una teoria generale del commercio internazionale. (c) La tendenza generale verso una maggiore libertà di scambio. (d) I vantaggi della divisione territoriale del lavoro.  

 

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INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA



Di Joseph Alois Schumpeter e di questa sua Storia dell'analisi economica, che dopo trent'anni si ripubblica nell'edizione completa, si può dire quello che Schumpeter dice di Karl Marx, cui si deve l'unica altra opera imperitura di storia delle teorie economiche, le Teorie sul plusvalore:

La maggior parte delle creazioni dell'intelletto o della fantasia scompaiono per sempre dopo un tempo che varia da un'ora a una generazione; per altre invece non accade cosi. Esse soffrono eclissi, ma poi tornano, e tornano non come elementi irriconoscibili di una eredità culturale, ma nel loro abito individuale e con le loro cicatrici personali che la gente può vedere e toccare. Queste sono le creazioni che possiamo dire grandi, e non è uno svantaggio che questa definizione unisca insieme la grandezza con la vitalità.

L'interesse attuale per l'opera di Schumpeter economista politico, che vede nell'imprenditore-innovatore la molla della dinamica capitalistica e dei suoi possibili e diversi esiti, sarebbe una giustificazione sufficiente per riproporne la Storia dell'analisi economica nell'edizione completa. La Storia, tuttavia, non è soltanto un "classico" da conservare per devozione, bensi un indispensabile strumento di lavoro per chiunque si occupi di storia del pensiero economico, di teoria economica, e di metodologia delle scienze sociali.

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Il problema storiografico e sostanziale di gran lunga piu importante è per Schumpeter proprio quello dell'ideologia: È la storia dell'economica una storia di ideologie? Le "leggi economiche" sono diverse da quelle di altre scienze, secondo Schumpeter, perché sono meno stabili e operano diversamente in diverse condizioni istituzionali; ma soprattutto per il fatto che lo stesso osservatore è un prodotto di un determinato ambiente sociale, cosicché potrebbe essere portatore di pregiudizi ideologici.

La scoperta del fenomeno del pregiudizio ideologico come "razionalizzazione" si deve, secondo Schumpeter, a Marx. Per Marx i sistemi di idee che prevalgono in una certa epoca presso un certo gruppo sociale sono probabilmente viziati; in particolare, è probabile che le idee correnti glorifichino gli interessi e le azioni delle classi egemoni, e che traccino o implichino una rappresentazione di tali classi in contrasto con la realtà. Tali sistemi di idee sono per Marx le "ideologie", e gran parte dell'economia del suo tempo altro non sarebbe che l'ideologia della borghesia industriale e commerciale. Schumpeter riconosce l'importanza di questo contributo marxiano, che avrebbe però tre difetti: Marx era completamente cieco agli elementi ideologici presenti nelle proprie teorie; l'analisi marxiana dei sistemi ideologici in termini di interessi di classe è riduttiva ed economicistica; Marx, e specialmente i marxisti, sostengono che le affermazioni che manifestano influssi ideologici sono ipso facto condannabili.

Il pregiudizio ideologico, tuttavia, resta per Schumpeter un grave pericolo per l'analisi economica; al quale se ne aggiungono altri due: la possibile alterazione di fatti o di regole di procedura da parte di "avvocati difensori"; e il fatto che gli economisti hanno l'abitudine di esprimere giudizi di valore intorno ai processi che osservano (i quali giudizi di valore possono rivelare l'ideologia dell'economista, ma non sono la sua ideologia). Affermazioni ideologicamente alterate e giudizi di valore non vanno confusi, sono però affini. E per questo la Storia schumpeteriana è storia dell'analisi economica e non storia dei "sistemi di economia politica" o storia del "pensiero economico". Un "sistema di economia politica" è per Schumpeter un'esposizione di un gruppo organico di politiche economiche che il suo autore propugna sul fondamento di certi principi unificatori di tipo normativo; di tali sistemi Schumpeter si occupa nella Storia soltanto in quanto contengano lavoro genuinamente analitico. Per "pensiero economico", d'altra parte, Schumpeter intende l'insieme delle opinioni e dei desideri concernenti questioni economiche, e specialmente di politica economica, che in una certa epoca e in un certo luogo fluttuano nella "coscienza pubblica". Anche in questo caso Schumpeter si limita a estrarre quei frammenti analitici eventualmente presenti in qualche corrente di pensiero.


Questa distinzione, fra analisi e altre forme di riflessione economica, è per Schumpeter cruciale. La scienza economica nel suo complesso, ancor piú che altre scienze, non è semplicemente la progressiva scoperta di una realtà oggettiva ("come è, per esempio, la scoperta del bacino del Congo"):

è piuttosto una lotta incessante con creazioni della nostra stessa mente e di quella dei nostri predecessori, e "progredisce" (se progredisce) a zig-zag, non secondo quello che suggerisce la logica, ma secondo l'urto di nuove idee o di nuove osservazioni o di nuove necessità, o anche secondo quello che dettano le inclinazioni o i temperamenti di nuovi uomini.

L' analisi economica, la "cassetta di strumenti", invece, progredisce. Nel modo di trattare il prezzo di concorrenza, ad esempio, vi è stato, secondo Schumpeter, un effettivo "progresso scientifico" da Mill a Samuelson. In altre parole: mentre è possibile parlare di progresso analitico, non è possibile parlare di "progresso" nel campo del pensiero economico o nel campo dei sistemi di economia politica, campi nei quali si può piuttosto scegliere, fra le varie posizioni, per simpatia.

La questione dell'eventuale influenza del pregiudizio ideologico sulla validità dei risultati dell'"analisi economica", tuttavia, non è ancora risolta. Interviene qui un'altra fondamentale categoria schumpeteriana: la "visione". Infatti, ogni volta che ci si pone un qualche problema, occorre identificare il complesso distinto e coerente di fenomeni che costituisce l'oggetto dello sforzo analitico: lo sforzo analitico è necessariamente preceduto da un atto conoscitivo preanalitico, che Schumpeter chiama appunto "visione".

Questo è il luogo nel quale può entrare l'ideologia: anzi, la "visione" è ideologica quasi per definizione. Inoltre, poiché nell'economica la sfera di ciò che può essere dimostrato rigorosamente è particolarmente limitata, vi saranno sempre zone di penombra dalle quali è impossibile rimuovere l'elemento ideologico. Ciò è ben dimostrato dalla stessa Storia, nella quale non sempre Schumpeter riesce a spiegare il passaggio da uno strumento analitico a un altro in termini di esigenze propriamente analitiche, e di fatto rinvia ad argomentazioni "ideologiche".


È questa l'ambiguità massima di Schumpeter storiografo, e rispecchia quella dello Schumpeter economista. Cosi come il primo è diviso fra l'analisi e la visione, il secondo è diviso fra Walras e Marx.

A Walras, come Schumpeter scrive nella prefazione all'edizione giapponese della sua .cor Teoria dello sviluppo economico, si deve una concezione del sistema economico e un apparato teorico che per la prima volta nella storia della scienza economica abbraccia efficacemente la struttura logica dell'interdipendenza tra quantità economiche; tuttavia la concezione e la tecnica di Walras sono rigorosamente statiche, e applicabili esclusivamente a un processo stazionario. Il problema di cui Schumpeter si occuperà per tutta la vita è invece quello di come il sistema economico generi la forza che incessantemente lo trasforma: egli sa che all'interno del sistema economico esiste una fonte di energia che di per se stessa disturba qualsiasi possibile "equilibrio"; e che dunque ci deve essere una teoria dello sviluppo e dell'evoluzione economica, che non faccia assegnamento soltanto sui fattori esterni che possono spingere il sistema economico da un equilibrio all'altro.

Questa idea e questa intenzione, secondo Schumpeter, sono esattamente le stesse che stanno alla base della dottrina economica di Karl Marx.

GIORGIO LUNGHINI

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Capitolo 1

[INTRODUZIONE E PIANO DELL'OPERA]




1. PIANO DELL'OPERA

1. Per "storia dell'analisi economica" intendo la storia degli sforzi intellettuali che gli uomini hanno compiuto per comprendere i fenomeni economici, o, che è lo stesso, la storia degli aspetti analitici o scientifici del pensiero economico. La seconda parte di quest'opera descriverà la storia di tali sforzi dai primi inizi di cui si hanno tracce fino agli ultimi due o tre decenni del secolo XVIII. Nella terza parte sarà studiato il periodo che può essere indicato, se pure in modo molto impreciso, come il periodo dei "classici" inglesi, sino al principio del terz'ultimo decennio del secolo scorso. La quarta parte offrirà un ragguaglio sulle vicende dell'economia analitica o scientifica dalla fine del periodo classico (sempre in via molto approssimativa) sino alla prima guerra mondiale, sebbene la storia di alcuni problemi, per convenienza di esposizione, sia condotta fino al tempo presente. Queste tre parti costituiscono il grosso dell'opera ed incorporano il grosso delle ricerche dedicate ad essa. La quinta parte è semplicemente uno schizzo degli sviluppi piú recenti e risulta alleggerita di una parte del suo carico dalle anticipazioni, cui s'è accennato, contenute nella parte quarta; e non ha altra ambizione che quella di aiutare il lettore a comprendere come il lavoro moderno si ricolleghi al lavoro del passato.

Nell'affrontare la smisurata impresa, che in quest'opera è stata tentata piuttosto che compiuta, ci rendiamo subito conto di un fatto ammonitore. Quali che siano i problemi che si nascondono, ad insidiare l'incauto, sotto la superficie della storia di ogni scienza, negli altri campi lo storico è almeno abbastanza sicuro del suo oggetto, casi da poter cominciare senz'altro. Nel nostro campo le cose non stanno casi. Qui le stesse idee di analisi economica, di sforzo intellettuale, di scienza, sono avvolte nella nebbia, e le regole o i principi che debbono guidare lo storico lasciano adito a dubbi, o, peggio, a malintesi. Perciò la prima parte serve da prefazione alle successive e mira a spiegare, con tutta la completazza compatibile con lo spazio, le mie opinioni sulla natura dell'oggetto ed alcuni degli accorgimenti concettuali che mi sono proposto di adoperare. Mi è sembrato, inoltre, che fosse necessario includere un certo numero di argomenti che riguardano la sociologia della scienza, ossia la teoria della scienza considerata come fenomeno sociale. Si badi però che tali questioni sono qui accennate solo per offrire qualche indicazione sui principi che intendo adottare, o sull'intonazione generale di quest'opera. Benché vengano esposte le ragioni per cui li adotto, tali principi non possono essere qui esaurientemente discussi. Essi sono indicati semplicemente per facilitare la comprensione di quanto ho tentato di fare e per mettere il lettore in condizione di rinunciare allo studio di questo libro, se questa intonazione non fosse di suo gusto.


2. PERCHE STUDIAMO LA STORIA DELL'ECONOMICA?

E perché studiamo la storia di una qualsiasi scienza? Il lavoro in corso (cosí si sarebbe indotti a pensare) conserva tutto ciò che è ancora utile del lavoro delle precedenti generazioni. I concetti, i metodi e i risultati che non vengono conservati non meritano presumibilmente considerazione. Perché allora dobbiamo risalire a vecchi autori e riesumare opinioni ormai sorpassate? Perché non lasciare la roba vecchia alle cure di pochi specialisti che l'amano per se medesima?

C'è molto da dire su un atteggiamento del genere. Senza dubbio, è meglio gettar via i modi di pensiero sorpassati che rimanere attaccati indefinitamente ad essi. Nondimeno, le visite in soffitta possono riuscir profittevoli, purché non durino troppo a lungo. I vantaggi che possiamo sperare di trarre da tali visite possono essere indicati in tre punti: vantaggi pedagogici, nuove idee, e cognizioni sui procedimenti della mente umana. Considereremo tali punti separatamente, senza particolare riferimento all'economica; aggiungeremo, quindi, in un quarto punto, alcune ragioni che inducono a credere che nell'economica gli argomenti a favore di uno studio della storia del lavoro analitico siano anche piú forti che in altri campi.

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3. MA È UNA SCIENZA L'ECONOMICA?

La risposta a tale domanda dipende, naturalmente, da quel che intendiamo per "scienza". Nel linguaggio comune, come nel gergo della vita accademica, - particolarmente dei paesi di lingua francese e inglese, - il termine "scienza" è spesso adoperato per indicare la fisica matematica. È evidente che un tal uso esclude tutte le scienze sociali, compresa l'economica. Se consideriamo come caratteristica distintiva (definiens) di una scienza l'uso di metodi simili a quelli della fisica matematica, l'economica, nel suo complesso, non è una scienza. Solo una piccola parte di essa può dirsi "scientifica". Parimenti, se definiamo la scienza conforme al detto comune: "scienza è misura", anche in questo caso l'economica è scientifica in alcune sue parti, e non in altre. Su questo punto non dovrebbero esserci suscettibilità riguardo al "grado" o alla "dignità": chiamare "scienza" un certo campo del sapere non dovrebbe essere inteso né come un complimento né come il contrario di un complimento.

Pei nostri fini si presenta spontaneamente alla mente una definizione assai ampia: scienza è qualsiasi genere di conoscenza il cui perfezionamento ed approfondimento sia stato oggetto di sforzi consapevoli. Tali sforzi generano abiti mentali - metodi o "tecniche" - e una padronanza dei fatti che vengono scoperti con tali tecniche, che eccedono la portata degli abiti mentali e della conoscenza dei fatti propri della vita quotidiana. Possiamo, quindi, anche adottare la definizione praticamente equivalente: "scienza è qualsiasi campo del sapere che abbia sviluppato tecniche specializzate per la scoperta di fatti e per l'interpretazione o la deduzione (analisi)". Infine, se desideriamo mettere in evidenza gli aspetti sociologici, possiamo formulare un'altra definizione, praticamente equivalente però alle prime due: "scienza è qualsiasi campo del sapere in cui ci siano persone (i cosiddetti ricercatori o scienziati o dotti), dedite al compito di arricchire la conoscenza dei fatti e di migliorare i metodi esistenti e che, in tale processo, acquistano una padronanza di cognizioni e di metodi che li differenzia dai 'profani' e dai semplici 'pratici'." Molte altre definizioni sarebbero altrettanto valide. Qui ne aggiungo due, senza ulteriori spiegazioni: "scienza è senso comune affinato"; "scienza è conoscenza aiutata da strumenti speciali".

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[3, LA «TEORIA»]

Il terzo campo fondamentale è la "teoria". Tale termine ha molti significati, ma solo due importano per l'uso che ne vien fatto nella presente opera. Il primo significato, che è il meno importante, è quello che considera le teorie come sinonimi di "ipotesi esplicative". Tali ipotesi, naturalmente, sono elementi essenziali anche della storiografia e della statistica. Per esempio, anche lo storico (dell'economica o di altro) piú accanitamente attaccato ai "fatti", difficilmente può fare a meno di formulare un'ipotesi esplicativa, cioè una teoria, o diverse ipotesi esplicative e teorie, sull'origine delle città. Similmente lo statistico non può fare a meno di formulare un'ipotesi o una teoria sulla distribuzione congiunta delle variabili stocastiche che entrano nel suo problema. Ma è un errore (ed è un errore molto diffuso) il credere che l'unico o il principale compito del teorico dell'economia consista nel formulare siffatte ipotesi (qualcuno sarebbe tentato di aggiungere: "cavandole dall'aria").

La teoria economica fa qualcosa di completamente diverso. Al pari della fisica teorica, essa non può procedere senza schemi o modelli semplificatori, che vengan costruiti per rappresentare certi aspetti della realtà e che ammettano, senza porle in discussione, alcune cose per poi dimostrarne altre secondo certe regole metodologiche. Per quanto riguarda il nostro argomento, le proposizioni che accettiamo senza discussione possono essere chiamate, indifferentemente ipotesi, assiomi, postulati, assunzioni o persino principi, e le proposizioni che pensiamo di aver dimostrato attraverso un procedimento legittimo son chiamate "teoremi". Naturalmente, una proposizione può comparire in un argomento came pastulato e in un altro come teorema. Ora ipotesi di questo genere sono anche suggerite dai fatti, - esse vengono formulate avendo presenti le asservazioni compiute, - ma a rigor di logica, sono arbitrarie creaziani dell'analista. Esse differiscano dalle ipotesi del primo genere (le ipotesi esplicative) in quanto non incorporano risultati finali di ricerche, che si suppone siano interessanti per se stessi; ma sono semplici strumenti o arnesi foggiati al fine di produrre risultati interessanti. Inoltre, il foggiarle non è tutto ciò che fa il teorico dell'economia, alla stessa maniera che il foggiare ipotesi statistiche non è tutto ciò che fa il teorico delle statistiche o, anzi qualsiasi altro teorico. Altrettanto importante è l'escogitare quegli altri espedienti analitici, come il "saggio marginale di sostituzione", la "produttività marginale", il "moltiplicatore", l'"acceleratore", in cui i risultati sono già impliciti nelle ipotesi; tali espedienti, in sostanza, sono concetti, relazioni fra concetti e metodi per trattare tali relazioni, che in sé nulla hanno d'ipotetico. Ed è la somma totale di tali espedienti analitici - comprese le assunzioni strategicamente utili - che costituisce la teoria economica. Per usar la frase insuperabilmente felice della signora Joan Robinson; la teoria economica è una cassetta di strumenti.

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