Copertina
Autore George S. Schuyler
Titolo Mai più nero
EdizioneVoland, Roma, 2005, intrecci 40 , pag. 192, cop.fle., dim. 145x205x13 mm , Isbn 978-88-88700-50-2
OriginaleBlack no more
EdizioneNegro Universities Press, New York, 1969 [1931]
CuratoreM. Giulia Fabi
TraduttoreAnna Hilbe
LettoreElisabetta Cavalli, 2005
Classe narrativa statunitense , fantascienza
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Pagina 9

CAPITOLO 1



Max Disher se ne stava fuori dal Honky Tonk Club tirando boccate da un sigaro sottile e osservando i gruppi di bianchi e di neri che in massa entravano nel cabaret. Max era alto, elegante, la pelle liscia color caffè. I lineamenti negroidi avevano una leggera impronta satanica e il portamento disinvolto qualcosa di insolente. Teneva il cappello sulle ventitré e sotto la pelliccia di procione indossava un impeccabile abito da sera. Era giovane, non era al verde, ma era maledettamente depresso. Era la sera della vigilia di Capodanno del 1933, ma nel suo cuore non c'erano né gioia né felicità. Come poteva condividere l'allegria di quella folla se non aveva una ragazza? Lui e Minnie, la sua maschietta 'marrone chiaro', avevano litigato proprio quel giorno e fra di loro era finito tutto.

Le donne sono davvero molto strane, meditava fra sé, specialmente quelle chiare. Potreste regalare loro la luna e neanche vi ringrazierebbero. Questo probabilmente era stato lo sbaglio: a Minnie aveva dato troppo. Non conveniva spendere eccessivamente per loro. Appena le aveva comprato un vestito nuovo e pagato l'affitto di un appartamento di tre stanze, subito era diventata boriosa e arrogante. Fissata col colore della pelle, ecco quale era il suo problema! Si tolse il sigaro dalla bocca e sputò disgustato.

Un tizio nero, basso, grassoccio, con la faccia da cherubino, risplendente in un elegante cappello marrone a tesa stretta, un cappotto di cammello e ghette, gironzolando gli si avvicinò e gli battè sulla spalla. — Ciao Max! — salutò il nuovo venuto, allungando la mano calzata in un guanto color daino. - Cosa ti passa per la testa?

Tutto, Bummy - rispose l'azzimato Max. - Quella maledetta della mia ragazza ha messo su superbia e se ne e andata.

— Non mi dire! — esclamò il tizio nero e basso. — Ma come, pensavo che tu e lei eravate una cosa sola.

— Eravamo è la parola giusta, ragazzo mio. E dopo avere speso tutti i miei quattrini, per giunta! Sono davvero furioso. E io vado pure a prenotare due posti per stasera al Honky Tonk sicuro che sarebbe venuta, e invece lei mette in piedi una lite e se ne va!

– Sciocchezze! – sbottò Bunny. – Non me ne preoccuperei se fossi in te. Mi prenderei un'altra gonnella. Non permetterei a nessuna signora di rovinarmi la sera dell'ultimo dell'anno.

— Anch'io lo farei, furbone, ma le signore che conosco sono già impegnate. E così eccomi qui vestito di tutto punto e senza sapere dove andare.

— Hai due prenotazioni, no? E allora entriamo io e te — suggerì Bunny. — Forse riusciamo ad aggregarci a qualche comitiva.

Max si rallegrò visibilmente. — Proprio un'ottima idea — disse. — Non si può mai dire, potremmo imbatterci in qualcosa di buono.

Facendo oscillare i bastoni da passeggio, i due si unirono alla ressa all'ingresso del Honky Tonk Club e discesero nelle sue fumose profondità. Accompagnati da un abile cameriere si fecero strada fra il labirinto di tavoli e si sedettero vicino alla pista da ballo. Dopo avere ordinato un ginger ale con molto ghiaccio, si misero comodi e cominciarono a scrutare la folla.

Max Disher e Bunny Brown erano amici dai tempi della guerra, quando avevano fatto il soldato insieme in Francia, nel vecchio 15° reggimento. Max era uno fra i migliori agenti dell'Aframerican Fire Insurance Company, Bunny cassiere alla Douglass Bank. Nella Harlem nera godevano entrambi della reputazione di giovanotti allegri e scapestrati. I due avevano in comune una debolezza piuttosto diffusa fra i maschi afroamericani: preferivano le donne chiare. Entrambi giuravano che tre cose erano essenziali per la felicità di un gentiluomo di colore: il denaro dei bianchi, le donne quasi bianche e i taxi dei bianchi. Incontravano poche difficoltà a procurarsi la prima e assolutamente nessuna a procurarsi la terza, ma trovavano le donne quasi bianche capricciose e incostanti. Era davvero difficile tenersele. Erano così ricercate che ci voleva almeno un milione di dollari per riuscire a tenerle lontane dalle grinfie dei rivali.

– Con le ragazze chiare ho chiuso! – annunciò Max in tono definitivo, sorseggiando la sua bibita. – Mi cerco una ragazza nera.

– Ma no! – esclamò Bunny, rinforzando la propria bevanda con il liquore della sua grande fiaschetta d'argento. – Non starai pensando di metterti a trattar carbone, spero.

– Be', – sostenne il socio – potrebbe portarmi fortuna. Di una ragazza nera puoi fidarti; ti sta appiccicata di sicuro.

– Come fai a saperlo? Non ne hai mai avuta una. Tutte le ragazze che ho visto con te sembravano delle bianche.

– Uffa! – brontolò Max. – La prossima potrebbe essere proprio una bianca. Danno meno seccature e non ti chiedono la luna.

— Su questo ti do ragione, socio, — Bunny concordò — ma la mia deve avere classe. Le signore di Woolworth non fanno per me! Ti mettono in un sacco di guai... Il fatto è, vecchio mio, che nessuna di queste donne va bene. Vengono a noia tutte troppo in fretta.

Bevvero in silenzio e si misero a osservare la folla multicolore che li circondava. C'erano clienti neri, marroni, marrone chiaro e bianchi che chiacchieravano, flirtavano e bevevano, spalla a spalla nella democrazia della vita notturna. Il fumo delle sigarette avvolgeva nella nebbia le teste di tutti e il baccano prodotto dall'infaticabile complesso jazz copriva tutti gli altri rumori all'infuori degli strilli più acuti. I camerieri scivolavano agilmente fra i tavoli, avanti e indietro, tenendo alti in equilibrio i vassoi, mentre i clienti, con indosso cappelli di carta colorata, battevano il tempo insieme all'orchestra, gettavano stelle filanti o diventavano sentimentali appoggiandosi uno sulle spalle dell'altro.

— Guarda là! Dio onnipotente! — esclamò Bunny, indicando la porta. Era entrato un gruppo di bianchi. Erano in abito da sera e tra loro c'era una ragazza alta, sottile, con capelli tiziano che sembrava discesa direttamente dal cielo o dalla copertina di una rivista.

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I tre amici sedevano in silenzio, in mezzo al ronzio dell'attività che si svolgeva attorno a loro. Hank Jonhson sorrideva guardando l'estremità del suo sigaro mentre ripensava alla sua carriera piuttosto pittoresca e movimentata. Oggi era uno dei neri più eminenti del mondo, uno che giocava un ruolo attivo e importante nel risolvere il problema più pernicioso della vita americana; eppure solo dieci anni prima lavorava in Carolina in una squadra di forzati in catene. Per due anni aveva sgobbato sulle strade sotto lo sguardo duro e il fucile sempre pronto di un crudele guardiano bianco; due anni in cui era stato picchiato, preso a calci e insultato, due anni di cibo scarso e tuguri infestati da parassiti; due anni per aver preso parte a un giochetto d'azzardo di merda. Poi aveva vagabondato fino a Charleston, aveva trovato lavoro in una sala da biliardo, aveva avuto un colpo di fortuna ai dadi, era venuto a New York ed era approdato proprio nel bel mezzo del racket delle lotterie. Diventato esattore, o corriere, aveva condotto così bene i suoi affari che resto era stato in grado di mettersi a fare il banchiere. Il denaro aveva cominciato a entrare a fiotti da neri desiderosi di giocarsi un centesimo nella speranza di vincere sei dollari. Alcuni vincevano ma i più perdevano, e lui aveva prosperato. Aveva acquistato un condominio, comprato il silenzio della polizia, a tempo perso si era occupato del giro delle cauzioni, aveva donato un paio di migliaia di dollari per promuovere l'arte nera, ed era stato eletto Grande Shogun Permanente dell'Antico e Onorevole Ordine dei Coccodrilli, la società segreta più grande e più fiorente di Harlem. Poi il giovane Crookman si era rivolto a lui con la sua proposta. Dapprima era stato restio ad aiutarlo, ma poi si era convinto nel sentire il giovane nero lamentarsi amaramente del fatto che i neri diventati ricchi non contribuivano a pagare gli studi all'estero. Un colpo di fortuna essere riuscito a entrare nell'affare dall'inizio. In un anno sarebbero diventati tutti più ricchi di Rockefeller. Dodici milioni di neri a cinquanta dollari a testa! Siano rese lodi al Signore! Hank espettorò regalmente nella sputacchiera d'ottone dall'altra parte dell'ufficio e si adagiò soddisfatto sul soffice cuscino del divano.

Anche Chuck Foster stava guardando la propria carriera in retrospettiva. La sua vita non era stata pittoresca come quella di Hank Johnson. Figlio di un barbiere di Birmingham, aveva goduto delle opportunità educative che quella comunità offriva ai fratelli più scuri; a turno era diventato insegnante, agente assicurativo e assistente sociale. Seguendo il flusso migratorio si era spostato a Cincinnati, poi a Pittsburgh e infine a New York. Lì il campo dei beni immobiliari, eccezionalmente redditizio data la scarsità di appartamenti per la popolazione nera in crescita, lo aveva reclamato. Prudente, attento, parsimonioso e privo di sentimentalismi, si era arricchito ma non senza che si diffondessero spiacevoli dicerie sui suoi metodi privi di scrupoli negli affari. Mentre si faceva strada lentamente verso la vetta della società di Harlem, aveva cercato di far dimenticare questa reputazione di pratiche sleali e losche, fin troppo vere anche per gran parte dei suoi colleghi agenti immobiliari della zona, donando grandi somme di denaro alle Associazioni Cristiane dei Ragazzi e delle Ragazze, offrendo borse di studio a giovani neri, dando feste organizzate con cura alle quali venivano invitati i neri più influenti della comunità. Era stato contento dell'opportunità di contribuire a finanziare gli studi all'estero del giovane Crookman quando Hank Johnson gli fatto notare la possibilità di successo dell'impresa. Ora, per quanto i risultati avessero superato i suoi sogni più sfrenati, la prudenza e la pavidità innate lo rendevano piuttosto pessimista per il futuro. Per la loro attività ipotizzava un centinaio di conseguenze funeste e solo il giorno prima aveva incrementato l'ammontare dell'assicurazione sulla vita. La sua mente era piena di dubbi. Non gli piaceva tutta quella pubblicità. Voleva una rispettabile popolarità ma non la notorietà.

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Nel frattempo la società nera era in preda allo scompiglio e alla confusione. La gente di colore, facendo ogni sforzo per riuscire a sottoporsi al trattamento Mai-più-nero, aveva dimenticato qualunque principio di lealtà, di appartenenza e senso di responsabilità. Alla domenica non si riunivano più nelle chiese e non pagavano più i contributi alle loro numerose confraternite. Non davano più nulla alla Campagna Contro il Linciaggio. Santop Liquorice, il capo della Società per il Ritorno all'Africa, un tempo fiorente, ogni giorno alzava la sua voce stentorea per denunciare il fatto che la razza disertava l'organizzazione.

Anche il mondo degli affari dei neri era colpito non meno duramente. Poche persone si preoccupavano di farsi stirare i capelli o di farsi sbiancare la pelle temporaneamente quando con la paga di due settimane potevano avere tutte e due le cose in modo permanente. Come risultato immediato di questa trasformazione nel modo di pensare dei neri si ebbe che le ditte produttrici di materie chimiche per stirare i capelli e sbiancare la pelle fecero quasi bancarotta. In gran parte erano sotto il controllo di astuti ebrei, ma almeno una mezza dozzina erano di proprietà dei neri. Il rapido declino di questa attività diminuì moltissimo le entrate dei settimanali neri che per sopravvivere dipendevano dalla pubblicità. L'attività vera e propria dello stiramento dei capelli, che aveva procurato lavoro a migliaia di donne di colore altrimenti destinate a lavare e a stirare, diminuì a tal punto che i cartelli "Affittasi" erano appesi davanti a nove negozi su dieci. I politicanti neri dei vari ghetti, grassi e lustri a forza di 'proteggere' il vizio con l'aiuto del voto dei neri che potevano tenere sotto controllo grazie alla separazione degli alloggi, pontificavano invano solidarietà fra neri, l'orgoglio razziale e l'emancipazione politica; ma nulla poteva fermare l'esodo verso la razza bianca. I politici sedevano cupi nei loro uffici, domandandosi se gettare la spugna e andare alla ricerca della clinica più vicina della Mai-più-nero o tenere duro ancora un po' nella speranza che i bianchi mettessero fine all'attività del dottor Crookman e soci. Quest'ultima, in realtà, era la loro unica speranza perché la maggioranza dei neri, risparmiando dollari e centesimi per perseguire l'emancipazione cromatica, aveva smesso di giocare d'azzardo, di frequentare le case di tolleranza o di inscenare le risse del sabato sera. Pertanto le risorse abituali della corruzione erano finite. I politicanti neri avevano chiesto aiuto ai loro padroni bianchi, naturalmente, ma avevano scoperto con sgomento che la maggior parte di questi ultimi erano già stati comprati dall'astuto Hank Johnson.

L'atmosfera quasi europea dei ghetti neri era svanita: la musica, le risate, l'allegria, gli scherzi e le effusioni. Al contrario, si notava lo stesso affaccendarsi agitato, gli sguardi stravolti e i visi tirati che si vedono in un accampamento militare in tempo di guerra, attorno a una zona in cui è stato scoperto il petrolio o prima di una corsa all'oro. Il nero spensierato che appariva nelle canzoni e nei racconti se n'era andato per sempre e al suo posto c'era un nero nervoso, avido di denaro, che imbottiva i calzini di monete aspettando con impazienza di avere la somma necessaria a pagare la parcella al dottor Crookman.

Arrivavano dal Sud in moltitudini crescenti e assediavano le cliniche della Mai-più-nero per sottoporsi al trattamento. Nel Sud queste oasi non c'erano a causa dell'ostilità della maggior parte dei bianchi, ma ce n'erano molte lungo il confine tra le due parti del paese, tra Nord e Sud, in posti come Washington DC, Baltimora, Cincinnati, Louisville, Evansville, Cairo, St. Louis e Denver. Le varie comunità del Sud cercavano di arginare questo fenomeno, la più grande migrazione di neri nella storia del paese, ma senza successo. Col treno, in barca, con carri, in bicicletta, in automobile e a piedi viaggiavano verso la terra promessa; una processione carica di speranza, che stuggiva alle pattuglie della polizia e alle bande dei volontari di Nordica. Dove era più forte l'opposizione all'emigrazione dei neri improvvisamente comparivano grandi quantità gratuite di liquore di contrabbando e banconote nuove e fruscianti che facevano chiudere un occhio anche al più vigile oppositore bianco della Mai-più-nero. Hank Johnson sembrava in grado di affrontare qualsiasi situazione.

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"È per me un immenso piacere ora presentarvi un uomo che non ha quasi bisogno di presentazioni. Un uomo conosciuto in tutto il mondo civile. Un uomo di grande cultura, un abile dirigente e un genio dell'organizzazione. Un uomo che, praticamente da solo, ha portato cinque milioni di americani sotto la bandiera di una delle più grandi associazioni del paese. È per me un grande piacere, signore e signori del pubblico radiofonico, presentarvi il reverendo Henry Givens, Grande Mago Imperiale dei Cavalieri di Nordica, che vi parlerà di un argomento molto attuale: la minaccia del sangue nero."

Il reverendo Givens, rinfrancato da un goccio di whisky, si avvicinò nervosamente al microfono, stropicciando fra le dita il discorso già preparato. Si schiarì la gola e parlò per più di un'ora, durante la quale riuscì a non dire niente di vero, col risultato che arrivarono allo studio radiofonico migliaia di telegrammi e chiamate interurbane di congratulazioni. Nel suo lungo intervento parlò dei fondamenti della repubblica, di antropologia, di psicologia, dell'incrocio fra razze diverse, dell'unione con Cristo, dell'importanza di seguire gli insegnamenti di Dio, di arginare il bolscevismo, della sciagura del controllo delle nascite, della minaccia di coloro che volevano adeguarsi ai gusti moderni, della scienza contro la religione e di molti altri argomenti di cui non sapeva assolutamente nulla. La maggior parte del tempo la impiegò a denunciare la Mai-più-nero Spa e a esortare l'amministrazione repubblicana del presidente Harold Goosie a deportare o a rinchiudere nel penitenziario federale i neri depravati che ne erano a capo. Dopo avere concluso con "Nel nome del nostro Salvatore e Redentore Gesù Cristo, amen", si ritirò velocemente nel bagno per finire la sua mezza pinta di whisky.

L'annunciatore prese il posto del reverendo Givens al microfono.

"E ora amici, è di nuovo Mortimer Shanker che vi parla dai microfoni della stazione WHAT di Atlanta, in Georgia, con un collegamento esteso a tutto il territorio nazionale grazie alla Moronia Broadcasting Company. Avete appena ascoltato l'intervento dotto e illuminante del reverendo Henry Givens, Grande Mago Imperiale dei Cavalieri di Nordica su 'La minaccia del sangue nero'. Il reverendo Givens trasmetterà un altro messaggio da questo microfono fra una settimana... Ora, per concludere la serata, amici miei, ascoltiamo una famosa canzone delle celebri Goyter Sisters, che fino a poco tempo fa facevano parte delle State Streets Follies, intitolata Why Did the Old Salt Shaker."


L'attivismo dei Cavalieri di Nordica provocò presto una reazione da parte del governo di Washington. Dieci giorni dopo che il reverendo Givens ebbe finito i suoi discorsi alla radio, il Presidente Harold Goosie annunciò in una conferenza stampa che stava esaminando molto attentamente le questioni poste dal Grande Mago Imperiale a proposito della Mai-più-nero Spa; che alla Casa Bianca erano arrivati molti camion carichi di lettere di condanna di quella società alle quali un corpo speciale di impiegati stava già rispondendo; che parecchi senatori avevano discusso del problema con lui, e che il paese poteva contare sul fatto che nelle successive due settimane sarebbero stati presi dei provvedimenti.

Allo scadere delle due settimane, il Presidente annunciò di aver deciso di nominare una commissione di eminenti cittadini col mandato di approfondire il problema e di avanzare proposte. Chiese al Congresso uno stanziamento di 100.000 dollari per coprire le spese della commissione.

Una settimana dopo la Camera dei Rappresentanti approvò una risoluzione in tal senso. Il Senato rinviò l'esame della risoluzione di tre settimane. Quando arrivò di fronte a quella augusta istituzione per essere votata passò, dopo lunghe discussioni, con degli emendamenti e ritornò alla Camera.

La risoluzione passò nella sua versione finale sei settimane dopo la richiesta al Congresso del presidente Goosie, il quale annunciò allora che entro sette giorni avrebbe nominato i membri della commissione.

Il Presidente mantenne la parola. Elesse la commissione, che consisteva di sette membri, cinque repubblicani e due democratici. Per lo più erano politicanti temporaneamente disoccupati.

Su un'automobile privata la commissione viaggiò per l'intero paese, visitò tutte le cliniche e gli ospedali per partorienti della Mai-più-nero e le zone che una volta erano state i ghetti. Raccolse centinaia di deposizioni, interrogò centinaia di testimoni e consumò grandi quantità di alcolici.

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Pagina 134

— Cosa c'è che non va, Buggerie? — chiese Snobbcraft allarmato.

— Tutto. Tutto! — strillò lo studioso.

— Sia preciso, per favore.

— Bene, allora, — sventolandogli in faccia il fascio di fogli — non possiamo rendere pubblica questa roba. È troppo compromettente. Coinvolge troppa gente. Dovremo nasconderla, Snobbcraft. Ha capito? Non dobbiamo permettere che qualcuno se ne impadronisca — le guance flaccide dell'omone tremavano dall'eccitazione.

– Cosa sta dicendo? Sta forse dicendo che tutti quei soldi e tutto quel lavoro sono andati sprecati?

– È esattamente quello che voglio dire – squittì Buggerie. – Sarebbe un suicidio pubblicarla.

— Perché? Venga al sodo, uomo, per amor di Dio. Mi fa uscire dai gangheri.

– Allora mi ascolti, Snobbcraft – rispose lo studioso di statistica più calmo, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. – Si sieda e mi ascolti. Ho cominciato questa ricerca partendo dal presupposto che i dati raccolti avrebbero provato che circa venti milioni di persone, la maggior parte appartenenti alle classi più basse, erano di origine nera, recente o remota, mentre circa la meta di quel numero sarebbe stata di origine incerta o sconosciuta.

— Ebbene, cosa ha scoperto? — insistette Snobbcraft, impaziente.

– Ho trovato che oltre la metà della popolazione non è in grado di risalire alle proprie origini per più di cinque generazioni!

— Sta bene — ridacchiò chiocciando Snobbcraft. — Ho sempre sostenuto che in questo paese c'erano soltanto poche persone di sangue buono.

— Ma quelle cifre comprendono tutte le classi sociali — protestò l'uomo più grosso. — La sua così come le classi più basse.

— Non mi insulti, Buggerie! — urlò il presidente dell'Associazione Anglosassone, alzandosi dal divano.

— Stia calmo. Stia calmo — gridò Buggerie agitatissimo. — Non ha sentito ancora niente.

— In nome di Dio, potrebbe esserci oltraggio peggiore per l'aristocrazia del paese? — Snobbcraft si asciugò il viso rabbuiato e altezzoso.

– Dunque, le statistiche raccolte provano che la maggior parte dei nostri leader, specialmente quelli di discendenza anglosassone, discendono da un ceppo coloniale venuto qui in servitù. Si aggregarono agli schiavi, molto spesso lavoravano e dormivano con loro. Si mescolarono con i neri e le donne furono sfruttate sessualmente dai padroni. Allora, ancora più di oggi, il tasso di natalità illeggittimo in America era molto alto.

La faccia di Snobbcraft lottava con la rabbia repressa. – Vada avanti – ordinò.

– C'era tanto di quel mischiarsi fra bianchi e neri delle varie classi che molto presto le colonie presero delle misure per porvi un freno. Riuscirono a impedire i matrimoni misti, ma non poterono fermare le relazioni interrazziali. I vecchi archivi non mentono. Sono là e chiunque li può vedere...

– Col tempo una certa percentuale di questi neri – continuò Buggerie, adesso più a suo agio e apparentemente soddisfatto della propria dissertazione – si schiarirono abbastanza da poter passare per bianchi. Poi si fusero con il resto della popolazione. Supponendo che ci fossero un migliaio di questi casi quindici generazioni fa, e abbiamo le prove che ce n'erano di più, i loro discendenti oggi contano quasi cinquanta milioni di anime. Dunque ritengo che non dovremmo rischiare di rendere pubbliche queste informazioni. Sono coinvolte troppe delle nostre famiglie più importanti proprio qui a Richmond!

— Buggerie, — boccheggiò Snobbcraft — è forse impazzito?

— Sono assolutamente sano, signore, — squittì l'omone piuttosto orgoglioso — e so di cosa sto parlando. — Strizzò un occhio acquoso.

– Be', vada avanti. C'è altro?

– In abbondanza – continuò lo studioso, amabilmente. – Prenda la sua famiglia, per esempio. (Adesso non si arrabbi Snobbcraft). Prenda proprio la sua famiglia. È vero che la sua gente discende dal re Alfred, ma lui ha moltissimi, forse centinaia di migliaia di discendenti. Naturalmente alcuni sono cittadini onorati e rispettati, aristocratici raffinati che sono un vanto per il paese; ma la maggior parte di loro, mio caro, caro Snobbcraft, si trovano in quelli che lei chiama i livelli più bassi; sono cioè lavoratori, carcerati, prostitute, e persone di ogni genere. Una sua antenata da parte materna del XXVII secolo era figlia di una cameriera inglese e di uno schiavo nero. Questa donna a sua volta ebbe una figlia dal padrone della piantagione. Questa figlia fu data in moglie a uno che era stato un servo a contratto. I loro figli erano tutti bianchi, e lei è uno dei loro diretti discendenti! — Buggerie sorrise raggiante.

— La smetta! — urlò Snobbcraft, con le vene che gli sporgevano dalla fronte bassa e con la voce tremante di rabbia. — Lei non può starsene lì seduto a insultare la mia famiglia in questo modo, signore.

— Ebbene, questo scoppio di rabbia serve proprio a provare quello che sostenevo – continuò l'omone, affabilmente. – Se lei si agita tanto di fronte alla verità, quale crede che sarà la reazione degli altri? Non serve a niente arrabbiarsi con me. Non sono responsabile dei suoi antenati. Né del resto lo è lei. Non è messo peggio di me, Snobbcraft. Al mio bisbisnonno furono mozzate le orecchie per non avere pagato dei debiti e in seguito venne messo in prigione per furto. La sua figlia illeggittima sposò un nero libero che combattè nella guerra di indipendenza. — Buggerie scrollò il capo quasi con allegria.

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