Copertina
Autore John R. Searle
Titolo La mente
EdizioneCortina, Milano, 2005, Scienza e idee 138 , pag. 282, cop.fle., dim. 140x225x22 mm , Isbn 978-88-7078-984-3
OriginaleMind. A Brief Introduction
EdizioneOxford University Press, New York, 2004
TraduttoreCarlo Nizzo
LettoreRenato di Stefano, 2006
Classe filosofia , scienze cognitive , linguistica , mente-corpo
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Indice

Prefazione all'edizione italiana
(Michele Di Francesco)                               IX
Introduzione. Perché ho scritto questo libro          3

1.  Dodici problemi di filosofia della mente          9
2.  La svolta materialistica                         37
3.  Argomenti contro il materialismo                 75
4.  La coscienza. Parte I                            97
    La coscienza e il problema mente-corpo
5.  La coscienza. Parte II                          121
    La struttura della coscienza e la neurobiologia
6.  L'intenzionalità                                145
7.  La causalità mentale                            175
8.  Il libero arbitrio                              195
9.  L'inconscio e la spiegazione del comportamento  213
10. La percezione                                   231
11. L'io                                            247


Epilogo.
La filosofia e la visione scientifica del mondo     265

Suggerimenti per ulteriori letture                  269
Indice dei nomi                                     277
Indice analitico                                    279

 

 

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Pagina 3

INTRODUZIONE
PERCHΙ HO SCRITTO QUESTO LIBRO



Esistono molte introduzioni recenti alla filosofia della mente. Molte offrono una visione d'insieme più o meno precisa delle posizioni principali e degli argomenti attualmente dibattuti. Alcune, in effetti, offrono una scrittura chiara, rigore, intelligenza e competenza. Cosa giustifica, dunque, che abbia voluto aggiungere un altro libro a questa schiera già ampia? Θ ovvio che ogni filosofo che abbia dedicato molto lavoro a un certo tema non sarà mai completamente soddisfatto dagli scritti altrui su quel tema, e, sotto questo aspetto, suppongo di essere un filosofo tipico. Ma, oltre al normale desiderio di mettere in chiaro i punti su cui non sono d'accordo, esiste un'altra ragione per cui ho voluto scrivere un'introduzione generale alla filosofia della mente. Quasi tutti i lavori da me letti accettano lo stesso insieme di categorie ereditate dalla storia per la descrizione dei fenomeni mentali, in particolare della coscienza, e, con esse, un certo insieme di assunzioni su come la coscienza e gli altri fenomeni mentali entrino in relazione tra loro e con il resto del mondo. Questo insieme di categorie, e il pesante bagaglio di assunzioni che reca con sé, non viene messo in questione e domina la discussione attuale. Ne deriva che tutte le varie posizioni condividono tale quadro di assunzioni erronee. Il risultato è che la filosofia della mente si distingue dagli altri ambiti filosofici attuali per il fatto che tutte le sue teorie più famose e influenti sono false. Comprendo nel gruppo qualsiasi posizione il cui nome finisca in "ismo". Intendo il dualismo, sia delle proprietà sia delle sostanze, il materialismo, il fisicalismo, il computazionalismo, il funzionalismo, il comportamentismo, l'epifenomenismo, il cognitivismo, l'eliminativismo, il panpsichismo, la dual-aspect theory e l'emergentismo, come viene comunemente concepito. Ad aggravare la questione, molte di queste teorie, specialmente il dualismo e il materialismo, si sforzano di esprimere una certa verità. Uno dei miei obiettivi principali è quello di salvare la verità dalla tendenza preponderante verso la falsità. Ho tentato in parte di fare ciò in altri lavori, particolarmente in La riscoperta della mente, ma questo lavoro è il mio solo tentativo di fornire un'introduzione complessiva alla filosofia della mente.

Quali sono, dunque, queste assunzioni, e perché sono false? Non posso dirvelo così su due piedi. Non sono tali da permettere una rapida elencazione senza un po' di lavoro preliminare. La prima metà del libro è per la maggior parte dedicata a esporle e liberarsene. Θ difficile elencarle perché ci manca un vocabolario neutrale con cui descrivere i fenomeni mentali. Perciò devo cominciare con un appello alle esperienze dei lettori. Supponete di stare pensando, seduti a un tavolo, alla situazione politica contemporanea, a ciò che sta succedendo a Washington, a Londra, a Parigi. Quindi spostate la vostra attenzione su questo libro e lo leggete fino a questo punto. Adesso immaginate, se volete avere un'idea delle assunzioni di cui parlo, di darvi un pizzicotto sull'avambraccio sinistro con la mano destra. Supponete inoltre di farlo intenzionalmente. Vale a dire, supponete che la vostra intenzione causi il movimento con cui la vostra mano destra pizzica il vostro braccio sinistro. A questo punto avrete esperienza di un tenue dolore. Tale dolore ha le seguenti caratteristiche, più o meno ovvie. Esiste solo nella misura in cui se ne ha esperienza cosciente, e perciò è del tutto "soggettivo" e non "oggettivo", in uno dei sensi di tali termini. Inoltre, c'è una certa sensazione qualitativa di dolore. Perciò, il dolore cosciente possiede almeno due caratteristiche: è soggettivo e qualitativo.

Riconosco che tutto ciò suona piuttosto innocente, addirittura noioso. Fino a questo punto avete avuto tre tipi di esperienza cosciente: pensare a qualcosa, fare intenzionalmente qualcosa, provare una sensazione. Qual è il problema? Bene, osservate ora gli oggetti che vi circondano, sedie, tavoli, case, alberi. Questi oggetti non sono in alcun senso "soggettivi". Esistono del tutto indipendentemente dall'essere o non essere oggetto d'esperienza di qualcuno. Inoltre, sappiamo per via indipendente che sono interamente composti dalle particelle descritte dalla fisica atomica, e che non esiste la sensazione qualitativa di essere una particella fisica, o, nel caso specifico, di essere un tavolo. Sono parti del mondo che esistono indipendentemente dalle esperienze. Ora, questo banale contrasto tra le nostre esperienze e il mondo che esiste indipendentemente da esse spinge a una categorizzazione, e nel nostro vocabolario tradizionale la categorizzazione più naturale consiste nel dire che c'è una distinzione tra il mentale, da un lato, e il fisico o materiale, dall'altro. Il mentale in quanto mentale non è fisico. E il fisico in quanto fisico non è mentale. Θ questa semplice rappresentazione a generare la maggior parte dei problemi, e i nostri tre esempi apparentemente innocenti ne illustrano tre dei peggiori. Come può un'esperienza cosciente come il vostro dolore esistere in un mondo interamente composto da particelle fisiche, e come possono certe particelle fisiche, presumibilmente del vostro cervello, causare esperienze mentali? (Questo è il cosiddetto "problema mente-corpo".) Ma anche se trovassimo una soluzione per questo problema, non saremmo ancora fuori dai guai, perché l'ovvia domanda successiva è: come possono gli stati mentali di coscienza, soggettivi, non sostanziali, non fisici, causare qualcosa nel mondo fisico? Come può la vostra intenzione, che non è parte del mondo fisico, causare il movimento del vostro braccio? (Questo è detto "problema della causalita mentale"). Infine, le vostre riflessioni sulla situazione politica pongono un terzo problema difficile da risolvere. Come possono i vostri pensieri, che si trovano presumibilmente nella vostra testa, riferirsi a – o vertere su – oggetti o stati di cose lontani, per esempio eventi politici che hanno luogo a Washington, Londra o Parigi? (Questo viene chiamato "problema dell'intenzionalità", dove per "intenzionalità" s'intende la direzionalità o aboutness della mente.)

Le nostre innocenti esperienze sollecitavano una descrizione; ed è difficile resistere al nostro vocabolario tradizionale del "mentale" e "fisico". Questo vocabolario tradizionale assume una mutua esclusione tra i due termini; e questa assunzione crea problemi insolubili che hanno dato origine a migliaia di libri. Chi accetta la realtà e l'irriducibilità del mentale tende a concepirsi come dualista. Se non che, ad altri, accettare una componente mentale irriducibile della realtà sembra un abbandono della visione scientifica del mondo, per cui negano l'esistenza di una realtà mentale di questo tipo. Ritengono che ogni cosa possa essere ridotta alla realtà materiale o eliminato del tutto. Costoro tendono a concepirsi come materialisti. Penso che entrambe le fazioni commettano lo stesso errore.

Intendo cercare di superare questo vocabolario e le assunzioni connesse, e in questo modo risolvere o dissolvere i problemi tradizionali. Ma una volta fatto ciò, il nostro argomento, la filosofia della mente, non si conclude: diventa anzi più interessante. E questa è la seconda ragione per cui ho voluto scrivere questo libro. La maggior parte delle introduzioni generali alla materia riguarda soltanto le Grandi Questioni. Si concentra principalmente sul problema mente-corpo, dedicando un po' di attenzione anche a quello della causalità mentale, e in misura minore a quello dell'intenzionalità. Non penso che questi siano i soli problemi interessanti della filosofia della mente. Messi fuori gioco i grandi problemi, possiamo dedicarci alle altre domande più interessanti e trascurate: come funzionano le cose nei dettagli?

Specificamente, mi sembra che si debbano affrontare i problemi della struttura della coscienza nei suoi particolari, nonché della rilevanza – a questo proposito – della recente ricerca neurobiologica. A tali problemi dedico un intero capitolo. Una volta risolto il puzzle della possibilità dell'intenzionalità, possiamo procedere all'esame della struttura effettiva dell'intenzionalità umana. C'è inoltre una serie di problemi assolutamente fondamentali su cui dobbiamo fare chiarezza prima di poter pensare di avere una qualche comprensione del modo in cui opera la mente. Sono più di quanti io possa affrontare in un solo libro, ma dedicherò comunque un capitolo ciascuno ai problemi del libero arbitrio, delle modalità effettive della causalità mentale, della natura e del funzionamento dell'inconscio, dell'analisi della percezione, del concetto dell'io. In un'opera introduttiva, non posso scendere molto nei particolari, ma posso almeno darvi un'idea della ricchezza della materia, ricchezza che va perduta nelle introduzioni abituali.

Ci sono due distinzioni che devono esservi chiare fin dall'inizio, sia perché sono essenziali al mio discorso sia perché la loro mancata comprensione ha portato molta confusione filosofica. La prima è la distinzione tra caratteristiche del mondo indipendenti dall'osservatore e caratteristiche dipendenti, o relative all'osservatore. Pensate alle cose che esisterebbero a prescindere da ciò che gli esseri umani potrebbero pensare o fare. Tra queste cose ci sono la forza, la massa, l'attrazione gravitazionale, il sistema solare, la fotosintesi e gli atomi di idrogeno. Ognuna di esse è indipendente dall'osservatore, nel senso che la loro esistenza non dipende dagli atteggiamenti umani. Ma ci sono molte cose che dipendono, per la loro esistenza, da noi e dai nostri atteggiamenti. Il denaro, la proprietà, il governo, le partite di football e i cocktail party sono ciò che sono, in larga parte, perché questo è ciò che noi pensiamo che siano. Tutte queste cose sono relative all'osservatore, o dipendenti dall'osservatore. In generale, le scienze naturali si occupano dei fenomeni indipendenti dall'osservatore, le scienze sociali di quelli dipendenti. I fatti dipendenti dall'osservatore sono creati da agenti coscienti, ma gli stati mentali degli agenti coscienti che creano i fatti dipendenti dall'osservatore sono, di per sé, stati mentali indipendenti dall'osservatore. Così il pezzo di carta che ho in tasca è denaro solo perché io e altre persone lo consideriamo tale. Il denaro è dipendente dall'osservatore. Ma il fatto che noi lo consideriamo denaro non dipende dall'osservatore. Che io e altre persone consideriamo denaro un pezzo di carta è un fatto che ci concerne indipendente dall'osservatore.

Quando si parla di mente occorre anche distinguere tra intenzionalità originaria o intrinseca, da un lato, e intenzionalità derivata, dall'altro. Per esempio, nella mia testa ci sono informazioni su come arrivare a San Jose. Nutro un insieme di credenze vere riguardo alla strada per San Jose. Tali informazioni e credenze in me sono esempi di intenzionalità originaria o intrinseca. Anche la mappa che ho davanti contiene informazioni su come arrivare a San Jose, e contiene simboli ed espressioni che si riferiscono a, vertono su o rappresentano città, autostrade e simili. Ma il senso in cui la mappa contiene intenzionalità in forma di informazione, riferimento, aboutness e rappresentazioni è derivato dall'intenzionalità originaria di chi ha steso la mappa e di chi la usa. Intrinsecamente, la mappa non è altro che una sfoglia di fibre di cellulosa cosparsa di macchie di inchiostro. Qualunque intenzionalità possieda, le deriva dall'intenzionalità originaria degli esseri umani.

Ci sono dunque due distinzioni da tenere presenti, la prima tra fenomeni indipendenti e dipendenti dall'osservatore, la seconda tra intenzionalità originaria e intenzionalità derivata. Esiste una relazione sistematica tra esse: l'intenzionalità derivata è sempre dipendente dall'osservatore.

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1
DODICI PROBLEMI DI FILOSOFIA
DELLA MENTE



Mi propongo, con questo libro, di offrire al lettore un'introduzione alla filosofia della mente. Tre sono i miei obiettivi. In primo luogo, il lettore dovrebbe arrivare a comprendere le questioni e le discussioni attuali più importanti del campo, e anche il loro retroterra storico. In secondo luogo, intendo rendere chiaro quale sia, a mio parere, il modo corretto di affrontare tali problemi, e spero anche di trovare una soluzione a molti di essi. Infine, l'obiettivo più importante è mettere in grado il lettore di riflettere da solo su tali questioni dopo la lettura del libro. Posso sintetizzare questi obiettivi dicendo che mi propongo di scrivere il libro che vorrei aver avuto la possibilità di leggere quando ho cominciato a riflettere su questi problemi. Scrivo partendo dalla convinzione che la filosofia della mente sia l'argomento più importante della filosofia contemporanea e che le posizioni correnti – dualismo, materialismo, comportamentismo, funzionalismo, computazionalismo, eliminativismo, epifenomenismo – siano false.

Un aspetto piacevole dei lavori che riguardano la mente consiste nel fatto che non è necessario spiegare perché l'argomento sia importante. Ci vuole un po' per comprendere perché gli atti illocutivi o la logica modale quantificata siano argomenti filosofici importanti, ma chiunque comprende immediatamente l'importanza centrale della mente nella nostra vita. Il modo in cui opera la mente – consciamente e inconsciamente, in maniera libera e non libera, nella percezione, nell'azione e nel pensiero, nelle sensazioni, nelle emozioni, nella riflessione e nella memoria, e in tutti gli altri suoi aspetti – non è semplicemente un aspetto della nostra vita, ma è, in un certo senso, la nostra vita.

Ci sono rischi connessi a questo genere di libri: una delle cose peggiori che si possano fare è comunicare ai lettori l'impressione di aver capito qualcosa che in realtà non capiscono, l'impressione che qualcosa sia stato spiegato quando in realtà non lo è stato, e che sia stato risolto un problema in realtà non risolto. Sono ben consapevole di questi rischi, e nelle pagine che seguono metterò in rilievo le aree di umana ignoranza – mia e altrui – così come quelle di umana comprensione. Ritengo che l'importanza della filosofia della mente meriti l'assunzione di questi rischi. Per molte ragioni storiche rilevanti, la filosofia della mente è divenuta l'argomento centrale della filosofia contemporanea. Per la maggior parte del XX secolo la filosofia del linguaggio è stata la "filosofia prima". Gli altri rami della filosofia erano considerati derivazioni della filosofia del linguaggio, da cui dipendevano per le loro soluzioni. Il centro dell'attenzione si è ora spostato dal linguaggio alla mente. Perché? In primo luogo, ritengo che molti di quelli che tra noi si occupano di filosofia del linguaggio considerino i problemi del linguaggio casi speciali dei problemi relativi alla mente. Il nostro uso del linguaggio è l'espressione di capacità mentali più fondamentali dal punto di vista biologico, e non si comprende completamente il funzionamento del linguaggio, a meno che non si prenda in esame il modo in cui si fonda sulle nostre abilità mentali. Una seconda ragione consiste nel fatto che, con la crescita delle conoscenze, abbiamo assistito all'abbandono dell'idea che la teoria della conoscenza, l'epistemologia, svolga un ruolo centrale in filosofia e siamo ora preparati a sviluppare una filosofia più concreta, teoretica e costruttiva, invece di affrontare rapsodicamente i singoli problemi tradizionali. Il punto di partenza ideale di tale filosofia costruttiva è l'esame della natura della mente umana. Una terza ragione a favore della centralità della mente consiste nel fatto che, per molti di noi, me compreso, il problema centrale della filosofia, all'inizio del XXI secolo, è spiegare il nostro essere agenti evidentemente coscienti, attenti, liberi, razionali, parlanti, sociali e politici in un mondo che la scienza ci dice essere costituito interamente di particelle fisiche senza mente e senza significato. Chi siamo, e come ci inseriamo nel resto del mondo? Quale rapporto ha la realtà umana con il resto della realtà? Una forma particolare di tale domanda è questa: che cosa significa essere un essere umano? La risposta a queste domande deve partire da un esame della mente, perché i fenomeni mentali costituiscono il ponte mediante il quale ci colleghiamo al resto del mondo. In quarto luogo, la preminenza della filosofia della mente deriva dalla nascita della "scienza cognitiva", una nuova disciplina che tenta di approfondire la comprensione della natura della mente più di quanto avvenisse nella psicologia empirica tradizionale. La scienza cognitiva richiede una fondazione da parte della filosofia della mente. Infine, punto più controverso, penso che la filosofia del linguaggio sia entrata in un periodo di relativo ristagno a causa di vari errori connessi alla dottrina del cosiddetto esternalismo: l'idea che i significati delle parole e, per estensione, i contenuti della nostra mente, non siano nella nostra testa, ma dipendano dalle relazioni causali tra ciò che è nella nostra testa e il mondo esterno. Non è questo il luogo per mettersi a esaminare tali problemi nei particolari, ma i tentativi falliti di offrire una spiegazione esternalistica del linguaggio hanno portato a un periodo in cui la filosofia del linguaggio non ha dato grandi risultati: e la filosofia della mente ha riempito questa stagione morta. Approfondirò il problema dell'esternalismo nel capitolo 6.

La filosofia della mente possiede una caratteristica particolare che la distingue da altri settori della filosofia. In molti settori filosofici non c'è una frattura netta fra le convinzioni dello studioso di professione e le opinioni del pubblico colto. Tuttavia, in relazione alle questioni discusse in questo libro, c'è una differenza enorme tra le credenze della maggior parte delle persone e quelle degli studiosi. Suppongo che la maggior parte degli occidentali accettino oggi un qualche tipo di dualismo. Credono di avere sia una mente, o un'anima, sia un corpo. Mi sono anche sentito dire da alcuni che si considerano composti di tre parti — un corpo, una mente, e un'anima. Ma, certamente, questa non è l'opinione degli studiosi di filosofia, psicologia, scienza cognitiva, neurobiologia, o Intelligenza artificiale. Quasi senza eccezioni, gli esperti del campo accettano una qualche versione di materialismo. In questo libro dedicherò buona parte dei miei sforzi a spiegare queste posizioni e a risolvere i problemi connessi.

Supponiamo allora che la mente sia l'attuale questione centrale della filosofia e che gli altri problemi, come la natura del linguaggio e del significato, della società e della conoscenza, siano tutti, in un modo o nell'altro, casi particolari delle proprietà più generali della mente umana. Come procedere nell'esame della mente?


I. CARTESIO E ALTRI DISASTRI



[...]

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4
LA COSCIENZA. PARTE I
LA COSCIENZA E IL PROBLEMA
MENTE-CORPO



Abbiamo concluso il capitolo precedente con una di quelle contraddizioni apparenti che sono tipiche in filosofia. Da un lato accettiamo una posizione che sembra fortemente convincente – l'Universo è materiale –, ma ciò sembra incompatibile con un'altra posizione che non possiamo abbandonare – la mente esiste. Questa situazione si produce spesso in filosofia. Vedremo, nel capitolo 7, che il problema del libero arbitrio mostra lo stesso tipo di conflitto o contraddizione: pensiamo che tutti gli eventi debbano essere determinati causalmente, ma abbiamo esperienza della libertà. In altri rami della filosofia si generano incompatibilità dello stesso tipo. In etica sentiamo che deve esserci una verità morale oggettiva, ma contemporaneamente sentiamo che nella morale non può esserci questo genere di oggettività. Alcuni trovano esasperanti queste contraddizioni della filosofia. Altri, come me, le trovano divertenti e stimolanti.

In questo capitolo tenterò di risolvere la contraddizione tra mente e materia.


I. QUATTRO ASSUNZIONI ERRONEE

Finora, in questo libro, mi sono occupato principalmente delle opinioni altrui. Ho tentato di tracciare una mappa generale di questa regione filosofica, inserendo la mia opinione personale solo quando sembrava farne parte. E ho anche usato la terminologia abituale, benché la trovi inadeguata. In questo capitolo esporrò cosa penso effettivamente del "problema mente-corpo". Come primo passo voglio dire che non dovremmo accettare la terminologia tradizionale e le assunzioni connesse. Espressioni come "mente" e "corpo", "mentale" e "materiale" o "fisico", al pari di "riduzione", "causalità" e "identità", come sono usate nella discussione del problema mente-corpo, sono la fonte della nostra difficoltà e non strumenti per il suo superamento. Poiché la mia soluzione del problema mente-corpo va contro queste assunzioni, voglio indicarle esplicitamente (con commenti preliminari tra parentesi). Ci sono quattro assunzioni che dobbiamo mettere in questione.


Assunzione 1. La distinzione fra il mentale e il fisico

Si assume che "mentale" e "fisico" denominino categorie ontologiche mutualmente esclusive. Se qualcosa è mentale allora non può essere fisico sotto quello stesso aspetto. E se qualcosa è fisico allora non può essere mentale sotto quello stesso aspetto. Il mentale in quanto mentale esclude il fisico in quanto fisico.

(Questa è l'assunzione fondamentale che dà origine all'intera discussione. Se concepiamo il mondo come fondamentalmente fisico, come è possibile concepire che il mentale si inserisca in esso? Una mossa abituale delle persone che ritengono di negare quest'assunzione consiste nell'affermare che possiamo ridurre il mentale al fisico. Il mentale non è altro che il fisico. Costoro ritengono di superare così, in qualche modo, la dicotomia dualistica, ma ne accettano la caratteristica peggiore. Quando affermano che il mentale è fisico non stanno dicendo che il mentale in quanto mentale è il fisico in quanto fisico. Stanno dicendo che il mentale in quanto mentale non esiste, che non c'è nulla tranne il fisico. Questo è un punto cruciale, e vi tornerò più avanti.)


Assunzione 2. La nozione di riduzione

Si assume generalmente che la nozione di riduzione, in cui un certo genere di fenomeno viene ridotto a un altro genere, sia chiara, non ambigua e non problematica. Riducendo gli A ai B si dimostra che gli A non sono altro che B. Per esempio, gli oggetti materiali possono essere ridotti a molecole, perché gli oggetti materiali non sono altro che insiemi di molecole. Similmente, se la coscienza può essere ridotta a processi cerebrali, allora la coscienza non è altro che un processo cerebrale.

(Il modello della riduzione deriva dalle scienze naturali. Proprio come la scienza ha dimostrato che gli oggetti materiali non sono altro che insiemi di particelle, così la scienza mostrerebbe che la coscienza non è che qualcos'altro – scariche neuronali o programmi per computer sono i candidati favoriti. Più avanti vedremo che la nozione di riduzione presenta molteplici ambiguità. Dovremo distinguere fra le riduzioni che eliminano il fenomeno ridotto mostrando che si tratta di un'illusione – i tramonti, per esempio, vengono eliminati mostrando che sono un'illusione generata dalla rotazione della Terra – e le riduzioni che mostrano in che modo un fenomeno reale sia realizzato nel mondo – gli oggetti materiali, per esempio, sono ridotti a molecole, ma questo non dimostra che tali oggetti non esistano. Dovremo anche distinguere tra riduzioni causali e riduzioni ontologiche.)


Assunzione 3. Causalità ed eventi

Si assume quasi universalmente che la causalità sia sempre una relazione tra eventi discreti ordinati nel tempo, relazione in cui la causa precede l'effetto. Un evento, la causa, viene prima di un altro evento, l'effetto. I singoli casi di relazione causa-effetto devono esemplificare una legge causale universale.

(Θ una conseguenza immediata delle assunzioni 1 e 3 che se gli eventi cerebrali causano gli eventi mentali, allora ne segue il dualismo. L'evento cerebrale è una cosa fisica. L'evento mentale è un'altra cosa mentale.)


Assunzione 4. La trasparenza dell'identità

Si assume che l'identità, come la riduzione, non sia problematica. Ogni cosa è identica a se stessa e non è identica ad alcuna altra cosa. Casi paradigmatici di identità sono le identità tra oggetti e le identità di composizione. Un esempio del primo caso: l'oggetto "Stella della sera" è identico all'oggetto "Stella del mattino". Un esempio di identità di composizione: l'acqua è identica alle molecole di H2O perché ogni campione di acqua è composto di H2O.

(La ragione dell'introduzione del concetto di identità in questa discussione è che potremmo effettivamente scoprire che uno stato mentale è identico a uno stato neurofisiologico del cervello, proprio come abbiamo scoperto che la Stella della sera è la Stella del mattino, e che l'acqua è H2O.)


Penso che queste assunzioni contengano molte confusioni. Il mio metodo non sarà quello di attaccarle frontalmente, perlomeno non subito. Prima voglio accostarmi in maniera ingenua alla relazione tra la coscienza e i processi cerebrali, come se non avessimo alle spalle molti secoli di motivata confusione. Quindi, dopo che avrò spiegato le relazioni tra mente e corpo, tornerò indietro e spiegherò perché queste assunzioni, così come sono, ci hanno impedito di raggiungere una visione chiara dei fatti, e dunque hanno bisogno di essere seriamente emendate e riviste.


II. LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA MENTE-CORPO

Il mio metodo filosofico è questo: cerco di non pensare alla storia di un problema e ai modi in cui è stato affrontato nella tradizione filosofica, limitandomi a prendere in esame i fatti nella misura in cui ci sono noti. Proviamo ad applicare questo metodo a un caso del tutto semplice. Ci concentreremo sulla coscienza, mentre ci occuperemo dell'intenzionalità in un altro capitolo. Succede che io provi sete. Non una sete disperata, ma un desiderio cosciente, di media intensità, di bere un po' d'acqua. Tale sensazione, come tutti gli stati coscienti, esiste solo in quanto provata da un soggetto umano o animale, e in questo senso ha un'ontologia soggettiva o di prima persona. Perché sensazioni come la mia sete esistano devono essere provate da un soggetto, da un "io" che ha sete. Ma come si inserisce nel resto del mondo tale sensazione soggettiva di sete? La prima cosa da mettere in rilievo è che la mia sete è un fenomeno reale, e svolge un ruolo causale nel mio comportamento. Se ora bevo, è perché ho sete. Il passo successivo da compiere è osservare che la mia sensazione di sete non è causata da altro che dai processi neurobiologici del mio cervello. Non c'è abbastanza acqua nel mio organismo, tale deficit innesca una serie complessa di fenomeni neurobiologici e tutto ciò causa la mia sensazione di sete. (Tra parentesi, c'è una strana riluttanza ad ammettere che i nostri stati coscienti sono causati da processi cerebrali. Alcuni autori tergiversano, e dicono che il cervello "dà origine" alla coscienza; altri che il cervello è "la sede" della coscienza. Un autore, pur concedendo che la coscienza dipenda dal cervello, afferma che "considerare causale la relazione non è del tutto felice".) Ma cosa sono esattamente queste sensazioni di sete? Dove e come esistono? Sono processi coscienti che avvengono nel cervello, benché a un livello più alto di quello dei neuroni e delle sinapsi. La sensazione cosciente di sete è un processo che avviene nel mio sistema cerebrale.

Proprio perché non sembri che il mio sia un discorso vago su come le cose potrebbero essere e non su come sono effettivamente, permettetemi di ancorare l'intera questione alla realtà elencando alcuni fatti noti sul modo in cui i processi cerebrali causano la sensazione di sete. Supponiamo che un animale soffra di mancanza d'acqua nel proprio organismo. Tale mancanza causerà uno "scompenso salino" nell'organismo, perché aumenta il tasso di salinità dell'acqua. Questo innesca certe attività nei reni. I reni secernono la rennina, e la rennina provoca la sintesi di una sostanza detta angiotensina 2. Questa sostanza raggiunge l'ipotalamo e modifica il tasso di attivazione dei neuroni. Per quanto ne sappiamo, a causare la sensazione di sete nell'animale è tale modificazione del tasso di attivazione dei neuroni. Ovviamente, non conosciamo tutti i dettagli del fenomeno e, indubbiamente, quando ne sapremo di più, la breve spiegazione che vi ho dato sembrerà sorpassata. Ma questo è il tipo di spiegazione del modo in cui l'esistenza di sensazioni coscienti di sete si inserisce nella nostra concezione generale del mondo. Tutte le forme di coscienza sono causate dal comportamento dei neuroni e sono realizzate nel sistema cerebrale, composto esso stesso da neuroni. Ciò che si può dire della sete si può dire di qualsiasi altra forma della nostra vita cosciente, dall'impulso a vomitare al tentativo di tradurre le poesie di Mallarmé in inglese colloquiale. Tutti gli stati coscienti sono causati da processi neuronali di livello inferiore nel cervello. Abbiamo pensieri e sensazioni coscienti; sono causati da processi neurobiologici nel cervello; ed esistono quali caratteristiche biologiche del sistema cerebrale.

Credo che questa breve spiegazione fornisca in nuce una soluzione del "problema mente-corpo": diffido degli "ismi", ma un nome è a volte utile per distinguere chiaramente una concezione dall'altra. Definisco la mia posizione "naturalismo biologico", perché fornisce una soluzione naturalistica al "problema mente-corpo" tradizionale mettendo in rilievo il carattere biologico degli stati mentali ed evitando tanto il materialismo quanto il dualismo.

La posizione del naturalismo biologico sulla coscienza può essere formulata in quattro tesi:

1. Gli stati coscienti, con la loro ontologia soggettiva, di prima persona, sono fenomeni reali del mondo reale. Non possiamo pervenire a una riduzione eliminativa della coscienza, che mostri come non sia altro che un'illusione. Né possiamo ridurre la coscienza alle sue basi neurobiologiche, perché tale riduzione in terza persona ne lascerebbe fuori l'ontologia di prima persona.

2. Gli stati coscienti sono causati interamente dai processi neurobiologici cerebrali di livello inferiore. Gli stati coscienti sono perciò causalmente riducibili ai processi neurobiologici. Non hanno affatto una vita autonoma, indipendente dalla neurobiologia. In termini causali, non sono qualcosa "che va al di là" dei processi neurobiologici.

3. Gli stati coscienti sono realizzati nel cervello quali caratteristiche del sistema cerebrale, e dunque esistono a un livello più alto di quello dei neuroni e delle sinapsi. I singoli neuroni non sono coscienti; a essere coscienti sono parti del sistema cerebrale costituito dai neuroni.

4. Dato che gli stati coscienti sono caratteristiche reali del mondo reale, hanno efficacia causale. La mia sete cosciente causa la mia azione di bere acqua, per esempio. Spiegherò tutto ciò nei particolari nel capitolo 7, dedicato alla causalità mentale.

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Pagina 118

V. RICAPITOLAZIONE DELLA CONFUTAZIONE
DI MATERIALISMO E DUALISMO


Nel capitolo 3 avevo promesso una confutazione del dualismo. Nell'interesse dell'imparzialità, aggiungo una ricapitolazione della confutazione del materialismo.

Definiamo il materialismo come la concezione per cui nell'Universo non c'è nulla tranne i fenomeni materiali come sono tradizionalmente definiti. Non ci sono stati di coscienza o consapevolezza intrinseci, soggettivi, irriducibili, né c'è qualcosa d'altro che sia intrinsecamente mentale. Ogni evento manifesto può essere eliminato o ridotto a qualcosa di fisico.

Questa concezione è abbastanza facile da confutare, perché nega l'esistenza di cose che tutti sanno esistere. Asserisce che non ci sono fenomeni ontologicamente soggettivi, e sappiamo che questo è falso perché ne abbiamo continuamente esperienza. Come filosofi, troviamo insoddisfacente una confutazione di questo tipo, perché è troppo semplice, e dunque inventiamo argomenti più complessi per arrivare alle stesse conclusioni, argomenti su pipistrelli, colori, spettri cromatici invertiti, stanze cinesi e così via. Ma questa è la conclusione cui tutti gli argomenti tendono, ciascuno per la propria via.

La confutazione del dualismo è più difficile. Definiamo il dualismo come la concezione per cui ci sono due regni ontologici metafisici distinti nell'Universo, uno mentale e uno fisico. Questa concezione è più difficile da confutare, perché mentre il materialismo postulava la non esistenza di qualcosa che sappiamo esistere, il dualismo postula l'esistenza di qualcosa, e per confutarlo formalmente si dovrebbe provare una proposizione universale negativa. Invece di avanzare una "confutazione" formale, esporrò tre argomenti contro il dualismo che ritengo conclusivi.

1. Nessuno è mai riuscito a spiegare in maniera intelligibile le relazioni tra i due regni.

2. L'ipotesi dei due regni non è necessaria. Θ possibile spiegare tutti i fatti di prima persona e tutti i fatti di terza persona senza postulare regni separati.

3. L'ipotesi crea difficoltà intollerabili. Diviene impossibile spiegare come gli stati e gli eventi mentali possano causare stati ed eventi fisici. In breve, è impossibile evitare l'epifenomenismo.

Si noti che questi argomenti non eliminano la possibilità logica del dualismo. Θ una possibilità logica, anche se io la ritengo estremamente improbabile, che, una volta distrutti i nostri corpi, le nostre anime continuino la loro esistenza. Non ho cercato di dimostrare che si tratta di un'impossibilità (in effetti, vorrei che fosse vero), quanto piuttosto che è incompatibile con quasi tutto ciò che sappiamo sul funzionamento dell'Universo, e dunque che è irrazionale credervi.

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L'INCONSCIO E LA SPIEGAZIONE
DEL COMPORTAMENTO



Uno degli obiettivi principali del mio libro è offrire una spiegazione di come i fenomeni mentali – la coscienza, l'intenzionalità, la causalità mentale, e tutti gli altri aspetti della nostra vita mentale — s'accordino con il resto dell'Universo. Come avviene, per esempio, che in un Universo interamente composto da particelle in campi di forza esista la coscienza? Come possono gli stati mentali avere efficacia causale in un Universo del genere? Fino a questo punto, la nostra ricerca si è prevalentemente occupata dei fenomeni mentali coscienti. In questo capitolo cominceremo a esplorare seriamente la natura e i modi di esistenza degli stati mentali non coscienti.


I. QUATTRO TIPI DI INCONSCIO

Inizieremo chiedendoci, ingenuamente, se gli stati mentali non coscienti esistano davvero. Come possono esserci stati che siano mentali nel senso letterale del termine e allo stesso tempo del tutto non coscienti? A tali stati mancherebbe qualitatività e soggettività, e non farebbero parte del campo unificato della coscienza. In che senso, dunque, ammesso che esistano, sarebbero stati mentali? E se cose del genere esistono, come possono avere efficacia causale in quanto stati mentali, pur essendo non coscienti? Ci siamo abituati talmente a parlare di inconscio, ci troviamo così a nostro agio con l'idea che esistano stati mentali non coscienti oltre a quelli coscienti, che abbiamo dimenticato quanto sia in realtà strana la nozione di inconscio. Per Cartesio, la risposta alla domanda se esistano stati mentali non coscienti era ovvia. L'idea di stato mentale non cosciente è una contraddizione in termini. Per Cartesio, la mente si definisce come res cogitans (realtà che pensa), e "pensiero", per lui, è solo sinonimo di coscienza. Perciò l'idea di uno stato mentale non cosciente sarebbe l'idea di una coscienza non cosciente, ovviamente autocontraddittoria. Per molto tempo l'idea cartesiana dell'esistenza di una connessione necessaria tra il mentale e la coscienza è stata dominante. E solo nel secolo scorso che l'idea di stato mentale non cosciente, e la sua importanza, sono state, alla fine, generalmente accettate. Si è soliti attribuire a Freud questo merito, ma la sua concezione è stata sicuramente anticipata da Nietzsche e da vari scrittori, tra i quali Dostoevskij è probabilmente il più importante.

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EPILOGO
LA FILOSOFIA E LA VISIONE
SCIENTIFICA DEL MONDO



A questo punto, ho svolto il compito che mi ero prefisso nel primo capitolo. Ho tentato di fornire una spiegazione della mente per la quale i fenomeni mentali siano parte del mondo naturale. La nostra spiegazione della mente in tutti i suoi aspetti – la coscienza, l'intenzionalità, il libero arbitrio, la causalità mentale, la percezione, l'azione intenzionale, ecc. – è naturalistica in questo senso: in primo luogo, tratta i fenomeni mentali come parte della natura. Dobbiamo considerare la coscienza e l'intenzionalità aspetti del mondo naturale quanto la fotosintesi o la digestione. In secondo luogo, l'apparato esplicativo usato per fornire una spiegazione in termini causali dei fenomeni mentali è necessario per spiegare la natura in generale. Il nostro tentativo di spiegare i fenomeni mentali si esprime a livello biologico, e non, per esempio, a livello di fisica subatomica. La ragione di ciò è che la coscienza e gli altri fenomeni mentali sono fenomeni biologici: sono creati da processi biologici e sono specifici di certi tipi di organismi biologici. Ovviamente, questo non significa negare che le nostre menti individuali siano modellate dalla nostra cultura. Ma la cultura non è qualcosa che si opponga alla biologia; piuttosto, la cultura è la forma che la biologia assume nelle diverse comunità. Una cultura può differire da un altra, ma ci sono limiti alle differenze. Ciascuna deve essere un'espressione dei tratti biologici soggiacenti comuni alla specie umana. Non potrebbe esserci un conflitto a lungo termine tra natura e cultura, perché, se ci fosse conflitto, la natura vincerebbe sempre e la cultura perderebbe sempre.

Si parla, a volte, della "visione scientifica del mondo" come se fosse una concezione della realtà tra tante, come se potessero esserci svariati tipi di visioni del mondo e la "scienza" ce ne offrisse uno. Sotto un certo aspetto questo è esatto; ma per altri versi è un modo di esprimersi fuorviante, che porta a conclusioni false. Θ possibile guardare alla stessa realtà nutrendo interessi diversi. C'è un punto di vista economico, uno estetico, uno politico, ecc., e il punto di vista della ricerca scientifica, in questo senso, è un punto di vista tra gli altri. Tuttavia, c'è un modo di interpretare questa concezione che porta a supporre che "scienza" denomini un genere specifico di ontologia, come se ci fosse una realtà scientifica diversa, per esempio, dalla realtà del senso comune. Penso che questo sia profondamente sbagliato. Nella concezione implicita in questo libro, che ora voglio rendere esplicita, "scienza" non è il nome di un ambito ontologico, bensì quello di un insieme di metodi per compiere delle scoperte su tutto ciò che ammette un'indagine sistematica. Il fatto che gli atomi di idrogeno possiedano un solo elettrone, per esempio, è stato scoperto utilizzando quello che si chiama "metodo scientifico", ma il fatto, una volta scoperto, non è proprietà della scienza: è una proprietà interamente pubblica. Θ un fatto come tutti gli altri. Pertanto, se ciò che ci interessa sono la realtà e la verità, non esistono una "realtà scientifica" o una "verità scientifica". Ci sono solo i fatti che conosciamo. Θ impossibile dire quanta confusione sia stata generata nella filosofia dalla mancata percezione di questo punto. Per esempio, spesso si dibatte sulla realtà delle entità postulate dalla scienza. Ma tali entità o esistono o non esistono. La mia posizione su questo punto è la seguente: che gli atomi di idrogeno abbiano un solo elettrone è un fatto, così come è un fatto che io abbia un solo naso. La sola differenza è che, per ragioni evolutive del tutto accidentali, non ho bisogno di alcuna assistenza professionale per scoprire che ho un solo naso, mentre, data la nostra struttura e data la struttura degli atomi di idrogeno, occorre un bel po' di perizia professionale per scoprire quanti elettroni ci siano in un atomo di idrogeno.

Non esiste un mondo scientifico. Non esiste che il mondo, e ciò che proviamo a fare è descrivere come funzioni e come noi ci collochiamo in esso. Per quanto ne sappiamo, i suoi principi fondamentali sono individuati dalla fisica atomica e, per la piccola parte che ci riguarda, dalla biologia evolutiva. I due principi fondamentali su cui ogni indagine come quella da me svolta si basa sono: primo, la nozione che le entità fondamentali della realtà siano quelle descritte dalla fisica atomica; secondo, che noi, in quanto esseri biologici, siamo il prodotto di lunghi periodi di evoluzione, forse lunghi cinque miliardi di anni. Ora, una volta accettati questi punti, e non si tratta di principi relativi alla scienza, bensì al funzionamento del mondo, alcune domande sulla mente umana possono avere risposte filosofiche piuttosto semplici, benché ciò non implichi che possano avere risposte neurobiologiche semplici.

Noi non viviamo in molti – ma nemmeno in due – mondi diversi: un mondo mentale e un mondo fisico, un mondo scientifico e un mondo del senso comune. Non c'è che un unico mondo: è il mondo in cui tutti viviamo, e dobbiamo spiegare come esistiamo in quanto parte di esso.

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