Copertina
Autore Gino Segrè
Titolo A qualcuno piace freddo
SottotitoloTemperatura, vita, materia
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2005, Saggi scienza , pag. 288, ill., cop.fle., dim. 146x220x16 mm , Isbn 978-88-339-1585-2
OriginaleA matter of degrees. What temperature reveals about the past and future of our species, planet, and universe
EdizioneViking Penguin, New York, 2002
TraduttoreTullio Cannillo
LettoreRenato di Stefano, 2005
Classe fisica , storia della scienza , storia della tecnica , medicina , ecologia , astronomia , scienze della terra
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Indice

  7 Ringraziamenti

  9 Introduzione.
    Il regolo, l'orologio e il termometro


    A qualcuno piace freddo


 19 1. 37 gradi

    Temperatura costante, 22
    Nel Sahara, 27
    Nell'Antartide, 34
    Quando le cose vanno male, 41
    Shock da calore, 47

 55 2. Misura per misura

    Le prime scintille, 56
    I quattro inventori del termometro, 62
    Il conte che veniva dal Massachusetts, 70
    La potenza del vapore, 76
    I tre princìpi della termodinamica, 82
    Entropia e vita, 86

 90 3. Leggere la Terra

    L'armonia di Copernico, 95
    Il sacerdote, l'avvocato e l'esperto
        di pesci fossili, 101
    Cicli del ghiaccio, 106
    La fioritura della tundra, 110
    El Niņo, vecchio e nuovo, 115
    Effetto serra: le basi scientifiche, 119
    Effetto serra: la storia, 126
    Effetto serra: la politica, 133

137 4. La vita in condizioni estreme

    La batisfera di Barton e Beebe, 138
    Clambake I: le bocche idrotermali, 146
    A qualcuno piace caldo, 153
    La Terra a palla di neve, 158
    Il terzo ramo della vita, 165
    Fondere la Terra, 168
    Vita extraterrestre, 175
    La vita sotto tre chilometri di ghiaccio, 180

185 5. Messaggi dal Sole

    Nel nocciolo, 186
    Sfacciataggine cosmica, 191
    Una digressione termica: Gamow, Rutherford
        e le barriere nucleari, 196
    Č nata una stella, 200
    Buchi neri e omini verdi, 205
    Gli elementi fondatori: idrogeno ed elio, 212
    Fotoni a tre kelvin e neutrini a due kelvin, 214
    Big bang e big crunch, 220

225 6. Il salto quantico

    I gas perfetti di Faraday, 227
    L'ultimo liquido, 232
    La super-conduttività, 238
    Dualismo, esclusione e indeterminazione, 244
    Il mondo delle basse temperature, 251
    Il frigorifero di Einstein, 254
    Il viaggio di Chandra, 261
    Nel futuro, 267

269 Bibliografia

283 Indice analitico


 

 

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Pagina 9

Introduzione

Il regolo, l'orologio e il termometro


La maggior parte di noi probabilmente comincia la giornata con una serie di domande: dove devo andare? che ore sono? fa freddo o fa caldo? Andando a dormire, anticipiamo le risposte dell'indomani a quelle stesse domande. Le misure di lunghezza, tempo e temperatura, implicite o esplicite, regolano i ritmi della nostra vita. Io sono affascinato in modo particolare dalla temperatura, la più sfuggente delle tre grandezze. Mentre nuove idee dilatavano i nostri orizzonti, la concezione quotidiana della lunghezza e del tempo non è mutata apprezzabilmente nel corso dei millenni. Da molto disponiamo di regoli e orologi. Le cose stanno diversamente per la temperatura: sebbene possiamo convenire che un bambino distingue immediatamente il caldo dal freddo, la nostra capacità di misurare la temperatura risale soltanto a pochi secoli fa. L'interpretazione scientifica anche solo della temperatura di un gas - come energia cinetica media delle molecole all'equilibrio termico - è assai più recente.

Tradizionalmente i libri scientifici divulgativi descrivono una particolare disciplina o un particolare problema. I libri sulla cosmologia o sulla genetica o sulle neuroscienze sono utili e spesso bellissimi. Ma io mi propongo di seguire un percorso differente servendomi della misurazione della temperatura come di una guida per l'esplorazione di molti aspetti della scienza. Un campo d'azione così vasto comporta inevitabilmente una selezione: le scelte che ne derivano riflettono la mia formazione e il mio gusto, oltre a ciò che conosco e che non conosco. Dovrei quindi mettervi sull'avviso, dicendovi chi sono e dove conduce questa storia.

[...]

Fin dall'inizio sapevo di voler includere in questo libro una discussione di alcune delle grandi questioni che la scienza ha affrontato nel secolo trascorso, molte delle quali rimangono aperte. Nel corso del lavoro ho scoperto con piacere che la temperatura era parte essenziale del racconto, e non un tratto marginale. Consideriamo tre esempi.

La nostra Terra si è formata 4,5 miliardi di anni fa da un disco protoplanetario, ma quando comparve la vita? Sebbene essa fosse certamente presente 3,7 miliardi di anni fa, il periodo intercorso, 800 milioni di anni, fu abbastanza lungo perché le molecole organiche primordiali si organizzassero in materiale genetico? C'era l'ambiente acquatico necessario? Le risposte dipendono dalla temperatura della Terra nelle fasi iniziali: per quanto tempo vi furono condizioni climatiche favorevoli e quanto era resistente la vita agli sbalzi termici? Se le condizioni erano tali da non permettere che la vita si sviluppasse così rapidamente sulla Terra, dobbiamo cercarne le origini altrove nel sistema solare. Ammesso che la vita sia venuta da qualche altra parte, dove esistevano condizioni favorevoli quattro miliardi di anni fa e come ha viaggiato la vita alla volta della Terra?

Ancora, consideriamo la nascita dell'universo nell'esplosione cosmica nota come big bang. Inimmaginabilmente caldo all'inizio, l'universo si raffreddò nel corso di 300 000 anni fino a raggiungere i 3000 gradi Celsius circa (3000 kelvin, come usualmente si dice in contesti scientifici) Le prove di carattere sperimentale ci dicono che la temperatura in quell'universo a 3000 gradi era quasi completamente uniforme, la stessa in ogni punto. Eppure non può essere stata completamente uniforme, altrimenti non si sarebbero sviluppati galassie, stelle e pianeti. Le tracce di fluttuazioni di temperatura inferiori a un grado, presenti in quell'epoca remota, vengono studiate oggi con gli strumenti della moderna astronomia.

Come terzo esempio, consideriamo lo strano concetto di una temperatura minima possibile, di uno zero assoluto. L'idea di avvicinarsi a tale limite, intravista per la prima volta meno di 200 anni fa, si è tradotta nell'esplorazione di un nuovo mondo in cui sono le leggi della meccanica quantistica a dettare il comportamento, i fili metallici non presentano resistenza elettrica e i liquidi scorrono senza incontrare attrito. Questo mondo, così remoto dalla nostra esperienza, ha un suo corrispettivo nell'interno delle stelle. A parte ciò, può darsi che esso fornisca nuove tecnologie di grande importanza che possono essere utili nella vita quotidiana.

Alcuni degli enigmi più interessanti relativi alla temperatura, forse non di vasta portata come i tre appena menzionati, sono nondimeno importanti. Non c'è una spiegazione semplice del fatto che il nostro corpo mantenga una temperatura costante, che noi viviamo nell'Artide o nel Sahara, del fatto che tale temperatura sia di 37 gradi, o del fatto che la maggior parte dei mammiferi e degli uccelli abbia approssimativamente la medesima temperatura. L'esigenza di un cervello dotato di prontezza e reattività costanti costituisce chiaramente un fattore importante. Ma c'è di più, come vediamo dalla miriade di meccanismi adattativi che i nostri fratelli animali hanno adottato. E non è neppure del tutto chiaro quali vantaggi ci siano offerti dallo sviluppo della febbre come risposta all'infezione.

Questo libro solleva molti interrogativi. Alcune delle cose che vi sono riportate possono apparire paradossali; per esempio, è sorprendente che conosciamo con maggiore precisione la temperatura al centro del Sole che non quella al centro della Terra. Tuttavia, molti dei problemi affrontati hanno spiegazioni che, riflettendoci, sembrano quasi ovvie. Non pretendo di offrire una visione globale della scienza, ma intendo sottolineare i collegamenti tra le impostazioni dei diversi problemi e anche tra le loro soluzioni. Il filo conduttore è la temperatura.

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Pagina 55

2.

Misura per misura


Prima del 1600, non ci si preoccupava molto di misurare la temperatura se non per trarne indicazioni approssimative in merito a che cosa indossare, dove andare, come cucinare e come forgiare un utensile. A quanto sappiamo, Galeno tentò di dare istruzioni per la somministrazione di medicinali suddividendo in quattro misure gli scostamenti del caldo e del freddo da ciascuna parte di un valore di riferimento. Era anche conoscenza comune quanta legna occorresse per far bollire dell'acqua o per cuocere un recipiente di argilla, ma tali capacità venivano acquisite semplicemente con la pratica. Viceversa, le ordinarie misurazioni di lunghezza, tempo e peso erano assai precise poiché erano necessarie per il regolare funzionamento dell'amministrazione, del commercio e della vita quotidiana. Possiamo individuare l'equivalente metrico del sumerico zir, dell'accadico ubanu, dell'assiro imeru o dell'ebraico gomor, ma non troveremo registrazioni di misure di temperatura. Non ce n'erano.

Gli antichi greci erano sorprendentemente abili nel determinare le lunghezze, anche quelle che non potevano misurare direttamente. Nel III secolo prima della nostra era, Eratostene stimò il raggio della Terra con un'approssimazione del 5 per cento rispetto al valore vero, osservando l'angolo formato a mezzogiorno dai raggi del Sole con un'asta verticale in due città separate da una grande distanza. Sempre nello stesso secolo, Aristarco valutò le dimensioni del Sole e della Luna nonché la nostra distanza da tali corpi.

Il tempo era più difficile da misurare della lunghezza, ma meridiane, clessidre ad acqua e a sabbia sempre più sofisticate funzionavano bene. Il flusso, o meglio il gocciolio, di una data quantità di acqua da un recipiente a un altro, con una correzione che tenga conto dell'evaporazione, fornisce una misura precisa e costante del tempo. I giorni e gli anni erano determinati in base a osservazioni astronomiche. Le navi partivano a ore prefissate e i matrimoni venivano celebrati in date convenute, ma di nuovo nessuna registrazione di temperatura. Sebbene il tempo sia la misura che solitamente usiamo per l'evoluzione dell'universo, della Terra, della vita, dell'esistenza umana e della civiltà, non sempre si tratta della misura migliore. La cosmologia dei primordi, come mostrerò più avanti, si serve comunemente della temperatura piuttosto che del tempo per contraddistinguere lo svolgersi degli eventi nell'universo in raffreddamento.

Se dovessi usare la temperatura come parametro per una storia della civiltà, citerei i fuochi sempre più caldi prodotti dagli uomini man mano che si trasformavano da cacciatori-raccoglitori in abitanti di villaggi e in fabbricanti di utensili: dai primi fuochi dell'età della pietra al carbone di legna e poi ai mantici che fondevano il bronzo e il ferro. Procedendo oltre, arriverei alla macchina a vapore, ai grandi forni Bessemer del XIX secolo che producevano l'acciaio, e infine all'era nucleare. La mia storia vedrebbe le temperature passare da 0 gradi a 250, a 500, a 1000 a 1500, e infine a milioni di gradi Celsius. Per gli ultimi 200 anni, potrei usare come indicatore le temperature sempre più basse raggiunte in laboratorio via via che, una dopo l'altra, tutte le specie di gas venivano liquefatte. Verso la fine del millennio le basse temperature raggiunte erano ormai di pochi miliardesimi di grado sopra lo zero assoluto.

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Pagina 130

[...] Non sappiamo quanta anidride carbonica ci sarà nell'atmosfera tra dieci anni, e ancor meno tra cento anni, ma l'esperienza passata non ci induce a essere ottimisti.

Ci sono centinaia di studi sul tema, in gran parte necessari e importanti. Ciascuno di essi prende in esame un elemento del quadro e presenta i propri risultati con le relative incertezze. Una previsione significativa del nostro futuro richiede di mettere insieme tutti gli elementi, di stabilire i collegamenti e quindi di effettuare un'estrapolazione. Sebbene molte incognite rendano difficile fare progetti, occorre ugualmente cercare le soluzioni. Non fare nulla non è un'alternativa praticabile. Alcuni modelli prevedono che lo scenario peggiore per il 2100 sia un riscaldamento globale medio di quasi 8 gradi, 2 in più del caso peggiore della Commissione intergovernativa sul cambiamento del clima. Nessuno sostiene che questo non sia un problema serio per tutti noi.

Che cosa si dovrebbe fare? L'anidride carbonica è un sottoprodotto naturale della combustione di tutti i combustibili fossili, quali il carbone e il petrolio. In un lontano futuro, il ricorso congiunto all'energia nucleare e alle nuove fonti di energia rinnovabili potrà consentirci di essere assai meno dipendenti dal carbone e dal petrolio. Ma ciò non accadrà nel futuro prossimo. I livelli dell'anidride carbonica nell'atmosfera continueranno ad aumentare e un costante riscaldamento globale appare inevitabile. Una limitazione dell'uso dei combustibili fossili è chiaramente difficile e pone seri problemi politici. E quindi, di nuovo, che cosa si dovrebbe fare?

Il dottor James Hansen, direttore del Centro per gli studi spaziali della National Aeronautics and Space Administration (NASA), ha una proposta. Hansen è considerato un esperto mondiale in materia fin da quando pubblicò nel 1981 un importante articolo sulla connessione tra riscaldamento globale e livelli crescenti dell'anidride carbonica. Quando di recente espresse un certo ottimismo sulla questione, le sue considerazioni ricevettero grande attenzione. Egli afferma che limitare drasticamente le emissioni di anidride carbonica è troppo difficile al momento attuale. Naturalmente ci si dovrebbe sforzare di porre un freno alle emissioni, ma si è data troppa importanza all'anidride carbonica, senza prestare sufficiente attenzione agli altri gas serra. Hansen sostiene che la maggior parte di questi ultimi è più facile da controllare, e che è possibile ridurne la produzione senza intaccare in misura significativa la qualità della vita. Ciascuno di essi preso a sé è relativamente poco importante, ma il loro contributo complessivo non è irrilevante.

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Pagina 134

Gli Stati Uniti sono sempre più isolati nella loro opposizione al Protocollo di Kyoto. Nel 2001 il governo avanzò una proposta secondo la quale erano necessarie ulteriori ricerche per determinare le cause del riscaldamento globale, così contestando la Commissione intergovernativa sul cambiamento del clima; ma tale proposta fu respinta da un comitato della National Academy of Sciences nominato dalla Casa Bianca. Il rapporto del giugno 2001 di quet'ultimo comitato, pur convenendo che ulteriori ricerche erano auspicabili e perfino necessarie, confermò le proiezioni della commissione intergovernativa sugli aumenti di temperatura indotti dal gas serra. Quando nel luglio 2001 fu raggiunto un accordo internazionale per la conferma del Protocollo di Kyoto, il «New York Times» pubblicò un articolo intitolato: 178 nazioni raggiungono un accordo sul clima; solo gli Stati Uniti stanno a guardare.

Oltre allo scontro tra i paesi sviluppati, c'è anche un crescente divario tra essi e le nazioni in via di sviluppo, un conflitto tra ricchi e poveri. Il senato degli Stati Uniti nel 1997 approvò all'unanimità una risoluzione proposta dal senatore democratico Robert Byrd della West Virginia che raccomandava all'amministrazione di non sottoscrivere alcun trattato a meno che le nazioni più povere non accettassero di limitare le emissioni con la stessa tabella di marcia dei paesi più ricchi. Le nazioni più deboli del mondo vedono in questo tipo di azione un nuovo colonialismo, un tentativo dei paesi economicamente più forti del pianeta di impedire loro uno sviluppo industriale e tecnologico, una volontà di conservazione degli equilibri del potere economico. In particolare, il G-77, un gruppo di settantasette paesi in via di sviluppo di cui fanno parte l'India, gli stati africani, gran parte dell'America latina e molti paesi del Medio oriente e dell'Asia sudorientale, si oppone a una riduzione delle emissioni di gas serra con il medesimo calendario dei paesi industrializzati. Queste nazioni ritengono che siano stati i paesi ricchi a creare il problema e che tocchi a loro un ruolo preminente nel risolverlo. Ma le tensioni non mancano anche all'interno del G-77: il Venezuela, il Kuwait e l'Arabia Saudita ricchi di petrolio vorrebbero che fossero mantenuti alti livelli di consumo di tale combustibile. Il Bangladesh viceversa, così vulnerabile all'innalzamento delle acque oceaniche, teme che il riscaldamento globale indotto dal consumo di petrolio possa portare a estese inondazioni delle sue basse zone costiere. Gli ostacoli sulla via di un accordo si moltiplicano.

Nel settembre 2000 sulla rivista «Science» apparve un articolo intitolato Equità e responsabilità per i gas serra. Il titolo attrasse la mia attenzione, e a questo contribuì, francamente, anche il fatto che uno degli otto autori era John Harte, un mio vecchio amico. Avevamo studiato fisica insieme e ci eravamo rivisti da candidati alle borse post-dottorato, ma i suoiinteressi si erano poi spostati quando gli era parso chiaro che la ricerca scientifica sulle questioni ambientali sarebbe diventata sempre più importante. La tesi sostenuta nell'articolo da John e dai suoi coautori è di grande rilievo: tutti hanno pari diritti sulle risorse comuni. L'atmosfera e gli oceani non appartengono a un singolo paese e la ricchezza che rappresentano andrebbe divisa equamente tra tutti, così come tutti dovrebbero contribuire nella giusta misura alla loro conservazione. Di fronte a questa considerazione, un funzionario statunitense avrebbe commentato: «Per me questo è comunismo globale. Credevo che la Guerra Fredda l'avessimo vinta». Ovviamente ad alcuni questa filosofia dei pari diritti appare discutibile, ma la Convenzione delle Nazioni Unite sulle leggi marittime stabilisce che la proprietà di tutte le risorse delle profondità marine è comune e, di conseguenza, comune è anche la responsabilità per la salute degli oceani.

Ci sono molti problemi da risolvere per raggiungere l'obiettivo di un'equa ripartizione delle risorse e di una pari responsabilità per la loro salvaguardia. Sembrerebbe un obiettivo politicamente impraticabile. Attualmente l'emissione di carbonio media pro capite degli Stati Uniti è superiore alle 5 tonnellate all'anno, mentre più di cinquanta paesi in via di sviluppo hanno emissioni inferiori a 0,2 tonnellate, pari al 4 per cento della media statunitense. Perché la concentrazione del gas serra rimanga inferiore al doppio dei livelli preindustriali con una popolazione mondiale prevista in dieci miliardi di persone occorre limitare le emissioni di carbonio pro capite a una media globale di 0,3 tonnellate all'anno. Questo obiettivo appare assolutamente non realistico per i paesi sviluppati. Tuttavia, a lungo termine, il principio di equità è l'unico eticamente giustificabile, e la cornice politica in cui attuarlo deve comprendere le questioni ambientali e, in particolare, gli usi dell'aria, della terra e dell'acqua.

Quanto al Sole, continuerà a trattarci tutti allo stesso modo, come ha sempre fatto.

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Pagina 153

A qualcuno piace caldo

I vermi tubicoli che vivono sulle bocche idrotermali furono senza dubbio una sorpresa. Altrettanto lo furono i batteri. Alle temperature delle bocche avrebbero dovuto essere tutti morti. Dopo tutto questa è la ragione per cui la carne e il pollo vengono cotti a oltre 70 gradi Celsius: per uccidere i batteri. Il padre della moderna microbiologia e della teoria secondo la quale la malattia è causata da germi, Louis Pasteur, non aveva mai smesso di sottolineare l'importanza della sterilizzazione per riscaldamento. Provando che il deterioramento dei cibi era determinato dal sopraggiungere di microrganismi dell'esterno, e non dalla loro generazione spontanea, mostrò come il riscaldamento prevenisse il danno. Comportandosi conformemente alla propria filosofia, per cui «non ci sono scienza pura e scienza applicata: c'è solo la scienza, e le applicazioni pratiche di essa», Pasteur scrisse trattati corredati di diagrammi e fotografie, in cui mostrava come conservare la qualità riscaldando il vino, la birra, il latte, il formaggio o il sidro. Contribuì a progettare un dispositivo per riscaldare i fluidi in grandi quantità a basso costo. Il suo nome e la sua opera sono immortalati nel termine comune «pastorizzazione». Eppure sulle bocche i batteri prosperano a 75 gradi e oltre. Che cosa significa?

I microrganismi termofili che vivono sui fumatori hanno vicino alla superficie dei parenti che si trovano nelle sorgenti calde. Questi luoghi sono per molti aspetti simili alle bocche idrotermali del fondale oceanico. Dovunque filtri verso il basso fino alla roccia fusa, l'acqua può risalire gorgogliando in superficie sotto forma di sorgente o di geyser. Dipende dall'apertura. Questa può essere un vulcano o un forellino. La crosta può presentare una fessura o un crepaccio, può trovarsi sul fondo dell'oceano o in cima a una montagna, e l'emissione può essere lava o vapore. Quando il calore sotterraneo emerge sul fondo dell'oceano o in superficie, si ha quello che i geologi chiamano un «punto caldo».

Uno dei più noti «punti caldi» è il geyser «Old Faithful» nel Parco Nazionale di Yellowstone in Wyoming. Nel corso di un lungo studio condotto negli anni sessanta sulla vita microbica nelle sorgenti calde dello Yellowstone, Thomas Brock e i suoi colleghi scoprirono un nuovo tipo di batterio che viveva a oltre 70 gradi. Lo chiamarono Thermus aquaticus. Il gruppo di Brock coniò la parola «termofilo» per distinguere questi batteri da quelli di tipo «normale», fissando nella tolleranza di 65 gradi Celsius la soglia minima per appartenere a questa classe nuova e presumibilmente poco comune.

Gli scienziati di certo non si aspettavano di scoprire molti altri termofili in terraferma, e ancora meno sul fondo dell'oceano. Ma poco dopo l'identificazione di Thermus, lo stesso gruppo scoprì Sulfobolus acidocaldarius in una sorgente acida a 85 gradi Celsius. Per distinguere questo batterio dai termofili, il gruppo scelse il nome di ipertermofilo. A quel punto Brock si chiese quale fosse il limite estremo. Sarebbero comparsi dei superipertermofili? A che temperatura si doveva arrivare perché la vita diventasse davvero impossibile?

I requisiti necessari per la vita in qualunque luogo del sistema solare e verosimilmente nell'universo sono tre. Il primo è una fonte di energia capace di attivare le reazioni chimiche che conducono alla vita; il secondo è la presenza di molecole organiche che trasmettano l'informazione genetica; il terzo è l'acqua. L'acqua liquida è una condizione essenziale, rappresentando il solvente e il mezzo per le reazioni chimiche. (Altri liquidi come il metano o l'ammoniaca sono stati occasionalmente presi in considerazione, e potrebbero anche esserci circostanze particolari in cui uno di essi svolga questo ruolo, ma la vita come noi la conosciamo ha bisogno dell'acqua liquida).

La necessità di acqua liquida impone limiti di temperatura ben definiti alle regolazioni interne di una creatura vivente: 100 gradi Celsius come massimo e 0 gradi come minimo. Tali limiti non sono del tutto rigidi poiché la salinità abbassa il punto di congelamento dell'acqua e la pressione innalza il suo punto di ebollizione, ma non c'è molto margine. A temperature superiori a 90 gradi gli acidi nucleici che sintetizzano le proteine cominciano a perdere la loro struttura, distruggendo l'intero meccanismo genetico. Ciò significa che anche prescindendo dai problemi causati dall'ebollizione dell'acqua, 100 gradi costituiscono un ragionevole limite massimo.

I batteri rinvenuti ai margini dei fumatori sembrano vivere al limite tra il termicamente possibile e il termicamente impossibile. L'attuale detentore del primato della temperatura più elevata tra i batteri è Pyrolobus fumarii, che si sviluppa al meglio a 110 gradi Celsius e cessa di riprodursi quando la temperatura scende a 90 gradi.

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Pagina 168

Fondere la Terra

Un gradiente di temperatura ha plasmato gli otto pianeti del nostro sistema solare: i quattro più interni sono piccoli, densi e rocciosi e i quattro più esterni sono grandi e gassosi. La temperatura ha determinato le dimensioni e la composizione di ciascun pianeta all'origine, e continua a influenzarne l'evoluzione. Gli alti e i bassi della temperatura hanno modellato e rimodellato la superficie della Terra, spesso distruggendo la vita e altrettanto spesso stimolandone la rinascita. Per comprendere come e perché ciò sia accaduto, dobbiamo risalire nel tempo di cinque miliardi di anni, fino alla formazione del sistema solare.

Intorno a quell'epoca, una grande stella vicina morì con una spettacolare esplosione. Tale esplosione, o meglio le onde d'urto da essa prodotte, generarono delle increspature nel mezzo interstellare circostante. Si trattava di regioni di maggiore e minore densità, di più alta e più bassa temperatura. Una di queste, che possiamo immaginare come una nube, era forse un po' più densa e calda della maggior parte delle altre, e potrebbe anche essere stata posta in rotazione dall'onda d'urto. Girando su se stessa, la nube si appiattì formando un disco roteante con un rigonfiamento centrale. Il disco era composto principalmente di idrogeno ed elio, i costituenti originari e fondamentali dell'universo, ma conteneva anche granuli di altri materiali formatisi nel nucleo della stella morta ed espulsi nello spazio in seguito al collasso esplosivo di quest'ultima.

La gravità continuava ad addensare verso il centro il rigonfiamento del disco, facendo aumentare la pressione e la temperatura. Con l'incremento della temperatura si formò una protostella, l'oggetto precursore di una stella. Più tardi, quando il nocciolo del rigonfiamento raggiunse i quindici milioni di kelvin, iniziarono le reazioni nucleari e nacque una nuova stella, il nostro Sole ormai pienamente formato. L'intero processo non è insolito. Per vederlo in atto ora, basta cercarne gli indizi nei bracci spirali della Via Lattea.

Mentre il rigonfiamento si trasformava in una protostella, il calore che emetteva stava modellando la polvere e i granelli del disco circostante. La temperatura diminuiva a mano a mano che ci si allontanava dal centro. Nella parte più interna, era superiore a 1000 kelvin alla distanza attuale di Mercurio ed era di 400 kelvin a quella di Marte. Nel corso di un centinaio di milioni di anni circa, secondo uno scenario confermato da simulazioni al computer, i granuli rocciosi e la polvere si addensarono in rocce e alla fine formarono quattro pianeti: Mercurio, Venere, la Terra e Marte.

Le regioni esterne del disco ebbero una storia differente. Poiché lì la temperatura era tanto bassa da far congelare i vapori, i granuli agirono come nuclei di condensazione nella formazione di gigantesche palle di ghiaccio. Nel giro di qualche milione di anni queste palle divennero parecchie volte più grandi della Terra. Composte di ammoniaca, acqua e metano congelati e mescolati con rocce, raggiunsero una massa sufficiente ad attrarre l'idrogeno e l'elio del disco accrescendosi ulteriormente. Alla fine anch'esse si stabilizzarono in quattro pianeti: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

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Pagina 191

Sfacciataggine cosmica

Poiché gran parte dell'energia solare viene prodotta nel nocciolo del Sole e poi diffonde verso l'esterno in un periodo di milioni di anni, è chiaro che il nocciolo controlla ciò che alimenta il Sole. La temperatura del nucleo della Terra non è poi nota con tanta precisione: le stime oscillano tra 5000 e 6000 kelvin, con una incertezza del 20 per cento. Circostanza alquanto miracolosa, conosciamo la temperatura del nucleo del Sole con una precisione molto maggiore di questa. Inoltre, disponiamo di una misurazione telescopica che ci fornisce solidi dati a conferma delle nostre stime.

Non si tratta di una misurazione effettuata con un telescopio ottico, perché non è possibile vedere il centro del Sole, almeno «vederlo» nel senso ordinario del termine. Abbiamo però la fortuna di disporre di un messaggero che proviene dal nucleo del Sole, una particella prodotta proprio nel suo cuore, che ci comunica la temperatura del nocciolo. Questo veloce messaggero raggiunge la superficie solare poco più di due secondi dopo la sua creazione e arriva sulla Terra 8,3 minuti più tardi. E chiamato neutrino.

Non riuscirete mai a vedere, percepire o toccare un neutrino, né a sentirne l'odore. Migliaia di queste particelle, prodotte in passato nel Sole o nelle stelle lontane o magari anche nel primo secondo successivo al big bang, attraversano le vostre mani ogni secondo. Non vi renderete mai conto del loro passaggio, non cambieranno mai la vostra vita nel modo più impercettibile, e non vivrete né un secondo di più né un secondo di meno a causa del loro passaggio attraverso di voi. Se non fosse stato per gli enigmatici risultati di alcuni esperimenti di fisica nucleare degli anni trenta, nessuno avrebbe mai sospettato la loro esistenza, eppure risulta che i neutrini svolgono un ruolo chiave nella descrizione dell'evoluzione dell'universo. La scienza ci porta a concepire strane entità, e poche sono più strane dei neutrini. Alcune migliaia di persone, tra le quali che scrive, hanno dedicato buona parte della loro carriera professionale al tentativo di comprendere le loro proprietà. Consideriamo una grande fortuna quella di poter pensare, con risultati incoraggianti, alle proprietà di uno dei più esotici costituenti dell'universo e di poterle misurare.

Quarant'anni fa, l'allora giovanissimo John Updike descrisse in versi il loro comportamento:


        Sfacciataggine cosmica

        I neutrini son piccolini.
        Non hanno carica né massa,
        E non interagiscono per niente.
        La Terra per loro è una palla demente
        In cui passare semplicemente
        Come donne di ramazza per un atrio ventoso,
        O fotoni per una lastra di cristallo.
        Snobbano il gas più sussiegoso,
        Ignorano il muro più duro,
        Dispregiano l'acciaio e il sonante ottone,
        Nella stalla irridono lo stallone,
        E, in barba alle barriere di classe,
        Si infilano in voi e in me! Come alte
        Ghigliottine indolori, schizzano
        Giù dalla testa al prato.
        Di notte entrano nel Granducato.
        Trafiggono la ragazza e l'innamorato
        Da sotto il letto: c'è chi l'ha chiamato
        Meraviglioso; io son disgustato.

Quando ero agli inizi della mia carriera, l'idea comunemente accettata era che il neutrino non avesse massa, come Updike dice nel secondo verso. Oggi si pensa che abbia una massa molto piccola, ma non si sa quanto. Tale massa, minuscola in modo sconcertante, è inferiore a un decimillesimo di quella dell'elettrone, la minima massa di particella misurata direttamente. Di certo il neutrino non ha carica elettrica, ma non è del tutto esatto dire che «non interagisce affatto».

Di rado - anzi molto, molto di rado - un neutrino incontrando un neutrone si trasforma in un elettrone, contemporaneamente convertendo il neutrone in un protone. Su molti, molti neutrini che passano vicino a molti, molti neutroni, uno potrebbe produrre la trasformazione. Le modalità con cui ciò avviene furono proposte nel 1934 da Enrico Fermi, che coniò il termine neutrino, per distinguere la particella dall'assai massiccio, almeno in senso relativo, neutrone.

L'articolo di Fermi sull'argomento fu rifiutato dalla rivista «Nature» perché «conteneva congetture troppo lontane dalla realtà per interessare il lettore». «Nature» si sbagliava: quell'articolo era di primaria importanza e il suo rifiuto è ricordato oggi come un esempio di decisione editoriale infelice. Sebbene siano ancora lontani dalla realtà, i neutrini ora vengono osservati abitualmente negli esperimenti condotti con gli acceleratori ad alta energia e in uscita dai reattori nucleari. Di recente sono stati rivelati in uscita dal nocciolo del Sole e utilizzati per misurarne la temperatura.

Questa è una vicenda in cui la scienza moderna si avvale delle tecnologie più avanzate. Molti di noi, forse la maggioranza, di tanto in tanto ricordano con nostalgia i tempi in cui le macchine erano semplici e tutte le misurazioni erano dirette, ma la frontiera della scienza non avanza con i regoli, gli orologi e i termometri. L'STM (microscopio a scansione a effetto tunnel) e il laser a femtosecondi sono strumenti moderni per misurare la lunghezza e il tempo. Anche per la temperatura ci sono vari metodi nuovi di registrazione. Nulla è più esotico, più lontano dalla nostra esperienza sensoriale di tutti i giorni, del misterioso neutrino, ma la temperatura del nocciolo solare è in ultima analisi la chiave dell'esistenza della vita quotidiana sulla Terra.

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Gli elementi fondatori: idrogeno ed elio

La storia dell'universo primordiale può essere raccontata in termini di aumento delle dimensioni, di tempo trascorso, oppure di diminuzione della temperatura. Ancora una volta ritroviamo il regolo, l'orologio e il termometro. Nel caso del nostro universo, questi tre strumenti raccontano la medesima storia. Lo spazio si dilata via via che trascorre il tempo e la temperatura scende via via che lo spazio si dilata. Basta specificare una delle tre grandezze e i cosmologi preferiscono la temperatura.

Steven Weinberg, premio Nobel per la fisica e tra i più autorevoli teorici della seconda metà del Novecento, ha un interesse di vecchia data per la cosmologia. Nel 1976 scrisse un brillante saggio divulgativo, facendo la cronaca della temperatura dell'universo nei primi tre minuti e descrivendo l'opera di molti scienziati lungimiranti e di talento. Nel libro I primi tre minuti, il suo racconto dell'andamento della temperatura inizia a cento miliardi di gradi:

L'universo è in questa fase più semplice e facile da descrivere di quanto non sarà mai più in seguito. Č pieno di un miscuglio indifferenziato di materia e di radiazione e ciascuna particella entra rapidissimamente in urto con altre particelle. Perciò, nonostante la rapida espansione, l'universo si trova in uno stato di equilibrio termico pressoché perfetto.

In questo momento, un centesimo di secondo dopo il big bang, il numero dei neutroni e quello dei protoni presenti nell'universo erano uguali. Se non fosse stato per la piccola differenza di massa fra neutroni e protoni, circa una parte su duemila, e per il decadimento dei neutroni liberi, il numero dei neutroni e quello dei protoni sarebbero ancora uguali. Per quanto ne sappiamo, i protoni vivono indefinitamente; i neutroni no. Secondo la teoria del neutrino di Fermi, risalente al 1934, un neutrone, a meno che non sia saldamente racchiuso in un nucleo, decade in un protone, un elettrone e un neutrino. Una volta che invece si trova in un nucleo, acquisisce stabilità, salvo nel raro caso dei nuclei radioattivi, che qui rappresentano una complicazione inessenziale.

In sostanza, tutti quei neutroni primordiali si combinarono con i protoni costituendo, a gruppi di due neutroni e due protoni, nuclei di elio, forma di materia assai stabile. Tuttavia neutroni e protoni non poterono legarsi fino al momento in cui l'universo fu abbastanza freddo perché i nuclei in formazione non fossero disintegrati dalla radiazione. Tale situazione fu raggiunta circa quattro minuti dopo la nascita dell'universo, quando la temperatura era scesa a un miliardo di kelvin. Il rapporto tra nuclei primordiali di idrogeno e di elio fu allora fissato una volta per sempre nella misura di circa dieci a uno.

Gli atomi di idrogeno ed elio si formarono centinaia di migliaia di anni dopo, quando la temperatura ambiente scese a 3000 kelvin. La ragione per cui i nuclei si formano a miliardi di gradi e gli atomi a migliaia di gradi è assai semplice: sia l'energia che la densità della radiazione in equilibrio termico sono determinate dalla temperatura. Se la miscela primordiale è troppo calda, la radiazione frantuma qualunque struttura si formi. I nuclei, con le loro forze di coesione più intense, resistevano all'aggressione già a un miliardo di gradi. Gli atomi, tenuti insieme soltanto dalla più debole attrazione elettrica nucleo-elettrone, comparvero assai più tardi. Il momento in cui si formarono gli atomi, circa 300 000 anni dopo il big bang, fu l'ultima volta in cui la materia visibile dell'universo si trovò in equilibrio termico, l'ultima volta in cui l'universo poté essere descritto nella sua totalità da un'unica temperatura.

Un miliardo di anni dopo, piccole fluttuazioni nella densità della materia cominciarono a evolvere in agglomerati più grandi. Si formarono nubi di idrogeno ed elio, e al loro centro comparvero le stelle, anch'esse fatte di idrogeno ed elio. Le stelle più grandi generarono nel loro nocciolo i nuclei più pesanti e poi esplosero, disseminando il mezzo interstellare di materiale che finì per entrare a far parte di nuove stelle.

Nondimeno l'universo continua a essere costituito prevalentemente di idrogeno ed elio. Basta controllare la composizione chimica del Sole. Sebbene sia un stella relativamente giovane, avendo cinque miliardi di anni a fronte di un'età globale dell'universo di quindici miliardi, è fatto per il 91 per cento di idrogeno e per il 9 per cento di elio, con un rapporto di dieci a uno. Tutti gli altri elementi contribuiscono per meno dell'1 per cento.

Non bisogna però cercare una conferma del rapporto dieci a uno sulla Terra, un anomalo grumo roccioso forgiato con resti di supernova. Tycho Brahe e Ian Shelton, quando osservarono nel cielo una recente esplosione di supernova, stavano sulle ceneri di una precedente. Spesso accade in cosmologia che certe antiche formule trovino una misteriosa risonanza, blasfema se recepita nel modo sbagliato, ma qui intesa come invito all'umiltà. «Cenere alla cenere, polvere alla polvere» descrive il passaggio umano attraverso la vita, e anche il viaggio della Terra nella vita dell'universo. La Terra è nata dalle ceneri dell'esplosione di una supernova; il nocciolo stesso del nostro pianeta è un miscuglio di ferro e leghe ferro-nichel, elementi i cui nuclei un tempo si trovavano nel nocciolo di quelle stelle massicce. Un giorno, quando il Sole si sarà trasformato in una gigante rossa in espansione, la Terra sarà nuovamente convertita in cenere.

Questa è a grandi linee la storia della temperatura del nostro universo, dalle centinaia di miliardi di gradi alle migliaia di gradi, ma dove sono le prove di ciò? Una prova è fornita dall'accordo tra il rapporto idrogeno-elio osservato nell'universo e le predizioni dello scenario del raffreddamento. Un'altra prova più diretta emerse nel 1964 e modificò per sempre il quadro della cosmologia.

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6.

Il salto quantico


Nell'Introduzione di questo libro ho proposto la temperatura come filo conduttore per l'analisi di alcune delle grandi idee della scienza del passato e del presente. Seguendo quel filo, ho preso le mosse da ciò che ci è più familiare, il nostro corpo, per studiare le origini della febbre e la nostra somiglianza con gli altri organismi viventi. Abbandonata l'immagine di noi stessi come creature uniche abitanti sul corpo celeste centrale dell'universo, oggi guardiamo alla nostra condizione con occhi differenti. Grazie anche a secoli di misure sempre migliori della temperatura, al centro dell'attenzione della scienza contemporanea vi sono la tettonica a zolle, il sequenziamento genetico e la cosmologia del big bang. Rimane da affrontare il tema di questo sesto capitolo: la meccanica quantistica, vista naturalmente sotto il profilo della temperatura. Rimodellando in modo radicale la nostra concezione della realtà, la meccanica quantistica entra nella nostra vita quotidiana, spiegando come funzionano i chip del computer e perché l'idrogeno si combina con l'ossigeno per formare l'acqua. In un altro ambito, la meccanica quantistica chiarisce perché il nocciolo del Sole ci scalda oggi e perché non subirà il collasso neppure dopo che il Sole si sarà trasformato in una nana bianca. La temperatura ha un ruolo cruciale in tutti questi processi.

Questo capitolo finale si sviluppa seguendo due temi particolari, i giovani e lo zero assoluto. Il primo ha al proprio centro il conflitto tra giovani e vecchi. Spesso si dice che i matematici e i fisici teorici ottengano i loro risultati più significativi prima dei trent'anni. Le ragioni addotte sono molte: il vigore, l'ambizione, la maggior facilità di liberarsi delle vecchie idee preconcette. Sono tutte ragioni vere, e in effetti abbiamo visto diversi esempi di imprese scientifiche giovanili, dalla scoperta della meccanica statistica a opera di Maxwell all'intuizione di Carnot sul rendimento delle macchine termiche. Poi c'è il prodigio del 1666, quando il ventiquattrenne Isaac Newton scoprì sia il calcolo infinitesimale sia la legge dell'inverso del quadrato per la gravità. Altrettanto straordinari sono i risultati conseguiti nel 1905 dal ventiseienne Albert Einstein, con la formulazione della teoria della relatività ristretta e l'edificazione delle basi della nuova fisica dei quanti.

Anche la nascita della meccanica quantistica nel 1926 colpisce per l'ispirato fervore giovanile che caratterizza i suoi protagonisti in rapida ascesa al primato intellettuale: Paul Dirac, Enrico Fermi, Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli avevano tutti venticinque anni o anche meno a quell'epoca. Ma le cose, come nella maggior parte delle attività umane, non sono mai così semplici. La guida spirituale nell'interpretazione della meccanica quantistica fu Niels Bohr, che aveva quarantun anni nel 1926. Einstein, quarantasettenne nell'anno della formulazione della meccanica quantistica, rimase un attivo critico della teoria cui tanto aveva contribuito a dare forma. Quindi non si tratta di un campo d'azione esclusivo dei giovani, ma questi tendono effettivamente a dominare. Se non vi impressionano i ventitrè anni di Heisenberg al momento della scoperta di una delle versioni della meccanica quantistica, prendete in considerazione l'ultimo paragrafo del capitolo, ove il diciannovenne Subrahmanyan Chandrasekhar nel 1930 applica la meccanica quantistica relativistica al collasso delle stelle. Non sono in molti a fare ricerche a livello di premio Nobel prima dei vent'anni.

Il secondo tema del capitolo è il tentativo di raggiungere lo zero assoluto. Grande meta dell'esplorazione scientifica, questo limite assunse un'importanza ancora maggiore nel XX secolo, allorché ci si rese conto di come il mondo delle basse temperature sia inestricabilmente connesso con quello dei quanti. La superconduttività, la superfluidità, la condensazione di Bose-Einstein e altri comportamenti enigmatici della materia in prossimità dello zero assoluto possono essere compresi soltanto alla luce delle leggi imposte agli atomi dalla meccanica quantistica. A loro volta, questi fenomeni propri delle basse temperature fanno luce sul mondo dei quanti.

Gli sforzi degli scienziati per raggiungere temperature sempre più basse cominciarono ben prima che fosse formulato il concetto di zero assoluto. Intorno al 1800 la ricerca era intesa come tentativo di liquefare tutti i gas noti. Verso la metà del XIX secolo, quando ci si rese conto che -273 Celsius era la temperatura più bassa possibile e non un semplice punto fisso della scala, lo sforzo di raggiungere temperature più basse acquistò un significato più profondo. Nel XX secolo, molte delle nuove ricchezze del mondo quantistico vennero alla luce soltanto in prossimità dello zero assoluto.

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