Copertina
Autore Franco Selleri
Titolo La fisica tra paradossi e realtà
EdizioneProgedit, Bari, 2005 , pag. 190, dim. 168x235x12 mm , Isbn 978-88-88550-17-6
LettorePiergiorgio Siena, 2005
Classe fisica , filosofia
PrimaPagina


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

INTRODUZIONE                                             VII

1. IL PROBLEMA DELLA CAUSALITÀ                             1

   1. Natura acausale della teoria quantistica, p. 1 -
   2. Breve storia della causalità, p. 4
   3. Quanti e causalità a Berlino, p. 9
   4. Idee anticausali a Copenaghen e a Gottinga, p. 13
   5. La causalità secondo de Broglie e Dime, p. 18
   6. Causalità e determinismo, p. 23
      Bibliografia, p. 25

2. I PARADOSSI DELLA COMPLETEZZA                          27

   1. Teorie complete e teorie incomplete, p. 27
   2. La dualità degli oggetti atomici, p. 30
   3. Le scelte ritardate di Wheeler, p. 32
   4. Scelte ritardate su scala cosmica, p. 34
   5. Le scatole di de Broglie, p. 36
   6. L'amico di Wigner... e quello di Schroedinger, p. 38
   7. L'effetto Moessbauer, p. 40
   8. La meccanica quantistica è incompleta, p. 46
      Bibliografia, p. 47

3. LA DUALITÀ ONDA-CORPUSCOLO                             48

   1. I quanti di luce di Einstein, p. 48
   2. Autointerferenza della luce, p. 54
   3. La dualità per gli elettroni, p. 61
   4. Autointerferenza degli elettroni, p. 66
   5. Autointerferenza dei neutroni, p. 70
   6. Realisti contro la dualità, p. 74
      Bibliografia, p. 78

4. LA NASCITA DELLA TEORIA QUANTISTICA                    80

   1. La contrastata vittoria dell'atomismo, p. 80
   2. Il modello nucleare, p. 83
   3. La quantizzazione di Bohr, p. 86
   4. Altri metodi di quantizzazìone, p. 95
   5. Einstein e le probabilità di transizione, p. 98
   6. Il principio di corrispondenza, p. 100
   7. La meccanica delle matrici, p. 102
      Bibliografia, p. 104

5. LE RELAZIONI DI INDETERMINAZIONE                      105

   1. Un mare di onde virtuali, p. 105
   2. Le diseguaglianze di Heisenberg, p. 110
   3. Il principio di complementarità, p. 117
   4. L'interpretazione statistica in Russia, p. 121
   5. La complementarità e le scienze biologiche, p. 125
      Bibliografia, p. 129

6. IL PARADOSSO DI EPR E LA DISEGUAGLIANZA DI BELL       131

   1. La forma più semplice del paradosso di EPR, p. 131
   2. La realtà oggettiva deve essere postulata, p. 133
   3. L'esistenza indipendente delle cose, p. 137
   4. Il tempo scorre verso il futuro, p. 140
   5. Il realismo locale probabilistico, p. 142
   6. Le funzioni di correlazione, p. 145
   7. La diseguaglianza di Bell, p. 148
   8. La situazione sperimentale, p. 152
   9. Le particelle ingarbugliate e il teletrasporto, p. 159
      Bibliografia, p. 161

7. LE ONDE VUOTE                                         163

   1. Il supporto delle onde quantistiche, p. 163
   2. Bohm e le traiettorie corpuscolari, p. 170
   3. Le onde vuote e i campi fantasma, p. 174
   4. Caccia all'onda vuota, p. 179
   5. Interazione fra un corpuscolo e più onde, p. 183
      Bibliografia, p. 188


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 1

1. IL PROBLEMA DELLA CAUSALITÀ



Ci sono grandi difficoltà [...] in connessione con la presente meccanica quantistica. Essa è il meglio che si sia potuto fare fino ad ora. Tuttavia, non si dovrebbe supporre che sopravviverà indefinitamente nel futuro. Io credo che sia molto probabile che a un certo momento del futuro otterremo una meccanica quantistica migliore in cui vi sarà un ritorno al determinismo e che, pertanto, giustificherà il punto di vista di Einstein. P.A.M. Dirac, 1976


Nel 1927 il gruppetto dei dieci-dodici fisici che avevano maggiormente contribuito alla nascita della teoria quantistica si divise in due schieramenti contrapposti. Da un lato gli appartenenti alle scuole di Copenaghen e Gottinga erano portatori di un pessimismo radicale senza precedenti in tutta la storia della fìsica: abbandono della comprensibilità dei fenomeni atomici in termini causali e spazio-temporali, rinuncia alla stessa oggettività del mondo microscopico. Dall'altro lato si schierarono Einstein, Planck, Schrödinger e de Broglie, decisi difensori delle categorie del realismo scientifico. Questo scontro non ha mai più trovato una composizione e continua ai giorni nostri fra gli ammiratori dello «strappo» del 1927 e i seguaci del principio di causalità.


1. Natura acausale della teoria quantistica

Chi legge per la prima volta i postulati sui quali si regge l'imponente edificio della meccanica quantistica non può, credo, non restare colpito dal fatto che questa teoria è strutturata in modo tale da prevedere le probabilità dei diversi possibili risultati di una misura, ma non il risultato di un singolo atto di misura. È questo che si intende quando si dice che la meccanica quantistica è una teoria probabilistica. Mentre su questa definizione di teoria probabilistica è sempre esistito un accordo generale, il disaccordo nacque non appena si pose il problema di decidere se fosse possibile una teoria più ricca di contenuti, cioè non meramente probabilistica ma capace di svelare la necessità dei singoli eventi atomici. È noto che le scuole di Copenaghen e di Gottinga si opponevano a questo programma, mentre Albert Einstein (1879-1955), Erwin Schrödinger (1887-1961), Max Planck (1858-1947), Paul Ehrenfest (1880-1933) e Louis de Broglie (1892-1987) si espressero ripetutamente a favore dell'idea e produssero una serie di proposte che andavano nella direzione della comprensione dei fenomeni atomici nello spazio e nel tempo e in termini causali. Questi fisici pensavano che la meccanica quantistica fosse una teoria incompleta dello stesso tipo della termodinamica classica, che ha dato ottimi risultati nel prevedere le proprietà medie della materia, ma che non ha saputo spiegare certi fenomeni, come il moto browniano e le fluttuazioni termiche. Fenomeni, questi, che sono stati invece spiegati dalla termodinamica statistica, vero e proprio completamento causale di quella classica, che ha introdotto nuove variabili, «nascoste» per la teoria precedente, e cioè gli atomi e le molecole di cui ogni sostanza è composta!

Contro i programmi causali di Einstein, Schrödinger e de Broglie le scuole di Copenaghen e di Gottinga eressero una formidabile barriera di veri e propri «teoremi di impossibilità» che tentavano di dimostrare che la descrizione causale era a priori impossibile perché necessariamente incompatibile con la teoria esistente. Per esempio, il «principio di complementarità» di Niels Bohr (1885-1962) voleva dimostrare l'impossibilità di una descrizione dei fenomeni atomici che fosse allo stesso tempo causale e nello spazio-tempo. Secondo la complementarità, una descrizione causale è possibile solo se si rinuncia a ogni rappresentazione degli oggetti atomici come esistenti nello spazio ed evolventi nel tempo. L'alternativa sarebbe, insomma, fra una causalità in un mondo sconosciuto e una descrizione priva di cause nello spazio-tempo! Nella stessa direzione andavano le relazioni di indeterminazione di Werner Heisenberg (1901-1976), secondo le quali sarebbe impossibile attribuire una precisa definizione contemporanea a posizione e quantità di moto, a tempo ed energia, e così via per ogni coppia di grandezze fisiche «incompatibili». Un terzo tipo di «impossibilità» fu affermato nel 1932 da Johann von Neumann (1903-1957), che formulò un famoso teorema, in cui era stabilita l'inammissibilità di un completamento causale della meccanica quantistica date poche e, apparentemente, generalissime ipotesi sulla struttura delle teorie fisiche (vN).

La grande autorevolezza di questi fisici, assieme alla complessità concettuale e/o matematica dei teoremi di impossibilità, impedirono a lungo che i fisici favorevoli alla causalità comprendessero limiti e difetti di complementarità, indeterminazione e teorema di von Neumann ed ebbero come conseguenza pratica la messa al bando delle idee causali. Come vedremo, studi relativamente recenti hanno dimostrato in modo inequivocabile che i teoremi di impossibilità erano, in realtà, del tutto incapaci di proibire un completamento causale della teoria, almeno dal punto di vista strettamente scientifico e razionale. Sociologicamente, queste proibizioni hanno, invece, funzionato molto bene nel mondo della ricerca, ottenendo in pratica lo scopo per cui erano state avanzate: indebolire fortemente gli studi nella direzione della causalità. Questo dimostra che razionalità e consenso sono due cose molto diverse anche nel mondo della ricerca scientifica.

Una volta che questa condizione di generale (ma ingiustificata) accettazione dei teoremi di impossibilità si fu prodotta, è chiaro che solo pochi grandi fisici poterono permettersi il lusso di ignorare quei teoremi e di continuare a lavorare nella dirczione della causalità. Einstein fu sempre in prima linea in questo, anche se le sue idee rimasero isolate. Riprodurremo qui di seguito un suo semplicissimo argomento, poco conosciuto ma ancora oggi molto convincente nel dimostrare l'incompletezza della teoria dei quanti e, quindi, la necessità di uno sviluppo causale della stessa teoria.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 31

2. La dualità degli oggetti atomici

Come abbiamo già detto nel primo capitolo, Einstein fu sempre in prima linea nella battaglia per la causalità. Riprodurremo qui di seguito un esperimento ideale da lui presentato alla famosa conferenza Solvay del 1927 (MJ, p 114), che è molto convincente nel dimostrare l'incompletezza della meccanica quantistica e, quindi, la necessità di uno sviluppo causale della stessa teoria. Einstein immaginò un elettrone che attraversa un piccolo foro in uno schermo piatto altrimenti assorbente e che successivamente arriva in un punto P di uno schermo emisferico a scintillazione. Un piccolo lampo di luce in P rivela l'arrivo dell'elettrone. Secondo Einstein, questo esperimento può essere analizzato seguendo due punti di vista alternativi: 1) La meccanica quantistica non dà informazioni sugli eventi individuali, ma tratta insiemi composti da un gran numero di processi elementari, cioè è una teoria incompleta; 2) La teoria pretende di dare una descrizione completa dei processi individuali. La seconda interpretazione genera però una difficoltà fondamentale. Se il forellino è sufficientemente piccolo, la funzione d'onda che rappresenta un singolo elettrone emergente dallo schermo piatto ha simmetria sferica. Perciò l'elettrone è potenzialmente presente su tutto lo schermo emisferico. Questa descrizione è completa e non c'è nient'altro da aggiungere. Tuttavia nell'istante della rivelazione il lampo di luce appare solo in un punto. Come è possibile passare da una causa (la funzione d'onda) completamente descritta come sfericamente simmetrica a un effetto (il lampo di luce) localizzato in un punto? Per comprendere questo fatto occorrerebbe uno strano meccanismo di azione a distanza che proibisse alla funzione d'onda di agire in due o più punti dello schermo contemporaneamente, ma già il parlare di questo «meccanismo» ci porta fuori dall'idea della completezza. L'unica ragionevole conclusione è che valga 1): la meccanica quantistica non è completa.

La conclusione di incompletezza fa subito nascere il problema di sapere in quale direzione muoversi per arricchire la teoria. Non esiste ancora una coerente proposta teorica capace di rispondere in assoluta generalità a questo problema. Ciò non può sorprendere, dato il grande sviluppo che ha avuto la teoria dei quanti, capace di interpretare e predire fenomeni diversi in settori della fisica anche lontani, sviluppo che non ha avuto dietro di sé una ricerca parallela che andasse nella direzione della causalità e dell'arricchimento della teoria. Se, però, non c'è una generale risposta che copra tutte le situazioni, esistono alcune risposte parziali che sviluppano, talvolta anche convincentemente, alcuni aspetti dell'esistente teoria. Di gran lunga la più importante delle risposte parziali è la formulazione della dualità onda-corpuscolo proposta da Einstein per la luce e successivamente estesa da de Broglie a tutti gli oggetti materiali. Da questo punto di vista, ogni oggetto atomico elementare (fotone, elettrone, neutrone, ...) è una regolare entità che esiste e si propaga nello spazio ordinario tridimensionale e nel tempo e che consiste di un'onda estesa che può coprire con le sue oscillazioni regioni spaziali macroscopiche (per esempio 1 cm^3) e di un corpuscolo inserito all'interno dell'onda e da questa guidato nel suo movimento. La novità, rispetto alla fisica classica, è la presenza contemporanea di onda e di corpuscolo, dato che fino al 1900 erano conosciuti solo sistemi fisici rappresentabili o come particelle (i corpuscoli duri e indivisibili di Newton) o come regioni estese di natura ondulatoria (il campo elettromagnetico di Maxwell), gli uni indipendenti dagli altri. La rivoluzione quantistica si basa, invece, sulla comprensione della natura duale, corpuscolare e ondulatoria, della luce come di tutte le entità atomiche.

Anche le scuole di Copenaghen e di Gottinga erano a loro modo dualistiche, perché riconoscevano la necessità di descrivere un oggetto talvolta come onda, talaltra come corpuscolo; ma si rifugiavano poi in una pretesa impossibilità di conoscere la vera natura di sistemi atomici e accettavano le rappresentazioni intuitive soltanto come comodo espediente, svuotandole di ogni vera capacità conoscitiva. Dato che oggi tutti i teoremi di impossibilità sono stati superati, la possibilità di accettare le idee di Einstein e de Broglie è del tutto aperta ed è, anzi, suggerita da numerose evidenze sperimentali, come vedremo più avanti. La situazione è diventata molto interessante, perché dopo tre quarti di secolo di negazione della descrizione causale nello spazio e nel tempo si sta lentamente riscoprendo la sua sostanziale adeguatezza a descrivere il mondo atomico. Si tratta di un'idea di grandissima importanza che costituisce, fra l'altro, una precisa proposta di arricchimento della esistente teoria. Infatti la funzione d'onda della solita trattazione ha limiti evidenti perché non contiene alcun punto privilegiato e, perciò, nessuna indicazione di una possibile localizzazione corpuscolare. Il solo limite di questa idea, sperabilmente temporaneo, è la sua formulazione per un singolo sistema che non si lascia generalizzare facilmente a sistemi di molti corpi. L'avere premesso l'idea della dualità di Einstein e de Broglie ci sarà utile nei prossimi paragrafi per meglio comprendere la natura dei paradossi della completezza, che ora passiamo a discutere.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 74

6. Realisti contro la dualità

Questo capitolo non sarebbe completo se non si parlasse di tutti quei fisici che non accettarono la dualità onda-corpuscolo di Einstein e de Broglie. Si tratta di un numero sterminato di persone perché, come già detto, i fisici favorevoli alla dualità restarono sempre molto minoritari. A mio parere questa può ben essere una delle cause più importanti delle gravi difficoltà che la fisica contemporanea sembra incontrare nei suoi tentativi di spiegare il comportamento dei nuclei e dei sistemi subatomici. Paradossalmente, le idee di Einstein e de Broglie trovarono una certa accettazione (sia pure all'interno di un quadro filosofico opposto) presso le scuole di Copenaghen e di Gottinga. Alle idee di Heisenberg e di Bohr è dedicato il quinto capitolo, mentre ora presenteremo brevemente le posizioni di altri fisici che si consideravano realisti (Schrödinger, Born, Fermi, Landè, ... ) ma che, per motivi diversi, hanno rifiutato la dualità.

Schrödinger era un realista, come abbiamo già detto nel primo capitolo. Egli parlò spesso con molta convinzione dell'insufficienza del positivismo di Mach e di Kirchhoff, per esempio scrivendo contro l'idea che il solo scopo della fisica dovesse essere quello indicato dai positivisti: «In realtà, se esaminiamo noi stessi onestamente e fedelmente, avere solo questo scopo davanti agli occhi non basterebbe ad alimentare lo sviluppo della ricerca in nessun campo. Una vera eliminazione della metafisica significa togliere l'anima sia all'arte che alla scienza, trasformandole in scheletri incapaci di ogni ulteriore sviluppo» (ES, p. 114). Nel 1926 Schrödinger scoprì la sua famosa equazione d'onda per i sistemi atomici non relativistici, fornendo così una rigorosa base quantitativa per l'evoluzione delle onde di de Broglie. Egli pensava, tuttavia, che tanto la luce che la materia fossero fenomeni puramente ondulatori e rifiutava in entrambi i casi la presenza di corpuscoli. Scrisse, ad esempio: «Il fenomeno ondulatorio forma il vero e proprio 'corpo' dell'atomo. Esso sostituisce i singoli elettroni puntiformi individuali che nel modello di Bohr dovrebbero girare a schiere intorno al nucleo. Di tali particelle puntiformi isolate nell'interno dell'atomo non si può parlare in nessun caso, e se immaginiamo anche il nucleo stesso come qualche cosa di simile, questo è un semplice ripiego, cui si ricorre scientemente» (HBS, p. 50). Dunque Schrödinger voleva interpretare gli elettroni esclusivamente come onde e attribuire gli osservati comportamenti corpuscolari al confinamento del disturbo ondulatorio a una piccola regione di spazio (pacchetto d'onde). E tuttavia formidabili ostacoli esistevano (ed esistono) alla possibilità di accettare una tale concezione. In un articolo del 1953 lo stesso Schrödinger presentò alcuni di questi ostacoli, in sostanza i seguenti:

1. I pacchetti d'onde in generale si allargano durante la loro propagazione e, perciò, si perde la localizzazione dell'elettrone, cioè la possibilità di scoprirne la presenza entro una piccola regione di spazio a distanza arbitrariamente grande dalla sorgente. In tutti gli esperimenti l'elettrone ha invece sempre manifestato una precisa localizzazione (si pensi, ad esempio, ai singoli arrivi della Figura 10).

2. Se l'elettrone fosse nient'altro che un'onda estesa, dovremmo ammettere che la sua carica elettrica sia diffusa su tutta l'onda per spiegare l'attrazione che subisce da parte di un protone, ad esempio. Ma nel caso dell'atomo di idrogeno, se non si vuole distruggere l'ottimo accordo fra teoria ed esperienza, occorre fare i calcoli trascurando completamente ogni repulsione reciproca di parti diverse dell'onda.

3. Molti processi atomici suggeriscono fortemente il «trasferimento di interi quanti» energetici. Tipico, da questo punto di vista, è l'effetto fotoelettrico che abbiamo discusso in dettaglio nel primo paragrafo. Come si vide allora, le caratteristiche della fotoelettricità non sono affatto spiegabili con una descrizione ondulatoria della luce.

4. Il carattere complesso della funzione d'onda non è di facile e immediata interpretazione fisica. Ancora meno lo è il fatto che la funzione d'onda di due particelle si propaghi in uno spazio a sei dimensioni.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 117

3. Principio di complementarità

[...]

Le due descrizioni fondamentali della fisica classica (spazio-tempo e causalità) sono incompatibili in fisica dei quanti. Si può scegliere o l'una o l'altra, ma non è mai possibile realizzarle entrambe su uno stesso fenomeno perché si escludono a vicenda.

Secondo l'idea della complementarità, ogni applicazione concreta di concetti classici rende impossibile l'uso simultaneo di altri concetti classici che, in una diversa situazione, (cioè in un diverso esperimento) sono egualmente necessari per lo studio dei fenomeni. Il meccanismo che regola questa impossibilità è legato al minimo scambio di azione fra apparato misuratore e sistema atomico.

È interessante notare che una delle premesse della complementarità fu l'esito (per Bohr negativo) dell'esperimento di Bothe e Geiger, e la conseguente necessità di un'accettazione almeno parziale delle idee di Einstein, cui Bohr si era totalmente opposto fino al 1925. Infatti, negli scritti dedicati alla complementarità si parla dell'effetto fotoelettrico, dell'effetto Compton e degli esperimenti di Compton e Simon e di Bothe e Geiger, cioè proprio di quegli esperimenti che avevano verificato l'esattezza della conservazione di energia e quantità di moto. Su questa linea Bohr dice: «la conservazione dell'energia e dell'impulso durante l'interazione fra radiazione e materia, evidente nell'effetto fotoelettrico e nell'effetto Compton, trova la sua espressione adeguata proprio nell'idea dei quanti di luce avanzata da Einstein» (BC, p. 55). È dunque chiaro che per Bohr quello corpuscolare è il linguaggio adatto a descrivere i processi causali.

Simmetricamente, l'onda è lo strumento adeguato alla predizione dei possibili punti P di localizzazione del sistema osservato. Infatti è il modulo quadrato della funzione d'onda che permette di predire la densità di probabilità relativa ai diversi punti P. È impossibile sapere a priori in quale punto la localizzazione si manifesterà. Pertanto l'evoluzione del sistema apparirà ora come intrinsecamente casuale, il che è come dire che la legge di causalità non vale quando si studia la localizzazione dei sistemi atomici.

Il concetto di corpuscolo è adeguato a comprendere i comportamenti causali, mentre quello di onda serve a descrivere le localizzazioni spazio-temporali. Esiste, quindi, una reciproca esclusione anche fra corpuscolo e onda, che debbono pertanto essere considerati due descrizioni complementari dei sistemi quantistici.

Bohr sottolinea che tutti i concetti a nostra disposizione (onda, corpuscolo, spazio, tempo, causalità, ...) nascono nell'esperienza macroscopica dove si applica la fisica classica. Estrapolare coerentemente i nostri concetti al mondo atomico non è possibile, secondo lui, ed è quindi naturale che ci troviamo nella condizione di usare talvolta un'idea e talaltra l'idea opposta e che riscontriamo l'esistenza in natura di situazioni per noi irrazionali. L'accettazione di questo stato di cose è il prezzo da pagare per poter formulare la teoria quantistica. Questa natura della complementarità è evidenziata anche dalla frase seguente, scritta da Rosenfeld, un allievo del fisico danese: «Mentre i grandi maestri Planck, Einstein, Born, Schrödinger cercavano invano di eliminare la contraddizione in modo aristotelico, Bohr si rese conto dell'inutilità di questi tentativi. Egli sapeva che dobbiamo vivere con questo dilemma [...] e che il vero problema era di perfezionare il linguaggio della fisica in modo da dare spazio alla coesistenza dei due concetti» (LR). A questo punto, non si può fare a meno di ricordare che c'è grande somiglianza fra questa rinuncia a risolvere i problemi della fisica atomica e la filosofia esistenzialistica di Kierkegaard e di Hoffding, da cui Bohr era stato profondamente influenzato. Infatti la 'dialettica qualitativa' di Kierkegaard affermava che le contraddizioni della vita e della natura sono rigide e impossibili da superare, proprio come le contraddizioni in fisica di Bohr (FN).

Il principio di complementarità sovvertiva uno dei cardini della scienza stessa, l'idea che i problemi possano essere via via affrontati e risolti. L'accettazione di questo principio fu lungi dall'essere unanime. Se da un lato Heisenberg, Born e Pauli non sollevarono obiezioni sostanziali, e anzi talvolta ne parlarono con entusiasmo, dall'altro lato Planck, Einstein, Schrödinger e de Broglie vi si opposero con decisione. Per fare un esempio, ricordiamo che de Broglie scrisse: «Per molto tempo ho accettato l'idea della complementarità pur realizzando la sua inadeguatezza. In anni recenti sono stato portato a considerare il concetto di complementarità con crescente sospetto» (WM, p. 7). Anche a Einstein non piaceva la complementarità, «la cui precisa formulazione - aggiungeva - del resto non sono stato capace di ottenere, nonostante i molti sforzi che gli ho dedicato» (AE, p. 217).

Alla posizione di Bohr aderì pienamente Pauli, che scrisse: «Ciò che mi colpì di più negli sviluppi che nell'anno 1927 condussero infine alla formulazione della presente meccanica quantistica, è il fatto che vi sono nella fisica delle vere e proprie coppie di opposti, come particelle e onde, posizione e quantità di moto, energia e tempo, la cui opposizione si può eliminare solo in modo simmetrico. Intendo dire che non si potrà mai sopprimere uno dei due opposti, ma che ambedue devono essere introdotti in un nuovo tipo di leggi fisiche che esprima opportunamente il carattere complementare della coppia di opposti» (FC, p. 20). Pauli, come Bohr, prese posizione anche contro il concetto di realtà oggettiva, dicendosi contrario alla «concezione di oggetto materiale, o in generale fisico, come un oggetto la cui costituzione e natura è indipendente dal modo con cui esso viene osservato. Abbiamo visto che la fisica moderna, costretta dai fatti, ha dovuto rinunciare a questa astrazione, che risulta troppo ristretta» (FC, p. 30).

La fondamentale natura oscurantista del principio di complementarità di Bohr è stata ben compresa da alcuni filosofi della scienza. I. Lakatos, ad esempio, ha scritto: Nella nuova teoria quantistica, successiva al 1925, la posizione «anarchica» diventò dominante e la fisica quantistica moderna, nella sua «Interpretazione di Copenaghen» diventò uno dei principali supporti dell'oscurantismo filosofico. Nella nuova teoria il notorio 'principio di complementarità' di Bohr incoronò l'inconsistenza debole come fondamentale aspetto della natura, definitivamente fattuale, e mescolò il positivismo soggettivistico, la dialettica antilogica e persino l'ordinaria filosofia del linguaggio in una non santa alleanza. Dopo il 1925 Bohr e i suoi associati introdussero un abbassamento senza precedenti degli standard critici delle teorie scientifiche. Questo portò ad una disfatta della ragione nella fisica moderna» (IL, p. 145).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 131

6. IL PARADOSSO DI EPR E LA DISEGUAGLIANZA DI BELL



Ma c'è un punto, a mio parere, che dovremmo tenere assolutamente fermo: la reale situazione di fatto del sistema S2 è indipendente da ciò che si fa sul sistema S1 che è spazialmente separato dal primo. [...] Si può sfuggire a questa conclusione solo supponendo che la misurazione di S1 cambi - telepaticamente - la situazione reale di S2, oppure negando che possano esistere situazioni reali indipendenti, relative a cose che siano spazialmente separate l'una dall'altra. Queste due alternative mi sembrano del tutto inaccettabili. A. Einstein, 1949


Quello di Einstein, Podolsky e Rosen (EPR) è un paradosso molto diverso da tutti gli altri che abbiamo via via incontrato. Qui non c'è reinterpretazione che tenga, perché le situazioni fisiche in cui si presenta il paradosso di EPR contengono una fantastica novità. È stato dimostrato in modo impeccabile che c'è incompatibilità fra la meccanica quantistica, comunque interpretata, e la filosofia realista che tante volte abbiamo discusso. Questa incompatibilità si manifesta nelle predizioni di certe grandezze misurabili fatte dal «realismo locale» e dalla meccanica quantistica, che sono nettamente diverse. Il paradosso di EPR è la bomba a orologeria della fisica quantistica: prima o poi scoppierà e saranno dolori.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 163

7. LE ONDE VUOTE



Può sussistere un treno d'onde v che sia «vuoto», cioè che non trasporti più un fotone? A questo proposito bisogna tener conto del seguente risultato sperimentale: Michelson & Dale hanno mostrato che due treni d'onda che sono stati separati l'uno dall'altro per 2 km da un interferometro di Michelson possono ancora interferire. Poiché i treni d'onde incidenti emessi indipendentemente dagli atomi della sorgente trasportano un solo fotone ciascuno, bisogna che il fotone sia in uno dei treni d'onde e che l'altro sia vuoto. Se ne deduce che un treno d'onde luminose, anche quando non trasporta il fotone, può percorrere una distanza molto grande senza indebolirsi. Louis de Broglie, 1962


Nel terzo capitolo vedemmo la più importante di tutte le scoperte della fisica quantistica: ogni sistema atomico (fotone, elettrone, neutrone, ...) ha una doppia natura, corpuscolare e ondulatoria. Questa fondamentale duplicità ha ricevuto formulazioni assai diverse con il dualismo di Bohr e la dualità di Einstein e de Broglie. Un realista trova ovvio optare per la seconda e non ha problemi particolari con la componente corpuscolare, mentre deve confrontarsi con l'oggettività delle onde quantistiche: (I) possono esistere onde elementari che si propagano nel vuoto?; (II) quali esperimenti possono evidenziarne l'esistenza se energia e quantità di moto sono associate ai corpuscoli? In questo capitolo mostreremo che è possibile rispondere a entrambe le domande.


1. Il supporto delle onde quantistiche

Nel 1905 Einstein pubblicò tre famosissimi articoli che avrebbero influenzato profondamente la fisica del Novecento. Erano dedicati alla teoria della relatività speciale, ai quanti di luce (effetto fotoelettrico) e all'esistenza degli atomi (moto browniano). La grande creatività e la ricchezza di idee di Einstein possono essere valutate anche considerando che l'impostazione concettuale di questi articoli era molto diversa. L'autore del secondo e terzo articolo era un realista che voleva comprendere le vere strutture atomiche e fotoniche della natura, mentre l'autore della relatività aveva marcate tendenze positivistiche e voleva rinunciare all'oggettività dello spazio e del tempo per affidarsi alla filosofia del relativismo. Dato che i due autori erano una sola persona, le si deve essere posta immediatamente la questione scientifica, oltre che filosofica, della compatibilita fra le diverse idee. Einstein non sarebbe riuscito a risolverla nel mezzo secolo di attività scientifica che gli stava davanti. Il problema principale era di trovare un supporto fisico per le onde associate al movimento dei corpuscoli energetici. Nella sua teoria dei quanti di luce, queste onde dovevano essere prive di energia e, purtuttavia, oggettivamente reali. In tutta la storia della fisica precedente, un'onda non era mai stata considerata una cosa in sé, ma una proprietà oscillatoria di un sistema esteso: le onde su un lago sono oscillazioni dell'acqua, il suono è un'oscillazione dell'aria, e così via. Le onde degli oggetti subatomici avrebbero allora dovuto essere oscillazioni dello spazio fisico («etere»), ma la teoria della relatività dichiarava completamente equivalenti tutti i sistemi di riferimento inerziali ed escludeva l'esistenza di un sistema privilegiato nel quale un mezzo etereo potesse essere mediamente immobile. Eliminato il quale non restava alcun supporto per la propagazione di onde elementari, né alcuna seria possibilità di comprendere la dualità onda-corpuscolo in termini spazio-temporali e causali. Infatti nei suoi ultimi anni Einstein difendeva fermamente l'idea della realtà oggettiva, ma dichiarava la sua impotenza di fronte al problema di specificare le caratteristiche di questa realtà: «C'è qualcosa come 'lo stato reale' di un sistema fisico, che esiste oggettivamente, indipendentemente da ogni osservazione o misura, e che può in linea di principio essere descritto usando i mezzi di espressione della fisica. [A mio parere è tuttora ignoto quali siano i mezzi adeguati d'espressione, e di conseguenza i concetti fondamentali che debbano essere usati a questo scopo (punti materiali? campo? metodo di determinazione che deve essere prima creato?]» (LdB, p. 7).

Un dato che emerge dalla storia della fisica del Novecento è che la teoria della relatività inizialmente non aveva convinto nessun esperto che l'etere dovesse davvero essere eliminato. Poincaré continuava tranquillamente a parlarne, come ad esempio in una conferenza alla Società francese di fisica, intitolata "I rapporti fra la materia e l'etere" (HP). Lorentz nel 1909 pubblicò un libro contenente la sua riformulazione della teoria relativistica (HL). L'idea era di partire dalla fisica classica, aggiungendo tre ipotesi incentrate sull'azione dell'etere sui regoli e sugli orologi in moto, ma in cui il principio di relatività non appariva. La differenza filosofica non era, dunque, di poco conto. Dato che la formulazione di Lorentz risultò essere perfettamente equivalente a quella di Einstein, non era possibile scegliere fra le due con degli esperimenti e ogni fisico avrebbe potuto adottare quella che meglio soddisfaceva le sue esigenze intuitive; in pratica, il dilagare di ideologie negative nella cultura europea degli anni Venti e Trenta favorì grandemente l'accettazione della filosofia del relativismo.

Un recente libro di Kostro (LK) ha mostrato che negli anni successivi al 1916 Einstein riconsiderò tutta la questione dell'etere e ammise che, dopo tutto, era possibile continuare a pensarlo esistente, affermando che nel corso della evoluzione della scienza la parola etere aveva più volte cambiato significato: anche se dopo la relatività non poteva più denotare un mezzo formato di particelle, l'idea dell'etere, lungi dall'essere morta, si rinnovava nella teoria della relatività. Una posizione autocritica era ormai matura, e infatti nel 1919 Einstein scrisse a Lorentz: «Sarebbe stato più corretto se nelle mie prime pubblicazioni mi fossi limitato a sottolineare l'irrealtà detta velocità dell'etere, invece di sostenere sopratutto la sua non esistenza. Ora comprendo che con la parola etere non si intende nient'altro che la necessità di rappresentare lo spazio come portatore di proprietà fisiche». (LK, p.12)

Tutte le misure della velocità della luce finora sono state equivalenti a usare il seguente metodo: (a) spedire un segnale luminoso verso uno specchio che lo riflette facendolo ritornare verso la sorgente; (b) misurare il tempo intercorso fra partenza e ritorno del segnale (MS). Così, però, è stata misurata la velocità di andata e ritorno, che è cosa ben diversa dalla ordinaria velocità di sola andata! Altri esperimenti hanno usato metodi apparentemente diversi, ma che alla fine si sono rivelati logicamente equivalenti. Per quanto ciò possa sembrare strano, le cose stanno così persino per le misure della velocità della luce basate sull'aberrazione stellare e sulle occultazioni dei satelliti di Giove, fenomeni in cui la luce, di fatto, si propaga in una sola direzione. Così è nata l'idea che la velocità della luce in una sola direzione (cioè su percorsi di sola andata e non di andata e ritorno) sia, in linea di principio, non misurabile. I libri di testo non si fermano su questo punto, che tuttavia ha profonde radici storiche. Lo stesso Einstein affermò il carattere convenzionale del postulato di invarianza della velocità della luce, scrivendo, a proposito del punto mediano M di un segmento AB, gli estremi del quale sono colpiti «simultaneamente» da due fulmini: «Il fatto che la luce impieghi lo stesso tempo per percorrere AM e BM è solo una convenzione arbitrariamente stabilita per ottenere una definizione di simultaneità, e non un'ipotesi sulla natura della luce sotto l'aspetto fisico» (ED, p. 31). L'idea non era nuova, perché già nel 1898 Poincaré così discuteva l'indipendenza della velocità della luce dalla direzione dì propagazione: «Questo è un postulato in mancanza del quale sarebbe impossibile iniziare una qualsiasi misura di questa velocità. Resterà per sempre impossibile verificare la validità di questo postulato con degli esperimenti» (MM).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 174

3. Le onde vuote e i campi fantasma

L'onda quantistica è stata chiamata «vuota» perché di per sé priva di quei fondamentali attributi energetici che fanno definire reale un oggetto ordinario. Infatti la dualità di Einstein e de Broglie associa onda e corpuscolo in modo tale che le proprietà della particella (l'energia E e la quantità di moto p) e le proprietà dell'onda (la frequenza v e il vettore numero d'onde K) siano legate dalle relazioni seguenti:

E=hv ; p= hK

dove h è la costante di Planck. Sorge subito un problema quando si adotta il punto di vista di Einstein e de Broglie: se il corpuscolo trasporta tutta l'energia e tutta la quantità di moto, in che senso può essere considerata reale l'onda? Infatti, un oggetto sprovvisto di energia e di quantità di moto non è in grado di esercitare una pressione sugli altri oggetti con i quali interagisce: sembrerebbe dunque impossibile osservare l'onda vuota, perché le tecniche di osservazione note sono basate su scambi di energia fra l'oggetto osservato e lo strumento. Questo problema fu sentito acutamente da Einstein, che anche per questo motivo chiamava scherzosamente «campi fantasma» (Gespensterfelder) le sue onde quantistiche. Tuttavia, le equazioni della meccanica quantistica descrivono quest'onda come propagante nello spazio e nel tempo, anche nei casi in cui sia priva della particella, come accade, ad esempio, negli esperimenti con l'interferometro a neutroni, nei quali l'onda viene divisa in due parti che si propagano su percorsi diversi, mentre il corpuscolo resta associato solo a una delle due «mezze onde».

La soluzione del problema dell'osservabilità diretta delle onde quantistiche parte dall'idea che le stesse onde, anche se «vuote» nel senso detto, potrebbero manifestare la propria presenza modificando probabilità di eventi ai quali si vengano a sovrapporre spazio-temporalmente. L'osservazione che non siamo soltanto in grado di misurare trasferimenti di energia e quantità di moto, ma anche probabilità di eventi dal bilancio energetico fisso e non modificabile (decadimenti spontanei, probabilità di collisione, ...), apre uno spazio di principio verso l'osservabilità diretta delle onde quantistiche (OQ). Vedremo nel seguito come si può passare da questa idea generica a esperimenti effettivamente realizzabili.

Queste idee originarie sulla natura delle onde quanto-meccaniche suggeriscono almeno una cosa, che persino un'onda priva di energia e quantità di moto possa essere in grado di rivelare la propria presenza modificando le probabilità di transizione dei sistemi instabili con cui entra in interazione (OQ). L'idea di base è la seguente: oggi è possibile generare un fascio di fotoni avente intensità così bassa che, in pratica, è rarissimo che due o più quanti energetici siano simultaneamente presenti nell'apparato sperimentale. In pratica, questa condizione era già soddisfatta nel classico esperimento di Janossy e Naray. Si è visto che in quest'ultimo caso uno specchio semitrasparente divideva la luce incidente in due fasci divergenti che, se ricombinati, davano luogo a figure di interferenza anche a bassissima intensità. Questo avveniva anche nel caso in cui le dimensioni del dispositivo sperimentale erano molto maggiori della stessa lunghezza di coerenza del pacchetto d'onde fotonico. Evidentemente, qualcosa doveva propagarsi lungo entrambi i percorsi possibili e questo «qualcosa», fenomeno esteso contenente l'informazione relativa alla fase dell'onda di ciascun percorso, doveva essere ragionevolmente la stessa onda.

Torniamo alla nostra domanda: come si può sperare di rivelare la presenza di un'onda che non trasporta né energia né quantità di moto? Come abbiamo detto, questo problema può essere risolto se si osserva che la fisica contemporanea non si limita a fare misure di trasferimenti di energia, ma che compie normalmente anche delle misure di probabilità. Perciò l'onda vuota potrebbe rivelare la sua presenza modificando, per esempio, la probabilità di decadimento di un sistema instabile. Un tale fenomeno, se esiste, potrebbe essere rivelato, con le moderne tecnologie, usando l'apparato sperimentale che ora descriveremo.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 179

4. Caccia all'onda vuota

Basta aprire un qualsiasi libro di testo di meccanica quantistica per trovare nelle prime pagine l'idea (spesso presentata come «inevitabile conclusione») che la realtà atomica e subatomica non sia descrivibile in termini intuitivi (cioè nello spazio e nel tempo). Qualche autore spiega pazientemente che le categorie di spazio e di tempo derivano dalla nostra esperienza di esseri macroscopici e che non è detto a priori che vadano bene per un livello di realtà così remoto rispetto a ciò che conosciamo direttamente. Sin qui il discorso potrebbe anche essere accettabile, nonostante il fatto che le descrizioni spazio-temporali funzionino assai bene per un macrocosmo ventisei ordini di grandezza più vasto di quello della nostra vita quotidiana, mentre ci si vuole convincere che diventano inutili per un microcosmo che dista da noi solo dieci ordini di grandezza. Ma non è un'obiezione decisiva. Lo è, invece, il fatto che un'analisi dettagliata dei più importanti esperimenti sulla natura duale dei sistemi quantistici ha mostrato che è possibile descriverli tutti con l'immagine duale di Einstein e de Broglie: questo non può certo essere un fatto accidentale!

Di notevole interesse è anche il fatto, già in parte discusso, che questa proposta di descrizione abbia conseguenze a livello empirico che possono essere concretamente studiate. Da quest'ultima caratteristica segue la piena scientificità, anche in senso popperiano, della interpretazione proposta (in linea di principio può essere falsificata). Comunque, un esito negativo di questi esperimenti appare improbabile, se no si dovrebbe considerare accidentale l'impressionante accordo di un unico e semplice modello spazio-temporale con un vasto insieme di fatti sperimentali raccolti in condizioni empiriche assai diverse. L'esistenza di questo modello mostra la falsità della pretesa incapacità umana a interpretare i fenomeni microscopici nello spazio e nel tempo. In un certo senso, ancora teorico e concettuale, si può parlare di già avvenuta falsificazione del paradigma concettuale di Copenaghen-Gottinga.

Fra le cose positive di questa proposta c'è la eventuale scoperta di un nuovo livello della realtà obiettiva (l'onda vuota) e l'evidente potenziale «euristica positiva» dell'idea (nel senso di Lakatos) che richiede tutta una serie di approfondimenti teorici e sperimentali sulla natura di questa nuova entità. Bisogna purtroppo aggiungere che la soluzione logica del problema è associata a ritardi sociologici della comunità dei fisici ad acquisire l'idea.

| << |  <  |