Copertina
Autore Amartya K. Sen
Titolo La ricchezza della ragione
SottotitoloDenaro, valori, identità
Edizioneil Mulino, Bologna, 2000, Intersezioni 209 , pag. 126, dim. 125x205x13 mm , Isbn 978-88-15-07711-0
OriginaleReason before Identity, [...]
EdizioneOxford University Press, Oxford, 1999
TraduttoreAlessandro Balestrino, Bruna Ingrao, Giovanni M. Mazzanti
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe economia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Prefazione, di Stefano Zamagni           p. VII

l.  La ragione prima dell'identità            3

2.  Mercati e libertà di sceltà              31

3.  Denaro e valore: etica ed economia
    della finanza                            53

4.  Codici morali e successo economico       91

5.  Valori e successo economico:
    Europa e Asia                           111

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 3

La ragione prima dell'identità

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 17

6. Responsabilità e comportamento gregario

In effetti, ritenere che non abbiamo scelta su questi argomenti non solo è un errore ma può dar luogo a implicazioni molto pericolose che vanno ben al di là delle critiche comunitarie o della validità delle teorie liberali della giustizia. Se le scelte esistono, e se tuttavia viene fatta l'ipotesi che non ci siano, l'uso del ragionamento può essere sostituito da un'accettazione acritica di un comportamento conformista, che induce a scelte che verrebbero altrimenti rifiutate. Di solito, un conformismo di questo tipo può avere implicazioni conservatrici, proteggendo costumi e pratiche da una intelligente analisi critica. Infatti, le diseguaglianze che derivano dalla tradizione, come la condizione delle donne nelle società sessiste, spesso sopravvivono rendendo le corrispondenti identità, in particolare il ruolo sottomesso di chi è abitualmente nelle condizioni più svantaggiate, una questione di accettazione incondizionata, piuttosto che oggetto di un esame critico. Ma le supposizioni incontestate sono semplicemente non contestate - e non non-contestabili.

Molte pratiche tradizionali e presunte identità sono crollate dopo essere state messe in discussione ed essere state sottoposte ad un giudizio critico. Le tradizioni possono evolvere anche all'interno di un determinato paese e di una specifica cultura. A questo proposito, vale forse la pena ricordare che l'opera di John Stuart Mill, The Subjection of Women, pubblicata nel 1874, fu considerata da molti lettori inglesi come la prova definitiva della sua eccentricità; a dimostrazione di ciò, l'interesse sull'argomento fu così limitato che si trattò dell'unico libro di Mill a comportare una perdita per l'editore.

Tuttavia, l'accettazione acritica di un'identità sociale può non avere sempre implicazioni conservatrici. Può anche comportare un cambiamento radicale nell'identità - accettata come una componente di una presunta «scoperta» piuttosto che come una scelta ragionata. Alcuni dei ricordi più dolorosi, che risalgono all'inizio della mia adolescenza nell'lndia della metà degli anni '40, sono collegati all'enorme cambiamento nelle identità che seguì le politiche di divisione. Le identità delle persone in quanto indiani, asiatici o membri della razza umana all'improvviso sembrarono lasciare spazio ad identificazioni settarie con le comunità indù, mussulmana o sikh. Ciò che era indiano a gennaio entro marzo fu rapidamente e acriticamente trasformato in indù e in mussulmano. La carneficina che ne seguì dipese in larga misura dall'acritico comportamento gregario con il quale le persone «scoprirono» le loro nuove segreganti e belligeranti identità, senza sottoporre ad esame critico quello che stava succedendo. Le stesse persone diventarono all'improvviso diverse.

Se alcuni di noi continuano tuttora a guardare con sospetto l'approccio comunitario, nonostante le sue caratteristiche attraenti, compresa l'attenzione alla solidarietà all'interno del gruppo e i legami di affetto tra componenti del gruppo, ci sono alcune ragioni storiche. Infatti, la solidarietà interna al gruppo può andare mano nella mano con la discordia fra i gruppi. Credo che trasformazioni acritiche dell'identità si siano verificate e continuino a verificarsi in maniera simile in diverse parti del mondo - nella ex Iugoslavia, in Ruanda, in Congo, in Indonesia - in modi diversi e con effetti devastanti. C'è qualcosa di fortemente destabilizzante nel negare la scelta quando la scelta esiste; si tratta di una abdicazione della responsabilità di considerare e valutare come si dovrebbe pensare e con che cosa ci si dovrebbe identificare. È un modo per cadere preda di cambiamenti acritici di una presunta auto-conoscenza, basata sulla falsa opinione che l'identità di una persona debba essere scoperta e accettata piuttosto che esaminata e vagliata.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 27

9. Osservazioni conclusive

In questo saggio ho sostenuto che, primo, le identità sociali possono essere importanti. Vi è un fondato motivo per rifiutare la visione degli individui come isole preoccupate esclusivamente di sé. Secondo, si evidenzia un ruolo significativo del ragionamento nella scelta dell'identità e ci sono solide basi per respingere l'ipotesi comunitaria secondo la quale l'identità sociale è una questione di «scoperta» e non il risultato di un processo di scelta. Terzo, abbiamo ragione di dubitare della separazione nell'epistemologia e nell'etica proposta dalle versioni forti del comunitarismo e della connessa tendenza a trattare diverse culture come isole cognitive o morali. Quarto, ho sostenuto che l'approccio rawlsiano alla giustizia è sufficientemente robusto per controbattere alle critiche comunitarie.

Infine, ho anche sostenuto che non solo le critiche comunitarie, ma anche lo stesso approccio rawlsiano debbano assicurare più spazio alle scelte e al ragionamento nell'occuparsi delle nostre diverse affiliazioni e identità, comprese quelle che non sono mediate dalla nazionalità e dalla cittadinanza. Questa estensione, nel suo spirito, non è in ogni senso «antirawlsiana». Nessuno infatti ci ha insegnato meglio di Rawls come ragionare sulla giustizia e perché dobbiamo riconoscere l'esistenza delle scelte. Abbiamo la possibilità di proseguire nella strada che Rawls, più di ogni altro, ci ha aiutato a costruire.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 31

Mercati e libertà di scelta

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 45

8. Osservazioni conclusive

Senza cercare di riassumere quanto detto in precedenza, commenterò brevemente alcune delle principali questioni che ho qui affrontato.

Primo, i meriti e i limiti del meccanismo di mercato possono essere valutati secondo molte e differenti prospettive. Qui sono state trattate quelle relative alle libertà individuali (in contrapposizione alle impostazioni più standard che si concentrano sulle utilità o sul possesso di beni). La retorica a cui spesso si fa riferimento di mercati capaci di rendere le persone «libere di scegliere» deve essere unita 1) alla specificazione dei criteri di cosa si intende per «libertà di scelta» e 2) all'impiego di questi criteri per esaminare e vagliare quello che il mercato fa e non fa.

Secondo, due modi molto diversi di affrontare le libertà individuali si riflettono nella scelta di tali criteri. La «libertà-di-agire» può, con alcune precisazioni, richiamare l'idea di «libertà negativa», quando l'attenzione è specificamente concentrata sull'autonomia e sull'immunità degli atti di scambio. La «libertà-di-conseguire» può, d'altro canto, portare a concentrarci sulla libertà complessiva di realizzare quello che riteniamo importante.

Terzo, l'approccio della libertà negativa può offrire un legame più immediato tra il meccanismo del mercato e la «libertà di scelta» delle persone. Benché questa connessione sia sufficientemente robusta, l'interesse in questo criterio di valutazione è limitato sia 1) dall'enorme rilevanza della «libertà-di-conseguire» (in contrapposizione a quella di agire) e 2) dalla natura restrittiva dell'interpretazione della «libertà-di-agire» che è racchiusa nel concetto di libertà negativa (confinando l'attenzione solo ad un piccolo insieme di azioni e restringendola solo agli aspetti dell'autonomia e dell'immunità e non all'effettiva portata della libertà-di-agire, anche in questo ambito limitato). Tutto questo non rende l'approccio non interessante o irrilevante, ma lo rende incompleto.

Quarto, la valutazione del meccanismo di mercato in termini di libertà-di-conseguire è più complessa. Tuttavia, l'efficienza di base dell'equilibrio di mercato competitivo (stabilito in termini di utilità, con le ipotesi standard, quali l'assenza di esternalità) sopravvive, in una forma debole, nello spazio delle libertà sia in termini di libertà di scegliere panieri di beni sia in termini di capacità di funzionare.

Quinto, i problemi di equità dei risultati del mercato - importanti anche in uno schema orientato all'utilità (o basato sul possesso di beni) - tendono ad essere ancora più problematici e pronunciati nel contesto della libertà-di-conseguire quello che per noi è importante. Una delle principali sfide che il meccanismo di mercato si trova ad affrontare si riferisce alla disuguaglianza nella distribuzione delle libertà effettive.

Sesto, questi limiti di tipo distributivo implicano la necessità di un intervento pubblico che garantisca a tutti alcune basilari libertà-di-conseguire. Questa critica del funzionamento del mercato suggerisce il ricorso a interventi che integrino il mercato piuttosto che a interventi che sostituiscano il mercato. Questa distinzione, che è stata illustrata con un particolare esempio pratico (la prevenzione di una carestia) può risultare determinante nella definizione delle politiche pubbliche nel mondo contemporaneo. Le conseguenze negative derivanti dal confondere le omissioni del mercato con gli errori operativi possono essere in realtà molto serie - in termini sia di benessere sia di libertà umana. L'obiettivo di rafforzare la «libertà di scegliere» richiede chiarezza concettuale e un'azione pubblica selettiva.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 53

Denaro e valore:
etica ed economia della finanza

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 82

11. Osservazioni conclusive

Ho sostenuto che nell'etica della finanza il problema fondamentale è la relazione tra doveri e conseguenze. La tentazione di valutare la finanza sulla base dell'attrattiva immediata, o dell'immediata ripulsa, è forte e ha pesato sui giudizi espressi dall'etica della finanza nel passato, così come avviene ancora oggi. Ma le più serie trattazioni del passato hanno, a ragione, resistito alla tentazione di imboccare una strada così elementare. Ciò è vero non solo per autori come Kautilya e Smith, ma persino per la celebre critica aristotelica dell'usura, benché ripetuti fraintendimenti delle argomentazioni aristoteliche abbiano teso a oscurare questa importante verità. I temi che le analisi classiche della finanza di impostazione consequenziale miravano a evidenziare restano importanti anche oggi.

Abbiamo esaminato alcune questioni attuali dell'etica della finanza per porre in luce la natura della riflessione consequenziale e i trabocchetti della deontologia «pura». Nella teoria contemporanea, ad esempio, si è spesso sostenuto che la «responsabilità fiduciaria» verso gli azionisti giustifica l'impegno prioritario alla massimizzazione del profitto, senza considerazione delle conseguenze sociali che ne derivino. Questa impostazione è gravemente carente, perché non considera il danno che un comportamento così orientato può provocare alla collettività in senso lato (danni ambientali o distorsioni monopolitistiche, ad esempio) e anche perché trascura l'esigenza di riconoscere gli obblighi nei confronti di altri soggetti coinvolti nell'impresa.

Per motivare, almeno in parte, l'obiettivo della massimizzazione del profitto dobbiamo guardare al ruolo che il profitto assolve come incentivo e fonte di efficienza economica. Tale valutazione va integrata con il riconoscimento altrettanto fermo delle perdite di benessere sociale e delle disuguaglianze, che potrebbero in tante circostanze risultare accresciute da comportamenti volti a perseguire quell'obiettivo.

In modo analogo, la scelta degli strumenti che le imprese possono usare nel perseguire i loro obiettivi (inclusi i profitti finanziari) è un altro problema sul quale la deontologia «pura» propone risposte scorrette. È rilevante a questo proposito il rapporto tra l'intervento pubblico e l'interesse privato e così anche l'esigenza di promuovere norme di legge e regole di condotta per limitare l'impiego (o «riciclaggio») di proventi finanziari che siano di fonte illecita.

Un ulteriore esempio è quello dei vincoli di comportamento che dovrebbero condizionare i dirigenti e gli amministratori che dispongano di informazioni riservate. È forte la tentazione di condannare l' insider trading appellandosi alla sua palese «iniquità» o alla sua presunta «scorrettezza», ma questa critica sarebbe molto debole. Le obiezioni più serie chiamano in causa i gravi danni sociali che possono essere prodotti dall' insider trading in termini di aumenti dei costi o di distorsioni nel sistema degli incentivi.

Nell'etica della finanza è cruciale un'attenta valutazione delle conseguenze e questa valutazione non può essere sostituita dal richiamo a «doveri» definiti indipendentemente dalle conseguenze dell'agire. Ho sostenuto, soffermandomi su alcune esemplificazioni, che le norme e le regolamentazioni e così anche i codici di condotta possono essere gravemente distorti dal tentativo di fondare le decisioni pubbliche o il comportamento privato sulla deontologia semplificata dei doveri e degli interessi immediati. Nella finanza, come in tanti altri campi dell'economia, ciò che conta va ben al di là di ciò che è vicino.

| << |  <  |