Copertina
Autore Ja. M. Sen'kin
Titolo Ferdinand, o il viaggio da Pietroburgo al nulla
EdizioneVoland, Roma, 2009, Sírin 40 , pag. 176, ill., cop.fle., dim. 14,4x20,4x1 cm , Isbn 978-88-6243-007-4
OriginaleFerdinand, ili novyj Radiscev
EdizioneNovoe Literaturnoe Obozrenie, Moskva, 2006
TraduttoreRoberto Lanzi
LettoreFlo Bertelli, 2009
Classe narrativa russa , viaggi
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Indice


Capitolo  1. Ludoni                   7
Capitolo  2. Scirsk                  13
Capitolo  3. Chredino                15
Capitolo  4. Zalazy                  19
Capitolo  5. Pavy                    26
Capitolo  6. Driazzinka              33
Capitolo  7. Uza                     35
Capitolo  8. Porchov                 37
Capitolo  9. Karacunicy              44
Capitolo 10. C๋rnorec'e              49
Capitolo 11. Logovino                51
Capitolo 12. Maksakov Bor            54
Capitolo 13. Lileevo                 59
Capitolo 14. Zagorody                73
Capitolo 15. Jamok                   78
Capitolo 16. Bubrovka                93
Capitolo 17. Pozerevicy             105
Capitolo 18. Abonezka               111
Capitolo 19. Krivcy                 115
Capitolo 20. Sorokino               120
Capitolo 21. Jam                    129
Capitolo 22. Mjasovo                134
Capitolo 23. Ador'e                 145
Capitolo 24. Karuzy                 150
Capitolo 25. Bol'soe Kivalovo       167


 

 

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Pagina 7

CAPITOLO 1. LUDONI


All'altezza di Ludoni imbocco l'uscita per Porchov lasciando la trafficata autostrada federale Pietroburgo-Pskov-Kiev e improvvisamente finisco in un altro mondo: qui inizia il vero territorio della regione di Pskov. Un autunno di tanti anni fa, passando a tarda ora fuori Ludoni, uscimmo dalla carreggiata illuminata e ci fermammo sul ciglio per una breve sosta. Davanti a noi la pianura si spalancava nel silenzio senza una sola luce digradando nera come pece. Da questo versante della periferia di Ludoni ci saremmo immersi nell'oscurità dell'ampia vallata. Sapevo benissimo che prima e dopo Porchov, per centinaia e centinaia di verste fino alla destinazione del nostro viaggio — il paesino di Bol'soe Kivalovo — non avremmo più trovato distributori di benzina né meccanici, tanto meno negozi, ospedali o lampioni stradali se non in un unico paesino. Ci attendeva una strada brutta, anzi bruttissima; di lì a cinque chilometri il segnale di roaming sarebbe sceso a una sola minuscola tacca fino a quando il cellulare non avrebbe più dato segni di vita (la radio già da un pezzo sibilava come olio bollente in una padella), ma nonostante tutto nell'animo regnavano pace e tranquillità assoluta. In quel momento nel sud del paese imperversava la guerra cecena, le città rimbombavano di esplosioni, la vita febbrile e spasmodica delle megalopoli non si fermava, mentre qui c'era un silenzio che placava l'anima. Per dirla con Nekrasov:

            Nelle capitali c'è rumore, tuonano gli oratori,
            Ribolle la guerra delle parole,
            Mentre lì, nel cuore della Russia,
            Regna un silenzio secolare.


Nel portabagagli una tanica di benzina, due ruote di scorta, una bottiglia di vodka e una corda, perché non si sa mai... cos'altro poteva servirci per attraversare la vallata in qualche ora?


In fin dei conti, immersa nella luce fioca della sera autunnale, la vallata non era né morta né deserta. Sotto la coltre dell'oscurità autunnale ferveva la vita, qui la storia millenaria proseguiva il suo corso, la memoria del passato era rimasta impigliata nelle tortuosità delle strade e dei fiumi, riaffiorava nei nomi dei paesini e delle cittadine; qui erano accadute vicende sorprendenti, misteriose, terribili e divertenti, da raccontare con piacere al compagno di viaggio perché non si addormenti cullato dal rombo regolare del motore e dallo stridore degli pneumatici... A patto che non venga a chiedermi da dove le ho tirate fuori o in quali annali le ho lette. Il mio racconto non è meno attendibile delle informazioni contenute nelle cronache medievali o in qualsiasi monografia corredata di note su quelle stesse leggendarie fonti. E comunque, come ebbe a scrivere il padre della storiografia russa Vasilij Tatiscev: "Non si impedisca ad alcuno di concepir avvenimento inserendovi qualche piccola circostanza di non troppo conto se ciò potrà indiscutibilmente servire al maggior onore della Patria." Forti, quindi, dei tre capisaldi della filosofia russa ("Fa niente", "Fa lo stesso", "Di riffa o di raffa"), tuffiamoci nella notte dei secoli...


Alle porte di Ludoni, a sinistra, si estendeva per centinaia di chilometri quadrati (su un'area pari alla metà del Lussemburgo) una palude chiamata "Laguna della Ripassata": un vero e proprio acquitrino, luogo spaventoso e impraticabile, impercorribile, impenetrabile, imp...


A questo punto farò una piccola digressione toponomastica. Si sa che nel XVIII secolo nelle attività investigative a sfondo politico l'eufemismo "ripassare" era di norma utilizzato per sostituire un altro ben più noto verbo che indicava una presunta (o vagheggiata) intimità sessuale tra l'inquisito e l'imperatrice. Non appena il futuro criminale lo proclamava pubblicamente e a gran voce veniva acciuffato e, come si legge nelle cronache del tempo, "buttato" nel fondo di una cella nota con l'assai eloquente denominazione di "disgrazia" (da qui l'espressione "cadere in disgrazia') e successivamente trascinato di forza nel "torturatoio" o camera di tortura. Durante l'inchiesta, i protocollisti annotavano su un documento a parte la sconveniente parolina originaria, in seguito il suddetto vergognoso documento veniva distrutto. Nel testo della sentenza l'espressione "in causa" (vale a dire che aveva costituito capo d'imputazione) veniva sostituita con l'eufemismo suddetto e un'integrazione: "... profferendolo senz'ombra di vergogna." Dagli antichi atti si evince persino l'esistenza di una specifica scala di eufemismi. Per i termini convenzionalmente designati con gli eufemismi "ripassare", "penetrare" e "infilare" (ad esempio: "... e proferì senz'ombra di vergogna: la vostra sovrana mi son ripassato") era prevista una pena che per i tempi che correvano poteva dirsi sufficientemente umana: dopo avergli mozzato la lingua, il reo veniva battuto con la verga e spedito al confino nella città di Nercinsk. La pena capitale spettava invece allo spudorato che nei confronti della sovrana avesse utilizzato un verbo rimasto a noi ignoto e che solitamente era celato dietro l'eufemismo "straripassare". Sono convinto che ora, forti di questa parentesi chiarificatrice, il reale significato del nome della palude di Ludoni apparirà limpido come l'acqua anche al più verecondo dei lettori.


Vale poi la pena di dire che in questo "Lussemburgo del Nord" esiste un gran numero di luoghi sconosciuti e inesplorati su cui mai si è posato piede umano (o sarebbe meglio dire "immerso"?), che è pur arrivato a posarsi, come tutti sanno, sull'Everest e sulla Luna... Così nel corso dei secoli, il giorno del solstizio d'estate, gli abitanti dei villaggi limitrofi hanno udito un agghiacciante barrito di tromba giungere dall'alto dei cieli e all'imbrunire hanno scorto tenui bagliori di fuoco aleggianti sulle paludi. Non appena echeggiava quel terrificante suono, tutti i contadini del circondario cadevano a terra come spighe falciate nel punto esatto in cui quella voce celeste li aveva sorpresi, sentivano le forze andarsene e in preda a un'angoscia mortale piangevano rimanendo a terra immobili, impietriti dall'inattesa sciagura. Oggi gli scienziati si riferiscono a questo raro fenomeno chiamandolo "acciacco degli ulati": in epoche lontanissime esso affliggeva l'antichissimo popolo dei megaliti che abitava la parte orientale dei paesi baltici. I familiari di quei poveri disgraziati erano poi costretti a riportarli a casa trascinandoli per mani e piedi o in groppa di cavallo. Sorprende alquanto che su donne e bambini quel lamento celeste non avesse alcun effetto, ragion per cui gli uomini venivano ingiustamente accusati di abuso di bevande alcoliche. Il fatto che tra gli uomini rimasti d'improvviso senza forze nei giorni più caldi del periodo della fienagione vi fosse effettivamente un gran numero di ubriachi alterava in modo considerevole il quadro della situazione. Alla fine la gente iniziò ad abbandonare gradualmente quei luoghi pericolosi cosicché oggi, nei dintorni della Laguna della Ripassata, non rimane più un solo villaggio.


Tra l'altro l'epos spiega quale sia la reale causa dell'"acciacco degli ulati": sembra infatti che una volta l'anno, tra le nuvole, a incredibile altezza dal suolo, abbia luogo una lotta (anzi, più semplicemente, una zuffa) tra due draghi per il dominio della località descritta. L'ipotesi sarebbe stata confermata anche da misteriosi reperti rinvenuti nelle paludi limitrofe: enormi brandelli di carne puzzolente con resti di ruvida pelle simile a quella dei serpenti. I pezzi di questi Fafnir avrebbero fatto pensare ai rottami dell'aereo spia americano U2 abbattuto alla metà del secolo scorso dai prodi soldati delle nostre truppe missilistiche, se poco lontano da lì non fosse stata ritrovata una testa simile a una mostruosa cavalletta con gli occhi sporgenti.


Che negli abissi della Laguna della Ripassata esistessero davvero dei draghi suscitando nell'uomo un horror draco è fatto assolutamente dimostrabile. Oggi, seppur a piccoli passi, la scienza inizia a riconoscere che alcune specie di animali anfibi potevano avere (già in epoca storica) oltre alle ali – membrane di pelle simili a quelle di cui erano dotati i vari pterosauri, pterodattili, pteranodonti e ranforinchi preistorici – anche particolari ghiandole in grado di produrre un gas infiammabile o una particolare miscela liquida (probabilmente acido solfidrico): tale sostanza si incendiava quando l'animale era oltremodo irritato e la temperatura corporea si innalzava. Negli annali russi sono frequenti i riferimenti a queste terrificanti creature celesti. Negli annali del 1091 ad esempio si legge che durante una battuta di caccia del Gran Principe Vsevolod "dall'etra precipitò un serpe gigantesco che ogni gente fece inorridir e in quel mentre la terra fu scossa da un gran boato che tutti udirono". Un'altra cronaca riferisce che sul far della sera dell'otto di dicembre dell'anno 1411 "i cieli furono solcati da un serpe alato gigantesco e di assai terrificante aspetto che dalle fauci soffiava fuoco. Volava da Oriente a Occidente e riluceva come un sole al sorgere. E lo videro il principe Vasilij Michailovic e i boiari e le genti tutte di ogni villaggio... e lo videro nello stesso momento". Infine, in epoca più tarda, nel 1719, da Arzamas giunse una denunzia in cui il commissario distrettuale Vasilij Stykov informava che durante una violenta tempesta "dai cieli, effondendo orribile lezzo, cadde un serpe che ardeva per prodigio divino". Ogni tentativo di portar il serpe alla Kunstkamera di Pietroburgo si era rivelato vano perché a causa della calura il cadavere del mostro si era velocemente putrefatto.


Ai giorni nostri i terrificanti lamenti sono ormai cessati (o forse non c'è più nessuno che possa udirli in quelle località remote e deserte?) e dai sereni cieli estivi di tanto in tanto risuona solamente il botto di un aereo che rompe la barriera del suono... Ma ovviamente non di U2 si tratta.

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CAPITOLO 5. PAVY


Località bizzarra e poco conosciuta. Gli automobilisti solitamente attraversano il paesino alla velocità di ottanta chilometri orari, contravvenendo a tutte le norme del codice della strada: il fatto è che chi siede al volante, senza volerlo, viene colto da un vago timore, via via più intenso soprattutto nelle ore serali, dopo il calar del sole. Gli abitanti dei dintorni hanno più volte raccontato che il paesino, assolutamente deserto di giorno, sul far della sera si rianima sinistramente e per la strada iniziano a saettare strane ombre, a rilucere occhi nel buio, e dai finestrini socchiusi delle macchine entra un odore di umido e marcio. Al limitar del paesino solitamente non illuminato, poco distante dal cimitero, si trova l'unico negozio di tutto il circondario con una grossa insegna luminosa che emana una specie di chiarore o fosforescenza soprannaturale con la scritta "L'eterno riposo. Onoranze funebri". E quando capita di passarci accanto nella semioscurità, la schiena è percorsa da brividi e la fronte si riga di sudore freddo, come succede ai famosi eroi del film Dal tramonto all'alba. Si dice che nei pressi del negozio, sotto la luce tremolante dell'insegna, si affollino cadaveri nudi che litigano, si strappano l'un l'altro le corone di fiori, i lenzuoli funebri e altri articoli mortuari...


ศ possibile che si tratti solamente di voci poco attendibili o delle allucinazioni di un automobilista stanco, oppure può anche darsi che non si tratti né di voci né di allucinazioni. Il quotidiano locale, il "Corriere di Porchov", il 15 settembre 1994 è uscito con un articolo su un episodio accaduto nella zona agli inizi dello stesso mese di settembre, nel giorno di "Santa Teodora alessandrina, l'autunno s'avvicina", intitolato OSCENA SFILATA. "Una coppia di individui completamente nudi si è fatta strada tra i fischi e le urla dei passanti. Gli agenti di polizia di pattuglia, però, li hanno arrestati prima che potessero guadagnare la porta di casa. Giunti al commissariato, coperti alla meno peggio, i due fermati hanno spiegato di essere diventati nudisti contro la propria volontà. Sembra che quella stessa mattina, di buon'ora, l'affiatata coppia originaria del paese di Cervisci fosse uscita di casa munita di zappa per andare a raccogliere patate in un orto altrui. E lì era stata colta con le mani nel sacco dal padrone del terreno, il magazziniere Bibikov-Skal'skij. Puntando il fucile contro i due ladri, l'uomo aveva ordinato loro di spogliarsi, di buttare abiti e zappa nel fiume e li aveva mandati a casa di Dio."


C'è chi sostiene che tutta questa storia altro non sia che la classica fandonia di facciata. In realtà, le autorità hanno tenuto nascosti all'opinione pubblica alcuni spaventosi particolari riguardanti l'accaduto: quando furono fermati l'uomo e la donna, nudi, parlavano con una bizzarra voce rauca, e giunti al commissariato nei locali si era fatto improvvisamente freddo, tanto che all'agente intento a stendere il verbale si era addirittura congelato l'inchiostro della penna (ed era appena l'inizio di settembre!). La cosa più impressionante, però, era che sul corpo dei due arrestati fossero apparse inconfondibili macchie cadaveriche (che alcuni, tuttavia, ritengono ematomi comuni per questa specie di umanoidi). Oltretutto dai cadaveri emanava un lezzo talmente ripugnante che persino i poliziotti, ormai abituati a tutto, si erano adoperati per farli uscire quanto prima dal commissariato con il pretesto della non sussistenza di reato. Al che la coppia era andata a nascondersi nell'oscurità proprio sul retro del negozio L'eterno riposo. Onoranze funebri.


Appena fuori Pavy, a destra della strada che porta a Zaborov'e, si apre un campo di papaveri di straordinaria bellezza. Il luogo è noto come Kozjul'kiny Gorby. A dire il vero, nell'era dell'Ente federale per il controllo sul traffico della droga e delle sostanze stupefacenti non c'è più nessuno così sconsiderato da mettersi impudentemente a coltivare papavero (tanto che le brioche ai semi di papavero sono diventate una vera e propria rarità). In questo caso però le cose stanno diversamente: nonostante le alterne vicende del sistema politico ed economico, il sovchoz post-sovietico sopravvissuto da quelle parti, anno dopo anno, si ostina a coltivare i campi a segale e ogni volta la segale sparisce tra la rigogliosa macchia di papaveri rosso fuoco. Per questo motivo, dalla strada si ha quasi l'illusione di penetrare in una remota provincia afgana. I tentativi di alcuni cittadini particolarmente solerti che percorrono la strada che costeggia il campo di denunciare via cellulare, a chi di dovere, i narcotrafficanti locali non hanno portato a nulla. Interpellati dal Comitato statale di Cerkesov, i minacciosi investigatori del reparto speciale dell'OMON sono giunti a volto coperto, sono sbarcati dalle loro lussuose autovetture sul ciglio della strada e scesi nel campo, contrariati, sono poi prontamente ripartiti. A quanto sembra, sul suddetto terreno non è affatto il papavero a crescere rigoglioso. Ossia, tecnicamente parlando, si tratta in effetti di papavero, ma di una strana specie...


La storia di questo luogo è permeata di leggende popolari. Si può affermare con certezza che all'ambito dello scandalo è legata una parabola pskovese sull'utilità della buona creanza.


Anticamente il popolo di Pskov si distingueva per particolari caratteristiche di onestà, schiettezza e spontaneità, sconosciute alle genti limitrofe. Inoltre gli pskovesi erano religiosi e istruiti e avevano usi e costumi raffinati. Esattamente in questi termini li descriveva nel XVI secolo il viaggiatore Siegmund von Herberstein. Lui stesso sottolineava che tale raffinatezza aveva subìto una degenerazione nel momento in cui Pskov era stata annessa a Mosca, la quale aveva introdotto sul territorio della repubblica i propri usi e costumi rozzi e viziosi, per giunta mettendo tutti a stecchetto: gli archeologi, infatti, hanno potuto testimoniare, in base ai ritrovamenti ossei, che il numero degli animali domestici che i ceti alti erano soliti tenere in casa nella Pskov medievale, dall'inizio del XVI secolo – allorché Pskov era finita nelle grinfie di Mosca – era drasticamente diminuito. Noi di Pietroburgo ne sappiamo qualcosa, sebbene, come sta venendo fuori adesso, anche i pietroburghesi non sono stati un gran regalo per Mosca e la patria! Per questo a tutt'oggi tra la popolazione pskovese non sono poche le persone di grande educazione, generosità e benevolenza che si sono meritate l'affettuoso nomignolo di villici pskovesi, ma non sono pochi anche i cafoni che racchiudono in sé tutte le caratteristiche morali degli antichi invasori moscoviti.


Insomma, in tempi antichissimi (comunque successivi all'occupazione della libertaria terra di Pskov) due contadini di terreni confinanti, un giorno di autunno, stavano seminando a grano vernino i rispettivi appezzamenti di terra. A un certo punto furono avvicinati da un vecchio viandante di umile aspetto con in mano una bisaccia e un martello che chiese loro cosa stessero seminando. Tutti sanno che nei confronti dei vecchi storpi e vagabondi è buona norma usare particolare cautela, anzi meglio forse mostrarsi quanto più premurosi e compassionevoli giacché è risaputo che sotto le mentite spoglie di innocui vecchietti possono talvolta celarsi straordinari esseri umani e talaltra addirittura non umani, basti ricordare: Fédor Kuz'mic, un angelo, un diavolo, San Nicola taumaturgo. Può anche capitare che ti faccia visita un ispettore del fisco o addirittura il presidente in persona. Le conseguenze di parole poco gentili rivolte a un nonnetto del genere possono essere le più inattese. Cosa che avvenne proprio nel caso di cui narriamo. Uno dei due uomini era un villico pskovese autentico e rispose cortese al vecchietto: "Semino segale, buonuomo." Al che il vecchietto aveva replicato: "E allora che Dio t'aiuti: che la segale ti cresca alta e ricca di chicchi." L'altro contadino, invece, un villano d'ascendenza moscovita, alla domanda del vecchietto rispose da cafone quale era (a pesci in faccia, insomma) dicendo: "Di che t'impicci, vecchia larva che non sei altro, pianto caz... io! Levati di mezzo!" Al che il vecchietto, volendo più o meno essere gentile aveva ribattuto: "E allora che Dio t'aiuti e ti faccia venir su caz... rigogliosi" proseguendo poi per la polverosa strada maestra in direzione di Pavy. E nessuno lo vide più. In quel momento molti sentirono il fragoroso rombo di un tuono a ciel sereno. Evidentemente dai due contadini era sceso il dio Thor in persona con il suo martello tonante: è risaputo che quel dio era uno sfacciato, furbo e briccone, e per farsi quattro risate amava giocare brutti scherzi, mutandosi d'aspetto...

A primavera i contadini arrivarono nei campi sulle Kozjul'kiny Gorby e videro che al primo dei due era spuntata una segale rigogliosa, un raccolto da quasi quaranta volte la semente (paragonabile a quello della moderna Danimarca), mentre l'altro, a guardar da lontano, pareva avesse l'intero campo seminato a papavero — erano spuntati i famosi caz... promessi dal vecchietto — impalpabili teste rosse dondolate dal vento, disseminate su un'intera desjatina di terra, una tale distesa da non saper neanche dove mettere i piedi. E cosa poteva fare il disgraziato contadino? Si precipitò in paese, prese una falce e via a mietere il campo. Ma li cascò l'asino perché un giorno lui finiva di mietere e il mattino seguente era da capo a dodici: ritti stavano quei maledetti, e si allungavano, inumiditi dalla rugiada e illuminati dal primo sole del mattino. Insomma, il contadino diventò lo zimbello del circondario, attaccò gli attrezzi al chiodo, cacciò tutti di casa e cominciò a darci dentro col bicchiere. In autunno inoltrato, sulle Kozjul'kiny Gorby, tra gli altri campi vuoti continuò a essere visibile solo la sua striscetta di terreno non falciato, fino a quando non fu interamente ricoperta dalle prime nevicate.

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CAPITOLO 9. KARACUNICY


Luogo anticamente abitato dai Brevi, popolo di bassa statura sulla cui estinzione ancora non si è fatta chiarezza. Si ipotizza che i Brevi fossero un gruppo separatosi dal popolo dei megaliti per sfuggire all'avanzata delle tribù ugrofinniche, trovando rifugio negli impenetrabili boschi di Porchov. Secondo la leggenda i Brevi si distinguevano per la statura estremamente bassa (meno di un metro: da qui il nomignolo di "Brevi") di origine genetica nonché legata all'eccessivo apporto proteico nella loro alimentazione (si nutrivano principalmente di insetti e vermi). I Brevi vivevano in grossi carri ricoperti da un tendone. In epoca successiva l'intera tribù emigrò in Africa in groppa a cicogne grigie e non si esclude possano essere proprio loro gli antenati dei moderni Pigmei dell'Africa Centrale. La scienza rifiuta risolutamente e integralmente l'ipotesi avanzata dal famigerato cronologo Fomenko secondo cui il re dei Franchi, Pipino il Breve, e il re polacco riunificatore della Polonia, Ladislao il Breve, fossero entrambi discendenti della tribù dei Brevi. L'opinione della maggioranza degli storici è unanime e si fonda sul generale sviluppo delle conoscenze storiche: una cosa del genere non avrebbe mai potuto essere perché non avrebbe mai potuto essere. Sconfessato l'impudente, procediamo.


I reperti rinvenuti da archeologi dilettanti sia in fosse funerarie che in discariche suscitano non poche perplessità anche tra gli specialisti più autorevoli, in particolar modo le rarissime ceramiche "premi e allunga": una grande quantità di pentole con manici a forma di pigna (tipiche della civiltà centro-africana degli Nyam-Nyam), decorazioni a motivi bitorzoluti, frammenti di uova di struzzo dipinte e infine anche cauri, conchiglie utilizzate come moneta in alcune zone tropicali. La scoperta più sorprendente degli archeologi, però, rimane il ritrovamento di un incredibile numero di zucche svuotate e usate ancora oggi dalle popolazioni africane come contenitori per acqua e bevande alcoliche. Sono state rinvenute così tante zucche di forma varia con all'interno tracce di distillato di maracuja che la loro elevata concentrazione ha riportato alla memoria le montagne di bottiglie di vino sull'isola di Sachalin. Come molti sapranno, anche in epoca sovietica, quando vigeva la legge fondamentale dell'economia secondo la quale "in economia bisogna fare economia", riportare in Russia dall'isola bottiglie di vodka e birra vuote non era granché redditizio e pertanto il detto "bottiglia restituita, sbornia smaltita", con grande sorpresa di tutto il paese, era assolutamente sconosciuto agli abitanti di Sachalin e ogni volta era necessario ricominciare a spiegar loro tutto da capo, quasi fossero una manica di senzadio stranieri e astemi.


ศ curioso che la passione per l'alcol si sia radicata tanto profondamente nella nostra mentalità da mantenere viva nel XX secolo un'articolata gamma di espressioni folcloristiche che fanno riferimento ai vari gradi di alcolismo "professionale": magari vi sarà capitato di sentir dire che i pompieri bevono fino ad avere il fumo negli occhi, i calzolai fino a stendersi come una suola, i pretini fino a farsi benedire, i falegnami tanto da sposarsi una persiana, i cacciatori fino a perdere colpi, i filosofi fino a perdere coscienza, e persino gli infermieri bevono fino a sbarellare. E se ne possono scoprire molte altre sfogliando le pagine di testi specializzati: un direttore di zoo beve fino a prendersi una scimmia, il marinaio tanto da perdere la bussola, il sarto il filo del discorso, il musicista fino a ritrovarsi suonato, il principe fino a perdere la corona, il venditore di stoffe fino a non avere più sete, l'oste fino a vendere fischi per fiaschi, il fornaio fino a impastarsi la lingua, il boia fino a non saper più come ammazzare il tempo, il fantino fino a perdere le staffe e via dicendo. Buona parte di un piccolo manuale di conversazione russo-giapponese a uso dei marinai è dedicato proprio all'argomento: Otsugi shimashouka? (Le verso da bere?), Sukoshi dakeni shite kudasai (Giusto per gradire), Kanpai shimase! (Su, beviamo.), Goshujin no tame ni! (Alla salute del padrone di casa.), Watashi osakewa nomemasen (Io non bevo), Isha ni tomerarete imasu (Io non posso, me l'ha proibito il medico), Mou yotte imasu (Per me basta) e via dicendo...


I ritrovamenti nell'antica capitale dei Brevi hanno permesso agli sienziati di ipotizzare l'esistenza di contatti attivi tra la cultura di Karacunicy e il tradizionale stile di vita delle popolazioni dell'Africa Centrale già prima che i Brevi prendessero il volo. Approfittando probabilmente degli annuali flussi migratori delle cicogne alcuni emissari dei Brevi avevano effettuato voli in Africa, andata e ritorno, per piccoli scambi commerciali, avviando così nella regione di Pskov una fornitura ininterrotta di ornamenti, conchiglie cauri e, soprattutto, di zucche svuotate e riempite di quel distillato di maracuja che per chissà quale motivo i Brevi avevano iniziato ad amare tanto. In sostanza è verosimile che i Brevi fossero saliti in groppa alle cicogne e fossero volati in Africa proprio perché desiderosi di arrivare alla fonte stessa della magica vodka alla maracuja. Le cose, però, non furono così semplici. Di lì a poco, all'interno della tribù si crearono attriti: forse un gruppo di Brevi voleva fare ritorno nella fresca Patria, che però non stava proprio dietro l'angolo. Nel folclore dei moderni Pigmei si sono conservati numerosi miti sull'ancestrale inimicizia tra Pigmei e cicogne. Una leggenda racconta confusamente di come le cicogne, dopo aver condotto i Brevi in Africa Centrale in autunno, si fossero categoricamente rifiutate di ricondurli a Pskov la primavera successiva a causa, sembrerebbe, dell'eccessivo peso dei bagagli (i Brevi, come è comprensibile, si erano caricati a più non posso di zucche colme di vodka alla maracuja). In poche parole, con questo ridicolo pretesto le cicogne lasciarono a piedi i Brevi facendo così scoppiare l'antica inimicizia. E così la nostra tribù pskovese fu costretta a rimanere in Africa e lì, sotto il sole dei Tropici, dall'oggi al domani, divenne scura di pelle, crebbe ancora un pochino in altezza nutrendosi di piante e si trasformò nei Pigmei che conosciamo tutti, i quali, tra l'altro, sono comunque notevolmente più chiari delle altre etnie africane.


Nelle vicinanze di Karacunicy si trova la proprietà di Krasnyj Bor, la Pineta Rossa, casa natia dell'ultima protegée dell'imperatore Paolo I di Russia, Anna Petrovna Lopuchina. E proprio da lì la donna partì alla volta di Mosca per partecipare all'incoronazione di Paolo, spostandosi poi a Pietroburgo dove il sovrano – come pudicamente scrive lo storico di palazzo Michajlovskij – era solito "distrarsi da impegni e preoccupazioni con la di lei compagnia". Si ritiene che i muri del castello Michajlovskij siano stati dipinti del colore del corpo della donna: personalmente mi permetto di pensare al colore del suo sedere sebbene la maggioranza degli storici, solo ed esclusivamente in virtù della bigotteria tipica della professione, parli dei guanti che, in occasione di un ballo, il sovrano avrebbe ottenuto da Anna dopo ripetute istanze giacché, innamoratosi del loro colore, aveva deciso di farne dipingere i muri del castello. La sola idea che a un ballo il monarca, nonché Imperatore nonché Gran Maestro dell'Ordine di Malta, abbia implorato un paio di guanti da una dama per la scelta della tinta di un'opera architettonica appare quantomeno strana e in contraddizione con l'etichetta e la pratica edile dell'epoca. In poche parole, questi famigerati "guanti" sono stati tirati in ballo dalla poco fantasiosa storiografia sovietica basandosi sull'interpretazione di una sola e unica frase scoperta nella notifica di un inviato sassone: "...Il palazzo aveva il nome dell'arcangelo Michele e il colore dell'amante." Mi si conceda allora una domanda: "Ma cosa c'entrano in tutto questo i guanti?" A quale altro "colore dell'amante" avrebbe potuto riferirsi l'informante se non a quello del corpo? Parliamoci chiaro: non devo certo illuminarvi io sui metodi di alterazione della verità in nome del falso moralismo. A mo' di esempio basti ricordare che nel Naso di Gogol', come sappiamo, non un naso finì cotto in una pagnotta dal geloso fornaio pietroburghese, iniziando poi ad andarsene in giro per i viali di Pietroburgo, bensì tutt'altra appendice del corpo del maggiore Kovalev. Io questi individui li incontro ancora oggi per le strade cittadine e li vedo come se ne vanno lesti lesti sulle Volvo ai loro vari dipartimenti. Come ebbe a scrivere qualcuno due secoli or sono: "Che non ci impediscano, però, di ammirare la perfezione dell'arte con il pretesto di una casta pudicizia."

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