Copertina
Autore Luis Sepúlveda
Titolo Incontro d'amore in un paese in guerra
EdizioneGuanda, Parma, 1997, Narratori della Fenice , Isbn 978-88-7746-988-5
OriginaleDesencuentros
TraduttoreIlide Carmignani
LettoreRenato di Stefano, 1997
Classe narrativa cilena
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Indice


I.       AMORI E DISAMORI

Incontro d'amore in un paese in guerra        7
Vieni, voglio parlarti di Pdar Solórzano     17
Storia d'amore senza parole                  27
Modi di vedere il mare                       40
Caffè                                        50
Lassù qualcuno aspetta delle gardenie        53

II.     EROI E CANAGLIE

Un'auto si è fermata nel cuore della notte   57
Un uomo che vendeva dolciumi nel parco       63
Il campione                                  67
Testimonianze da Tola                        83
Un incontro puntualmente mancato             96
Dal giornale di ieri                        101
Ricordi patriottici                         106
Piccola biografia di un grande del mondo    109
Il bibliotecario                            119

III.    IMPREVISTI

Cambio di rotta                             127
Una casa a Santiago                         133
Rolandbar                                   159
Quando non hai un posto dove piangere       164
Segreteria telefonica                       168
"My Favourite Things"                       171
L'ultimo fachiro                            175
Descrizione di un luogo sconosciuto         182

IV.     UN'ALTRA PORTA DEL CIELO

Un'altra porta del cielo                    191

 

 

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Pagina 7 [ inizio libro ]

Ero contento. Quella sera avevo un appuntamento. Qualcuno da toccare, da guardare, con cui parlare. Con cui dimentícare la morte, pane quotidiano.

La donna mi piaceva. Mi era piaciuta fin dalla prima volta che l'avevo vista in un caffè di Panama City. In quell'occasione accompagnava l'uomo corpulento che ci aveva dato le istruzioni necessarie e le parole d'ordine per passare in Costa Rica, e da li proseguire fino al confine settentrionale dove ci saremmo uniti al grosso della brigata.

La donna non aveva preso parte alla conversazione. Anche al momento dei saluti era rimasta in silenzio. Una forte stretta di mano, nient'altro.

Pablo era con me quel giorno, e una volta che i contatti se ne furono andati ci facemmo diversi giri di cubalibre.

«Ti è piaciuta», mi disse.

«Certo. E' normale, no? C'è sempre qualche donna che ci piace.»

«Occhio, fratello. E' meglio che la dímentíchi.»

«Non ho detto di esserne innamorato.»

«Meglio così. Non pensare più a lei.»

Pablo morì pochi giorni dopo aver varcato il confine e fui contento di non essere con lui quando accadde. Fu orribile, come tutte le morti. Venni a saperlo grazie a un comunicato di guerra, e in seguito dalla bocca di un compagno che mi raccontò i particolari.

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Pagina 17

VIENI, VOGLIO PARLARTI DI PILAR SOLÓRZANO
Il volume mi aspettava in un angolo di una piccola libreria antiquaria, a Praga. Quella era l'ultima mattina che trascorrevo nella città in cui ero andato per partecipare a un omaggio a Jaroslav Seifert, e siccome l'opera di Seifert non si trova né negli studi né nei discorsi celebrativi, decisi di dedicare quelle ultime ore a vagabondare nei pressi di San Venceslao, senza meta, divagando sull'origine di quelle stradine strette che a volte sembrano create dai desideri del poeta.

Faceva un freddo che ti costringeva a camminare ripiegato su te stesso, con le mani in tasca, e a cercare un po' di calore nei minuscoli negozi di artigianato e antiquariato.

Il libro mi aspettava in una vetrina, e il suo primo segnale fu di saltarmi agli occhi nella mia stessa lingua. Non è frequente trovare volumi in spagnolo nei paesi dell'Est europeo, tantomeno nelle librerie di seconda mano.

Era un volume sottile, rilegato in tela scarlatta, con la copertina ornata da un rigo dorato, in parte sbiadito, che incorniciava due filigrane, anch'esse dorate, le quali concludevano le loro capricciose volute tracciando cardi e altri fiori che ricordavano i dipinti di Hieronymus Bosch. Nella parte inferiore della copertina, tra le filigrane, c'era un'ellissi orizzontale con la scritta: «Biblioteca scelta per la gioventù». Al centro, in una specie di pergamena dispiegata a metà, era impresso il titolo, "Storia della macchina a vapore", e sotto dei caratteri massicci indicavano il nome della casa editrice: Fratelli Garnier, Parigi.

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Pagina 40

MODI DI VEDERE IL MARE
L'auto imboccò la curva a più di novanta, le ruote si lasciarono sfuggire un lamento di gomme e la donna s'aggrappò al sedile senza perdere la sua espressione di tedio.

«Che diavolo ti prende adesso?»

«Devo pisciare.»

«Non puoi farlo alla prossima stazione di servizio?»

«Mi piace pisciare all'aria aperta.»

Dopo aver abbandonato la strada statale, l'auto proseguì la marcia su un sentiero stretto e poco dopo scomparve tra gli alberi.

«Qui va bene», disse l'uomo.

Fermò il veicolo, spense il motore, aprì lo sportello e s'avviò in mezzo alle piante.

La donna lo guardò avanzare, fermarsi, portare le mani alla patta, allargare le gambe, e fra di esse vide cadere il fiotto di urina.

Era il primo atto coerente compiuto dall'uomo in molto tempo. Aveva manifestato il desiderio di orinare e l'aveva fatto. Era già qualcosa.

Erano in viaggio da due giorni. Sul sedile posteriore dell'auto giacevano vari oggetti: una carta della Spagna, un cavalletto, tre tele vergini, vari blocchi da disegno, una scatola di matite e un'altra di colori a olio e pennelli. C'era anche una bottiglia di cognac comprata durante una sosta lungo la strada.

Il veicolo era scomodo, troppo funzionale, anonimo come tutte le auto noleggiate, ma all'uomo non importava. In realtà, nulla sembrava importargli.

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Pagina 83

TESTIMONIANZE DA TOLA
Prima testimonianza
«Molto bene. Se la sono voluta. In questo paese, signori, è finito il tempo dei rivoltosi. Ordine e disciplina sono gli unici slogan permessi. Questi galletti coraggiosi, quanti sono?, dodici?, li manderò in un posto così deserto e noioso che in poche settimane mi imploreranno di farli tornare nella grande città. Capitano Espinoza, mi cerchi sulla cartina il posto più merdoso che c'è e me lo indichi col dito.»

Il capitano fece risuonare i tacchi, distese una grande carta geografica sul tavolo operativo, e obbedendo agli ordini del Responsabfle indicò un puntino giallo situato fra due linee spezzate di colore marrone.

«Qui, signor generale. Tola. Se da Antofagasta si segue la linea retta dei Tropico del Capricorno, che è la distanza più breve fra due punti ... »

«Il Tropico del Capricorno?»

«No, signor generale. La retta.»

«Espinoza, non si perda in dettagli! Prosegua!»

«Agli ordini, signor generale! Come dicevo, se si esce da Antofagasta seguendo la retta del Tropico del Capricorno e si avanza per circa trecento chilometri in direzione est fino ad arrivare alla Cordigliera di Sale ... »

«E' transitabile quella linea ... ? Come si chiama ... ? Capri che?»

«E' una linea teorica, signor generale.»

«Espinoza, non mi venga fuori anche lei con cazzate teoriche! Prosegua!»

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Pagina 140

Nella penombra scorsi lo splendore della sua pelle, i suoi piccoli seni violentemente eretti, coronati da due bottoni scuri. Tra le gambe mi offriva un triangolo di delicato muschio, su cui cadeva, come una rugiada, il fascio di luce che scivolava dentro dalla strada. Io trattenevo il respiro perché le formiche mi lasciassero in pace.

«Vieni», sussurrò facendo ondeggiare i fianchi.

In ginocchio, lasciai che la ferma determinazione delle sue mani, pronte a guidarmi la testa, vincesse il mio desiderio di lanciarmi giù. Mi lasciai condurre in una specie di viaggio aereo. Isabel mi teneva il capo, permettendomi di sfiorarle appena la pelle con le labbra, e così mi portò dalle sue spalle ai seni, e dal ventre ai definitivi emisferi dei suoi fianchi. Io ero un felice argonauta in attesa dell'ordine di atterrare nel luogo prezioso.

Le sue mani manovrarono con abilità. Neppure una brezza ostacolò la mia discesa sulla valle dalla vegetazione ondulata che culminava nel sentiero delle sue gambe aperte: là le mie labbra poterono cercare un'armonica sistemazione prima di assaggiare gli sconosciuti sapori della sua bocca verticale e segreta. E volli entrarvi. Il desiderio saturò ogni mio poro e determinò il ritmo del cuore e dei polmoni perché nulla disturbasse la lingua esploratrice che si faceva strada verso un mare di piacere nel quale volevo immergermi, per poi nuotare verso l'alto, perché intuivo che la felicità si trovava dall'altra parte di quella cavità inumidita dai suoi movimenti e dalle mie carezze. Volevo entrarvi, entrarvi in qualunque modo. Forse in quel momento iniziai a capire che l'amore è un ingenuo tentativo di rinascita.

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Pagina 157

Qualcosa si stava rompendo. Delicatamente, qualcosa si stava rompendo. Una mano invisibile era al lavoro sul mio volto, modellando la maschera definitiva che poi avrei in contrato in tutti gli specchi.

Il lustrascarpe colpì le suole indicando che aveva finito. Pagai e con disinvoltura mi avviai verso calle Ricantén.

La casa grigia, la porta a vetri stile inglese, il campanello e il suo logoro pulsante di bachelite non mi stupirono. Passai una sola volta davanti all'ingresso e poi camminai senza meta fino a trovare un cinema.

"Gli ammutinati del Bounty". Mentre Marlon Brando si guadagnava l'amore di Tarita, io mi sedetti su una poltrona della prima fila per assicurarmi la solitudine, e lì piansi le mie prime lacrime da uomo, intuendo che mi si apriva davanti una strada infestata di dubbi, di fallimenti, di felicità effimere, i materiali della catastrofe che, però, rendono possibile l'odiosa fragilità dell'essere. Piansi con dolcezza, quasi con metodo, lacrime che mi mostravano retrospettivamente un sentiero di diciotto anni, percorso di sorpresa in sorpresa, al quale non sarei più tornato. Piansi lacrime che mischiavano il primo dolore per ciò che non aveva avuto modo di essere, con l'ostinata felicità per quanto sarebbe stato bello, sulla superficie bianca e profumata del fazzoletto.

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Pagina 182

DESCRIZIONE DI UN LUOGO SCONOSCIUTO
L'origine delle relazioni che parlano della città è incerta, D'altronde, l'inerzia degli storici, degli archeologi, degli antropologi, degli etnologi e degli altri scienziati che insistono nell'accusare di ciarlataneria chi ha riferito la storia, contribuisce a mantenere l'incertezza.

Quanto detto non deve sorprenderci. Sappiamo che la conoscenza è parziale e si basa su arbitri. Proprio così. Il botanico che sta per scoprire la sessualità del ficus inizia il suo lavoro cercando conferma della conclusione ermafrodita che ha già tracciato.

Se dopo vent'anni la verità, che è sempre casuale, insiste nel dimostragli il peccaminoso gioco della copula che ha luogo in ogni vaso, il botanico non esiterà a proclamare l'assoluta degenerazione del ficus e suggerirà di proibirne la coltivazione in tutto il mondo.

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Pagina 197 [ fine libro ]

«Su. Che c'è? E' diventato bianco come un cencio.»

«Amico... lei crede ai miracoli? ... »

«La smetta di dire sciocchezze. Le ripeto che il mio misticismo ... »

Il silenzio dei due uomini mi fece capire che avevano scoperto la banconota.

«L'ha trovata in bagno?»

«Non parli così forte. No. Qui. Proprio adesso.»

«Deve essere del vecchio dell'edicola.»

«Impossibile. Mi sono letto tutto il giornale, pagina per pagina. L'avrei vista. E' un miracolo!»

«Io gliel'avevo detto che dovevamo mettere qualche candelina al defunto.»

«Un cero gigante da cattedrale gli metteremo! Un cero gigante da cattedrale ornato da candeline di compleanno! Ordiniamo qualcosa, mi tremano i denti dalla voglia di mordere.»

«Qui no. Questo posto è di infima categoria. Mi lasci fare i conti. Nel bistrò di Paul, una bistecca con patatine fritte costa ventiquattro franchi. Una bottiglia di vino normale, venti. Con le tasse e tutto fa ottanta. Ce ne restano venti per andarcene all'ippodromo e lungo la strada rifornirci di sigarette.»

«Cosa aspettiamo allora?»

Uscirono in fretta. Il più vecchio gettò alcune monete sul tavolo e in un francese stentato disse al cameriere di tenersi il resto per le vacanze. In quel momento mi venne in mente una certa frase di Umberto Eco che parla del diritto di immischiarsi, e decisi che quei due erano anche miei ed era giusto sapessero che, pur non essendoci mai visti, eravamo ugualmente vecchi conoscenti. Avevo tempo, e se anche non l'avessi avuto, che importava. Era la migliore opportunità possibile per conoscere l'ippodromo di Parigi in compagnia di esperti e poi per far baldoria alla grande alla salute dell'Orco.

Pagai il conto, mi misi l'impermeabile e uscii per strada. Pioveva ancora e riuscii a scorgerli nel momento in cui giravano l'angolo. «Polanco! Calac!» mi sentii gridare mentre correvo per raggiungerli.

Quando arrivai all'angolo, trovai solo la strada deserta, stranamente illuminata dal selciato umido. Nessuna traccia dei due uomini, forse ingoiati da chissà quale altra porta segreta del cielo.

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