Copertina
Autore Carol Shields
Titolo L'amore è una repubblica
EdizioneVoland, Roma, 2011, Amazzoni 62 , pag. 430, cop.fle., dim. 14,5x20,5x2,6 cm , Isbn 978-88-6243-075-3
OriginaleThe Republic of Love [1992]
TraduttoreBarbara Ronca
LettoreElisabetta Cavalli, 2011
Classe narrativa canadese
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Indice


    Tom                                               7
 1. La rottura                                       11
 2. Inizio                                           26
 3. Scrivetelo sulla mia tomba                       37
 4. C'è una cosa in cui credo                        55
 5. Come va, come va?                                67
 6. L'amore è il solo incantesimo                    78
 7. Quant'è fortunata                                90
 8. Una corsetta leggera                            102
 9. Lo spettacolo dell'amore                        113
10. Non preoccuparti                                124
11. L'amore e l'assenza dell'amore                  132
12. Alla grande                                     147
13. Seduzione e consolazione                        157
14. Un periodo baciato dalla fortuna                167
15. Qualcosa su cui ho riflettuto                   178
i6. Eventi fortuiti                                 198
17. Tutto può succedere                             212
18. Mi piacerebbe davvero molto                     222
19. Il sacro e il profano                           237
20. Ti amo                                          254
21. Anche io ti amo                                 26o
22. Tutto quello che dicono è vero                  270
23. Allora è così che ci si sente                   273
24. Polvere di stelle                               28o
25. Lui                                             291
26. Cento di questi giorni                          298
27. Voglio                                          312
28. Procedono                                       325
29. Tener fede                                      337
30. Quello che gli succede                          347
31. Buchi neri                                      358
32. E lui si spense                                 375
33. Separarsi                                       382
34. Allenarsi a morire                              394
35. Annunci importanti                              403
36. Di punto in bianco                              414
    Fay                                             423


 

 

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Pagina 7

TOM


Da bambino, Tom Avery ebbe ventisette madri. Almeno così dice lui. Sono passati quasi quarant'anni, ormai.

Chiedetemi altro, implorano i suoi occhi, chiedetemi i dettagli.

Ecco come andò: a tre settimane di vita era un affarino piccolo, rinsecchito e lamentoso, tre chili o poco meno di carne malleabile. La madre era malata, terribilmente malata, una specie di influenza che si era aggravata diventando polmonite e poi depressione. Fu ricoverata per sei mesi interi. Dov'era il padre in quel periodo? Ma quale padre? Ah! Questa è un'altra storia.

Una premurosa assistente sociale vide l'ossuto, sgraziato, piccolo Tom (rachitismo, un piede era girato all'infuori, non andava affatto bene) e disse: "Lasciatelo a me." Il giorno dopo Tom fu sistemato presso il dipartimento di Economia Domestica dell'Università del Manitoba. Fu portato direttamente alla McDougal Hall, un edificio neogeorgiano sulla sponda dell'imponente Red River in cui le studentesse facevano pratica, e messo a dormire in una culla smaltata di bianco. Il piccolo Tom, il bambino da esercitazione.

La McDougal Hall era una specie di paradiso, equipaggiata con una cucina dalle linee moderne (per l'epoca), pensili a incasso in legno dolce, una cornice festonata in stile coloniale che correva attorno al soffitto, illuminazione nascosta, tutto - persino una fila di vasetti d'argilla sul davanzale con gerani, begonie, steli appuntiti di erba cipollina e timo. Nello scantinato si trovavano, in una stanzetta rivestita di piastrelle, una lavatrice Bendix e uno strizzatoio, e al piano di sopra un largo pianerottolo era occupato dall'armadio della biancheria, dove le lenzuola piegate, le federe chiuse da graziosi fiocchi rosa, e le tovaglie impeccabilmente stirate rivelavano un'idea di ordine destinata prima ad ammonire e poi a ispirare le abitanti della casa, le ventisette ragazze del quarto anno che vi risiedevano. Una certa dottoressa Elizabeth French (1900-1976) occupava l'appartamento al pianterreno. Da lì organizzava le faccende domestiche quotidiane, stabilendo chi dovesse spolverare, lucidare l'argenteria, cambiare e rammendare le lenzuola, decidere i pasti, cucinare, apparecchiare la tavola, curare i fiori, lucidare i pavimenti, rimuovere le macchie - le mille e una abilità richieste alle giovani casalinghe che si andavano formando negli anni intensi e fragranti del dopoguerra. La dottoressa French in persona conduceva a turno gruppi di studentesse fino al terrazzo del secondo piano per mostrare loro il modo corretto di scuotere un panno impolverato. "Non siamo qui per giocare, ragazze" le redarguiva durante l'assegnazione dei compiti con cui cominciava ogni giornata. E loro se ne stavano buone, ascoltando e annuendo, ventisette bellissime fanciulle in cardigan (così le immagina sempre Tom), disposte come graziose statuine nel salotto dai colori pastello della dottoressa French, appollaiate cerimoniose sul divano di Duncan Phyfe e sulle sedie intorno oppure sedute scomposte, adorabili, inebrianti, sul tappeto color oro, con la lunga gonna scozzese ben tesa a coprire le ginocchia rotonde. Avevano occhi dolci in cui si fondevano contegno e schiettezza, e i menti pensosi poggiavano sulle mani intrecciate. E che mani! Alcune di quelle mani indossavano già anelli di fidanzamento di diamanti. (Adesso queste mani hanno sessant'anni; a Tom è capitato di incontrare un paio delle sue vecchie "mamme" in giro per la città, e ha visto le loro mani, alcune le ha addirittura strette tra le sue, con affetto, mentre ascoltava i ricordi di quegli anni incantati.)

Erano quelle mani bianche come perle a immergere il piccolo Tom nel suo bagnetto quotidiano. ("Controllate sempre la temperatura con il gomito, ragazze.") Le stesse mani abbottonavano il piccolo Tom dentro le sue minuscole camicine o nel pigiama e gli stringevano per bene i lacci degli stivaletti. ("Ma non troppo, ragazze, gli bloccate la circolazione.") Beato, beato Tom Avery. Se lo passavano di mano in mano, lo cullavano, gli facevano il solletico, lo nutrivano, lo aiutavano a fare il ruttino, lo vezzeggiavano, lo portavano all'aperto - se il tempo era mite - e lo esponevano alla debole luce del sole per cinque, regolatissimi, minuti. ("Vitamina D, ragazze, la vitamina del sole.")

Sole e latte pastorizzato, e poi pappe d'avena e verdure e uova in cocotte e banane schiacciate e budini preparati in piccole coppette di vetro. Il bimbo era bagnato? Ogni ora ispezionavano il suo pannolino, il pannolino più bianco, morbido, amorosamente appuntato che possiate immaginare. A debita distanza da dove venivano scrollati i panni impolverati, nel giardino davanti a McDougal Hall, svolazzava una fila di pannolini in flanella di ottima qualità, che agitati dal vento diffondevano un'incomparabile fragranza. Quanto entrava nel bambino, e quanto ne usciva, veniva accuratamente controllato. Gli accorciavano le unghie minuscole, ne registravano il peso, gli osservavano i riflessi, annotavano i suoi brontolii intestinali. Sollevato in aria, cullato di grembo in grembo, baciato, impomatato, cosparso di talco, avvolto nelle fasce, al piccolo Tom non fu mai concesso di piangere per più di un minuto, in barba a quanto diceva la dottoressa French a proposito del viziare i bambini e del prendere cattive abitudini in tenera età.

Le ventisette madri lo stringevano contro i loro maglioncini soffici, gli avrebbero dato qualunque cosa, il loro stesso latte se ne avessero avuto da offrire. Con una spazzola delicatissima lisciavano la sua mezza dozzina di capelli di seta. Quanto amore, Dio, quanto amore! In tutta la vita non avrebbe mai più conosciuto un amore simile. Storpiavano con affetto il nome di battesimo chiamandolo Tommy, Tomikins, o anche ometto o pasticcino o guanciotte tenere. Lo amavano per il semplice fatto di esistere, perché non faceva nulla per meritare il loro amore. Come era prevedibile, crebbe e iniziò a ciangottare; gli arti, deboli e incurvati, si raddrizzarono e irrobustirono - e ben presto si trasformò nel bebè più pulito, vivace, curato, esaminato e vezzeggiato della sponda ovest del Red River, e forse del mondo intero.

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Pagina 90

CAPITOLO 7

QUANT'È FORTUNATA


I nonni di Fay McLeod sono tutti morti, ma lei ha una madrina ufficiale e attiva, una donna di sessantacinque anni di nome Onion, presente al suo battesimo trentacinque anni fa, che vive a due isolati di distanza da lei in un appartamentino in Wellington Crescent. Onion non è una donna religiosa, ma prende il suo compito di madrina molto sul serio.

Rafe, il portiere del condominio, che ormai dà del tu a Fay quando viene a trovare Onion, indossa una bizzarra uniforme blu cielo che lo fa somigliare al personaggio di un'operetta spagnola. È un inguaribile chiacchierone ma anche un lavoratore instancabile, sempre affaccendato a riparare la fontana della hall, un affare in plastica e rame anodizzato che almeno due volte a settimana straborda inzuppando la soffice moquette grigia. Onion Boyle vive al dodicesimo piano, in un appartamento affacciato sull'Assiniboine River.

Onion. Cipolla. Aveva preso quel nome (dove e quando nessuno lo ricorda più con esattezza) mentre studiava medicina, una delle uniche tre donne ammesse al corso. La madre di Fay, Peggy, anche lei nel trio, era detta Carrot, anche se il nomignolo non le rimase attaccato. L'ultima ragazza, Rhubarb Leaf, foglia di rabarbaro, sposò un missionario battista e si trasferì con lui in India, dove vive ancora, diventando una donna pia e fervente che ogni Natale invia alle sue ex compagne di classe una lettera che comincia così: "Carissime Carrot e Onion, possa la luce di Cristo condurre fino a voi queste mie umili parole." Quando Onion legge la lettera sbuffa spazientita. È nota infatti per il pessimismo pungente e la lingua affilata.

Fino al pensionamento, avvenuto qualche anno fa, lavorava come medico patologo, e durante la sua attività - circa quarant'anni - è stata fidanzata: fidanzata nel senso che avrebbe dovuto sposarsi, con tanto di anello, un solitario, un diamante enorme che sembrava quasi sperdersi nelle sue fauci di platino, con un altro patologo, Strom Symonds. Dopo tutti quegli anni, Fay dovrebbe conoscere bene Strom, ma non è così. Strom è uno scapolo massiccio, pallido, silenzioso, coi peli che sbucano fuori dalle orecchie, un pescatore, un giocatore di golf, un amante di musica jazz, un ballerino di rumba, che però adesso è anche un paziente dell'unità di terapia neurovascolare del St. Boniface Hospital, muto e paralizzato a seguito di un ictus. Un anno prima lui e Fay si erano incontrati in un ristorante e le aveva detto: "Senza Onion, per me non c'è nulla che abbia un valore a questo mondo. Nulla."

Perché Onion e Strom non si sono mai sposati? Fay, che va da Onion almeno una volta a settimana, di solito il venerdì sera, tornando a casa dal coro Handel, non ha mai trovato modo di chiederglielo. In genere lei e Onion bevono un bicchiere di vino, anche due o tre, perché a Onion piace bere di tanto in tanto, e parlano piacevolmente di politica locale, diritti delle donne, alimentazione, malattie cardiache, della biografia di Lucy Maud Montgomery e di quanto quella povera donna tormentata soffrisse di cistiti, del tempo, delle ultime avventure di Rafe con la fontana nella hall e, di solito sul tardi, quando il livello della bottiglia del vino è già sceso un po', della conta dei globuli rossi di Strom, della cura di Strom, delle alterazioni del ritmo cardiaco di Strom - ma non arrivano mai al motivo per cui Strom e Onion abbiano deciso di continuare a vivere separati per tutti questi anni. (La madre di Fay ritiene debba trattarsi di un problema sessuale, una disfunzione che affligge uno dei due, o forse entrambi, ma Fay difende il valore della vita da single, con veemenza o tiepidamente, in base all'umore del momento.)

Stasera Fay racconta a Onion ciò che non ha mai raccontato a nessun altro: quanto sia stato difficile per lei abituarsi a vivere di nuovo da sola, senza Peter. Le ultime settimane prima della loro separazione si sono trascinate avanti in modo insensato, ma ora la sua assenza le pare troppo improvvisa. La sera ha la sensazione che le manchi l'aria, l'equilibrio. All'inizio si era sentita sollevata, ma adesso si chiede se non abbia fatto un errore, se magari non era meglio insistere, cercando di migliorare le cose come fanno quasi tutti. "Cosa ne pensi?" chiede Fay a Onion.

Onion è in assoluto la persona con cui riesce a essere più diretta. È sempre stato così. Onion non è propriamente una di famiglia, non è propriamente un'amica: è piuttosto una presenza sospesa tra le due realtà. Il loro rapporto poggia più sulla razionalità che sull'istinto, su un qualcosa scaturito da una felice coincidenza e poi lasciato andare per la sua strada. Fay le vuole bene, ma non formulerebbe mai il pensiero ad alta voce, voglio bene a Onion. Sarebbe imbarazzante per entrambe.

Alle 9.30 di sera c'è ancora luce, una luce sfilacciata che ricopre il fiume, una linea rosa incontra una striscia azzurra e poi scompaiono alla vista. Fay tiene lo sguardo oltre la grande finestra e aspetta che Onion risponda, col suo solito tono graffiante e ironico, che dica qualcosa di comprensivo e fuori dal coro, tipo "Ho sempre avuto dei dubbi su quell'uomo" o "Ho sempre pensato non fosse abbastanza per te". Sembra sul punto di parlare, le labbra fremono come se stessero per pronunciare delle parole, invece si piega all'indietro poggiandosi allo schienale della sedia e chiude gli occhi, sospirando.

Fay ha visto questa sedia migliaia di volte, ma stasera nota per la prima volta quanto sia sproporzionata; è uno di quegli oggetti di design danese di fine anni '50 che ormai si trovano ovunque. Come fa Onion a non accorgersi di quanto sia volgare la marezzatura del teak, di quanto sia irrigidita l'imbottitura arancione? Come fa a rimanere affezionata a un oggetto tanto brutto?

Onion è una donna matura, esile e caparbia, con gambe simili a gessetti. Pranza con una mela. Cena con un uovo sodo. Nessun profumo, di nessun tipo, le rimane attaccato addosso. Storce il naso solo a sentir parlare di devozione al mondo dei sensi. Ha il viso scarno, pulito, organizzato, vigile, ma stasera gli occhi semichiusi vagano alla deriva. Fay si chiede se non stia pensando a Strom, nella sua stanza d'ospedale al di là del fiume.

Magari sta vivendo il suo lutto standosene seduta qui, magari proprio qui sente tutta la perdita, le ferite, la propria identità spezzata dopo lo scontro con quella di un altro. Forse. Probabilmente. Sì.

"In realtà sono venuta" dice Fay "per invitarti a pranzo domenica. Ci sarà tutta la famiglia. Viene anche Bibbi. Onion, promettimi che verrai."


Come sua madre, e anche sua sorella Bibbi, Fay dà molta importanza all'ambiente in cui vive. Le piacciono i muri bianchi, i pavimenti scuri tirati a lucido, i tappeti vivaci fatti a mano, i mobili originali, le sedie comode, le lampade da lettura di buona qualità, moltissimi libri e fotografie e, quando può permetterselo, fiori freschi sul tavolino da caffè. Nel suo appartamento, ricavato da una casa più grande, i soffitti sono alti quasi tre metri, e ci sono cantucci inghiottiti dal buio nonostante le luci, e qua e là resti di una vecchia vetrata dipinta. A lei piace in modo particolare la finestra colorata della cucina, con un disegno di foglie che si intrecciano e fiori gialli attorcigliati, risalente agli anni '20, che proietta riflessi diafani sul pavimento della cucina e per di più nasconde la vista del caseggiato diroccato dall'altra parte della strada.

Il sabato è giorno di pulizie. Fay si è accorta, con un certo distacco, di aver cominciato a pulire più a fondo ultimamente, dal suo trentacinquesimo compleanno, da quando Peter se ne è andato, da dopo Fletcher Conrad. Con i guanti di gomma e munita di spazzole e strofinacci e detersivi, pulisce non tanto con cura ma con furia. Si infila negli angoletti. Smacchia. Sgrulla. Scova una traccia scura di unto sul pavimento della lavanderia e prova un brivido di perversa soddisfazione. Bisogna annientarlo con la paglietta d'acciaio e riportare le mattonelle bianche al loro antico splendore.

Quel senso di trionfo ha in sé qualcosa di oscuramente inquietante, ma lei non è ancora pronta a fermarsi e chiedersi di cosa si tratti.

Tutta contenta stira una tovaglia di cotone rosso per il pranzo di domani. Adora apparecchiare la tavola con la tovaglia rossa. La sua sala da pranzo è piccola, in realtà è solo un angolo vicino a una finestra, ma all'occorrenza riesce a sistemarci dieci persone, però Matthew e Gordon, i nipotini, dovranno mangiare sul tavolinetto da caffè in quercia, seduti sui cuscini.

È borghese, lo sa, e anche vagamente imbarazzante, il piacere che ricava dallo stare tutti a tavola, dalla sfilata dell'argenteria, dai tovaglioli arrotolati con cura. Ha intenzione di comprare dei fiori bianchi a Osborne Village questo pomeriggio, non molti, magari gigli se ne hanno, e di sistemarli in un vaso basso di vetro smerigliato.

Per tutta la mattinata ci sono stati scrosci di pioggia, ma adesso una lama di sole taglia il tavolo, e lei si ferma ad ammirarne l'effetto. Che fortuna poter godere dell'asimmetria di questa doppia visione. Essere felice. Ed essere capace di vedere quanto è felice.

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Pagina 136

La madrina di Fay, Onion, ha fatto un annuncio a sorpresa: sta per sposarsi. Il matrimonio è stasera, di lunedì - e perché non di lunedì sera, dice Onion caustica - nella stanza d'ospedale all'unità di terapia neurovascolare del St. Boniface, dove durante il fine settimana Strom Symonds ha dato lievi segni di miglioramento. I muscoli del lato sinistro della faccia si sono ritirati fino a formare una increspatura di cuoio che potrebbe sembrare un sorriso o un ghigno; un occhio si strizza e si fa lucido; un suono soffocato, come il verso di una scimmia, gli esce dalle labbra semiparalizzate; le dita della mano sinistra sono contratte come se tutta la volontà dei suoi settant'anni, tutta la sua eloquenza trattenuta, fossero concentrate lì, in un susseguirsi di nocche marroni e di pelle rugosa.

Onion non è credente, ma ha telefonato agli uffici della Unitarian Church, che ha mandato un donnone alto e grasso di nome Dot. Si è posizionata ai piedi del letto di Strom e ha celebrato il breve rito nuziale. La finestra è spalancata su questa notte tiepida, e l'infermiera al piano, Gloria - il nome, sotto forma di spilla, è appuntato alla divisa - ha sistemato un ventilatore all'entrata. Seduti intorno al letto, assieme a Fay ci sono la madre e il padre; la sorella Bibbi; il fratello Clyde e la moglie Sonya; e Robin Cummerford, il giovane dottore che ha seguito Strom da quando è stato portato in ospedale. Strom indossa un pigiama blu; gli altri hanno abiti estivi, leggeri, inclusa Onion, che sembra essersi vestita in fretta, con una vecchia gonna jeans e una casacca bianca dal taglio piuttosto severo. Ha un largo sorriso giallastro, un comico fiorire di ossa tra denti e mascella che dice: devo aver perso qualche rotella. E a Fay torna in mente una cosa che la madre ha detto una volta a proposito di Onion: è una cara donna (la madre di Fay definisce care donne tutte le sue amiche) ma ha un cuore non facile da rendere felice.

Fay ha l'impressione che quel matrimonio sia stato provocato dal peso trascinante dei rinvii accumulati. Perché, dopotutto questo tempo? Sonya ha portato un mazzo di fiori colti nel suo giardino, flox e margherite, e li ha sistemati in due grossi vasi, uno dei quali sta sul ripiano del letto - su cui è poggiata anche una fiaschetta che a Fay all'inizio sembrava un'interessante scultura, finché non ha capito che si trattava di un pappagallo per urinare. Non c'è marcia nuziale, perché nessuno è riuscito a capire come eseguirla senza disturbare gli altri pazienti o causare pericolose derive di consapevolezza.

Ma per lo meno ci sono le fedi. Sono state acquistate, dopo una selezione abbastanza convulsa, da Onion e Fay, che si sono incontrate in una gioielleria del centro oggi a mezzogiorno. La scelta è caduta su semplici fasce d'oro; hanno tirato a indovinare la misura di Strom e, strano a dirsi, hanno azzeccato.

"In salute e in malattia" ripete Onion asciutta, fingendo un sussulto, spalancando la bocca e sollevando le sopracciglia. Strom, poggiato su tre grandi cuscini, pigola il suo sì, le dita abbandonate e l'unico occhio buono che rotea come impazzito.

Vengono scartati i regali: un videoregistratore dai genitori di Fay; due morbidi portafogli in pelle fatti a mano da Bibbi, una coperta lavorata a maglia di lana islandese, leggerissima, da Clyde e Sonya, un binocolo molto potente da Fay (abbastanza fiera di questa sua scelta ispirata) e due vestaglie uguali dal dottor Cummerford, di quelle verdi, da ospedale. Nessuno è sicuro se si tratti di uno scherzo, di una questione di praticità, o se sia una sottolineatura del bizzarro valore e delle contraddizioni dell'evento; quando il regalo viene scartato e mostrato, gli invitati si scambiano occhiate sconfortate.

Poi Clyde stappa due bottiglie di champagne, e anche Strom beve un goccio, con una cannuccia di plastica. Onion si allunga sotto al letto e tira fuori una torta al cioccolato, e per un'ora tutti mangiano, bevono, spazzano briciole dal lenzuolo e discutono scaldandosi in diversa misura della situazione in Sudafrica - finché una voce dall'altoparlante annuncia che l'orario delle visite è terminato. Gloria entra decisa col vassoio delle medicine e il succo di mela, blaterando qualcosa. È ora di andare tutti a casa, e così fanno, eccetto Strom - e Onion, che decide di rimanere seduta con lui ancora qualche minuto, finché non si sarà addormentato.


"Allora come procedono le tue sirene?" chiede Mac Jaffe a Fay.

"Lascia stare le sirene," lo interrompe Iris "mi stava giusto raccontando di Onion. E di Strom Symonds. Si sono sposati. Ieri sera. Al St. Boniface Hospital. Durante l'orario di visita, pensa."

"Bene, bene" commenta Mac Jaffe.

Sono seduti tutti e tre nella bellissima cucina bianca e nera in un magazzino riconvertito ad abitazione a Ballentyne Street - o almeno, Fay è seduta. Appollaiata sullo sgabello da bar si sente slanciata e atletica, come se le sue ossa si fossero assottigliate. Iris trita dell'aneto fresco su un tagliere e poi lo aggiunge a una ciotola di fagiolini, e Mac è in piedi sulla soglia, appena tornato a casa dopo una giornata nel suo ufficio al Grain Exchange, dove fa da consulente o supporto o chissà che: Fay non ha mai davvero capito cosa faccia Mac Jaffe, ma a quanto pare lo fa molto bene e quindi viene generosamente retribuito. Gli appartamenti in questo condominio hanno prezzi che partono da duecentomila dollari, e i Jaffe hanno comprato uno degli attici, sei stanze con immense vetrate colorate sul soffitto e alle pareti. Fay passa molto tempo qui. "Ehi, perché non fai un salto?" le chiede Iris almeno una volta a settimana. "Mi mancano i tuoi gomiti su tavolo."

Iris Corning Jaffe, coetanea di Fay, divide la propria vita esattamente a metà. Per metà del tempo lavora come attrice, accettando piccoli ruoli in tv o alla radio, girando qualche pubblicità e partecipando ogni estate ai musical al Rainbow Stage. Quando non è impegnata a fare l'attrice, cerca di rimanere incinta, finora senza successo. Quello che ha fatto a questo scopo è già un travaglio di per sé, dalla ginnastica erotica alla lettura dei tarocchi al portare i propri ovuli a Toronto, dove sono stati posizionati su una piastra di Petri insieme allo sperma di Mac Jaffe e incitati a riprodursi. Di recente Iris Jaffe ha bevuto, forse per scherzo o forse no, una tisana fatta con fiori di lillà e ha avuto una reazione allergica così forte da rendere necessaria la sua sostituzione per lo spettacolo al Rainbow Stage. Iris è bassina, minuta, coi capelli ricci e il viso perfettamente ovale, ed è la più vecchia e cara amica di Fay. Si conoscono da quando avevano quattro anni, sono cresciute insieme nello stesso caseggiato alberato a Ash Avenue. Quando erano piccole tra loro si chiamavano Yaf e Siri: i loro nomi pronunciati al contrario. Tra i loro rituali ormai consolidati c'è lo scambio di elaborati salamelecchi. "Che modo squisito di tagliuzzare l'aneto" dice ad esempio Fay a Iris. "Hai dei capelli acconciati in maniera superba" risponde lei, oppure "Quel lucidalabbra porta in superficie la tua essenza più genuina" o "Le tue scapole hanno un aspetto delizioso oggi". Adorano la parola "delizioso"; ad esempio un tramonto delizioso, un viaggio delizioso, un uomo delizioso. Iris è una donna dalla gestualità esuberante e dalla voce nervosa e squillante, preoccupata di poter diventare quello che lei chiama "attricetta", una di quelle bamboline un po' istrioniche che disprezza, ma che ogni tanto ricorda.

"E perché, di grazia?" chiede a Fay, agitando le forbici da cucina. "Perché Onion, dopo tutti questi anni, ha deciso di farlo?"

"È aglio quest'odore?" chiede Mac. "C'è un profumino magnifico in questa casa."

"Prendi qualcosa da bere, Mac" ordina Iris. "Fay e io siamo già al secondo giro."

"Nessuno lo ha capito" risponde Fay. "È strano, ma nessuno gliel'ha chiesto, in effetti. Lo sai quanto sa essere riservata Onion. Non si riesce mai a superare quella linea invisibile. Ma mia madre sostiene che sia senso di colpa, secondo lei è sempre stata Onion, non Strom, a rimandare il matrimonio e adesso vuole fare ammenda prima che sia troppo tardi. Mio padre pensa semplicemente che abbia perso un po' di lucidità, secondo lui il pensionamento le ha annebbiato la capacità di giu- dizio, dandole troppo tempo per dedicarsi a rimpianti e rimorsi."

"Rimpianti e rimorsi" ripete Iris. "Sembra il titolo di uno di quei lugubri film tedeschi. L'altra sera abbiamo visto..."

"Clyde dice che Onion si illude se pensa che Strom si rimetterà completamente e che potranno godersi un po' di felicità coniugale. Per Sonya, Onion nutre il desiderio inconscio di essere una casalinga borghese e l'ha soffocato per tutti questi anni. Io non so. A me sembra un gesto necessario. Come se non potesse lasciarlo andare finché le loro esistenze non fossero state legate per sempre, con una cerimonia. Okay, parlo da studiosa di tradizioni popolari, Dio mi perdoni, ma non credo affatto che sia impazzita. Credo stia dando ascolto al proprio istinto, per una volta. E Bibbi è più o meno d'accordo.

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