Copertina
Autore Gianni Silvestrini
CoautoreMario Gamberale
Titolo Eolico: paesaggio e ambiente
SottotitoloSfide e opportunità del vento in Italia
EdizioneMuzzio, Roma, 2004, Energie 8 , pag. 188, cop.fle., dim. 170x240x12 mm , Isbn 978-88-7413-103-7
CuratoreGianni Silvestrini, Mario Gamberale
LettoreLuca Vita, 2005
Classe economia , ecologia , energia , scienze tecniche
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Indice

Premessa 9
di Domitilla Senni, Roberto Della Seta, Fulco Pratesi


Eolico: paesaggio e ambiente


1. Non c'è futuro energetico senza le fonti
   rinnovabili: il contributo dell'eolico 17
   di Gianni Silvestrini

2. Una tecnologia in evoluzione 27
   di Luca Benedetti, Mario Gamberale

3. L'eolico in Italia e nel mondo 45
   di Rodolfo Pasinetti

4. La valutazione dell'impatto ambientale
   degli impianti eolici 63
   di Maria Rosa Vittadini

5. Gli impatti degli impianti eolici sulla
   componente biotica e le misure
   di mitigazione 95
   di Tommaso La Mantia, Giuseppe Barbera,
   Rocco Lo Duca, Bruno Massa, Salvatore Pasta

6. Il paesaggio e l'intervento umano:
   una lunga storia di possibile convivenza 141
   di Vittorio Amadio

7. Impianti eolici e paesaggio: la qualità
   come chiave per il consenso locale 161
   di Edoardo Zanchini

8. Le argomentazioni contro 171
   di Luca Benedetti, Mario Gamberale

 

 

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Pagina 17

1

Non c'è futuro energetico senza le fonti rinnovabili: il contributo dell'eolico

Gianni Silvestrini

Politecnico di Milano, Kyoto Club


La temperatura media del pianeta nel 2003 è stata la più elevata negli ultimi 120 anni dopo quella del 1998 quando, in presenza di un forte fenomeno del Niño che aveva scaldato le acque dell'Oceano Pacifico, si erano registrati 14,7 °C. Del resto, basta analizzare alcuni dati per avere conferma dell'anomalia in atto: i 10 anni più caldi da quando si misurano i dati di temperatura su scala mondiale (fine del diciannovesimo secolo) si sono concentrati tutti dopo il 1989. Non solo il trend è evidente ma c'è la possibilità che, trattandosi di fenomeni non lineari, l'alterazione del clima possa subire in questo secolo un'improvvisa accelerazione.

Un recente rapporto dell'Accademia nazionale delle scienze degli Usa dal significativo titolo "Abrupt climate change: inevitable surprises" mette sull'avviso. Dalla storia del clima emerge infatti un andamento con nette discontinuità, come è avvenuto 11.500 anni fa con un innalzamento di 8 °C nel giro di un solo decennio. L'analisi del paleoclima insegna che quando il sistema-terra è stressato, bastano variazioni minime di alcuni parametri per determinare drammatici salti. Considerando che l'uomo ha "forzato" gli equilibri portando le concentrazioni dell'anidride carbonica sui livelli più alti degli ultimi 400.000 anni, non sono escluse improvvise accelerazioni dei cambiamenti climatici in questo secolo.

Ma i danni sono già rilevanti oggi. Il costo dei disastri naturali nel 2002 è stato di 55 miliardi € (18,5 miliardi € a causa delle peggiori alluvioni degli ultimi 650 anni nell'Europa centrale). Secondo il presidente della Reinsurance Association of America "è chiaro che il riscaldamento del pianeta potrebbe essere in grado di far fallire le compagnie di assicurazione". E i segnali preoccupanti si susseguono. Le ondate di calore del 2003 hanno provocato 1.500 morti in India e 20.000 in Europa (con temperature medie estive di 4-5 gradi superiori ai valori degli ultimi secoli).

Mentre si attende l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto cor la ratifica da parte della Russia, attesa entro il 2005, già si stanno discutendo i passaggi successivi alla scadenza del 2010. L'Unione europea, da sempre punto di riferimento mondiale nelle strategie di risposta all'emergenza climatica, sta valutando per il 2020 tagli delle emissioni del 20-40%. Il governo inglese si è spinto a ipotizzare riduzioni dei gas climalteranti del 60% al 2050 e quello tedesco ha indicato un taglio dell'80% alla stessa data.

Sul fronte specifico delle fonti rinnovabili, all'inizio del 2001 l'European Renewable Energy Council (che raggruppa le principali associazioni di imprese del settore) ha presentato un documento in cui viene proposto un obiettivo del 20% dell'energia primaria da soddisfare con energia verde al 2020, triplicando così la percentuale rispetto ai valori del 2000.

A fronte di obiettivi di riduzione così drastici, occorre rivedere in maniera profonda le modalità di consumo e produzione dell'energia. La tendenza naturale delle dinamiche energetiche porterebbe infatti a un aumento del 50% dei consumi mondiali entro il 2030. Per invertire questo trend occorre la convergenza di politiche innovative e coraggiose in campo energetico su scala locale, nazionale e sovranazionale.

Ma la situazione è già adesso in cambiamento. Osservando alcune dinamiche in atto, come il boom delle fonti rinnovabili, si delinea con sempre maggior chiarezza l'avvio di una rivoluzione energetica di dimensioni mai viste nella storia dell'umanità per l'ampiezza dei mutamenti tecnologici e delle risorse economiche coinvolte. Alla base di questo processo c'è la necessità di rispondere all'emergenza climatica, una sfida che al contrario delle altre problematiche ecologiche è destinata col tempo a amplificarsi (perlomeno in questo secolo).

Ma torniamo agli obiettivi di riduzione delle emissioni e alla rivoluzione in cui siamo entrati.

La priorità nella rivisitazione delle scelte energetiche dovrà riguardare l'efficienza degli usi finali, considerando che le possibilità di ridurre i consumi a parità di servizi erogati è molto maggiore di quanto normalmente si pensi. I risultati di una politica costante nel tempo possono infatti essere molto ampli. La California, ad esempio, negli ultimi 30 anni è riuscita a stabilizzare i consumi elettrici pro capite, a fronte di un incremento del 50% nel complesso degli Usa.

L'Italia viene considerata molto efficiente dal punto di vista energetico. In realtà disaggregando il dato dell'intensità energetica si scoprono comparti efficienti e altri scadenti. La situazione del settore civile, in particolare, è molto arretrata. L'efficienza media dei frigoriferi italiani è del 7% inferiore rispetto alla media europea. Lo stesso discorso vale per altri elettrodomestici, per i sistemi di illuminazione, ma soprattutto per gli edifici caratterizzati da dispersioni termiche decisamente superiori rispetto a quelle degli altri paesi.

L'aumento dell'efficienza con cui si utilizza l'energia non è però sufficiente a raggiungere gli obiettivi di riduzione nei prossimi decenni. Bisogna infatti intervenire anche sul lato della produzione energetica. Esaurito il potenziale derivante da un ammodernamento del parco elettrico, con un innalzamento nei rendimenti delle centrali e con un'espansione della cogenerazione di elettricità e calore, ci sono solo tre strade per ridurre drasticamente le emissioni: un ritorno al nucleare, il sequestro dell'anidride carbonica sottratta nei processi di conversione energetica e la diffusione su larga scala delle fonti rinnovabili.

Il nucleare non sembra avere grandi prospettive per motivazioni economiche oltre che per la mancata soluzione di aspetti centrali come lo smaltimento delle scorie. Oggi, la potenza nucleare installata è di 350 GW, con una produzione pari al 3% dell'elettricità generata nel mondo. Per ridurre del 50% le emissioni di anidride carbonica, sarebbe necessario costruire parecchie migliaia di nuovi reattori. Questi esaurirebbero le riserve mondiali di uranio in meno di cinque anni e produrrebbero centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi che non si saprebbe come smaltire.

La separazione del carbonio dai combustibili fossili prima o dopo la combustione e l'iniezione di anidride carbonica in giacimenti sotterranei è un'altra delle soluzioni che si stanno esplorando. Oltre a valutazioni economiche (si stima che il costo dell'elettricità raddoppierebbe) ci sono problemi ambientali legati allo stoccaggio della CO2 che vanno esplorati con attenzione prima di applicare su larga scala questa soluzione. Una fuoriuscita di questo gas, che essendo più pesante dell'aria si accumula sul suolo, potrebbe avere conseguenze letali. Ci vorranno diversi anni per capire se si tratta di una soluzione praticabile o se si rischia solo, anche in questo caso, di scaricare problemi sulle generazioni future.

L'utilizzo delle fonti rinnovabili sembra dunque destinato a svolgere un ruolo centrale nella strategia di difesa degli equilibri climatici, proseguendo nei prossimi decenni il processo di decarbonizzazione (riduzione della quantità di carbonio nelle molecole degli idrocarburi utilizzati) che si è avviato passando progressivamente dal carbone al petrolio e quindi al metano.

Le energie "alternative" si sono riaffacciate sulla scena energetica moderna ai tempi della prima crisi petrolifera, 30 anni fa, suscitando grandi speranze però naufragate con il drastico ridimensionamento dei finanziamenti conseguenti al crollo del prezzo del petrolio nel 1985. All'inizio degli anni Novanta è stato l'esplodere dell'emergenza climatica a imporre la necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili responsabili della produzione di anidride carbonica, principale gas serra.

Nello scorso decennio si è quindi assistito a un forte rilancio per alcune di queste tecnologie con un tasso di crescita medio annuo della potenza installata che ha raggiunto il 35% per l'eolico e il 39% per il solare fotovoltaico. Negli ultimi cinque anni la nuova potenza eolica ha superato quella nucleare.

La situazione attuale delle fonti pulite può essere descritta come quella di flottiglie di piccole barche che si ingrossano rapidamente affiancando le gigantesche armate energetiche delle fonti fossili e del nucleare, i cui ammiragli guardano i nuovi venuti passando dal distacco di un tempo a una malcelata ostilità e, in alcuni casi, a un crescente interesse.

Grandi compagnie energetiche come la Bp e la Shell, ad esempio, sono attivamente impegnate in questo settore.

L'eolico in particolare sta registrando un vera boom in Europa con 28,5 GW in funzione alla fine del 2003, pari a tre quarti del totale mondiale, e con la previsione di averne 70-80 GW entro il 2010. Per comprendere meglio la portata di questi numeri, va osservato che la potenza eolica installata nel periodo 1995-2000 è stata pari al 24% della potenza delle nuove centrali elettriche costruite in Europa e che la percentuale eolica è destinata a salire al 45% nel periodo 2001-2005. In termini di elettricità, ogni 5 kWh che verranno prodotti dalle centrali entrate in servizio nell'Unione europea in questo quinquennio, 1 kWh sarà generato dal vento.

Ma i risultati sono visibili già ora. In alcune regioni tedesche e spagnole la produzione eolica riesce a coprire quote ragguardevoli (dal 20 al 40%) della domanda elettrica.

La diffusione degli aerogeneratori si è avuta anche grazie a significativi miglioramenti della tecnologia che hanno consentito un dimezzamento dei costi nel corso degli anni Novanta. Negli ultimi 15 anni la produzione per turbina è aumentata di 100 volte, mentre negli ultimi 5 anni il peso per kW installato e il rumore si sono dimezzati. Questa evoluzione ha consentito un calo del costo del kWh eolico, passato dai 38 €cent di 20 anni fa agli attuali 5 €cent, e ci si aspetta un ulteriore dimezzamento entro il 2020.

In termini di investimenti ormai si è raggiunta una massa critica significativa con 7 miliardi di €/a. L'aver puntato su queste tecnologie innovative sta pagando in termini di posizionamento industriale. In Germania, grazie ai 14,6 GW eolici installati, si è creata in pochi anni una forte industria, con un giro di affari pari a 3 miliardi di €/a e 45.000 occupati.

Lo stesso discorso si può fare per la Danimarca, le cui industria eolica garantisce la seconda fonte di entrate valutarie e l'occupazione di 21.000 addetti, il triplo del totale degli occupati dalle imprese elettriche del paese, o per la Spagna, spalla a spalla con gli Usa come potenza eolica installata, che si appresta ad avere un ruolo di punta nel campo della produzione di aerogeneratori.

Il comparto eolico, grazie all'enorme potenziale in grado di rimpiazzare le riserve di greggio del Mare del Nord in via di esaurimento e di sostituire parte delle centrali nucleari tedesche e inglesi, si appresta a coprire nei prossimi 3-4 decenni il ruolo che all'inizio dello scorso secolo è stato svolto dal settore idroelettrico.

Su scala mondiale si prevedono nel 2020, secondo il World Energy Council, potenze installate dell'ordine di 180-470 GW e ci sono anche scenari spinti come quello proposto dall'EWEA (European Wind Energy Association) e da Greenpeace che indicano la possibilità di coprire nel 2020 il 12% della domanda elettrica mondiale con una potenza eolica installata di 1.200 GW e 1,8 milioni di occupati nel settore per raggiungere poi nel 2040 il 22% della domanda totale.

Dunque i paesaggi del nostro futuro energetico torneranno a essere contrassegnati da mulini a vento, recuperando una tecnologia che nei secoli scorsi aveva segnato la presenza umana in molte aree geografiche, come ci ricordano gli scritti di Cervantes o i dipinti fiamminghi.

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