Copertina
Autore Georges Simenon
Titolo Il fidanzamento del signor Hire
EdizioneAdelphi, Milano, 2003, Biblioteca 450 , pag. 148, dim. 140x220x13 mm , Isbn 978-88-459-1817-9
OriginaleLes fiançailles de Monsieur Hire [1933]
TraduttoreGiorgio Pinotti
LettoreAngela Razzini, 2003
Classe narrativa francese , gialli
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Pagina 9

La portinaia si schiarì la voce, bussò, poi disse guardando il catalogo della Belle Jardinière che teneva in mano:

«C'è posta per lei, signor Hire».

E si strinse lo scialle sud petto. Un rumore filtrò dalla porta scura. Proveniva ora da destra ora da sinistra, era a tratti un'eco di passi e a tratti un debole fruscio di stoffa o un acciottolio di stoviglie, e gli occhietti grigi della portinaia sembravano seguirne attraverso il pannello di legno le tracce invisibili. Alla fine si avvicinò. La chiave girò, e apparvero un rettangolo luminoso, una tappezzeria a fiori gialli, il marmo di un lavandino. Un uomo tese la mano, ma la portinaia non lo vide o lo vide appena, e comunque non vi fece caso, perché il suo sguardo indagatore era stato attirato da un altro oggetto: un asciugamano inzuppato di sangue, che con il suo rosso cupo si stagliava sul biancore del marmo.

Il battente della porta la respinse lentamente. La chiave girò di nuovo e la portinaia scese i quattro piani fermandosi ogni tanto per riflettere. Era molto magra. I vestiti le ballavano addosso come sui bastoni incrociati che formano lo scheletro degli spaventapasseri. Aveva il naso umido, le palpebre arrossate, le mani screpolate dal freddo.

Al di là della porta a vetri della guardiola una bambina in sottoveste di flanella stava in piedi davanti alla sedia che sorreggeva una bacinella d'acqua, mentre il fratello, già pronto, si divertiva a schizzarla. Sul tavolo c'erano ancora i resti della prima colazione.

La porta si aprì di scatto. Il ragazzo si girò. La bambina alzò il viso inondato di lacrime.

«Adesso vi sistemo io...».

La donna mollò una sberla al figlio e lo spinse fuori.

«Tu corri a scuola. E tu, se non la smetti di piangere...».

Scrollò la bambina e le infilò il vestito sollevandole le braccia come se fosse una marionetta. Poi ripose la bacinella d'acqua saponosa nell'armadio, si diresse verso la porta e tornò bruscamente sui suoi passi.

«La pianti di tirare su col naso?».

Rifletteva. Sembrava indecisa. Aveva la fronte corrugata e lo sguardo angosciato. Rivolse un meccanico cenno del capo all'inquilino del secondo piano che passava davanti alla guardiola e d'impulso, dopo essersi avvolta in un secondo scialle, abbassò la stufa e si precipitò fuori.

Aveva gelato. Sulla strada di Fontainebleau, che attraversa Villejuif, le auto procedevano a passo d'uomo per via dello strato di ghiaccio e i radiatori esalavano vapore. Sulla sinistra, a un centinaio di metri, c'erano l'incrocio con il vigile al centro e i due bistrot uno di fronte all'altro, e animate strade di periferia che arrivavano alle porte di Parigi, e tram, autobus, macchine. Sulla destra, invece, un paio di case più in là, subito dopo l'ultimo garage, si profilavano solo la camionabile, la campagna, e alberi e campi bianchi di brina.

La portinaia tremava di freddo e sembrava ancora indecisa. Abbozzò un gesto per chiamare un uomo che se ne stava all'angolo della strada, ma lui non la vide. Allora corse a toccargli il braccio.

«Venga un attimo».

Rientrò in casa e, senza preoccuparsi di lui, sollevò la figlia per un braccio e la sistemò su una sedia perché non stesse fra i piedi.

«Entri. Non resti lì, potrebbe vederla».

Ansimava, forse per l'emozione. Il suo sguardo andava dal corridoio all'uomo, che aveva una trentina d'anni e non si era tolto il cappello.

«Ieri ero ancora incerta, ma dopo quello che ho appena visto mi gioco la testa che è il signor Hire».

«Qual è?».

«Uno basso, grassoccio, coi baffi arricciati. Porta sempre una cartella nera sotto il braccio».

«Cosa fa?».

«E chi può dirlo? Esce il mattino e torna la sera. Gli ho portato su un catalogo e quando ha socchiuso la porta ho notato un asciugamano insanguinato...».

Erano quindici giorni che l'ispettore, insieme a due colleghi, passava le giornate, e a volte anche intere nottate, a sorvegliare il quartiere, e ormai cominciava a conoscere molti di vista.

«E a parte l'asciugamano...?» cominciò.

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«Cerchiamo di procedere con ordine, signor Hire. Lei, del resto, non si chiama Hire».

Prese un documento dalla pila.

«Il suo cognome è Hirovitch».

«Hirovitch, detto Hire. Già mio padre si faceva chiamare Hire».

«Era polacco, a quanto vedo. Nato a Vilnius».

«Russo. Ebreo russo! A quell'epoca Vilnius apparteneva alla Russia».

L'audacia, le spiegazioni da uomo a uomo: tutto svanito. Ormai rispondeva alle domande con l'umiltà piena di terrore di uno scolaro che viene interrogato.

«Comunque, signor Hirovitch, visto che proprio lei, poco fa, parlava di onore, mi risulta che suo padre, che faceva il sarto in rue des Francs-Bourgeois, sia fallito. Lei è nato in rue des Francs-Bourgeois, vero? E sua madre era di origine... aspetti...».

«Armena».

Era tutto così vero da essere falso. Per il signor Hire era una sofferenza non poterlo spiegare.

«I libri contabili hanno rivelato che il suo rispettabile padre, oltre a fare il sarto, non disdegnava ogni tanto di dedicarsi all'usura».

Come avrebbe potuto descrivere il piccolo negozio di rue des Francs-Bourgeois con il suo odore di stoffa e di gessetto, il retro bottega dove dovevano vivere, il fornello sempre acceso, e soprattutto suo padre, così pieno di coraggio e dignità, che non mancava mai di seguire scrupolosamente i riti della religione ebraica? Non era francese, ma nemmeno russo. Parlava solo lo yiddish e la moglie, la grassa armena gialla come una mela cotogna, non era mai riuscita a capirlo bene.

Fallimento? Usura? Ma era già tanto se al vecchio Hire capitava di confezionare un completo nuovo una volta l'anno. Rivoltava abiti vecchi. Faceva vestiti per bambini con le gambe di pantaloni usati. E a volte accettava come pagamento polizze del Monte di Pietà.

Negli ultimi anni sua madre era così gonfia che quasi non riusciva più a muoversi, e ogni sera lui e suo padre dovevano sollevarla di peso per metterla a letto.

«Signor commissario, posso garantirle...».

«Un momento. Lei ha optato per la Francia. Quindi è francese. Ma è stato riformato per insufficienza cardiaca».

Gli lanciò un'occhiata come per misurare la larghezza delle sue spalle, stimare la capacità del torace, valutare la flaccidezza delle carni.

«Ha mai avuto crisi?».

«Crisi vere e proprie no, però...».

«Che cosa ha fatto dopo il fallimento, quando è morto suo padre?».

Il commissario, che sembrava annoiarsi, continuava a sfogliare documenti e a leggerli mentre il signor Hire rispondeva.

«Ho fatto il commesso in un negozio d'abbigliamento di rue Saint-Antoine».

«Diciamo piuttosto il procacciatore, o se preferisce l'adescatore, visto che fermava i passanti sul marciapiedi per convincerli a entrare. Può spiegarmi come mai ha lasciato questa professione tutto sommato rispettabile?».

Il signor Hire impallidì come se l'avessero costretto a confessare un crimine.

«L'inverno avevo freddo e...».

«C'è gente che ha freddo e resta comunque onesta».

«Ma io...».

«Lei dimentica i sei mesi di carcere per attentato al pudore».

Il signor Hire non disse nulla. Non poteva più dire nulla. Non ne valeva la pena. Ma non distoglieva lo sguardo dal commissario. Anzi, lo teneva fisso su di lui, come un animale bastonato che chiede ragione della malvagità degli uomini.

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Pagina 138

E il signor Hire continuava a camminare. Non osava guardare verso la latteria, ma intravedeva la figura di Alice, che, china davanti all'ingresso, passava lo straccio. Assunse un'aria impettita. Avrebbe chiarito tutto. Aveva il naso chiuso per via del raffreddore e respirava a fatica, ma non aveva importanza.

Doveva solo passare, e c'era uno spazio angusto tra la folla e il portone. Bastava che affrettasse il passo.

Ne fece dieci di passi, forse quindici. Poi a un tratto colse un gesto vicinissimo a lui e in quello stesso istante la sua bombetta volò via, mentre dalla folla si levava un coro di risa sguaiate.

Fu uno sbaglio. Ma agì senza riflettere, d'istinto: cercò di raccogliere il cappello. Allora un calcio lo fece rotolare via e contemporaneamente raggiunse il viso del signor Hire, infangandolo e ferendolo.

Fu uno shock non solo per il signor Hire, che si rialzò lasciando vagare sulla folla uno sguardo smarrito, ma anche per gli spettatori, gli avversari - uno shock o forse un segnale.

Il signor Hire vacillò e fu lì lì per sfiorare una donna col gomito. L'uomo più vicino a lui ne approfittò per respingerlo con un pugno.

I pugni producevano sulla carne del signor Hire un suono strano, un suono così eccitante che a tutti venne voglia di sentirlo.

Aveva perso l'equilibrio, il senso dell'orientamento. Si alzava sulla punta dei piedi, perché tutti erano più alti di lui, e cercava di proteggersi il viso con il braccio piegato.

«Lasciatelo stare!» intervenne un poliziotto.

Ma erano almeno in trenta a bloccarlo. Il signor Hire era accasciato contro la pietra da taglio che fungeva da stipite del portone. Un sasso lo colpì alla mano, facendola sanguinare. Un calcio lo raggiunse alla tibia.

Un mormorio si levava da quella folla alla quale si ostinava a nascondere il viso con la manica nera del cappotto.

Non vedeva nulla. Indietreggiò, ma solo perché qualcuno lo spinse, a calci o a pugni. Percepì sotto la mano il battente del portone, sotto i piedi il selciato dell'androne.

Fuggì via più in fretta che poteva, balzò sui gradini della scala, tentò di aprire una porta socchiusa, ma l'inquilino gliela sbatté in faccia.

Il mormorio lo seguiva. Alle sue spalle la folla saliva e lui continuava a correre, ansimando, con gli occhi sbarrati. Le pareti, il corrimano, le porte avevano un aspetto ignoto. Cercava una via d'uscita, e non sapeva neppure più quanti piani avesse fatto.

Una porta si aprì e il signor Hire non si rese neppure conto che era la sua. Un uomo cercò di sbarrargli la strada, ma lui, chissà come, riuscì a sgusciargli tra le gambe. Continuava a salire, e tutto intorno a lui era nuovo. Non si era mai spinto fin lassù. Una vecchia, china sul corrimano, si mise a tremare e congiunse le mani.

La spinse da parte ed entrò in casa sua. La scala si fermava a quel piano. C'erano un fornello, un tavolo, un letto sfatto.

«Ammazzatelo!».

Questo diceva la folla, e altro ancora. Le urla si sovrapponevano in un frastuono universale, che una voce stentorea cercava di sovrastare: «Lasciatelo stare! Lasciate fare alla polizia!».

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