Copertina
Autore Georges Simenon
Titolo Gli intrusi
EdizioneAdelphi, Milano, 2000, Biblioteca 392 , pag. 198, dim. 140x220x16 mm , Isbn 978-88-459-1547-5
OriginaleLes inconnus dans la maison [1939]
TraduttoreLaura Frausin Guarino
LettoreAngela Razzini, 2000
Classe gialli , narrativa francese
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Pagina 13 [ inizio libro ]

«Pronto! Rogissart?».

Il procuratore della Repubblica si era alzato per rispondere al telefono, e adesso se ne stava lì impalato in camicia da notte, mentre dal letto la moglie lo fissava con aria interrogativa. Rogissart aveva freddo, soprattutto ai piedi, perché nella fretta non era riuscito a infilarsi le pantofole.

«Chi parla?».

Aggrottò le sopracciglia, e per far capire alla moglie chi era l'interlocutore ripeté:

«Loursat? È lei, Hector?».

La donna, incuriosita, gettò indietro le coperte e protese un braccio lungo e scarno verso il secondo ricevitore.

«Come dice?».

All'altro capo del filo, la voce dell'avvocato Loursat, che era cugino della moglie del procuratore, annunciò con calma:

«Mi sono trovato in casa uno sconosciuto... In un letto, su al secondo piano... È morto proprio nel momento in cui entravo nella stanza...

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Pagina 47

Di solito, verso le tre, faceva una passeggiatina intorno all'isolato, un po' come si porta fuori il cane, e come se tenesse al guinzaglio se stesso.

Questa volta, appena uscito, infranse la regola: si fermò, si girò, e rimase un momento lì, sul bordo del marciapiede, a contemplare la sua casa.

Impossibile capire che cosa provasse, e se quella vista lo rallegrasse oppure no. Era... straordinario, ecco! Vedeva la sua casa! La rivedeva come quando era bambino o giovanotto, la ritrovava come quando ci tornava in vacanza da Parigi, all'epoca in cui studiava legge.

Non era commozione. Del resto, per niente al mondo avrebbe mai riconosciuto di essere commosso. Si era imposto di fare il burbero.

Ma non era strano che... Insomma, in quelle famo- se serate, loro dovevano pur accendere la luce! E da fuori si doveva pur vederla filtrare dalle fessure delle persiane.

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Pagina 67

«Dunque, è stato Luska a presentarla... A chi? E dove?».

«Da Jo».

«Chi è jo?».

«Un ex pugile che gestisce il Boxing Bar, vicino al mercato...».

La cosa più strana, per Loursat, era la sensazione di vivere quel momento su due piani diversi. Lui era lì, ovviamente, seduto davanti alla scrivania, con i fianchi massicci sprofondati a occupare tutta la poltrona, e le dita dalle unghie poco pulite che frugavano fra i peli della barba. E alla sua destra c'era la bottiglia di vino, alle sue spalle la stufa, lungo le pareti i libri, insomma tutti gli oggetti a lui familiari, ciascuno al suo posto.

Solo che, per la prima volta, era consapevole di trovarsi lì, di essere Loursat, un uomo di quarantotto anni così grosso, così barbuto e così sporco! Ascoltava la voce a tratti esitante, a tratti spedita del giovane, che ormai guardava soltanto di sfuggita, e pensava:

«Sono stato anch'io così magro...».

Ma non aveva amici, lui. Viveva da solo, esaltandosi per certe idee, per certi filosofi, per certi poeti. Che tutto il male derivasse da lì? Cercò di rivedersi com'era allora, e soprattutto com'era con Geneviève quando le faceva la corte.

Intanto Émile Manu, che non poteva certo immaginare per quali spazi vagasse la mente del suo interlocutore, proseguiva con zelo:

«Sono andato lì, e proprio quella sera c'è stato l'incidente. Ho una fortuna, io! Come tutti, del resto, in famiglia. Mio padre è morto a trentadue anni...».

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Pagina 72

Loursat voltò loro le spalle per non far trapelare dal viso la consapevolezza della propria condizione d'inferiorità. Non gli restava che versarsi da bere, ma poi pensò che la cosa li infastidisse. Perché mai? Non bevevano forse anche loro? E la principale attività del gruppo non era forse quella di ubriacarsi, di far andare a tutto spiano il grammofono e di ballare?

Ma perché cercare delle giustificazioni? Nessuno lo aveva attaccato! Non sapeva neppure, visto che era girato di spalle, se manifestassero disgusto o soltanto riprovazione.

La verità...

Ebbene, sì, doveva ammetterlo, anche se la cosa gli pesava un po': la verità, quella che prima, forse già dal mattino, o addirittura da parecchio tempo, gli provocava una sorta di angoscia e aveva il sapore ripugnante della vergogna, era la consapevolezza della sua solitudine!

Solo, nel tempo e nello spazio! Solo con se stesso, con quel suo grosso corpo trasandato, con quella barba tagliata male, con quegli occhi sporgenti da fegatoso, solo con pensieri che ormai erano diventati stantii e con il vino che spesso gli dava la nausea.

Quando si voltò, aveva di nuovo la sua espressione truce.

«Be', cosa state aspettando?».

Loro, poveretti, non sapevano niente! Émile, che cominciava a perdere la sua disinvoltura, si aggrappava alla calma di Nicole.

«Posso accompagnarlo giù?» domandò la ragazza.

Loursat scrollò le spalle senza rispondere.

E appena i due si avviarono lungo il corridoio, andò verso il caminetto per guardarsi allo specchio.

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Pagina 117

Quello che lo sorprendeva di più era non tanto il fatto che fossero lì insieme, in quella cella semibuia, quanto la consapevolezza di porre delle domande più per curiosità che per dovere professionale.

E la sua non era neppure una curiosità generica, disinteressata. Voleva sapere per avvicinarsi di più al gruppo, per farne parte.

E il gruppo, di per sé, non significava niente! Era solo un ordine di cose, una vita nella vita, o per così dire una città nella città; un certo modo di pensare e di sentire, un pugno di esseri umani che, come fanno alcuni pianeti in cielo, seguivano una loro orbita misteriosa senza curarsi del grande ordine universale.

E proprio perché dei ragazzi come Manu e Nicole si erano posti al di fuori delle regole era difficile domarli. E lui aveva un bel fare gli occhi torvi, roteare quelle sue pupille acquose, girare in tondo come un orso, o meglio come un tricheco barbuto...

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