Autore Georges Simenon
Titolo Il Mediterraneo in barca
EdizioneAdelphi, Milano, 2019, Piccola Biblioteca 740 , pag. 190, ill., cop.fle., dim. 10,5x17,8x1,3 cm , Isbn 978-88-459-3393-6
OriginaleMare nostrum ou La Méditerranée en goélette [1934]
PrefazioneMatteo Codignola
TraduttoreGiuseppe Girimonti Greco, Maria Laura Vanorio
LettoreGiangiacomo Pisa, 2019
Classe viaggi , mare












 

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Indice


IL MEDITERRANEO IN BARCA                        9


Gli album di Simenon di Matteo Codignola      181


 

 

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Porquerolles, 23 maggio 1934 Il Mediterraneo è... Il Mediterraneo è... Il Mediterraneo...

Resto così, con la penna a mezz'aria, in seria difficoltà, come quando da bambino, in piedi davanti alla lavagna, spostavo il peso da una gamba all'altra e intanto cercavo con la coda dell'occhio un compagno compassionevole.

Il Mediterraneo è...

Eppure una definizione vorrei riuscire a darla; o perlomeno vorrei delimitare sin d'ora il campo delle mie osservazioni, con la stessa facilità con cui ho tracciato sulla carta nautica una linea spezzata che va da Marsiglia a Messina fino al Pireo, da Smirne a Beirut fino a Porto Said, da Malta alla Sardegna fino a Tunisi, Tangeri, Barcellona.

Il Mediterraneo è...

Ad esempio, in un quadro di Raoul Dufy, il Mediterraneo è una distesa d'acqua di un azzurro color liscivia, con tante piccole onde, un pullulare confuso di vele bianche e, a volte, la scia grigia di un piroscafo.

Per la maggior parte delle persone, il mare è questo: bagnanti in costume sulla spiaggia, giocatori nei casinò, pescatori nei porti, uomini in berretto bianco sugli yacht, e in lontananza, sulla linea dell'orizzonte, una nave che passa.

Per costoro il Mediterraneo è un mare vastissimo, dai contorni imprecisi, dove compare qualche vago punto di riferimento: Tolone e la sua flotta, Nizza e la sua giostra, Napoli e il suo vulcano, il Pireo con il Partenone; forse, da qualche parte, la Corsica e, sul lato opposto, gli arabi, i cammelli e la sabbia.

Ma il Mediterraneo non è niente di tutto questo. Il Mediterraneo è...


Tanto per cominciare, è piccolissimo. Non a caso viene definito bacino, ma faremmo meglio a chiamarlo córso.

Ed è un córso, ve lo garantisco, che assomiglia più di quanto possiate immaginare alla strada principale di una città di provincia.

Quando ci si incrocia, ci si saluta. Diciamo buongiorno a Pierre e a Emma, ad Akrim bey o a Pepito.

Un altro esempio: voi forse pensate che ci siano migliaia di imbarcazioni.

E invece a Porquerolles, dove mi trovo oggi, qualsiasi ragazzino sarebbe in grado di dirvi, nel veder passare le vele quadre di una goletta:

«È una nave italiana che va a prendere un carico di ferraglia a Tolone».

E, osservandola più da vicino, preciserà:

«Dev'essere il Toscana, di Livorno».

Questo non perché sia un mago, ma perché le golette italiane non sono tanto numerose e, quando vengono in Francia, lo fanno per portare il marmo e ripartire con la ferraglia.

La ferraglia viene caricata a Tolone, dove si trova il cantiere di demolizione delle grandi navi.

Vedrete che è proprio come incontrarsi sul córso principale di una piccola città. Due anni fa ho attraversato questo stesso mare a bordo dell' Angkor, un vecchio piroscafo che stava tirando le cuoia. Al bar troneggiava una meravigliosa lanterna giapponese su cui avevo messo gli occhi.

Da ieri è mia! Ho infatti ritrovato il mio vecchio Angkor nel cantiere di demolizione, già mezzo svuotato delle sue viscere, e ho comprato la lanterna. Ho comprato anche la scrivania del comandante e la porta del quadrato ufficiali. Volendo, avrei potuto aggiudicarmi pure la ciminiera!

Se avvistate una grande goletta in ottimo stato che, con il suo possente motore d'appoggio, sta facendo rotta per Marsiglia o Nizza, non potete avere dubbi, se si è tra febbraio e luglio. Buttate là con aria da intenditore:

«Arance!».

Sarà di sicuro una barca di Palma di Maiorca o di Valencia che trasporta tre o quattrocento tonnellate d'arance.

E quando vedrete...

Un uomo nato sulle sponde del Mediterraneo, che sia originario di Cassis o del Pireo, di Algeri o di Porto Said, non dice: «Guarda che bello yacht sta passando». Dice: «Quello è Zographos a bordo del Ryon, a Cannes è finita la stagione»; oppure: «Ecco l'ex kedivè che va a Istanbul»; o ancora: «E arrivato il duca di Connaught».

Questo perché le imbarcazioni non sono poi così tante. E nemmeno i porti. Quando, qualche settimana fa, ho deciso di prendere in affitto una barca a vela per una crociera di sei mesi, in un sol giorno ho fatto la conoscenza di tutte le barche ormeggiate fra Marsiglia e Mentone.

Tutte le barche, del resto, senza eccezioni, possono essere affittate o acquistate, compresa quella di Zographos.

Andare per mare è anche un modo per avvicinare le celebrità internazionali. Ve l'ho detto: è come passeggiare lungo il córso. C'è il sedici metri del giovane divo del cinema e il dieci metri del grande tenore, il modesto panfilo di un direttore di giornale e i due racer del magnate di una casa farmaceutica, lo yacht del banchiere americano e il ketch di un aristocratico inglese, il due alberi di un ministro egiziano e quello di un finanziere greco.

«Fate le Baleari?».

«No, quest'anno giriamo le isole greche».

Sono dietro l'angolo! Una volta attraversato il corridoio che separa l'Italia dalla Sicilia, svoltate a sinistra e ci siete!

«Chissà, magari incontrate mio cognato, che sta tornando da Smirne».

Sicuramente! Nel Mediterraneo ci si incontra sempre, che sia nella famosa taverna di Atene dove si mangiano i gamberetti arrosto, nel quartiere delle prostitute di Porto Said o negli ombrosi suk di Tunisi.

Le barche, nell'incrociarsi, si fanno dei gran gesti di saluto.

«Buongiorno!» dice il primo, dando fiato alla sirena.

«Goodbye!» risponde l'altro.

E il commissario di bordo spiega ai passeggeri:

«È un inglese che va in Australia!».

Il che significa che non è un vero uomo del Mediterraneo. Si limita a passare, senza neanche fermarsi!

Le persone che contano davvero sono quelle che vanno avanti e indietro, come i tram. Basta un'occhiata per capire chi c'è a bordo.

A luglio, per esempio, nei fumoir, ci si imbatte in tutti i grossi commercianti di Pera, che non si prendono neanche più la briga di guardare Atene o Napoli quando la nave ci passa davanti. Giocano a poker, puntata minima una piastra. Vanno a Vichy.

«Abramovič non c'è?».

«No, partirà la settimana prossima, con il Théophile Gautier».

«È vero che suo fratello, il mercante di tappeti di Parigi, è fallito?».

«Sì, bancarotta fraudolenta!».

Al Pireo salgono a bordo altre persone, altri mercanti, anche loro ebrei, cognati o cugini dei precedenti.

«Vichy?».

«No, quest'anno vogliamo provare Aix-les-Bains».

Nel frattempo, sulle navi che fanno scalo a Porto Said si imbarcano gli egiziani, attratti da Deauville e Paris-Plage. Parlano di cotone, di grano e di liberalismo.

Sulla terrazza del fumoir gli ufficiali delle truppe d'Oriente giocano a belote, mentre le mogli tengono d'occhio i bambini.

Anche loro si conoscono tutti.

«È sempre quel grassone di Coso, a controllare la piazza di Beirut?».

«Avete saputo che la moglie l'ha piantato?».

C'è anche la diva dei night-club che, reduce dalla sua tournée ad Atene, Istanbul, Beirut e Porto Said, si è imbarcata in terza classe. È un'ungherese, naturalmente. Non solo ha preso un biglietto di terza, ma ha pagato soltanto fino a Smirne.

Il che non le impedirà di arrivare a Marsiglia.

Dopo tre giorni di viaggio, non è più in terza, ma in seconda. A Napoli eccola sistemata, chissà come mai, in una cabina di prima.

«Avete conosciuto Lola?».

«Quella che gestiva un cabaret a Malta?».

«Ha sposato un armeno, e insieme hanno aperto un locale a Tunisi. Adesso si fa passare per francese».

«Ma se era russa!».

«No, albanese!».


Il sorvegliante della quarta classe, il cafedji, parla quindici o venti lingue e dialetti, e conosce tutti.

«Sono andati bene, gli esami?» chiede a una studentessa ebrea di Tel Aviv.

Infatti, ci sono dei ragazzi che dalla Palestina vanno a studiare in Francia e viaggiano sul ponte, con gli emigranti, mangiando fagioli e ceci nella gavetta.

«E a te, non ti hanno voluto, in Grecia?».

«Hanno detto che il mio passaporto non era in regola».

Sì, perché esistono persone che vengono fatte rimbalzare da una frontiera all'altra come palline da ping-pong. Non si sa di preciso quale sia la loro nazionalità. Eppure non sono loro a essere cambiati, ma i loro paesi! Ci sono greci che sono diventati turchi senza saperlo, e turchi che sono diventati greci.

Viaggiano con pacchi ingombranti, materassi, pentolame, un canarino in gabbia e nidiate di marmocchi.


Il Mediterraneo è...

È tutto quel che ho detto finora e tante altre cose.

Sono le uova in conserva che dalla Turchia vanno in Spagna e i granchi che dall'Italia vanno in Russia.

Sono i mercanti ebrei, armeni e greci che hanno bottega un po' ovunque, a Barcellona, a Tangeri, a Messina, a Corinto, ad Alessandria.

Sono tutte le imbarcazioni malandate che pullulano al largo delle coste greche, con i loro equipaggi sordidi ed eroici.

Sono le torpediniere che l'Italia vende a tutti i suoi vicini dell'Est e che vengono consegnate in serie, come salsicce.

Sono le isolette dalle pareti scoscese su cui cresce una vegetazione inaridita dal sole ma che diffonde nell'aria un profumo d'incenso.

Sono i turisti sballottati da un monumento all'altro, a cui tutti vendono souvenir, birra tiepida e cartoline.

È la gente che muore di fame alle pendici del Partenone e gli imbecilli che si suicidano a Montecarlo.

Ma il Mediterraneo è soprattutto...

Spesso, di notte, esco a pescare. L'acqua è così limpida che la luna rischiara perfino le alghe che si trovano a dieci metri di profondità.

Ecco! Uno spettacolo che i primi tempi, tanti anni fa, mi dava alla testa, come quando si beve un alcolico troppo forte o come quando si corre all'impazzata da una giostra all'altra nel brulicare di un luna park.

Perché il Mediterraneo non è soltanto l'acqua trasparente e pulita delle spiagge.

È anche...

È anche migliaia, milioni di pesci stravaganti, rossi e verdi, gialli e blu, picchiettati, a righe, zebrati, iridati, sempre in agguato, pesci che strisciano sui fondali come serpenti, che schizzano via come frecce, oppure se ne stanno immobili come buoi all'ingrasso, ma il cui solo scopo, la cui sola ragione di vita è divorare gli altri pesci.

Una volta, in una nassa, ho trovato un'aragosta che si era mangiata un polpo, ma che aveva pure perso una zampa. Un'altra volta, nella pancia di un grongo, ho trovato una mezza dozzina di pesci il cui volume totale era pari al suo.

I gabbiani segnalano il passaggio di un banco di sardine, e le sardine annunciano i banchi di tonni che seguono la flottiglia dei pescatori.

Il Mediterraneo è anche questo...

Ed è pure...

La mia goletta è arrivata ieri dall'isola d'Elba. È un solido veliero italiano che finora ha trasportato soltanto marmo di Carrara. Il mio capitano è biondo e non ha neanche trent'anni. I quattro marinai dell'equipaggio hanno ridipinto la barca dalla punta dell'albero maestro fino alla chiglia per presentarla al «Signore».

Partiamo domani. Non ci sono neppure le cabine, per cui dobbiamo usare delle amache, che abbiamo sistemato nella stiva o fra le sartie.

Tra ventiquattr'ore, o tra quindici giorni, saremo a Genova: dipende dal vento.

Sì, perché il Mediterraneo è anche il vento!

Quante cose rischiamo di dimenticare quando tentiamo di dare una definizione! Vento dell'Est, mistral o scirocco, significano porti devastati, raccolti distrutti, intere popolazioni floride o ridotte in rovina!

Dai giornali apprendo che a Parigi ci si preoccupa dei congressi di partito, di unità o mancanza di unità, oltre che di un delitto commesso dal figlio di non so più quale procuratore.

Qui, invece, ci preoccupiamo di sapere quale vento soffierà domani, e i miei uomini, sotto un sole che già picchia duro, fanno rotolare dei grossi barili d'acqua dolce che l'argano consegna a bordo cigolando.

Sulla piazza di Porquerolles la gente gioca a bocce, e il grande evento di cui tutti parlano è che da ieri in paese è arrivata la birra alla spina. Improvvisamente si vedono pance gonfie dappertutto.

Ecco, il Mediterraneo è anche questo!

Questo e tante altre cose che cercherò di raccontarvi, un po' alla volta, così come verranno, a seconda dei venti e delle correnti, e della direzione che la mia barca prenderà.

Una rivista «per intellettuali» di recente mi ha inviato un questionario:

«La cultura latina è in declino? Che fare per salvarla?».

Non saprei proprio, ma qui, sotto questo sole, a bordo di questa barca che i miei uomini non smettono di lucidare, mentre uno di loro tiene la fiocina puntata contro un grosso polpo che ondeggia sotto il pelo dell'acqua, la domanda non mi turba poi tanto, e fatico a immaginare i giocatori di bocce isolani che si spremono le meningi per rispondere.

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Avete un'idea della distanza che c'è tra l'Elba e la Sicilia? È praticamente l'intera lunghezza dello stivale: la tibia, per così dire.

Ebbene, una dozzina di giorni fa abbiamo lasciato l'Elba con la ferma intenzione di raggiungere Messina senza mai fare scalo. Poiché le consuete provviste d'acqua potabile mi sembravano insufficienti, avevo comprato dieci barili che, rivestiti all'interno - come vuole la regola - di uno strato di paraffina, sono stati poi riempiti d'acqua.

Sul ponte della goletta si udivano rumori inconsueti, che ben più che il mare aperto facevano venire in mente la campagna. Erano i pollastri e i conigli destinati al sacrificio quotidiano.

Aggiungeteci un po' di frutta e verdura, di scatolame e altre conserve, e avrete un bel quadretto di letizia e abbondanza.

Svegliarsi al mattino all'ignaro chicchirichì di un tenero galletto... Vedere la cuoca che, al sole, è già intenta a tritare aglio e cipolla... Un mare di raso cangiante come quello che certe signore eleganti indossavano prima della guerra... Un tuffo nella freschezza di un'acqua senza fondo, e la certezza di tante, lunghe ore vuote che niente potrà turbare, nemmeno il fastidio di un indumento superfluo...

Di tanto in tanto vi capita di inciampare in qualcosa di molle che bofonchia: è un marinaio che dorme in un angolo, discinto, con la bocca spalancata alla stregua dei pantaloni...

Un altro, accovacciato, si gratta via col temperino i calli sotto i piedi... Un terzo, dopo aver scavalcato il parapetto, si appende al bompresso per soddisfare direttamente nel mare terso quei bisogni elementari che, d'un tratto, si ammantano di poesia...

Un giorno, due giorni, tre giorni... In un'appiccicosa beatitudine ho riletto, incominciando forse a capirli, tutti i miei classici greci, e ho già in programma i latini.

Altri tre giorni. Il punto nave ci informa che siamo al largo di Napoli e allora, con lo stesso spirito con cui tanti vanno al cinema, viriamo verso terra. Non per sbarcare, no di certo! Semplicemente per cambiare un po' paesaggio. Si vedono da lontano migliaia di casette in riva alla baia e a destra, proprio là dove dev'essere, il Vesuvio emana il suo fil di fumo regolamentare.

Passiamo oltre. Scende la notte e ci avvolge dolcemente. Si dorme, o non si dorme: non ha nessuna importanza dormire a una cert'ora anziché a un'altra.

Vi ho messo la nostalgia nel cuore? Bene, è arrivato il momento di farvi una confessione: durante queste giornate idilliache siamo quasi sempre di pessimo umore! Devo lasciare di continuo Omero o Aristofane per dare un'occhiata alla banderuola attaccata in cima all'albero maestro. E i marinai fanno altrettanto. Quando i nostri sguardi si incontrano, ci scambiamo sospiri d'intesa.

Non c'è vento! E se c'è è contrario. Immaginate questo immenso cerchio di vuoto intorno a noi. La brezza può venire da qualsiasi direzione ed esserci sempre favorevole, eccezion fatta per una sottile porzione d'infinito che sta dritto davanti a noi.

Ed è sempre là che si va a cacciare! Non ci rimane altra soluzione che fare dei bordi. Andiamo al largo, fin quasi in Sardegna, e poi torniamo indietro nella speranza di aver fatto un po' di strada.

Ed ecco che rivediamo davanti a noi il Vesuvio che, poco prima, ci eravamo lasciati alle spalle!

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Dicevo, dunque, che ho giurato di...

Ebbene, è un giuramento difficile da mantenere! Ci vuole una certa dose di eroismo. Me ne rendo conto oggi più che mai, essendo arrivato davanti a una delle grandi porte del Mediterraneo, che è anche una porta del mondo e della Storia.

Ieri sono passato fra Scilla e Cariddi. E ho la tentazione di cimentarmi, su questo argomento, in una pagina poetica infarcita di erudizione.

Sarebbe più facile che dirvi: lo stretto di Messina è... è uno stretto, ovviamente! Da una parte c'è la Sicilia, con una città tutta bianca e l'Etna sullo sfondo del cielo. Dall'altra parte c'è la Calabria.

Ma è soprattutto - ed è sempre stato - il confine tra due mondi. Fino a Messina siete più o meno a casa, e le cose hanno ancora il loro valore, le parole come la luce, i colori come i sentimenti.

Oltre Messina, a dispetto della Grecia, è già un'altra cosa, è il Mediterraneo avanti Cristo, è l'Oriente, i popoli in marcia, le razze in pieno fermento.

Immaginate adesso, all'ingresso dello stretto, due correnti contrapposte, le famigerate correnti di Scilla e Cariddi, che creano turbolenze tali che il mare assume l'aspetto di un calderone. Gli stessi piroscafi riescono a passare solo con grande precauzione.

Ora, è di qui che sono venuti i Fenici, e poi i Greci... e passando per di qua la cultura è arrivata in Occidente...

Pensate, allora, ai negri del Ciad che, fra qualche secolo, indicando ai loro figlioletti le postazioni lungo le piste dei mezzi cingolati, diranno:

«È di qui che...».

Non sono altro che due vortici sull'acqua calma e iridescente dello stretto, e tutt'intorno i pescatori danno la caccia al pesce spada come se il mare non fosse mai servito a nient'altro.

Ho forse infranto il mio giuramento? No, perché non vi ho parlato di Archimede che, da una montagna che riesco a scorgere da qui, ha dato fuoco alle navi con uno specchio, né di Ulisse, né...

Ho lasciato Messina l'altro ieri e stanotte sono arrivato a Siracusa. Se leggete i racconti dei viaggiatori del passato, dall'antichità fino a Marco Polo, troverete sempre, a proposito di un porto dell'Asia Minore o di una qualsiasi città dell'Estremo Oriente, frasi come queste:

«... Abbiamo avvistato allora una grande città, affollata di templi e di fastosi palazzi...

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Insomma, nel bel mezzo del Mediterraneo c'è un'isola con i cannoni puntati verso i quattro punti cardinali e con padroni che vengono dalle rive piovose della Manica.

Sono dei colonizzatori!

E non aggiungo altro. Non ce l'ho con loro. Se fossi negro non mi piacerebbe affatto veder colonizzare altri negri. Se fossi cinese, rischierei la pelle per far ripulire Shangai.

Ma poiché navigo nel Mediterraneo, mi limito a non sentirmi a mio agio nell'ombelico del Mediterraneo, e mi affretto a impartire ordini per far ripartire la mia barca domani stesso.

E mi auguro che le donne continuino a vestirsi a lutto!

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Più invecchio e più trovo che il mondo funzioni in modo meraviglioso. C'è ancora qualcosa che non sia stato inventato per il bene dell'umanità?

Poiché c'è gente straricca che sente la necessità di perdere denaro nel modo più emozionante possibile, sono stati inventati i casinò e la borsa. I casinò significano abito da sera o smoking, cene di gala, sala privata, personale di gran classe, atmosfera elegante e tutta la messinscena necessaria, un gergo speciale, onori speciali, sigari e trafiletti sui quotidiani...

Ci sono altre persone straricche a cui il gioco non interessa e che hanno invece la mania di fare l'amore da mane a sera, per così dire.

Ne conosco alcune che si recano ogni anno in certe isole del Pacifico dove il clima è ideale e tutto è predisposto al loro piacere.

Anche laggiù sono previsti la messinscena, i comfort e il resto...

Ma c'è altra gente straricca che non ha niente da fare nella vita e a cui non interessano né il gioco né le donne. Ho conosciuto dei tipi così la settimana scorsa e sono rimasto stupefatto, proprio come ogniqualvolta mi accade di scoprire una nuova forza della natura.

Sappiamo forse chi li ha inventati, i casinò?

Non credo. Tutti e nessuno. Un interesse comune ha riunito un certo numero di persone, ed è stato creato lo scenario giusto.

I più insaziabili hanno scoperto, come guidati dall'istinto, gli amori hawaiani...

Ed è stato forse un altro istinto misterioso a riunire in questo angolino di terra chiamato Hammamet gli uomini che vi ho incontrato.

Dal punto di vista strettamente geografico Hammamet è un piccolo villaggio arabo, in riva al mare, fra Tunisi e Gabès. La costa è bassa. Un'ampia spiaggia di sabbia chiara, case bianche sotto il sole, una moschea, una caserma, qualche artigiano che fa vasi o sandali sulla soglia di casa.

Sullo sfondo palme e uliveti.

Niente lasciava presagire che Hammamet potesse avere un ruolo qualsiasi nella storia del mondo, e invece ora so che in certi ambienti, che sia in America, in Cina, in Svezia o in Scozia, è sufficiente pronunciare quel nome per avere subito un'aria da iniziati.

Hammamet è la mecca della pederastia!

Non sto inventando niente. È proprio questa l'espressione che hanno usato parlandomi di Hammamet, e ora so che non esageravano.

Così come alcuni ricconi hanno deciso, di comune accordo, di perdere il loro denaro a Deauville e a Cannes e non altrove, altri si sono riuniti in una specie di mistico convegno ad Hammamet.

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E un'altra cosa è destinata a rinsaldare il mio bravo comandante di porto nelle sue convinzioni circa la dignità umana: da quando gli italiani non si fanno più comprare, nel loro paese ci sono molti meno inglesi, americani e compagnia bella.

È proprio quello che dicevo poco fa: i turisti di quel genere vanno preferibilmente nei paesi in cui possono mettere i piedi sui sedili.

Ditemi voi, a che serve viaggiare se ci tocca essere beneducati come a casa nostra?

Forse ad Hammamet non ci sarebbero tanti pederasti se fosse proibito camminare a braccetto con un ragazzino baciandolo sulla bocca.

E forse non ci sarebbero tante dame inglesi e americane al Cairo se i direttori dei grandi alberghi non mettessero a loro disposizione dei domestici arabi eleganti come stalloni ma discreti come eunuchi.

Così funziona il commercio!

Vero è che nel frattempo i mariti di queste belle signore trafugano i tesori della Val1e dei Re.

Come hanno trafugato i fregi del Partenone, i reperti degli Ittiti e i vasi etruschi in tutti i paesi che, in un certo momento della loro storia, hanno accettato di buon grado mance e calci nel sedere.

E ora per favore non venitemi a chiedere se i turchi sono più felici da quando Mustafa ha detto quel che ha detto agli inglesi, né se gli italiani mangiano meglio da quando l'accattonaggio è stato messo al bando.

Non lo so. Anzi...

A Smirne, per esempio, ho conosciuto degli alti funzionari ottomani che guadagnavano novecento franchi al mese. Erano vestiti in modo decoroso. Si comportavano con tutta la dignità del caso.

«Perché non ci sediamo a bere un bicchierino di raki, qui all'aperto?» ho proposto.

«No, ci perdoni, ma non è possibile, non saremmo in grado di ricambiare...».

Neanche all'epoca del bakchich sarebbero stati in grado di ricambiare, ma si sarebbero presi il bicchierino, la bottiglia e persino il mio portafogli.

Lo capite, voi, se sono più felici adesso?

E agli italiani, che passavano il tempo a cantare romanze napoletane e a chiamare Eccellenza gli stranieri, ora gli fanno costruire uffici postali, stazioni, municipi e intere città.

Tanto che le mie idee sulla storia e l'architettura sono entrate in crisi. Ho sempre creduto che tutti i grandi monumenti dell'antichità fossero stati costruiti in epoche di immensa prosperità.

Che sciocchezza! Quando gli affari vanno bene, non c'è tempo per intagliare il marmo, e le banche più solide sono quelle che hanno l'aspetto più dimesso: quando gli affari vanno bene, tutti sono affaccendati, e poco importa che l'ufficio postale sia sporco e puzzolente se uno ci va per riscuotere un mandato di diverse migliaia di franchi.

Quando gli affari vanno male e la gente non ha niente di meglio da fare, invece...

L'Italia ha i più begli uffici postali del mondo, le stazioni più belle e...

E poi in Italia ci sono tanti di quei bachi che prima o poi faranno indossare a poliziotti e militari delle uniformi di seta.

Quanto a dire se il popolo sia felice, non sono mica il Padreterno!

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E così, forse un po' più di tre mesi fa, ho cominciato a scrivere il mio primo articolo, con la pretesa - ne sono convinto - di poter dare una definizione del Mediterraneo.

Se oggi qualcuno me la richiedesse, risponderei, un po' piccato: «Un campo di... golfi!».

E non è una battuta. Il Mediterraneo è proprio un campo di golfi, se mi perdonate il gioco di parole. È l'espressione più precisa della verità così come mi appare mentre scrivo queste righe, nudo, in una cabina in cui regna un dolce tepore di quaranta gradi e la zanzariera non impedisce alle mosche di annegare nel mio sudore.

Di golfi ce ne sono ovunque, sulle coste del Mediterraneo, e io comincio a conoscerli intimamente, dopo averli a lungo considerati, come chiunque altro, semplici entità geografiche.

Visto che finora non ho ancora attinto alla mitologia, permettetemi di servirmene almeno una volta. Di certo conoscete la storia dei figli di Eolo, inviati dal padre un po' dappertutto sulle coste: bambinoni paffuti che, da allora, non fanno altro che soffiare a pieni polmoni...

Sono passati diversi secoli, ma vi giuro che ci sono ancora, e mi sa che col passare del tempo sono cresciuti e si sono irrobustiti.

Ebbene, quando uno avvista la costa, che cos'è che cerca, per sbarcare? Un golfo. Ma ci sono i rampolli di Eolo, a volte anche due o tre in un solo golfo, piazzati in punti diversi.

E soffiano!

È da più di tre mesi, forse quattro - ho perso la nozione del tempo -, che i birbanti giocano a golf con la mia barca e io ormai non oppongo più alcuna resistenza.

Quando volevo raggiungere l'Italia, il vento che soffiava dal golfo di Genova cercava di sospingermi verso la Spagna. Un po' più a sud, il golfo di Napoli ha fatto di tutto per impedirmi di andare a Messina, sicché ora passo da un golfo all'altro, senza ostinarmi a volerne raggiungere uno in particolare.

Se pensate che stia esagerando, leggete i bollettini meteorologici: «Depressione sul golfo di Gabès»; «Burrasca sul golfo di Tunisi»; «Tempesta sul Golfo del Leone...».

Avevo fatto tanti bei progetti e tracciato sulla carta marittima un itinerario magnifico.

Ebbene, dall'Africa eccomi in Sardegna, e forse finirò alle Baleari, forse in Algeria, forse di nuovo a Genova.

In realtà non ha alcuna importanza. Innanzitutto perché è ovunque la stessa cosa; poi perché, dopo un certo tempo, ti ritrovi in uno stato di beatitudine che somiglia ai postumi di una sbornia: senza la nausea, in una condizione piacevole e per giunta persistente.

Ti svegli di buon mattino. Sali sul ponte. Vedi un promontorio, ovvero una massa più o meno chiara che si staglia sul mare.

È l'ingresso del golfo di Genova o del golfo di Biserta o di un qualsiasi altro golfo.

Verso mezzogiorno il promontorio si è avvicinato, e allora pensi: «Che bello! Stasera ceno in città!».

Sbagliato! Verso le quattro, il birbante di cui vi parlavo si diverte a soffiare sulle tue vele e la sera il promontorio ti sembra molto più lontano.

Di notte è più divertente, per via delle luci. Vedi il faro lampeggiare a venti miglia di distanza. Poi vedi brillare una fila di piccole luci, a indicare che sul molo punteggiato di bar con i tavolini all'aperto c'è gente in pantaloni bianchi che mangia gelati e ascolta musica.

Ti avvicini. Ti allontani. Alla fine ci arrivi.

... E trovi sempre gli stessi italiani, gli stessi greci, gli stessi ebrei e gli stessi francesi...

Quando non si riesce a entrare in un golfo, si fa scalo su un'isola, perché nel Mediterraneo spuntano isole un po' dappertutto.

Ed è sempre lo stesso spettacolo. Le isole sono montuose. Vette, quindi, più o meno brulle. Tra le vette, anguste valli dove crescono la vite, i pomodori, le melanzane, le pecore, i peperoni dolci, i fichi, i limoni, le olive e i cetrioli.

La barca entra in un'insenatura, si avvicina a un molo minuscolo dove altre barche a vela scaricano cemento o caricano vino. Qualche peschereccio; qualche ragazzino nudo che nuota intorno allo scafo; un bar dove si beve birra o vermut.

Se volete spingervi oltre, noleggiate un asino e, da qualche parte, in fondo a una gola, scoprite un altro paesino i cui abitanti si chiedono che cosa ci siete venuti a fare.

Golfi e isole! Questo è il Mediterraneo. Asini e pecore, peperoni e olive.

Senonché, capita che in un unico posto, a Siracusa per esempio, vi vengano mostrati, con aria sbadata, quattro o cinque diversi stadi di civiltà, se così si può dire: un tempio di Minerva che risale a prima di Fidia accanto a un anfiteatro romano internamente eroso da catacombe paleocristiane e sul quale si erge una chiesa bizantina.


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