Autore Simpson
Titolo Guida del cercatore d'oro della California
EdizioneSellerio, Palermo, 1993, Il divano 57 , pag. 146, cop.fle., dim. 10,7x15,5x0,8 cm
OriginaleThe Emigrant's Guide to the Gold Mines
EdizioneJoyce, New York, 1848
PrefazioneAttilio Brilli
LettoreLuca Vita, 2014
Classe viaggi , paesi: USA












 

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Indice


Un sogno americano di Attilio Brilli                       7


Guida del cercatore d'oro della California

Al cortese lettore in forma d'avvertenza                  21


Parte I. Come si diventa cercatore d'oro provetto

   I Scrivendo all'amico, l'autore gli narra d'aver
     contratto la febbre dell'oro.
     Verso la vallata del Puebla ed oltre.
     Pagliuzze d'oro in fondo alla tazza                  25

  II Digressione in cui si narra della prima scoperta
     dell'oro a Forte Sutter e dove si descrive il
     diffusissimo metodo del vaglio                       30

 III Riprende la narrazione: incontro coi cercatori
     nella valle del Sacramento e descrizione della
     regione aurifera. Come s'organizzano i cercatori
     e loro metodi di lavoro                              34

  IV Ove si narra dell'incontro con un cercatore
     indiano, la sua «squaw» e il fortunatissimo figlio.
     Ingenuità del selvaggio e bonomia dell'autore        38

   V Come si ricava il prezioso metallo. La «culla» ed
     altri strumenti di drenaggio e di setacciamento
     dell'oro. Primi cenni su come si riconoscono le
     regioni aurifere                                     43

  VI Si forma un nuovo gruppo di cercatori. L'autore e
     un compagno insegnano come esplorare le zone
     aurifere e osservare il fondo dei torrenti.
     Ricerche e delusioni. Il piccone da saggio e
     come usarlo                                          51

 VII Il fiume dall'alveo d'oro. La scoperta di un filone
     prodigioso. Si sposta il campo a monte.
     Primi assaggi                                        65

VIII L'autore e il compagno esplorano le inviolate gole
     della Sierra Nevada. Morfologia del territorio.
     Cosa insegnano i depositi alluvionali. Si scopre
     un immenso tesoro. Invito alla meravigliosa
     avventura nella California                           74


Parte II. Descrizione della California

   I Monterrey. San Francisco. Carattere della gente.
     Prolificità e vita longeva. Modi di vestire. Modi
     di viaggiare. Il gioco d'azzardo                     85

  II Il clima e la salubrità dell'aria. Caratteristiche
     geografiche. La Sierra Nevada. I fiumi. Prodotti
     agricoli. Animali domestici e selvatici. Pesci ed
     uccelli. Il fortino del capitano Sutter              96


Parte III. Avviso ai cercatori. Come giungere a destinazione

   I La via dell'Istmo di Panama                         123

  II La rotta di Capo Horn                               126

 III La pista delle Montagne Rocciose                    128

  IV La via del Nicaragua                                135

   V La via di Acapulco                                  138

  VI La via di Guadalajara                               139


 

 

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Pagina 14

Fin dal 1848 la scoperta dell'oro crea quello che oggi definiremmo un indotto di eccezionali proporzioni in una vastissima regione che manca di tutto: viveri, legname, vestiario, attrezzature, trasporti, medicine... L'ultimo, eccentrico anello dell'indotto è costituito dalle guide per quanti si accingono a partire per la California e quindi si mettono alla ricerca dell'oro. La guida del fantomatico Simpson — nome certamente di comodo — pubblicata a New York con sorprendente tempestività dall'editore Joyce and Co., nel 1848, è la prima di una nutrita serie che l'avrebbe seguita. Guida o esca per accendere le illusioni di migliaia di emigranti? Il dubbio è lecito poiché, mentre ci attenderemmo un pragmatico vademecum con informazioni sui luoghi, le distanze, gli itinerari, ci troviamo dinnanzi all'esaltazione di una nuova età dell'oro. La guida è ad un tempo ingranaggio dell'indotto commerciale e propulsore dei sogni dei nuovi emigranti. L'enfasi e la dissimulazione sono i veri ingredienti di queste pagine nelle quali l'autore sembra molto più interessato a imitare i canoni di un genere letterario, che a fornire informazioni di prima mano e di una qualche attendibilità.

La stessa divisione del libretto in due parti: il resoconto delle vicende personali nella zona mineraria con il vivace corredo di eventi, incontri, aneddoti, esplorazioni, e la raccolta oggettiva di dati sui metodi di estrazione dell'oro, sulla flora e la fauna, gli usi e i costumi degli abitanti, risponde ai criteri propri della letteratura topografica e di viaggio del XVIII secolo. La guida mantiene infatti un sostanziale equilibrio fra la suggestione narrativa delle avventure e la funzione didattica della documentazione, fra il diario e la storia, il dulce e l' utile oraziani. Più che un avventuroso pioniere, il nostro Mr. Simpson, è un abile manipolatore e cucitore di notizie, resoconti, relazioni — quelle citate di Mason e di Larkin in particolare — e un non sprovveduto cultore di letteratura di viaggio, visto che camuffa il proprio itinerario californiano nella forma epistolare, una forma molto più consona ai raffinati milordi del Grand Tour che ai rudi pionieri del West, e trova il modo di imitare Gulliver e Robinson.

L'abilità dell'autore della guida traspare anche da altri elementi in apparenza contraddittori. Il primo è costituito dall'attendibilità dei metodi di setacciamento, estrazione e depurazione del metallo descritti nel testo, così da catturare l'interesse e la fiducia del lettore. Il secondo è dato dallo stile pragmatico e disadorno con cui si descrivono situazioni favolistiche come l'avvistamento di torrenti dall'alveo d'oro. Il terzo è l'atmosfera benevolente che affratella i cercatori, i quali non rivelano traccia di brama o di egoismo. Una miscela che dà luogo ad uno dei miti centrali del Nuovo Mondo, alla moderna reincarnazione dell'età dell'oro. Soltanto più tardi scrittori come Mark Twain, Bret Harte e Jack London faranno della corsa all'oro una metafora della lotta per la vita.

La Guida del cercatore d'oro della California è forse il primo esempio di come si alimenta un mito su scala mondiale. Come nota il suo autore, dietro le migrazioni dei cercatori, dietro il vanificarsi delle illusioni di gran parte di loro, resta pur sempre una terra dissodata — per usare un'immagine biblica pronta per nuove generazioni di più laboriosi pionieri e di accorti imprenditori. Resta soprattutto, possiamo aggiungere, l'irrefrenabile impulso verso la «nuova frontiera». La più clamorosa conseguenza della corsa all'oro della California è infatti la penetrazione della cosiddetta civiltà nel continente americano, sino alla costa del Pacifico, e con essa il contributo dato dagli emigranti di mezzo mondo all'assetto definitivo della confederazione americana.

A. B.

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Pagina 25

I
Scrivendo all'amico, l'autore
gli narra d'aver contratto la febbre dell'oro.
Verso la vallata del Puebla ed oltre.
Pagliuzze d'oro in fondo alla tazza



                                                Addì 17 settembre 1848
                                                Monterey, California
Caro M...,

ottemperando alle tue richieste, passo a fornirti una serie di informazioni su questa terra meravigliosa. Come ogni altro del luogo, contrassi anch'io — è naturale — la febbre dell'oro; per cui, non appena il mio reggimento venne congedato e fui libero da doveri professionali, feci i preparativi per recarmi a San Francisco, un posto che, a quanto si diceva, era stato quasi del tutto abbandonato dalla popolazione maschile. Eravamo in quattro, compreso Charley H., che tu conosci.

Sistemate le nostre cose, ci mettemmo dunque in viaggio per San Francisco felici e contenti, pronti ad affrontare l'avventura nell'El Dorado. Felici e contenti perché, diciamolo pure, le favolose notizie che giungevano giorno dopo giorno, suffragate da prove altrettanto continue che sembravano sfidare l'incredulità, mi avevano acceso l'immaginazione. E poi nel corso del viaggio ebbi la dimostrazione di ciò che hanno sostenuto i filosofi: che nella ricerca si prova più alto diletto, se non maggiore felicità, di quanto se ne tragga dal possesso. Infatti sono sicuro che tutto l'oro di questo mondo non sarebbe stato in grado di suscitare in me quelle penetranti e nitide sensazioni che vi aveva instillato l'attesa.

Il giorno 21 giungemmo a San Francisco, da dove la nostra strada, fino a San José, una distanza di venti leghe, si snodò attraverso l'incantevole vallata del Puebla; mai terra più bella s'offerse a sguardo umano! Dall'una parte e dall'altra si stendevano a perdita d'occhio praterie tappezzate di fiori che sembravano intessute dei colori più amabili. Le tenui brezze eran sature di profumi e i rivi sinuosi, i quali svolgevano qua e là il corso delle acque chiare e dolci, gorgoglianti e spumeggianti al sole, aggiungevano alla scena la musicalità di quel basso, incantevole mormorio!

È una terra di grande feracità, ideale per stabilircisi. Non potei fare a meno di ripensare alla favola di quel vecchio che in punto di morte volle dar notizia ai figlioli di un tesoro nascosto nel podere; al che costoro furono spinti a rimescolare talmente il terreno che questo, con l'aiuto delle sementi, finì per dar corpo coi suoi prodotti alle loro brame di ricchezza. «Caso mai questa scoperta dell'oro si dimostrasse aleatoria», dissi fra di me, «il povero avventuriero dovrebbe pur sempre benedire la chimera che lo ha condotto in questo paradiso!».

Come sarebbe stato attraente il quadro se un gruppo di gaie casette e di ben sistemate botteghe avesse ravvivato la scena; invece vi regnava assoluta la solitudine, se non la desolazione. La vecchia missione di Santa Clara, sudicia e scalcinata, era l'unico segno di un qualche progresso in cui capitava di imbattersi; da qui la strada conduce al San Joaquín, che dovemmo guadare. Anche la campagna che si stende fra il fiume e Forte Sutter era fertile e quanto mai adatta alla coltivazione, ma ahimè, non un'anima viva! Messicani, americani, indiani, erano tutti scomparsi; la febbre dell'oro se l'era portati via. A Forte Sutter ci imbattemmo in alcuni lavoratori, i quali, tuttavia, non erano impegnati nei loro rispettivi mestieri, ma sembravano intenti a fare di qualsiasi oggetto un vaglio per l'oro.

Le miniere principali si trovano a una cinquantina di miglia a monte del forte, anche se iniziano molto più a valle, estendendosi su per il braccio del fiume Sacramento chiamato American Fork, fra burroni e fiumiciattoli che scendono dalle ultime propaggini dei grandi monti della Sierra Nevada. Fu in questa direzione che procedemmo; e dopo aver viaggiato per diverse ore, uno della compagnia si fermò per raccogliere un goccio d'acqua da un limpido rivo che gorgogliava ai nostri piedi e... guarda! sul fondo della tazza scintillavano pagliuzze d'oro miste a sabbia. Era la prima volta che ci trovavamo entro i confini dell'El Dorado, e qui c'era Pattòlo che scorreva accanto a noi sulla sabbia dorata. Era quasi buio allorché giungemmo al primo accampamento, dove si procedeva all'ultimo setacciamento. E pensare che per miglia e miglia avevamo cavalcato su filoni d'oro, di mercurio e di ferro, i più ricchi di questo mondo; mentre il terreno s'era dimostrato così piano e liscio che una comune carrozza l'avrebbe potuto percorrere con l'agio con cui percorre Broadway.

Durante il viaggio non potei fare a meno di notare come la gente avesse abbandonato ogni altra occupazione che non fosse quella di cercare l'oro, quasi ne avesse scordato il valore meramente convenzionale. Le poche case che si trovavano a fianco della strada erano abbandonate; i mulini apparivano inoperosi; mucche e cavalli se la spassavano in mezzo ai lussureggianti campi di frumento ormai destinati alla distruzione.

A Forte Sutter trovammo invece segni di vita e laboriosità: vi si scaricavano carri, vi si rifornivano empori e tutto avveniva con la massima alacrità. Nel capitano Sutter incontrammo una persona intelligente, ospitale, un vero cuor d'oro, il quale godeva della stima e del rispetto di quanti l'avevano conosciuto, grazie allo spirito liberale che aveva dimostrato nei confronti dei nuovi arrivati.

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Pagina 65

VII
Il fiume dall'alveo d'oro.
La scoperta di un filone prodigioso.
Si sposta il campo a monte. Primi assaggi



Questo avveniva non molto lontano dal campo dove avremmo impiegato le nostre energie quotidiane. I segni del suolo lasciavano intendere con facilità che tutta la zona, specie nella parte più alta, era di formazione geologica recente.

Non intendo annoiarti troppo con una descrizione meticolosa delle nostre fatiche; anzi, temo che le mie elucubrazioni possano esserti già apparse d'una prolissità intollerabile. Ma come ti ho spiegato, son qui in attesa degli eventi ed ho deciso da tempo di dedicare le ore libere a redigere questa relazione, con il fine di far cosa gradita a te e agli amici riferendo gli eventi straordinari che sono successi, nonché, nei limiti consentiti dal mio modo confusionario di scrivere, le maniere in cui son soliti operare i cercatori d'oro.

Avevamo lavorato con impegno indefesso per tutta la mattinata, senza miglior successo del giorno precedente. Deponemmo quindi gli strumenti per gustarci il pasto di mezzogiorno. Bevendo alla borraccia, Holmes disse che l'acqua era troppo calda e che avremmo dovuto cercare una sorgente fresca nei dintorni, tanto più che dalla configurazione del luogo non sembrava un'impresa difficile. Presi a salire su per un poggio, portandomi come Holmes assai più in alto di quanto fossimo giunti il giorno prima. Intorno scorgemmo numerose gole più anguste e profonde di quelle che avevamo esplorato. Posato il piccone, Holmes s'inoltrò in una forra portandosi appresso la borraccia e, dicendomi di aspettarlo, andò in cerca dell'acqua. Era scomparso da non più di cinque minuti allorché fui scosso da un grido di sorpresa alto e selvaggio. Affacciandomi all'orlo del botro lo vidi giù in basso in atteggiamento che tradiva meraviglia, incredulità e piacere. Nessuna arte sarebbe stata in grado di fornirne una raffigurazione così piena di grazia e di forza espressiva. Dalle sue fattezze spirava un'aria di trionfo non meno palese ed eloquente di quella che assunse il vecchio saggio greco allorché, dopo anni di ricerche, scoprì qualche fondamentale principio di scienza naturale e se ne uscì per strada al colmo della gioia gridando: «Eureka! Eureka! Finalmente l'ho scoperto! L'ho scoperto!».

Senza por tempo in mezzo, mi precipitai giù per la forra e lo raggiunsi.

«Guarda!» esclamò. «Lo sapevo che c'era».

E con aria d'orgoglio puntò il dito verso un piccolo rivo scintillante le cui acque fluivano limpide ai nostri piedi. Mi guardai attorno per capire cosa l'avesse colpito a quel modo, perché non poteva trattarsi soltanto della scoperta dell'acqua fresca. T'assicuro che la vista comunicò un brivido a tutto il mio essere. Per lungo tratto il fiume scorreva su un alveo d'oro. Ci chinammo entrambi con un misto di brama e di stupore. L'oro massiccio, incapsulato per così dire in una roccia grigiastra, era stato liberato dalla crosta di selce grazie al dilavare incessante dell'acqua. Questa, agendo da tempo immemorabile come un lene abrasivo aveva posto in bella vista quello scintillante tesoro. Corsi a prendere i picconi e cominciammo a lavorare attorno al banco di metallo. La pietra si dimostrò molto meno resistente del previsto, resa probabilmente friabile dallo scorrere dell'acqua. In breve tempo potemmo tirar fuori alcuni grossi frammenti d'oro purissimo.

Felici e contenti della scarsa fatica richiesta dalla nostra miniera, ci chinammo entrambi abbeverandoci alla fresca, ristoratrice acqua che sgorgava da un calice d'oro!

Holmes mi disse di tornare dagli amici, mentre lui avrebbe scelto il punto ove porre l'accampamento. Allorché riferii agli altri il successo ottenuto, se ne uscirono in grida di gioia e si prepararono subito a levare le tende.

In meno di un'ora i nostri compagni furono sul posto, pronti a mettersi all'opera. Lavorammo tutti quanti di gran lena e in capo a breve tempo ottenemmo risultati incredibili. Proseguimmo con analogo ritmo per cinque giorni filati. Poi ci accorgemmo che la roccia si faceva più dura man mano che si andava avanti e le vene aurifere sempre più immerse in profondo. Alla fine anche i picconi cominciarono a dimostrarsi inservibili. Il sesto giorno eravamo stanchi morti e, di comune accordo, stabilimmo di fare una pausa e di prendere una decisione. Avevamo via via insaccato il nostro tesoro in borse di pelle di daino, le quali, debitamente legate in cima, erano state riposte in una buca profonda scavata dentro la tenda e camuffata da una gran pelle di bufalo gettatavi sopra con noncuranza. A questo modo la terra da cui proveniva il nostro tesoro era tornata ad esserne la cassaforte. Decidemmo di tirare fuori l'oro e di porcelo davanti.

Quando ce lo trovammo tutto quanto sotto gli occhi, così squadernato, fu davvero una bella vista! Quelli che sapevano soppesare con lo sguardo giudicarono che doveva valere non meno di ventimila dollari.

Dalla faccia di un paio dei compagni, compresi che non vedevano l'ora di fare le divisioni ed entrare in possesso della loro parte. Tuttavia avevamo lavorato così bene insieme e con tale profitto che nessuno, credo, se la sentiva di proporre lo scioglimento della società. Alla fine qualcuno suggerì di concederci una vacanza. Fu a questo punto che prese la parola Holmes.

«Suvvia, ragazzi, capisco quel che volete tutti quanti, e quindi divideremo l'oro. Chi vuole scendere giù a Forte Sutter o alla baia, è libero di farlo. Non fugge mica la nostra miniera, mentre vi prendete una vacanza. Tuttavia vi consiglio di non abbandonarla, finché non vi sarete procurati qualche libbra di polvere, a meno che, naturalmente, non vi siate stancati dei doni della fortuna. Qualche mina sarà in grado di offrirvi ancora doviziosi raccolti, anche se il banco non è esteso quanto credevo da principio».

«E tu cosa farai?» chiese uno del gruppo. «Parli come se stessi per lasciarci».

«Bene, ragazzi, volere o non volere, mi sento così ricco ormai che posso permettermi il lusso di andarmene in giro come mi pare e piace. Tutto quel che desidero è vedere quella terra là», disse, puntando il dito verso i monti che digradavano dalle cime della Sierra Nevada. «Vi prometto comunque che, se avrò successo e voi sarete da queste parti, sentirete parlare ancora di me».

La proposta di procedere alla divisione incontrò l'assenso di tutti, per cui fu mandato un ragazzo a prendere a prestito una bilancia da un gruppo che lavorava più in basso. Nel frattempo Holmes si mise a preparare alcune provviste in modo da poterle trasportare nella maniera più agevole possibile. Presi Charley in disparte per sapere che intenzioni avesse e per proporgli un certo progetto, mio e di Holmes, di continuare le ricerche. Lui, però, non se la sentiva più di proseguire con noi e, pur manifestando un grande rincrescimento di doversi separare da me, disse che sarebbe rimasto. Volle comunque augurarmi tanta fortuna e felicità.

Giunta la bilancia, si passò a pesare e a dividerci il tesoro nella maniera più equa possibile.

Holmes ed io avevamo oramai deciso la strada da prendere, per cui, dopo aver salutato gli amici con grande affetto, salimmo a cavallo e ci mettemmo in viaggio, lasciandoli piuttosto incerti sul da farsi. La verità è che costoro non erano affatto propensi ad abbandonare un'impresa che si era rivelata tanto propizia; non ti nascondo che anch'io la consideravo poco meno che una follia. Tuttavia, non essendo di natura un avaro, e desiderando ardentemente svolgere ulteriori esplorazioni in questo stupefacente paese, tanto più che, se fossimo rimasti delusi, saremmo potuti tornare indietro con tutto agio e riprendere un lavoro assai redditizio presso il nostro giacimento, mi decisi ad accompagnare Holmes senza la minima costrizione.

La prima idea fu di trovare un sicuro deposito per il nostro oro, poiché si sarebbe dimostrato di notevole impaccio nel corso del viaggio. A tal fine ci dirigemmo dal capitano Weber, che distava solo qualche ora a cavallo. Da principio il capitano non voleva prendersi la responsabilità della custodia, ma alla fine accettò l'incarico rifiutando nel contempo con atto di estrema generosità la percentuale che gli avevamo offerta. Non posso fare a meno di render giustizia a quest'uomo eccezionale, il quale, malgrado le infinite occasioni di arricchirsi con il commercio, mai volle esercitarlo per alcun motivo, o scostarsi da una condotta di rigorosissima integrità.

Decidemmo di fermarci la notte da Weber, in modo da avere l'opportunità di predisporre tutto il necessario per il viaggio, ottenere alcuni generi di prima necessità e gustarci una notte di riposo. Mi rammaricai non poco di non aver portato con me un fucile, tanto più che, da quanto venni a sapere, i territori montani verso cui ci stavamo dirigendo abbondavano di selvaggina che avrebbe costituito una buona riserva alimentare. Fummo comunque in grado, per fortuna, di sopperire a questa carenza, essendoci capitata l'occasione di acquistare un buon fucile da caccia e una libbra di polvere Dupont da un tale che era appena arrivato, al ragionevole prezzo di trecentocinquanta dollari in oro! Naturalmente facemmo l'affare in un batter d'occhio. Holmes stabilì di seguire il ramo principale del Sacramento sino alla parte superiore della vallata, che si trovava a centotrenta o centoquaranta miglia. Era stato amico di uno degli uomini di Fremont e aveva quindi una buona conoscenza della zona.

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Pagina 88

Carattere della gente

I Californiani sono in genere indolenti e abbrutiti da un'infinità di vizi. Non si curano granché del benessere dei figli, destinati così a seguire le orme dei padri e a diventare un giorno dei cittadini indegni. Eppure, sebbene il vizio dilaghi tra gli uomini, la parte femminile della comunità, ne convengo, non sembra indotta in tentazione, anzi, vi sono pochi paesi al mondo dove, in proporzione al numero degli abitanti, si possono trovare così tante donne industriose, dedite alla castità e aduse a tenere un contegno irreprensibile. Trasecolo dunque di stupore quando penso che non si nota alcuna differenza fra le signore che praticano la virtù e quelle che conducono una vita immorale. Capita infatti sovente di osservare ai balli e in occasione di altri raduni pubblici una gran familiarità fra le due categorie. Questo trae spesso in inganno gli stranieri, che sono quindi propensi a formarsi un'opinione errata. A mio avviso, comunque, non c'è alcun dubbio che col passar del tempo, quando il paese avrà acquisito maggior stabilità, sarà giocoforza fare una netta distinzione fra le varie classi, e la società diverrà così più esclusiva, come nei paesi che hanno raggiunto un più alto grado di civiltà.


Prolificità e vita longeva. Modi di vestire

Davvero prodigiosa la fecondità dei bianchi di questo paese. Le coppie sposate con meno di cinque o sei figli si contano sulle dita, anzi ce ne sono addirittura centinaia che mettono al mondo da dodici a quindici rampolli. Sono pochi quelli che muoiono in tenera età, e chi raggiunge la pubertà può scommettere che farà in tempo a vedere i nipoti. Grazie a questo clima la gente è sempre campata fino a ottanta e persino cento anni, ignorando la maggior parte dei malanni che affliggono l'umanità. L'aspetto gagliardo e rubizzo di quelli del posto mostra il benefico influsso del clima; le donne, in particolare, hanno sempre un bel colorito roseo. Sono persuaso che gli americani affetti da tisi potrebbero benissimo venire qui, anziché recarsi a Madeira, nel sud della Francia, o in qualche parte dell'Italia: ne trarrebbero lo stesso giovamento.

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