Copertina
Autore Giordano Sivini
Titolo Compagni di rendite
SottotitoloMarchionne e gli Agnelli
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2013, Senza finzioni , pag. 168, ill., cop.fle., dim. 12x19x1,2 cm , Isbn 978-88-6222-347-8
LettoreGiovanna Bacci, 2013
Classe lavoro , paesi: Italia: 2010
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Indice


Introduzione
C'era una volta                                       3



La Cupola Agnelli                                     9

L'indispensabilità di Marchionne                      9
La Cupola e i dividendi                              13
Le rendite di Marchionne                             23


Lo spazio Marchionne                                 30

Al di qua del limite                                 30
La strategia industriale                             34
La strategia finanziaria                             49


Operai che si rompono                                60

Flessibilità bestiale                                60
Tempi morti e lavoro vivo                            63
L'operaio Jack                                       67
Newco                                                76


Chrysler, bel colpo Marchionne                       85

Fiat, global octopus                                 85
Nelle mani di Wall Street                            89
Il baratto                                           95


Resistenze operaie alla Chrysler                     98

Dalla cultura dei diritti alla cultura della povertà 98
Middle class e working class                        107
Rabbia e rassegnazione                              110


Uaw: il sindacato che piace a Marchionne            115

Dall'auto al gambling                               115
Compatibilità                                       123
Dal concessionary bargaining alla collaborazione    128
Lotte operaie                                       134


Epilogo
La parabola della Fiat                              138

Lenta agonia                                        138
Navigare a vista                                    141
La vita in produzione                               148


Poscritto                                           156



Note                                                158


 

 

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Pagina 3

INTRODUZIONE

C'ERA UNA VOLTA


C'era una volta l'auto Fiat.

A fine ottobre 2012, Marchionne ha annunciato che non ci saranno nuovi modelli. "Per la terza volta, con la condivisione totale di John Elkann e della Famiglia, rivoltiamo l'azienda", ha detto in un'intervista al "Corriere della Sere". "L'abbiamo fatto nel 2004, rifatto nel 2009 con Chrysler, ed è stata quella la mossa intelligente che ci consente ora di ridisegnarla completamente".

Ha avuto Chrysler in cambio di tecnologia Fiat e adesso rimette in piedi la Fiat con tecnologia Chrysler. "Oggi è grazie a Chrysler che possiamo far leva su Alfa e Maserati e andare a dare fastidio ai concorrenti dei brand premium". "Se non avessi avuto le architetture e le piattaforme della Chrysler, i motori base, i 2.300 concessionari americani mi sarebbe impossibile".

"Mirafiori e Grugliasco saranno la nostra arma per sfondare anche negli Stati Uniti. E di nuovo c'entra Chrysler: il suv della Maserati, che chiameremo Levante, lo possiamo fare perché abbiamo la piattaforma della Grand Cherokee". Sarà cancellata la Lancia, tranne la Ypsilon. Sparirà il marchio Fiat, che negli Stati Uniti è ancora acronimo di Fix-it, Tony. "Chi la compra, vuole guidare la 500, non la Fiat", dice Marchionne, e la 500 sarà il nuovo marchio "allargato a un'intera famiglia". Resta la Panda: sarà Fiat? "Non in America. Ma là il prossimo Freemont sarà di fatto un Pandone". Sono informazioni che, dopo gli annunci di imminenti chiusure di stabilimenti italiani, dovrebbero placare diffuse preoccupazioni e ridare credibilità sia a quei sindacati che in cambio di niente hanno consentito che operai senza difese venissero logorati di fatica, sia a quel mondo politico che ha assecondato questo disegno. Però, non è sicuro. Non ci sono documenti che diano concretezza a queste informazioni. E in otto anni Marchionne ha presentato otto piani; raramente ha investito quanto promesso; e quasi mai li ha rispettati.

L'ultimo, Fabbrica Italia, è stato l'arma di un ricatto fatto ai lavoratori, che i sindacati - tranne Fiom, Cobas e Usb - hanno sottoscritto senza chiedere impegni concreti di investimento. Negli Stati Uniti, quando Marchionne firma i contratti con l'Uaw - il sindacato dell'auto e delle case da gioco - deve elencare in dettaglio, stabilimento per stabilimento, posti di lavoro e investimenti; solo così ottiene di gestire le fabbriche come vuole, senza far sfigurare il sindacato.

In Italia è diverso, e neppure il governo interviene, nonostante il prolungarsi della cassa integrazione, la perdita di competenze, l'indotto in crisi. Per Mario Monti, che da capo del governo aveva accompagnato Marchionne a Melfi, un imprenditore è libero nelle scelte. Per Corrado Passera, già ministro dello Sviluppo Economico, sarebbe stato un buon risultato se Fiat fosse diventata una sottomarca di Chrysler. Claudio De Vincenti, suo sottosegretario, non conosceva i piani di Fiat, ma trattava le facilitazioni da concederle affinché esportasse.

La lettura che propongo dell'era Marchionne, basata su dati e documenti, va dalla Cupola Agnelli - le sue rendite e quelle di Marchionne - alle strategie produttive e finanziarie; dalle modalità di acquisizione della Chrysler e della sua riattivazione, alla storia dell'Uaw, sindacato modello per le nuove relazioni sindacali in Italia dominate dalla cassa integrazione. Cupola e rendite sono termini che utilizzo in senso proprio, senza preconcetti.

Marchionne pilota l'azienda a vista, con gli strumenti di navigazione che producono buone rendite per gli Agnelli anche in situazioni di crisi. Il valore di borsa delle Fiat è ora più basso di quando aveva preso in mano l'azienda, ma le azioni della Famiglia non quotate in borsa generano ogni anno interessi dal 12 al 16%. Lo spazio operativo di Marchionne è segnato da vincoli e obiettivi che impediscono lo sviluppo di un'attività imprenditoriale adeguata alla situazione di crisi. Sul piano industriale deve evitare i rischi; su quello finanziario deve massimizzare i dividendi.

La sua strategia industriale è caratterizzata dal management by stress a tutti i livelli di impresa; dalla riduzione sistematica dei costi di produzione; da investimenti funzionali alla sola domanda corrente del mercato dell'auto; dall'ampliamento delle capacità produttive realizzato con risorse pubbliche: in grande la Chrgsler, in piccolo lo stabilimento in Serbia, entrambi barattati con i governi in cambio di tecnologia.

Marchionne riesce bene fin quando il mercato tira, e per questo conquista prestigio negli Stati Uniti. In Italia perde invece la reputazione guadagnata quando i mercati italiano ed europeo trainavano la produzione. Negli Stati Uniti ha rilanciato Chrgsler tirando prontamente a lucido vecchi modelli. In Italia ha annunciato un piano fondato sul nulla, e due anni dopo una "svolta" accolta con diffuso scetticismo.

La sua strategia finanziaria massimizza i benefici della Famiglia, ma porta alla scomparsa di Fiat, non solo come insieme di modelli di auto, ma come casa automobilistica. La costituzione di Fiat Industrial per scissione da Fiat Auto priva quest'ultima della possibilità di attingere, nelle situazioni di crisi dell'auto, a risorse finanziarie dipendenti dal diverso ciclo economico delle attività industriali, ma aumenta i dividendi della Famiglia. Fiat Industrial, trasferita fuori dall'Italia, si fonde con la sua controllata Cnh, che macina utili sul mercato statunitense, per dare vita ad una nuova holding con sede in Olanda, da cui scompare il nome Fiat. Pagherà meno tasse e anche questo accrescerà i dividendi della Famiglia. Un percorso non diverso è prevedibile per la fusione tra Fiat e Chrgsler.

Le condizioni di lavoro in Fiat sono tali che le problematiche entrate nel dibattito politico, relative ai diritti in fabbrica, non sono riducibili a meri principi di democrazia. Riguardano i corpi e le condizioni di esistenza dei lavoratori. Sono stati eliminati i loro movimenti non immediatamente produttivi. Sono stati cancellati i pochi secondi che contribuivano ad alleviare l'affaticamento dentro cicli di operazioni che, alla catena di montaggio, scandiscono la giornata ripetendosi centinaia di volte. Sono state ridotte le pause. È stato triplicato il numero di ore straordinarie obbligatorie. I sindacati che hanno sottoscritto contratti, approvati da lavoratori sotto ricatto, si sono assunti la funzione di impedire la conflittualità in fabbrica.

La svolta nelle relazioni industriali in Italia è arrivata con la Chrgsler, una storia di finanza e di sfruttamento operaio. La Task Force di Obama, creando le condizioni finanziarie per realizzare il baratto con Fiat, ha sostenuto la pretesa di Marchionne di comprimere i salari, intensificare i ritmi di lavoro, eliminare il diritto di sciopero. Il sindacato ha accettato di passare dal terreno della "cultura dei diritti" a quello della "cultura della povertà".

Spazi e tempi di lavoro, saturati dalla crescente domanda del mercato, fanno emergere nelle fabbriche punti di rottura che il sindacato fatica a ricomporre. Tutta la storia dell'Uaw, il sindacato che piace a Marchionne, è scandita da tensioni tra base e vertice, e indica che un sindacato che fiancheggia il management non garantisce sul lungo periodo il flusso produttivo.

Marchionne sta liquidando la Fiat, sostituendola con prodotti e strutture societarie che meglio garantiscono la continuità delle rendite della Famiglia. Si attribuisce però il merito di averla salvata quando l'ha presa in mano, e di quella fama ancora gode. Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, dice: "In quella prima fase senza dubbio una serie di cose importanti che lui ha fatto per il risanamento dell'azienda gli va riconosciuta". La narrazione di uno storico serio come Valerio Castronovo è diversa. Attribuisce a Umberto Agnelli il merito di averla rimessa in sesto, prima che, alla sua morte, passasse nelle mani del nuovo amministratore delegato. Questo fa venir meno l'ultimo tassello della costruzione del mito Marchionne.

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Pagina 9

LA CUPOLA AGNELLI


La Famiglia ha consegnato la Fiat a Marchionne nel 2004, spaventata dalla prospettiva che il successore di Umberto la costringesse ad attingere ancora al proprio Tesoro per risistemare l'azienda. Marchionne la gestisce contenendo le spese di investimento entro i flussi di cassa e distribuisce dividendi. Prescelto da Gianni come successore, John Elkann, cresciuto negli anni, mette ordine nella Cupola di Famiglia assumendo il comando di tutti i gangli del sistema finanziario. Guadagna insieme alla Famiglia, e guadagna anche Marchionne, mentre la vecchia Fiat è in crisi.


L'INDISPENSABILITÀ DI MARCHIONNE

"Una Fiat senza Sergio Marchionne? Dio ce ne guardi e liberi", esclama Maria Sole Agnelli. Poi, a nome della famiglia, aggiunge: "Possiamo pensare di non averlo? È lui che ha questo nuovo modo di fare industria".

Maria Sole ha appena venduto 100mila azioni privilegiate Exor, residuo delle vecchie Ifi che aveva da tempo, incassando un milione 783mila euro. È sorella di Gianni e Umberto Agnelli, 88 anni, superstite della loro generazione con Marella Caracciolo, 86 anni, moglie di Gianni. Maria Sole avrebbe voluto far entrare Marchionne nella Accomandita Giovanni Agnelli & C., che è la cassaforte della famiglia Agnelli, ma John Elkann si è opposto. Spetta a lui decidere. Attraverso la società Dicembre, detiene la maggioranza delle azioni della Accomandita che "sarà sempre più", ha detto, "il luogo della famiglia e non dei manager operativi".

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Pagina 34

LA STRATEGIA INDUSTRIALE

La strategia industriale messa in atto da Marchionne, per restare nello spazio d'azione che rassicura la Famiglia, consiste nel massimizzare le risorse interne, eliminando sprechi e perdite attraverso il World class manufacturing e l'Ergo-Uas, e attraverso l'uso sistematico della Cassa integrazione; nel non interferire nelle attività produttive del Brasile e delle società come la Ferrari che assicurano profitti; nel cercare di espandersi dando in cambio la tecnologia di cui già dispone; nel dimensionare sui flussi di cassa le attività di ricerca e sviluppo e la ristrutturazione degli impianti rinunciando a competere sul mercato europeo; nel valorizzare su questo mercato quel che può avere dalla Chrysler.

Per realizzare queste linee strategiche, Marchionne ha eliminato la pachidermica gerarchia aziendale, rimuovendo dirigenti incapaci di recepire il nuovo messaggio e di resistere al suo management by stress, che ora pervade non solo il vertice, ma tutto il Gruppo attraverso il World class manufacturig (Wcm) assunto a principio organizzativo strutturante.


Wcm: eliminazione di sprechi e perdite

La riduzione dei costi è un obiettivo interno permanente, perseguito in Fiat e in Chrysler con la riconfigurazione dei processi operativi sia di progettazione che di produzione. Si deve produrre di più con meno.

Nella progettazione, Harald Wester - un ingegnere tedesco con esperienze in Volkswagen, Audi, Ferrari e Magna - arrivato in Fiat nel novembre 2004, ha standardizzato i moduli che definiscono l'architettura e la componentistica comune. Una stessa architettura vale per una pluralità di prodotti, "l'architettura della Panda è il punto di partenza della 500, l'architettura della Grande Punto vale anche per il modello Linea". Questo approccio ha cambiato il rapporto con i fornitori, ai quali, in passato, erano state delegate competenze per la progettazione dei sub sistemi. Ora viene loro affidata solo la realizzazione di modelli derivati, mentre il modello originario viene realizzato all'interno, accumulando quindi competenze distintive.

Inoltre, è stato accelerato il processo di sviluppo prodotto, facendo lavorare in contemporanea gruppi che un tempo sviluppavano in sequenza funzioni di concezione, ingegnerizzazione, produzione, marketing.

Nella versione Fiat, il sistema di World class manufacturing (Wcm) è intervenuto in modo specifico sui processi di assemblaggio per ridurre i costi, eliminando tutti quegli elementi oggettivi e soggettivi - macchine e lavoratori nella loro interazione reciproca - che, nella produzione, non creano valore.

"I tre zero della filosofia di Ohno - zero scorte, zero difetti, zero tempi morti - che nella lean production sono obiettivi organizzativi, nel Wcm puntano ad eliminare perdite e sprechi per massimizzare un valore aggiunto che chiamo valore aggiunto interno", spiega Giuliana Commisso. "Rispetto alle pratiche della lean production, la strategia muove dal management per obiettivi (i tre zero) al management della produzione di valore aggiunto interno, i cui risultati sono valutati comparativamente per essere trasferiti da un impianto ad un altro, da una cellula produttiva ad un'altra".

Poiché il risultato dell'attività si valuta in termini di valore aggiunto rispetto ai costi, l'eliminazione di sprechi e perdite genera risparmi nei costi e aumenta il valore aggiunto che, essendo un risultato tutto interno all'impresa, viene propriamente definito "valore aggiunto interno". Misurato rispetto al costo della produzione, è concettualmente diverso dal valore aggiunto che l'impresa realizza sul mercato, anche se può concorrere ad accrescerlo. Mira ad abbattere i costi prescindendo dal volume delle vendite, e a minimizzare i rischi d'investimento.

Il conseguimento di livelli di eccellenza puntuali e valutabili, comparativamente a livello di aree e di stabilimenti, è suscettibile di tramutarsi in offerta a terzi di una tecnologia che aumenta il valore aggiunto interno: per esempio, la cessione di linee o di stabilimenti con processi produttivi avanzati e forza lavoro flessibile, proposta di recente a Mazda e Suzuki e già realizzata nello stabilimento Fiat di Tichy, in cui la Ford produce la Ka.

Nel quadro del Wcm, l'Ergo-Uas è un sistema specifico che, con lo stesso obiettivo di eliminare perdite e sprechi per massimizzare il "valore aggiunto interno", interviene sulle postazioni di lavoro con innovazioni incrementali derivate da analisi ergonomiche, consentendo di eliminare tutto ciò che nei movimenti dei lavoratori è considerato uno spreco e, con ciò, di aumentare la produttività.

Corollario del Wcm e dell'Ergo-Uas è un quadro contrattuale che attribuisce all'azienda il controllo esclusivo sui comportamenti dei lavoratori dentro e fuori la fabbrica: movimenti, pause, straordinari, turnazioni. Già nella filosofia della lean production, le singole Unità tecnologiche elementari, in cui è organizzato il processo produttivo, erano state concepite come unità di conto, ma la realizzazione del massimo possibile di produttività era demandata all'autoattivazione dei lavoratori che le compongono. La nuova strategia comporta l'adeguamento flessibile di tutti alla minimizzazione dei costi, misurata comparativamente e competitivamente sulle performance di unità dislocate su scala globale.

Marchionne ha fatto applicare il Wcm a Cassino nel 2005, poi a Melfi, poi ancora a Mirafiori e a Tychy, estendendolo infine a tutte le aziende del Gruppo; e fa pressioni per l'adozione da parte delle aziende esterne alla fabbrica, a monte e a valle dell'assemblaggio. In Italia, tra il 2006 e il 2009, Fiat ha dichiarato un risparmio di 730 milioni di euro con il Wcm. Alla Chrysler si è trattato di risparmi per 316 milioni di dollari nel 2010, 239 nel 2011 e 260 nel 2012.

Introducendo il Wcm alla Chrysler, ha trovato i dirigenti del sindacato statunitense lieti di poter vedere in opera "uno di quei sistemi di ispirazione giapponese di miglioramento continuo basati sull'eliminazione degli sprechi e sul controllo di qualità visti già molte volte, ma raramente messi in opera negli stabilimenti a causa del disinteresse del management".

Si può far rientrare nella logica dell'eliminazione di sprechi e perdite l'utilizzazione sistematica e prolungata in Italia della Cassa integrazione che rende la forza lavoro estremamente flessibile e legata all'azienda, attraverso l'uso di fondi pubblici.

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Pagina 63

TEMPI MORTI E LAVORO VIVO

Un gruppo di operai di Mirafiori si era trovato a discutere dell'introduzione dei carrellini. L'azienda l'aveva preannunciata in varie riunioni con i sindacati, spiegando che, nella logica del Wcm, avrebbero contribuito ad eliminare gli sprechi. In fabbrica erano stati tracciati sul pavimento i percorsi che gli operai facevano per prendere e riporre i pezzi per le operazioni di montaggio. Evidenziando questi "spaghetti", era stato reso evidente che i secondi necessari per percorrerli diventavano, nell'insieme, minuti e ore di cammino, dunque, uno spreco da eliminare. Sarebbero stati i carrellini a portare i pezzi da montare e gli operai non si sarebbero più spostati.

Nella discussione erano emerse posizioni diverse, ma tutte riflettevano la consapevolezza che sarebbe stata l'azienda a trarre vantaggi dall'innovazione. "Con il Wcm tutti i pezzi sono più vicini alla postazione. Prima dovevi fare quattro passi per andare a prenderli, ora è sufficiente una torsione del busto. Passi in meno, secondi in più per lavorare sulla linea". "Lo 'spaghetto' è un tempo morto per l'azienda, invece con i carrellini non devi più andare a fare 'sti passi e sarà tutto tempo vivo (...). Tutti i tempi morti li avremo vivi e lavoreremo continuamente".

Per gli operai del montaggio, recarsi a prelevare i pezzi era "relax". "Distendi i nervi, distendi i muscoli, ti rilassi un po', saranno cinque secondi ad andare e cinque al ritorno, una sciocchezza ma intanto stacchi". "Se il sindacato accetta si deve vergognare. Com'è organizzato adesso, almeno nel tempo che cammino respiro". Per gli operai della saldatura era diverso. "Quando arriveranno 'sti carrellini sarà cosa buona perché almeno ti scarica un po' di fatica dalla schiena. E poi, sai, sulle saldature i tempi sono quelli, devi posizionare, chiudere, c'è il tempo che deve stare chiuso e poi si apre, altrimenti la saldatura non la puoi fare".

A Mirafiori, i carrellini arrivarono nel 2008. In un arco di tempo relativamente breve gli "spaghetti" furono aboliti in altri stabilimenti. Con il Wcm, l'innovazione realizzata in un sito viene diffusa negli altri. "Al rientro in fabbrica spesso è capitato agli operai di confrontarsi con soluzioni organizzative inedite che accrescevano il vincolo alla postazione lavorativa, con modifiche dei cartellini di lavoro che andavano a incrementare la saturazione delle postazioni, ossia la quantità di lavoro utile per l'azienda".

Diversamente dalla retorica, il Wcm procede per soluzioni decise dal management che prescindono dal coinvolgimento dei lavoratori. Quando Luciano Massone, responsabile del sistema, magnificando la partecipazione, dice che la Fiat raccoglie milioni di suggerimenti, si riferisce ad una fase propositiva che è residuale rispetto alle innovazioni incrementali che realizza il Wcm. Nell'azienda, dalla direzione centrale all'Ute di fabbrica, operano gruppi di lavoro con diverse competenze tecnico-ingegneristiche e gestionali che svolgono attività finalizzate all'eliminazione di sprechi e perdite, realizzando obiettivi di riduzione dei costi stabiliti periodicamente. Sottopongono ad analisi sistematiche tutta la filiera produttiva e controllano l'efficacia dell'assetto corrente dei fattori di produzione, nella loro combinazione di macchine e uomini, per individuare aree di criticità. Vanno in profondità con analisi a imbuto, lavorando su aree sempre più ristrette in cui emergono opportunità di miglioramento, che vanno valutate in termini di costi/benefici. "I processi che non possono essere misurati non possono essere migliorati", dice Luciano Massone, che sta al vertice del sistema Wcm di Fiat e Chrysler.

Su queste aree procedono, a passi successivi, dalla definizione del problema alle modalità di intervento. I risultati sono posti all'esame di altre aree dello stabilimento e diffusi ad altri stabilimenti che, impegnati in permanenza nella ricerca di sprechi e perdite, devono verificarne l'adeguatezza e l'adattabilità alle condizioni operative specifiche. Un punteggio, assegnato in base ai miglioramenti realizzati, mette tutti in competizione entro un sistema premiale. Un gruppo di lavoro esegue il monitoraggio e la valutazione dei traguardi raggiunti, che a livello di stabilimento sono espressi in termini di bronzo, argento, oro e world class, e comporta ricompense per i dirigenti. Con il contratto del 2012, i lavoratori degli stabilimenti che conseguono il livello argento riceveranno 200 euro, il livello oro 500.

Sono attività di questo tipo che hanno prodotto i carrellini che eliminano gli spostamenti, le prese che fanno ruotare di 45 gradi le scocche per facilitare le operazioni, le linee di pre-allestimento che riforniscono le postazioni dall'esterno della linea di montaggio, così che sia possibile avvicinarle le une alle altre e ridurre i tempi di attraversamento delle scocche, e tanto altro.

Osserva un operaio della nuova Pomigliano: "Certo qualche miglioramento rispetto al passato c'è. Le macchine si alzano e si abbassano, ce le troviamo davanti, non siamo più costretti a stare con le braccia alzate o in posizioni scomode. Però, questo miglioramento è a tutto vantaggio dell'azienda. Perché ora si corre come pazzi. E decidono tutto loro. La linea normalmente va a 364, cioè 364 auto prodotte per ogni turno. E già a questa velocità non hai tempo di bere un bicchiere d'acqua. E se sei raffreddato manco il naso ti puoi soffiare. L'altro giorno siamo saliti a 371 auto, e poi a 378. Non ce la fai più, e ti imbarchi".

Rispetto a questa produzione continua di innovazioni incrementali, il coinvolgimento dei lavoratori ha una funzione residuale ma non meno importante. Serve per verificare che gli effetti sulla qualità del prodotto e sulla fluidificazione del processo lavorativo siano conformi alle aspettative di chi ha realizzato le innovazioni. Richiede un'attenzione continua a tutto ciò che fluisce nel campo di azione, che può stimolare proposte di microinterventi: pre-colorare fori e viti che vanno a combaciare, smussare angoli di un supporto, apportare modifiche ad un attrezzo, eccetera. Ad ogni stabilimento vengono assegnati obiettivi quantitativi per la raccolta di queste proposte e spetta ai capi Ute sollecitarle.

L'ingegnere Garofalo, direttore di Fabbrica Italia Pomigliano, spiega come questo avviene. "Lo sforzo più grande lo abbiamo fatto sul coinvolgimento degli operai. Ogni squadra deve presentare trenta proposte di miglioramento l'anno. Una ci ha fatto risparmiare 65mila euro". I suggerimenti sono trasmessi alla direzione dai capi Ute. Mario, a Pomigliano, è uno di loro. "Il suo potere è da piccolo manager, dà permessi ai 'suoi' operai e li propone per i premi. Formula proposte di miglioramento (8.000, finora) e ferma la linea se trova un componente imperfetto".

Quando interessano, i suggerimenti sono premiati, ma il premio è esiguo. "Prima, le ricompense erano decisamente migliori: che so, un cinquanta euro in più in busta paga. Adesso, invece, non si tratta che di sciocchezze: la magliettina, l'orologino, lo zainetto, eccetera". I capisquadra, poi, gestiscono le proposte in modo particolaristico-clientelare e i dirigenti non esplicitano i criteri con cui vengono assegnati i premi. "L'azienda mi ha risposto che dava questi soldi a questi lavoratori perché erano più bravi, quelli che lavoravano meglio, ma in realtà erano quelli più vicini ai capi Ute, quelli che non partecipavano mai agli scioperi".

Nel bilancio di sostenibilità 2011 si legge che nell'anno sono state presentate 1,6 milioni di proposte di miglioramento da parte dell'80% dei lavoratori, con una media di dodici pro capite.

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RESISTENZE OPERAIE ALLA CHRYSLER

Al primo incontro, Marchionne ha avvertito il presidente del sindacato statunitense dell'auto che avrebbe dovuto cambiare il terreno della contrattazione, passando dalla "cultura dei diritti" alla "cultura della povertà". Lo strumento per percorrere questa strada è quello del grande ricatto: lo scambio tra conservazione del posto e peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Ci aveva già pensato Bush quando la Chrysler era al collasso, condizionando il prestito del governo alla compressione dei salari. La Task Force di Obama ha garantito a Marchionne sei anni senza scioperi, un tempo sufficiente per realizzare la metamorfosi. Il sindacato ha ceduto su tutte le richieste, ma al momento del rinnovo del contratto ha rischiato grosso. C'è una classe operaia che non si rassegna.


DALLA CULTURA DEI DIRITTI ALLA CULTURA DELLA POVERTÀ

Marchionne ha ricevuto la Chrysler liberata dal peso dei debiti, insieme ad una dote per la sua ripresa produttiva. La dote, gravata da interessi molto alti, è stata restituita rastrellando denaro sui mercati finanziari, così che gli interessi si mangiano una quota di utili, maggiore della massa salariale. Per non rischiare il posto, i lavoratori hanno dovuto accettare, con il contratto del 2009, un drastico peggioramento dei salari e delle condizioni di lavoro. La contrapposizione tra "cultura della povertà" e "cultura dei diritti" è l'esplicitazione del terreno su cui Marchionne ha deciso di muoversi, negli Stati Uniti come in Italia.

In una Detroit sconquassata dalla crisi dei subprime, con operai costretti ad abbandonare le case nelle mani delle banche creditrici, Marchionne aveva aggredito Gettelfinger, il presidente del sindacato. "Marchionne cominciò [la riunione] con Gettelfinger dandogli una lezione sulla necessità per i lavoratori dell'auto di perseguire una 'cultura della povertà' invece che 'una cultura dei diritti'. (...) Fu un disastro". Il presidente del sindacato credeva che con Obama, sostenuto e finanziato dal sindacato, la situazione fosse cambiata. Invece fu messo "con le spalle al muro" dall'intervento televisivo del presidente, che aveva sostenuto la necessità di sacrifici.

Dal 2007, al tempo di Bush, il sindacato aveva ormai imboccato la strada della "povertà" con il contratto che Nardelli aveva imposto quando Cerberus era subentrato alla Daimler nella proprietà della Chrysler. Aveva accettato che i nuovi assunti ricevessero mezzo salario. Con famiglia a carico, senza assistenza malattia e senza pensione, erano materialmente prossimi alla soglia ufficiale della povertà.

Gettelfinger si era fatto conoscere per le buone relazioni con il management e per la disponibilità a "concessioni che fino ad allora erano state considerate un'anatema". Aveva fatto parte, in Germania, del consiglio di azienda della Daimler in rappresentanza dei lavoratori statunitensi. Tra la sorpresa degli analisti, aveva accolto positivamente la vendita a Cerberus, quando tra i lavoratori prevaleva l'idea che un fondo privato d'investimento fa strip and flip, depreda e se ne va, idea condivisa anche da Buzz Hargrove, presidente del sindacato canadese dell'auto.

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Nella contrattazione, Marchionne ha mirato ad abbassare ulteriormente il costo del lavoro. Il nuovo contratto, ha rilevato il quotidiano locale, "è sostanzialmente meno generoso" di quelli appena conclusi dal sindacato con Ford e General Motors, approvati dal 63-64% dei votanti. Prevede un bonus una tantum di 1750 dollari e un altro di eguale importo quando la Chrysler "raggiungerà la stabilità finanziaria", alla Ford il bonus è di 6mila dollari, alla General Motors di 5mila; un bonus annuale di 500 dollari, alla Ford 1500, alla GM 1000; un premio di produttività di 85 centesimi per ogni milione di profitti realizzati dall'azienda sul mercato del Nord America, 1 dollaro alla Ford e alla General Motors; un bonus di 500 dollari per gli stabilimenti che raggiungeranno gli obiettivi di qualità della World class manufacturing, un minimo di 250 dollari come premio di qualità alla Ford e alla GM. I nuovi assunti avranno aumenti salariali graduali nei prossimi anni da 15,78 a 19,28 dollari, con qualche copertura sanitaria.

I risparmi sul costo del lavoro sono stati fatti cancellando un rilevante numero di mansioni specializzate, senza contropartita, per gli skilled worker in servizio e pagando a salario ridotto tutti i nuovi assunti, anche oltre il limite del 25% previsto dall'accordo del 2009.

Bob King si attribuisce il merito di aver avuto come contropartita l'impegno di Marchionne, inserito nel contratto stabilimento per stabilimento, per 4,5 miliardi di investimenti e 2.100 assunzioni. Ma si tratta di previsioni già iscritte nel piano operativo quinquennale dell'azienda e le nuove assunzioni saranno a salario ridotto.


RABBIA E RASSEGNAZIONE

L'accordo del 2011 è stato accolto con rabbia o con rassegnazione. "Con i bonus e qualcos'altro, non ci ridanno ciò che ci hanno tolto negli ultimi anni (...). Anche se come salario e indennità restiamo dove siamo, penso che molti di noi lo ingoieranno anche questa volta. Troppe persone nelle nostre comunità sono state colpite duramente – hanno perso il lavoro, e anche le loro maledette case".

Dopo un periodo di blackout informativo per impedire il fluire delle notizie dalle fabbriche che votavano contro il contratto, il 27 ottobre 2011 l'Uaw ha comunicato i risultati del voto. Il 54,6% del complesso dei votanti lo ha approvato, ma, tra questi, il 55,6% degli specializzati ha votato contro. L'astensionismo è stato alto, tuttavia l'Uaw non ha fornito dati sull'affluenza alle urne.

Il Detroit News, che nei servizi giornalistici ha sostenuto il contratto, ha commentato:

La decisione di non comunicare sulla pagina Uaw-Chrysler di facebook i risultati [dei singoli stabilimenti], a differenza di ciò che era stato fatto per Ford e GM, aveva già ingenerato sospetti tra gli iscritti al sindacato nei confronti dei dirigenti dell'Unione. La ratifica da parte di una maggioranza risicata, alimenta la diffidenza degli iscritti scontenti. L'opinione di molti, lavoratori e osservatori, è che questo contratto non sarebbe passato se ci fosse stata la possibilità di ricorrere allo sciopero.

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LA VITA IN PRODUZIONE

"Quando Marchionne è arrivato a Torino, accolto come il salvatore, ci disse che il costo del lavoro per produrre automobili incideva solo per l'8% del costo totale; ora il 'nostro' Amministratore Delegato si accanisce per mettere in produzione la nostra vita intera, dentro e fuori dalla fabbrica, per regalarci un presente difficile e toglierci ogni prospettiva di futuro", scriveva il Collettivo Mirafiori nel novembre 2011, aggiungendo: "Non si possono addossare colpe ai lavoratori per la mancata innovazione, per l'assenza di nuovi modelli, per la debolezza dei prodotti sui mercati".

Marchionne si sottrae a queste responsabilità e lamenta la scarsa produttività degli stabilimenti italiani, comparandola con quelli che la Fiat ha all'estero. La comparazione non regge, solo che si guardi alle condizioni di lavoro e di reddito a cui sono condannati gli operai italiani, sopraffatti dai bollettini aziendali di guerra, che settimana dopo settimana confermano la loro situazione precaria.

Marchionne è anche responsabile del clima di divisione creata in fabbrica, imponendo, con il ricatto della disoccupazione, contratti che eliminano le funzioni dei delegati sindacali. Nel luglio 2012, incontrando i sindacati che li hanno sottoscritti, ha ribadito che "per confrontarsi con la concorrenza internazionale è indispensabile che venga garantito il rispetto e la condivisione, da parte di tutti, delle condizioni a suo tempo concordate tra l'azienda e i sindacati nel contratto collettivo di lavoro del gruppo", perché "oggi è quasi impossibile lavorare in una situazione di assoluta incertezza per quanto riguarda l'applicazione di norme di legge e di contratto".

Tutti sanno, ormai, che il problema non è questo. "Il grande rebus: riportare il coefficiente di utilizzo degli impianti ai livelli competitivi è un impegno colossale: può bastare il 'modello' di accordo sottoscritto da Fim, Uilm, Fismic e Ugl il 23 dicembre scorso?", si domandava Massimo Giannini su "La Repubblica" il giorno del referendum di Mirafiori.

Nessuno realisticamente lo può credere. Non può bastare la rimodulazione dei turni su quattro diverse tipologie. Non può bastare la riduzione di dieci minuti delle pause giornaliere infra-turno. Non possono bastare le 120 ore annue di "lavoro straordinario produttivo". Non può bastare il disincentivo all'assenteismo (...). Non può bastare nemmeno la "nuova metrica del lavoro" imposta dal famigerato metodo "Ergo-Uas" (...). Il problema della produttività non si risolve così, senza una strategia sull'innovazione di prodotto. Produrre di più per fare che cosa? (...) La Fiat non è in affanno perché la sua offerta, sul piano dei volumi, non riesce a soddisfare la domanda. Non è in affanno per ragioni di quantità, ma di qualità.

Perso l'orientamento ora che il mercato non gli indica la direzione, Marchionne a volte perde anche il senso della misura. "Dei 4,1 miliardi di utile operativo che abbiamo dichiarato nel 2011, non un solo euro è venuto da questo Paese – non uno", ha detto nell'intervista a Bill Emmot per il film Girlfriend in a coma. "Abbiamo più di 260mila dipendenti nel mondo. All'incirca 80mila in Italia. Non posso dire agli altri 180mila che il loro ruolo nella vita è quello di fornire un sussidio a un sistema inefficiente non-competitivo e sub-ottimale. Non posso".

In realtà, quel che non può fare è agire da imprenditore sfidando il mercato. Dovrebbe correre rischi, che non gli sono concessi nello spazio limitato d'azione definito dalla Famiglia. Per non dichiarare il suo fallimento punta sul futuro, spostando in là, prima al 2013, poi al 2014, di recente al 2016, il momento di una resurrezione basata sul trasferimento in Europa di competenze maturate in Chrysler, per la cui attesa i dipendenti Fiat sopportano pesanti, dirette conseguenze.

Del resto, finché c'è cassa integrazione a Marchionne non conviene realizzare la minaccia più volte espressa di chiudere qualche stabilimento. Costa troppo. "Un'ulteriore ristrutturazione della presenza in Italia con la chiusura di uno o due impianti non è economicamente conveniente perché", afferma Fiat, "comporta costi, per uno stabilimento di circa 5.000 addetti, per circa 500 milioni di euro per gli esuberi e altri 100 milioni di dollari per penalità contrattuali e la chiusura fisica dello stabilimento stesso. Ci sono poi dei costi meno quantificabili ma non meno significativi che sono stati considerati: l'impatto sociale e la discontinuità dovuta a potenziali scioperi".

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