Autore Charles Percy Snow
Titolo Le due culture
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1964, I fatti e le idee 116
OriginaleThe two cultures: and a second look [1959]
TraduttoreAdriano Carugo
LettoreRenato di Stefano, 1964
Classe scienza , scienze sociali












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Pagina VII  Prefazione

  1  Le due culture e
     la rivoluzione scientifica

  3  I.   Le due culture
 22  II.  Gli intellettuali come
          'Luddisti' per natura
 28  III. La rivoluzione sociale
 40  IV.  I ricchi ed i poveri

 51  Le due culture: successive
     considerazioni


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

I non-scienziati hanno una radicata impressione che gli scienziati siano animati da un ottimismo superficiale e non abbiano coscienza della condizione dell'uomo. D'altra parte, gli scienziati credono che i letterati siano totalmente privi di preveggenza e nutrano un particolare disinteresse per gli uomini loro fratelli; che in fondo siano anti-intellettuali e si preoccupino di restringere tanto l'arte quanto il pensiero al momento esistenziale. E cosí via. Chiunque abbia una sia pur debole attitudine all'invettiva, potrebbe presentare una grande quantità di sotterranee accuse e controaccuse di questo genere. Sia le accuse che vengono mosse da una parte, sia quelle che vengono lanciate dall'altra contengono qualcosa di non del tutto privo di fondamento. Ma esse sono tutte distruttive. Per la maggior parte si basano su pericolosi malintesi. Vorrei ora prendere in considerazione due dei piú profondi di questi malintesi, uno per parte.

Innanzitutto, l'ottimismo dello scienziato. E' una accusa cosí spesso ripetuta da essere ormai un luogo comune. L'hanno lanciata alcune delle piú acute menti non-scientifiche dei nostri giorni. Ma dipende da una confusione tra esperienza individuale ed esperienza sociale, condizione individuale e condizione sociale dell'uomo.

La maggior parte degli scienziati da me conosciuti hanno sentito - non meno profondamente dei non-scienziati da me conosciuti - che la condizione individuale di tutti noi è tragica. Ciascuno di noi è solo: talvolta sfuggiamo alla solitudine con l'amore o l'affetto o, forse, in certi momenti di creazione, ma questi trionfi della vita sono piccole zone illuminate che ci creiamo, mentre il margine della strada rimane avvolto nell'oscurità: ciascuno di noi muore solo. Ho conosciuto scienziati che credevano nella religione rivelata. Forse per loro il senso della condizione tragica non è cosí forte. Non so. Per la maggior parte delle persone di profondo sentire, per quanto coraggiose e felici, e qualche volta soprattutto per quelle piú felici e piú coraggiose, quel senso della condizione tragica sembra costituzionale, parte del peso della vita. Questo vale per gli scienziati che ho meglio conosciuto, come per chiunque altro.

Ma quasi tutti - ed è qui che veramente si manifesta il colore della speranza - non vedrebbero alcuna ragione perché, proprio per il fatto che la condizione individuale è tragica, lo debba essere anche la condizione sociale. Ciascuno di noi è solo; ciascuno di noi muore solo: bene, è un destino contro il quale non possiamo lottare - ma nella nostra condizione ci sono molte cose che non dipendono dal destino, e se non lottassimo contro di esse saremmo men che uomini.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 12

All'altro polo, lo spiegamento di atteggiamenti è piú largo. E' ovvio che tra i due poli, andando nella società intellettuale dai fisici ai letterati, ci si imbatte in tutti i registri del sentimento. Ma credo che il polo che dimostra una totale incomprensione della scienza diffonde la sua influenza su tutto il resto. Questa totale incomprensione dà, molto piú profondamente di quanto ce ne possiamo rendere conto noi, che ci viviamo dentro, un sapore a-scientifico all'intera cultura "tradizionale," e questo sapore a-scientifico è spesso, molto piú di quanto noi ammettiamo, sul punto di mutarsi in anti-scientifico. I sentimenti di un polo diventano i sentimenti contrari dell'altro polo. Se gli scienziati hanno il futuro nel sangue, allora la cultura tradizionale risponde auspicando che non ci sia il futuro. E' la cultura tradizionale che, in una misura troppo poco limitata dall'emergere della cultura scientifica, governa il mondo occidentale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 22

Gli intellettuali come "Luddisti" per natura


Le ragioni dell'esistenza delle due culture sono molteplici, profonde, e complesse, alcune radicate nella storia della società, altre nella storia di singole persone, ed altre ancora nell'intima dinamica delle diverse forme della stessa attività mentale. Ma io voglio isolarne una, che non è tanto una ragione quanto un elemento di correlazione, un qualcosa che circola in ciascuna di queste discussioni. E' semplice dire di che si tratta. Si tratta di questo. A parte la cultura scientifica, la restante parte degli intellettuali occidentali non si sono mai sforzatí, né hanno mai desiderato, o non sono mai stati in grado, di capire la rivoluzione industriale, ed ancor meno di accettarla. Gli intellettuali, ed in particolare i letterati, sono per natura "Luddisti."

Ciò è vero specialmente del nostro paese, dove la rivoluzione industriale si veríficò molto prima che altrove, durante un lungo periodo di distratto assenteismo. Forse questo ci aiuta a capire a che grado di fossilizzazione siamo arrivati oggi. Ma con qualche riserva, ciò è vero, ed è sorprendente, degli Stati Uniti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 28

La rivoluzione scientifica


Avevo poco fa accennato ad una distinzione tra la rivoluzione industriale e la rivoluzione scientifica. La distinzione non è ben netta, ma è utile, e devo cercare di precisarla ora. Per rivoluzione industriale intendo l'uso graduale delle macchine, l'occupazione di uomini e donne nelle fabbriche, la trasformazione che si è avuta in questo paese di una popolazione costituita in gran parte di lavoratori agricoli in una popolazione prevalentemente occupata nella produzione, in fabbrica, e nella distribuzione dei prodotti fabbricati. Questo cambiamento, come ho detto, ci capitò addosso senza che ce n'accorgessimo, senza che gli accademici lo prendessero in considerazione, odiato dai Luddisti, sia dai Luddisti pratici che dai Luddisti intellettuali. Esso è connesso, cosí mi pare, con molti degli atteggiamenti nei riguardi della scienza e dell'estetica, che si sono fossilizzati tra di noi. Lo si può datare, grosso modo, tra la metà del diciottesimo secolo e l'inizio del ventesimo. Da esso si produsse un nuovo mutamento, strettamente collegato col primo, ma molto piú profondamente scientifico, molto piú rapido, e probabilmente molto piú prodigioso nei suoi risultati. Questo mutamento deriva dall'applicazione della scienza vera e propria all'industria: non piú alternanza di successi e fallimenti, non piú le idee di strani "inventori," ma autentica materia scientifica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 31

Gli scienziati puri hanno per lo piú considerato con mente offuscata da pregiudizi gli ingegneri e le scienze applicate. Essi non avrebbero potuto provarne interesse. Essi non si sarebbero resi conto che molti dei problemi delle scienze applicate erano non meno rigorosi concettualmente dei problemi della scienza pura, e che molte delle soluzioni erano non meno soddisfacenti ed eleganti. Il loro istinto - forse reso piú acuto in questo paese dalla passione di trovare un nuovo snobismo ovunque sia possibile, e di inventarne uno se non esiste - era di assumere come cosa pacifica che la scienza applicata fosse un'occupazione per menti di second'ordine. Dico questo piú severamente poiché trent'anni fa anch'io assunsi proprio quella linea di condotta. La mentalità dei giovani ricercatori a Cambridge allora non ci faceva onore. Andavamo orgogliosi del fatto che la scienza che stavamo costruendo non potesse avere, in nessuna circostanza concepibile, alcun uso pratico. Quanto maggiore era la sicurezza con la quale si poteva affermare questa pretesa, tanto piú ci si sentiva superiori.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 60

Le affermazioni contenute nella conferenza erano le piú semplici che potessi fare. Qualsiasi affermazione, che abbia a che fare con l'azione, deve essere semplice. Si è sempre un po' dalla parte del torto se ci si sforza di rendere incomprensibile ciò che è un luogo comune. Ho circondato le mie affermazioni di continue riserve ed ho cercato di illustrarne alcune. Ora abbandonerò quelle riserve e quelle illustrazioni, e riformulerò con la massima semplicità che mi sia possibile il contenuto essenziale della conferenza.

Si tratta di questo, piú o meno. Nella nostra società (ossia, nella progredita civiltà occidentale) abbiamo perduto anche la semplice pretesa di una cultura comune. Persone, che hanno avuto la piú intensa e ricca preparazione culturale che sia a nostra conoscenza, non riescono piú a comunicare tra di loro sul piano dei loro principali interessi culturali. E' questo un fatto grave per la nostra vita creativa, intellettuale e, sopra tutto, morale. Questa situazione ci porta ad interpretare il passato in maniera errata, a non capire il presente, ed a precludercí ogni speranza per il futuro. Essa ci rende difficile od impossibile intraprendere l'azione giusta.

All'esempio piú lampante di una simile mancanza di comunicazione ho dato la forma di due gruppi di persone, rappresentanti quelle che ho chiamate "le due culture." Un gruppo comprendeva gli scienziati, il cui peso, i cui risultati e la cui influenza non hanno bisogno di venire sottolineati. L'altro gruppo comprendeva i letterati. Non voglio dire che i letterati siano coloro che prendono le decisioni piú importanti nel mondo occidentale. Intendo solo dire che i letterati rappresentano, danno voce, ed in una certa misura foggiano ed anticipano i modi e le forme della cultura non-scientifica: non tocca a loro prendere le decisioni, ma le loro parole penetrano nella mentalità di quelli che le prendono. Tra questi due gruppi - gli scienziati ed i letterati - v'è scarsa comunicazione e, in luogo di un sentimento di cameratismo, qualcosa di simile all'ostilità.

Questa voleva essere una descrizione, od un primo abbozzo molto grossolano ed approssimativo, della attuale situazione in cui ci troviamo. Che fosse una situazione verso la quale nutrivo profondi sentimenti di avversione, penso fosse abbastanza evidente. Cosa abbastanza curiosa, alcuni critici hanno supposto che io la approvassi: ma a questo punto mi dichiaro sconfitto e cerco rifugio nel bisbigliare un utile verso di Schiller.

Ma veniamo alla conclusione di questa esposizione riassuntiva. Non esiste, naturalmente, nessuna soluzione completa. Nelle condizioni proprie della nostra età, o di qualunque età possiamo prevedere, non è piú possibile l'uomo rinascimentale. Nondimeno, possiamo fare qualcosa. Lo strumento principale a nostra disposizione è l'istruzione, soprattutto quella che viene impartita nelle scuole primarie e secondarie, ma anche quella fornita nei colleges e nelle università. Non v'è nessuna scusa per lasciare che un'altra generazione sia cosí enormemente ignorante, o cosi priva di comprensione e simpatia, come noi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 62

Fin dall'inizio l'espressione "le due culture" ha suscitato qualche protesta. Sono state mosse obiezioni alla parola "cultura" o "culture": altre obiezioni sono state sollevate, con ragioni molto piú sostanziali, per quanto concerne il numero due. (Nessuno, mi pare, ha ancora avuto da ridire sull'articolo determinativo.)

Devo spendere qualche parola intorno a simili questioni verbali prima di passare a discorsi di piú ampio respiro. Il termine "cultura' nel titolo della mia conferenza ha due significati, entrambi applicabili al tema in maniera precisa. In primo luogo, "cultura" ha il senso indicato dalla definizione data dal dizionario, ossia quello di sviluppo intellettuale, di sviluppo della mente. Per molti anni questa definizione ha avuto risonanze spesso profonde ed ambigue. Il fatto è che pochi di noi possono essere di aiuto nella ricerca di un uso chiaro e preciso della parola: se si chiede, "Che cos'è la cultura? Chi è dotato di cultura?" l'ago della bussola punta, con una coincidenza straordinaria, nella direzione di noi stessi.

Ma non è questo il problema essenziale, anche se ci offre un ameno esempio di fragilità umana: ciò che conta è che ogni chiara e precisa definizione, da Colerídge in poi, si applica almeno altrettanto bene (ed anche altrettanto imperfettamente) allo sviluppo che uno scienziato compie nel corso della sua carriera professionale, quanto al "tradizionale" sviluppo mentale o ad una qualsiasi delle sue diramazioni. Coleridge diceva "coltivazione" laddove noi diremmo "cultura" - e la caratterizzava come "l'armonico sviluppo di quelle qualità e facoltà che contraddistinguono la nostra umanità." Ebbene, nessuno di noi riesce a padroneggiare questo sviluppo; a dire il vero, tutt'e due le nostre culture, tanto quella letteraria quanto quella scientifica, meritano soltanto il nome di sotto-culture. "Qualità e facoltà che contraddistinguono la nostra umanità." La curiosità per il mondo naturale e l'uso di sistemi concettuali simbolici costituiscono due delle piú preziose e piú specificamente umane fra tutte le qualità umane. I metodi tradizionali di sviluppo mentale le lasciano ammuffire. Per contro, l'istruzione scientifica lascia ammuffire le nostre facoltà verbali - si dà uno sfogo rigoglioso al linguaggio dei simboli, mentre non se ne dà alcuno al linguaggio delle parole. Da entrambe le parti sottovalutiamo la vasta gamma di risorse di cui è dotato un essere umano.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 67

La seconda argomentazione traccia, o tenta di tracciare, una netta linea di separazione tra la scienza pura e la tecnica (che sta sempre piú diventando una parola peggiorativa). E' questa una linea di separazione che una volta ho cercato di tracciare io stesso; ma, sebbene ne possa ancora vedere le ragioni, non dovrei piú tracciarla ora. Quanto piú ho visto i tecnici al lavoro, tanto piú insostenibile mi è apparsa una simile distinzione. Se osservate effettivamente un progettista di aeroplani al lavoro, scoprirete che egli attraversa la stessa esperienza - estetica, intellettuale, morale - che se preparasse un esperimento sulla fisica delle particelle.

Il processo scientifico ha due motivazioni: una è la comprensione del mondo naturale, l'altra è il controllo su di esso. Entrambe queste motivazioni possono essere dominanti in ogni singolo scienziato; i diversi campi della scienza possono trarre dall'una o dall'altra i loro stimoli originari. La cosmogonia, ad esempio - lo studio dell'origine e della natura del cosmo è un esempio quasi perfetto della prima classe. La medicina è un tipico esempio della seconda classe. Tuttavia in tutti i campi scientifici, in qualunque modo abbia avuto origine l'attività di ricerca, una motivazione è implicita nell'altra. Muovendo dalla medicina, che è un esempio classico di tecnica, gli uomini sono risaliti a problemi scientifici "puri" - quale quello, ad esempio, della struttura della molecola dell'emoglobina. Dalla cosmogonia, che sembra il meno pratico fra tutti gli argomenti di studio, si sono ricavate penetranti conoscenze sulla fissione nucleare - che, per il male e potenzialmente per il bene, nessuno potrebbe definire come un'attività di scarsa rilevanza pratica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 100

Ciò ci riconduce al tema principale del quale mi son messo a parlare. Cercherò di essere ancor piú chiaro. E' pericoloso avere due culture che non possono o non sanno comunicare. In un tempo in cui la scienza determina gran parte del nostro destino, cioè se dobbiamo vivere o morire, è pericoloso nel senso piú pratico. Gli scienziati possono dare cattivi consigli, e coloro cui spetta prendere decisioni non possono sapere se sono buoni o cattivi. D'altra parte, in una cultura divisa da fratture, gli scienziati offrono una conoscenza, che solo essi hanno, di alcune potenzialità. Tutto questo rende il processo politico piú complesso, ed in qualche modo più pericoloso, di quanto saremmo pronti a tollerare per lungo tempo sia allo scopo di evitare disastri, sia per dare soddisfazione - e ciò continua a rimanere una sfida alla nostra coscienza ed alla nostra buona volontà - ad una definibile speranza sociale.

Per ora ci comportiamo come persone di mezza cultura, sforzandoci di dare ascolto a messaggi, ovviamente di grande importanza, come se ascoltassimo una lingua straniera della quale ci siano note soltanto poche parole. Talvolta, e forse spesso, la logica della scienza applicata modifica o modella lo stesso processo politico. E', ciò che si è verificato nel campo degli esperimenti nucleari, ove siamo stati abbastanza fortunati per vedere ciò che non è molto comune al nostro tempo: un trionfo del senso di umanità. Questo trionfo sarebbe venuto ancor prima, se la logica della scienza applicata fosse stata a disposizione delle persone colte nella misura in cui lo è la logica del linguaggio. Nondimeno non minimizziamo i nostri trionfi. Non accade sempre il peggio, come mi disse un amico nell'estate del 1940. Comincio a credere che riusciremo ad evitare o ad aggirare i maggiori pericoli che la scienza ci pone dinanzi. Se riscrivessi ora la conferenza, vi sarebbe ancora in essa ansietà, ma minor paura.

| << |  <  |