Copertina
Autore Sofocle
CoautoreJean Anouilh, Bertolt Brecht
Titolo Antigone
SottotitoloVariazioni sul mito
EdizioneMarsilio, Venezia, 2004 [2000], Tascabili , pag. 188, cop.fle., dim. 125x190x13 mm , Isbn 978-88-317-7450-5
CuratoreMaria Grazia Ciani
TraduttoreMaria Grazia Ciani, Andrea Rodighiero, Mario Carpitella
LettoreAngela Razzini, 2004
Classe classici greci
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Indice

  7 Introduzione
    di Maria Grazia Ciani

 19 Sofocle
    ANTIGONE

 61 Jean Anouilh
    ANTIGONE

119 Bertolt Brecht
    ANTIGONE


183 Gli autori e i testi
 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE



                «...poiché la legge è signora degli uomini
                     e non gli uomini signori della legge»
                                (Platone, Settima lettera)



La leggenda di Edipo figlio di Laio nipote di Labdaco è universalmente nota. Esposto dal padre sul Citerone con le caviglie forate - poiché un oracolo aveva predetto a Laio che se avesse avuto un figlio dalla moglie Giocasta, questo figlio lo avrebbe ucciso -, viene adottato da Polibo, re di Corinto, e allevato dalla moglie del re, Peribea. A causa dei piedi gonfi per le ferite, gli viene imposto il nome di Edipo.

Edipo cresce, e un giorno, messo in sospetto dai compagni di gioco che lo hanno insultato chiamandolo bastardo, si reca a Delfi per chiedere all'oracolo quali siano i suoi genitori. Il responso che riceve è tanto oscuro quanto terribile: se farà ritorno in patria, ucciderà suo padre e sposerà sua madre.

Allora Edipo, ritenendo che Polibo e Peribea siano i suoi veri genitori, abbandona Corinto per cercare di sottrarsi al suo destino. Ma, mentre attraversa la Focide, si imbatte, lungo una via stretta, nel carro che porta Laio. Nasce un diverbio, e Edipo uccide Laio: uccide dunque suo padre, senza saperlo. Poi raggiunge Tebe dove, dopo la morte di Laio, il potere è nelle mani di Creonte, fratello di Giocasta. Costui ha promesso il regno e la mano della sorella all'uomo che libererà la città dal flagello della Sfinge, un mostro dal volto di donna che propone oscuri enigmi e uccide coloro che si presentano per cercare di risolverli senza riuscirvi. Edipo scioglie l'enigma, diventa re di Tebe e sposa Giocasta: sposa dunque sua madre, senza saperlo. Dal matrimonio nascono due figli, Polinice ed Eteocle, e due figlie, Antigone e Ismene.

Quando, più tardi, tutto viene alla luce, Giocasta si uccide, Edipo si acceca. Bandito da Tebe si reca, accompagnato da Antigone, in Attica dove viene accolto dal re Teseo e dove, dopo poco tempo, muore. Prima di andarsene però ha maledetto i figli maschi che non lo hanno difeso, impedendo il suo esilio. Spaventati da questa maledizione che li condanna a farsi guerra per il regno di Tebe e a darsi morte reciproca, Eteocle e Polinice stabiliscono di regnare un anno ciascuno, alternandosi al governo della città. Trascorso il suo anno di regno Eteocle si rifiuta di cedere il potere. Allora Polinice si reca ad Argo per chiedere aiuto al re Adrasto e Adrasto raccoglie un'armata di sette principi per ricondurlo a Tebe. La città viene cinta d'assedio e i sette condottieri schierano i loro eserciti davanti a ciascuna delle sette porte. Per decidere le sorti della battaglia, che volge a sfavore degli Argivi, Eteocle e Polinice si affrontano in duello e si uccidono l'uno con l'altro, dando compimento alla maledizione del padre.

I Tebani riescono a prevalere e gli Argivi, sconfitti, fuggono. Il potere torna nelle mani di Creonte il quale ordina di lasciare insepolti i corpi dei duci che hanno assalito la città. Fra essi vi è anche il "nemico" Polinice. Ma la figlia di Edipo, Antigone, trasgredisce l'ordine e seppellisce di nascosto il corpo del fratello. Creonte allora la condanna a essere sepolta viva.

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Pagina 19

Sofocle
ANTIGONE



ANTIGONE Ismene, sorella mia, sangue del mio sangue. Non c'è sventura fra quante hanno avuto origine da Edipo che Zeus risparmierà a noi due, finché saremo in vita. Nella mia sorte infelice e nella tua non vedo che dolore e sciagura, vergogna e disonore. E poco fa Creonte, dicono, ha fatto bandire in tutta la città un editto. L'hai udito? Conosci il male che incombe sulle persone che ci sono care?

ISMENE Io non so nulla, Antigone. Nessuna notizia, lieta o triste, mi è giunta da quando i nostri due fratelli sono morti per mano uno dell'altro, nello stesso giorno. L'esercito di Argo non c'è più, sono fuggiti questa notte. Non so nient'altro che mi renda più triste o più felice.

ANTIGONE Per questo ti ho chiamata fuori dalle porte del palazzo, perché fossi tu sola ad ascoltare.

ISMENE C'è qualcosa che ti turba, lo vedo, ma che cosa?

ANTIGONE Sai cos'ha deciso Creonte? Dei nostri due fratelli, uno avrà l'onore della tomba, l'altro la vergogna di rimanere insepolto. Con Eteocle ha pensato fosse giusto osservare la legge e il rito. Lo ha posto sotto terra, perché venga accolto fra i morti con onore. Ma al misero corpo di Polinice ha ordinato, si dice, di non dare sepoltura, di non piangerlo, di lasciarlo così, senza sepolcro e senza lacrime, preda gradita agli uccelli che dall'alto lo spiano affamati. Questi sono gli ordini che il nobile Creonte ha dato, per te e per me, per me soprattutto! E verrà qui, si dice, per ribadirli chiaramente a coloro che non sanno. Non è cosa di poco conto, per lui. Chi non obbedisce sarà condannato alla lapidazione. Così stanno le cose. E ora tu potrai mostrare se il tuo animo è nobile davvero oppure indegno della tua nobile stirpe.

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Pagina 39

Ma ecco il più giovane dei tuoi figli, Emone. È addolorato per la sorte di Antigone, la sua promessa sposa, e soffre per le nozze che non avranno luogo?

CREONTE Lo sapremo presto, senza bisogno di indovini. Figlio mio, hai udito la sentenza che condanna la tua sposa, e sei qui, pieno d'ira verso tuo padre? Oppure, qualunque cosa faccia, ti sono sempre caro?

EMONE Padre, sono tuo figlio; sono le tue norme giuste a indicarmi la strada, io le seguirò. Non ci sono nozze che valgano la tua guida preziosa.

CREONTE È questo, figlio mio, che devi avere nel cuore: seguire in tutto la volontà del padre. Per questo ogni uomo si augura di avere in casa figli che obbediscono, perché combattano i nemici del padre e come lui onorino gli amici. Ma chi genera figli che non gli sono utili, che cos'altro ottiene se non affanni per sé e derisione da parte dei nemici? No, figlio mio, non perdere la testa per una donna, è gelido l'abbraccio di una moglie infida in casa tua. Non c'è male peggiore di una cattiva compagna. Disprezza questa donna - è una nemica -, e lascia che trovi uno sposo giù nell'Ade. Io l'ho colta in atto di aperta trasgressione, lei, sola in tutta la città. Non voglio smentirmi davanti a tutti i cittadini: la ucciderò. Che invochi pure Zeus, protettore dei legami di sangue. Se lascerò che cresca il disordine in casa mia, fuori di casa cosa posso attendermi? Chi è onesto coi propri famigliari, sarà giusto anche con i suoi concittadini. Ma colui che trasgredisce e fa violenza alle leggi e pensa di comandare a chi comanda, non avrà mai la mia approvazione. E invece all'uomo che la città ha eletto al suo governo bisogna obbedire nelle piccole come nelle grandi cose, in quelle giuste come in quelle ingiuste. Un uomo così io sono certo che saprà ben comandare, come ha saputo ben obbedire: è il compagno onesto e valoroso che, nella furia della battaglia, non abbandona il suo posto tra le file. Non c'è male peggiore dell'anarchia: rovina le città, sconvolge le case, e in guerra spezza le file e le mette in rotta. È l'obbedienza, invece, che salva il maggior numero di vite. E dunque, bisogna difendere l'ordine stabilito e non cedere a una donna, a nessun costo. Meglio - se proprio è necessario - cedere a un uomo: almeno non diranno che siamo inferiori alle donne.

CORO Se l'età non ci inganna, a noi sembra che tu abbia parlato con saggezza.

EMONE Padre, di tutti i beni che gli dei hanno concesso agli uomini, il bene più grande è la ragione. Io non potrei, io non saprei dire se quello che hai detto è giusto: altri potrebbero parlare altrettanto bene. A me spetta osservare al posto tuo tutto quello che si dice, che si fa, che si critica; i cittadini temono il tuo sguardo e non dicono ciò che potrebbe dispiacerti. Ma io, nell'ombra, posso udire, so come piange la città per la sorte di questa fanciulla, la più innocente fra le donne, condannata a morire in modo indegno per il più nobile dei gesti: perché non ha voluto che il fratello, caduto nella lotta sanguinosa, rimanesse insepolto e finisse in pasto ai cani voraci e agli uccelli. Essa è degna dell'onore più alto. Queste sono le voci che corrono, in segreto. Padre, non esiste per me bene più grande della tua buona fortuna. La gloria dei padri è per i figli la gioia maggiore, come per i padri la felicità dei figli. Ma tu non coltivare quest'unico pensiero: solo quello che dici tu, e nient'altro al mondo, è giusto. Chi ritiene di essere il solo ad avere intelligenza e spirito e parola superiori a ogni altro, se lo osservi bene si rivela vuoto nel cuore. Un uomo, anche se è saggio, non deve vergognarsi di essere duttile, per imparare sempre di più. Tu sai: lungo i torrenti in piena gli alberi che si piegano salvano i rami, quelli che resistono sono sradicati. Se il marinaio tiene le scotte troppo tese e non le allenta, fa rovesciare la sua nave e prosegue il viaggio a chiglia capovolta. Cedi, dunque, accetta il cambiamento. Io sono giovane, ma, se posso darti un consiglio, ebbene, eccolo: la cosa migliore sarebbe che l'uomo avesse, innata, la perfetta sapienza; ma poiché le cose non stanno così, è giusto imparare da chi dice cose giuste.

CORO È bene che tu impari da lui, signore, se quello che dice è giusto, e lui da te: avete parlato bene tutti e due.

CREONTE Io, alla mia età, dovrò imparare da un ragazzo?

EMONE Solo quello che è giusto. Sono giovane, ma tu devi considerare i fatti, non l'età.

CREONTE Che cosa sono i fatti? Onorare i ribelli?

EMONE Io non ti invito a rispettare i trasgressori.

CREONTE Ma non è questo il male di cui soffre costei?

EMONE Lo nega tutta la città di Tebe.

CREONTE La città deve dirmi ciò che devo fare?

EMONE Ora sei tu che parli come un ragazzo.

CREONTE Devo governare il mio paese per conto di altri e non per me?

EMONE Nessuna città appartiene a un uomo solo.

CREONTE Appartiene a chi ha il potere: così dicono.

EMONE Tu, da solo, in un deserto: così sapresti regnare.

CREONTE Lui lotta per la donna, sembra chiaro.

EMONE Sei dunque una donna? perché è di te che mi preoccupo.

CREONTE Vuoi accusare tuo padre, disgraziato?

EMONE Ti accuso, perché non agisci in modo giusto.

CREONTE Non è giusto che io onori il mio potere?

EMONE Ma calpesti l'onore che è dovuto agli dei.

CREONTE Che indole spregevole, sei schiavo di una donna.

EMONE Ma non mi piegherò ad azioni indegne.

CREONTE Tu parli solo per difenderla.

EMONE E per difendere te e me e le divinità dei morti.

CREONTE Non la sposerai, almeno finché è viva.

EMONE Morirà, ma qualcun altro morirà con lei.

CREONTE Sfrontato, osi minacciarmi?

EMONE No, io rispondo alle tue parole assurde.

CREONTE Vuoi insegnarmi a ragionare, tu che sei privo di ragione?

EMONE Se non fossi mio padre ti direi che la ragione sei tu che l'hai perduta!

CREONTE Non provocarmi, schiavo di una donna!

EMONE Parli soltanto e non dai mai ascolto.

CREONTE Davvero? Sappi allora, per gli dei, che ti pentirai di questi insulti. Portate qui quell'essere odioso, perché muoia sotto gli occhi del suo promesso sposo.

EMONE Vicino a me, no, non pensarlo, vicino a me non morirà, e tu non mi vedrai mai più con i tuoi occhi. Vivi la tua follia con coloro che sono disposti a sopportarla.

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Pagina 61

Jean Anouilh
ANTIGONE



IL PROLOGO Ecco. Questi personaggi stanno per rappresentarvi la storia di Antigone. Antigone è quella piccola magra che è seduta là in fondo, e che non dice niente. Guarda dritto davanti a sé. Pensa. Pensa che tra poco sarà Antigone, che sorgerà improvvisamente dalla ragazza magra di carnagione scura, chiusa, che nessuno prendeva sul serio in famiglia e si ergerà sola in faccia al mondo, sola in faccia a Creonte, suo zio, che è il re. Pensa che morirà, che è giovane, e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c'è niente da fare. Lei si chiama Antigone e sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo... E da quando questo sipario si è levato, lei sente che si sta allontanando a una velocità vertiginosa da sua sorella Ismene, che chiacchiera e ride con un giovane, da noi tutti, che siamo qui belli tranquilli a guardarla, da noi che non dobbiamo morire questa sera. Il giovane con cui parla la bionda, la bella, la felice Ismene, è Emone, il figlio di Creonte. È il fidanzato di Antigone. Tutto lo portava verso Ismene: la sua inclinazione per la danza e i giochi, la sua inclinazione per la felicità e il successo, la sua sensualità, anche, perché Ismene è ben più bella di Antigone, e poi una sera, una sera di ballo in cui non aveva danzato che con Ismene, una sera in cui Ismene era stata splendida nel suo vestito nuovo, lui è andato a scovare Antigone che sognava in un angolo, come adesso, le sue braccia attorno alle ginocchia, e le ha domandato di essere sua moglie. Nessuno ha mai capito perché. Antigone ha alzato senza stupore i suoi occhi gravi su di lui e gli ha detto «sì» con un piccolo sorriso triste... L'orchestra attaccava una nuova danza, Ismene rideva chiassosamente, là in fondo, in mezzo agli altri ragazzi, ed ecco, ora, lui sarebbe diventata il marito di Antigone. Non sapeva che mai sarebbe esistito un marito di Antigone su questa terra e che questo titolo principesco gli dava solamente il diritto di morire.

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Pagina 107

EMONE (entra gridando) Padre!

CREONTE (corre verso di lui, lo abbraccia) Dimenticala, Emone; dimenticala, piccolo mio.

EMONE Tu sei pazzo, padre. Lasciami.

CREONTE (lo tiene più forte) Ho tentato tutto per salvarla, Emone. Ho tentato tutto, te lo giuro. Non ti ama. Avrebbe potuto vivere. Ha preferito la sua follia e la morte.

EMONE (grida, tentando di strapparsi dalla sua stretta) Ma, padre, lo vedi che la stanno portando via! Padre, non lasciare che questi uomini la portino via!

CREONTE Ha parlato adesso. Tutta Tebe sa quello che ha fatto. Sono obbligato a farla morire.

EMONE (si divincola dalle sue braccia) Lasciami!

Un silenzio. Sono uno di fronte all'altro. Si guardano.

IL CORO (si avvicina) Non si può escogitare qualcosa, dire che è pazza, farla rinchiudere?

CREONTE Diranno che non è vero. Che la salvo perché stava per diventare la moglie di mio figlio. Non posso.

IL CORO Non si può guadagnare tempo, farla fuggire domani?

CREONTE La folla sa già, urla intorno al palazzo. Non posso.

EMONE Padre, la folla non è niente. Sei tu a comandare.

CREONTE Comando prima della legge. Ma dopo basta.

EMONE Padre, sono tuo figlio, non puoi lasciare che me la prendano.

CREONTE Sì Emone. Sì, piccolo mio. Coraggio. Antigone non può più vivere. Antigone ci ha già lasciati tutti.

EMONE Credi che potrò vivere, io, senza lei? Credi che la accetterò, la vostra vita? E tutti i giorni, dal mattino alla sera, senza di lei. E la vostra agitazione, il vostro chiacchierare, il vostro vuoto, senza lei.

CREONTE Bisognerà bene che tu accetti, Emone. Ciascuno di noi ha un giorno, più o meno triste, più o meno lontano, in cui deve infine accettare di essere un uomo. Per te, è oggi... Ed eccoti davanti a me con queste lacrime al bordo degli occhi e il cuore che ti fa male - ragazzo, piccolo mio, per l'ultima volta... Quando ti sarai voltato, quando tra un attimo avrai oltrepassato questa soglia, sarà finita.

EMONE (indietreggia un poco e dice dolcemente) È già finita.

CREONTE Non giudicarmi, Emone. Non giudicarmi anche tu.

EMONE (lo guarda e dice d'un tratto) Questa grande forza e questo coraggio, questo dio gigante che mi sollevava nelle sue braccia e mi salvava dai mostri e dalle ombre, eri tu? Questo odore proibito e questo buon pane della sera sotto la lampada, quando mi mostravi i libri nel tuo studio, eri tu, credi?

CREONTE (umilmente) Sì, Emone.

EMONE Tutte queste cure, tutto questo orgoglio, tutti questi libri pieni di eroi, era per arrivare qui? Essere un uomo, come dici tu, e troppo felice di vivere?

CREONTE Sì, Emone.

EMONE (grida improvvisamente come un bambino gettandosi nelle sue braccia) Padre, non è vero! Non sei tu, non è oggi! Non siamo tutti e due ai piedi di questo muro dove bisogna solamente dire sì. Sei ancora potente, tu, come quando ero piccolo. Ah! Ti supplico, padre, che io ti ammiri, che io ti ammiri ancora! Sono troppo solo e il mondo è troppo spoglio se non posso più ammirarti.

CREONTE (lo stacca da lui) Si è completamente soli, Emone. Il mondo è spoglio. E tu mi hai ammirato troppo a lungo. Guardami, è questo diventare un uomo, vedere di fronte a sé il viso del proprio padre, un giorno.

EMONE (lo guarda, poi indietreggia gridando) Antigone! Antigone! Aiuto!

È uscito correndo.

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Pagina 119

Bertolt Brecht
ANTIGONE



PRELUDIO



    Berlino. Aprile 1945

    È l'alba.

    Due sorelle escono dal rifugio antiaereo per far ritorno
    alla loro abitazione.

LA PRIMA
    E quando uscimmo dal rifugio, e intatta
    Era la casa, e l'incendio di fronte
    La illuminava più dell'alba, allora
    Fu mia sorella a scorgerlo per prima.

LA SECONDA
    Sorella, come mai la porta è aperta?

LA PRIMA
    L'avrà spostata il vento dell'incendio.

LA SECONDA
    Sorella, e queste impronte nella polvere?

LA PRIMA
    Sarà qualcuno che è scappato via.

LA SECONDA
    Sorella, vedi un sacco, là nell'angolo?

LA PRIMA
    Trovare roba è meglio che perderla.

LA SECONDA
    Sorella, una pagnotta, un lardo intero!

LA PRIMA
    Cose che proprio non mi fan paura.

LA SECONDA
    Chi è stato qui, sorella?

LA PRIMA
    Che ne so? Uno che ci regala un bocconcino.

LA SECONDA
    Ma io lo so! Oh noi di poca fede!
    Nostro fratello è ritornato! Oh gioia!

LA PRIMA
    E ci abbracciammo, ed eravamo liete:
    Nostro fratello è salvo, che era in guerra.
    Tagliammo il lardo e mangiammo il pane
    Da lui portato per darci ristoro.

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Pagina 151

    Entra Emone.

CREONTE
    Figlio, qui si diceva che venissi
    Innanzi a me per amor della giovane, non come
    Dal tuo signore, ma da tuo padre; se così fosse
    Verresti inutilmente. Al mio ritorno
    Dalla battaglia, che grazie all'olocausto
    Di molti, fu propizia, trovai lei sola
    Che, ribelle, invidiava la vittoria
    Alla casa nostra, e solo curava il suo interesse,
    Malvagio per di più.

EMONE
    Nondimeno, a questo proposito
    Io vengo, sperando che al padre
    Non suoni ingrata la voce familiare,
    Di colui che ha generato, se al sovrano
    Reca non buona novella.

CREONTE
    Certo, chi generò figli insolenti
    Di lui può dirsi solo che ha creato
    Fatiche a sé e riso ai suoi nemici. L'amaro
    Morde i palati, e perciò vien servito.

EMONE
    Di molte cose tu sei reggitore. E se ami
    Udire sempre buone nuove, non ti
    Dar troppa pena, e sciogli la vela
    Come chi più non governa, alla deriva!
    Il tuo nome è temuto fra il popolo. Così,
    Anche se divampasse una gran fiamma,
    Poca cosa tutt'al più ti ridirebbero.
    Ma c'è un vantaggio nella parentela:
    Che non tutto si misura sul guadagno. Più d'un debito
    Non lo si esige, e così noi possiamo
    Dai parenti alle volte udire il vero
    Perché per loro moderiamo l'ira.
    Certo non te lo può dire Megareo, il fratello
    Che ad Argo combatté e non è tornato
    E non conosce la paura; lo dirò dunque io.
    La città, sappilo, è piena di fermento.

CREONTE
    E sappi tu: se si guasta il mio sangue
    Allora nutro il mio nemico. Il quale è incerto
    Non si conosce né si trova, ed anche
    Nel malcontento è disunito, stanco
    Del fisco l'uno, del servizio militare
    L'altro, ma entrambi sottoposti
    A me, e divisi dalle mie lance. Quando
    Però si scoprono delle fenditure,
    E anche la signoria sembra divisa
    E ondeggia e si fa incerta, allora
    Il sasso volge alla frana, ed opprime
    La casa che da sé si è arresa. Parla,
    Ascolto tuttavia chi ho generato
    Ed esposto agli assalti delle lance, mio figlio.

EMONE
    In mezzo a tutto sta la verità. Non si dice:
    Sulla verace incudine tempra la lingua? Colei
    Che non volle da cane spietato
    Far divorare il fratello: la città
    La segue in questo, anche se ripudia
    Il misfatto del morto.

CREONTE
    Ma non basta. Per me, questa è fiacchezza.
    Non basta che io recida ciò che è marcio:
    Lo debbo fare in piazza, perché resti
    Impresso anche al superstite marciume
    Che io recido il marcio, e la mia mano
    Dimostri che colpisce senza fallo.
    Ma tu, poco sapendo delle cose,
    Nulla sapendo, dài consigli: guardati intorno incerto,
    Accogli altrui pensieri, parla la loro lingua
    Quasi l'autorità possa dirigere
    I molti corpi verso un duro compito
    Quando non è che un misero, vile orecchio.

I VECCHI
    Molte energie strugge il pensare ad aspra pena.

CREONTE
    Come il premer l'aratro perché ari.

I VECCHI
    Molto può, senza fatica, un mite ordine.

CREONTE
    Molti gli ordinamenti: ma chi ordina?

EMONE
    Anche se non fossi tuo figlio, direi: tu.

CREONTE
    Dunque, se spetta a me, sia a modo mio.

EMONE
    A modo tuo, purché sia il modo giusto.

CREONTE
    Senza sapere ciò ch'io so, non puoi saperlo.
    Sei dalla parte mia, comunque io agisca?

EMONE
    Vorrei che agissi in modo ch'io ti sia amico,
    Senza affermare che tu solo hai ragione,
    Giacché chi, solo, ritiene di avere
    Pensieri, lingua ed anima diversi
    Dagli altri, se lo aprissi, apparirebbe
    Vuoto. Ma per un uomo, se c'è un saggio
    Da qualche parte, non è vergognoso
    Molto imparare, nulla spingere agli estremi.
    Guarda come sul precipite torrente
    Tutti gli alberi che cedono conservano
    I loro rami, e quello che si oppone
    Presto perisce. O come una gran nave
    Che va superba e che non cede in nulla
    Finisce arrovesciata, con i banchi
    Dei rematori in su, e va al naufragio.

I VECCHI
    Cedi alla ragione, e un mutamento
    Dacci in dono, ed impara ad esitare
    Da noi, creature che esitiamo.

CREONTE
    Tu vuoi che il guidatore
    Sia guidato dal tiro! Questo vuoi?

EMONE
    E questo tiro
    Quando le froge gli colpisce il puzzo
    Di carogna che viene dal macello,
    Può inalberarsi, e domandarsi dove
    Venga sospinto, aspramente sospinto,
    E gettarsi nell'abisso col carro
    E il guidatore. Sappi, la città
    Punta dal dubbio di ciò che le minaccia
    La pace, è già impazzita in guerra.

CREONTE
    Non c'è più guerra. Grazie dell'avviso!

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