Copertina
Autore Danilo Solfaroli Camillocci
CoautoreMonica Vella
Titolo Ridere, ridere, ridere ancora...
SottotitoloIl riso e l'umorismo nelle relazioni familiari e in psicoterapia della famiglia
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2005, Saggi Psicologia , pag. 240, cop.fle., dim. 147x220x16 mm , Isbn 978-88-339-1599-9
PrefazioneMaurizio Andolfi
LettoreFlo Bertelli, 2005
Classe psicologia , umorismo
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Indice

  7     Presentazione di Maurizio Andolfi
 13     Introduzione

 21  1. Il riso

        Il riso nel pensiero filosofico, 26
        Il riso nella ricerca psicologica, 37

 55  2. Riso, sesso, sacro

        Il riso divino, 56
        Il culto di Dioniso, 63
        Il riso, il sesso e il sacro
        nei riti cristiani, 66
        Riso, sesso, sacro:
        forme di «conoscenza contattiva», 68

 77  3. Funzioni sociali del riso

        Il riso nelle diverse culture, 78
        Aspetti sociali del riso e del comico, 79
        La differenza di genere, 83
        Codifica e decodifica dei messaggi comici, 86
        Gli aspetti triadici del riso, 87
        Un esempio: l'umorismo ebraico, 91
        Il fool, 96

103  4. I vari modi del ridere

        L'assurdo e il nonsense, 104
        La comicità involontaria, 106
        Storielle, barzellette, battute, tormentoni, 107
        L'ironia, 111
        La caricatura e la parodia, 112
        La satira, 114
        Il sarcasmo, 116
        L'umorismo, 116

120  5. Riso e relazioni familiari

        La famiglia normale, 121
        Riso e umorismo nella famiglia normale, 124
        Riso e umorismo nella famiglia disfunzionale, 136
        Il clown familiare, 140

146  6. Riso e psicoterapia

        L'atteggiamento del terapeuta:
        la paranoia e l'irriverenza, 148
        L'uso dell'umorismo in psicoterapia, 152
        Umorismo e terapia della famiglia, 155

160  7. Riso e umorismo nella terapia della famiglia:
        un'indagine

        La nostra indagine, 160
        Analisi dei risultati, 164
        Conclusioni, 178

181  8. Comicità e creatività:
        la testimonianza di Serena Dandini


194  9. Considerazioni finali


199     Appendice. Griglia di analisi del riso
        in psicoterapia della famiglia
209     Bibliografia
235     Indice dei nomi

 

 

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Pagina 14

Introduzione


                Ridere ridere ridere ancora,
                ora la guerra paura non fa,
                brucian le divise dentro il fuoco la sera,
                brucia nella gola vino a sazietà,
                musica di tamburelli fino all'aurora,
                il soldato che tutta la notte ballò,
                vide tra la folla quella nera Signora,
                vide che cercava lui e si spaventò...



Così comincia Samarcanda, la nota canzone di Roberto Vecchioni dalla quale abbiamo tratto il titolo di questo libro. Ci ha colpiti, perché il riso si colloca tra la vita e la morte, tra la pace e la guerra, tra l'esultanza e il dolore: proprio dove deve stare e dove di fatto sta. Segno di contraddizione e di eversione, è fenomeno di cui hanno invano cercato di impadronirsi studiosi, potenti, rivoluzionari, chierici e molti altri. E tuttavia, come un miraggio, non si fa possedere da nessuno e appare e scompare secondo leggi che ancora sfuggono all'uomo. Per questo è così affascinante.

Dugas, nel 1902, ammoniva: «Non v'è fatto più triviale e più studiato che il ridere; non ve n'è alcuno che abbia maggiormente la prerogativa di eccitare la curiosità del volgo e quella dei filosofi; alcuno sul quale si siano raccolte più osservazioni e costruite più teorie, e con tutto ciò non ve n'è alcuno che rimanga più inspiegato. Saremmo tentati di dire con gli scettici che dobbiamo accontentarci di ridere e non cercare di sapere perché ridiamo, tanto più che forse la riflessione uccide il riso e che sarebbe quindi contraddittorio scoprirne la causa.»

Il riso non gode di buona fama; lo suggerisce anche l'antico detto risus abundat in ore stultorum. Ma questa pessima reputazione, questa particolare modalità di reagirvi fanno parte integrante del fenomeno e rendono il problema della natura e delle funzioni del riso ancora più interessante. Perché il riso va inevitabilmente incontro a una sorta di emarginazione squalificante? Perché ha sempre suscitato sospetto e riprovazione? Perché la filosofia e lo studio delle scienze umane gli hanno assegnato per secoli un posto secondario, se non marginale? Cercheremo di ripercorrere insieme le riflessioni dell'uomo sul riso per metterne a fuoco la specificità e i significati, soprattutto nelle relazioni umane.

Non sarà un itinerario semplice: chi affronta il tema del ridere rischia di perdersi in un mondo di ombre, dove tutto è sfuggente. Il comico, ciò che fa ridere, è costituito da un materiale fragile, che si dissolve facilmente, che resiste ai tentativi di analisi. Anzi, il riso sembra proprio un fenomeno che mette il ricercatore in una posizione paradossale: non appena cerca di osservare il fenomeno, questo scompare. Ce ne rendiamo conto personalmente, quando ci capita di fare una battuta o raccontare una barzelletta che non viene capita da qualcuno dei presenti: se ci avventuriamo nel tentativo di spiegarla, ci rendiamo progressivamente conto che quanto ci aveva fatto così ridere pochi istanti prima, ci sembrava così comico, ci si sta sgretolando tra le dita proprio mentre tentiamo di renderne esplicito il significato. Questa constatazione è accompagnata da una sensazione che ha in sé qualcosa di amaro, come se ci trovassimo improvvisamente privati di qualcosa. Perciò, affrontare in un saggio - di per sé visto come opera «seriosa» - una materia come il riso ci mette in una situazione in qualche misura paradossale, ma alla quale probabilmente non si può sfuggire: usare argomentazioni serie per tentare di spiegare la natura e le funzioni di quanto serio non è, o meglio, non appare.

Tuttavia, nonostante questa perplessità, c'è qualcosa che ci ha spinti a non tornare indietro e ad affrontare il tema, accettando il rischio del paradosso: la relazione tra riso e sofferenza. Nel nostro lavoro di psicoterapeuti - e, in particolare, di psicoterapeuti per i quali il focus sono le relazioni familiari e le unità di osservazione e intervento sono la famiglia o la coppia - ci siamo spesso trovati di fronte al rimpianto doloroso, alla nostalgia del tempo passato insieme a ridere. Come se il riso condiviso fosse un segno inequivocabile di relazioni familiari soddisfacenti. Come se, in una realtà familiare o coniugale in cui la sofferenza ha progressivamente sostituito il piacere e la gioia, l'assenza del riso fosse il sintomo più acutamente condiviso. E questo ci ha ricordato la sensazione amara di perdita, cui abbiamo appena accennato nel caso della spiegazione della barzelletta non compresa. Quando la capacità di ridere viene meno, sembra lasciare posto all'amarezza, alla solitudine, alla sofferenza. Cosa significa questo?

[...]

Abbiamo voluto aprire il volume con una sintetica panoramica degli studi sul riso in campo filosofico e nell'ambito della ricerca psicologica, ricapitolando le principali teorie che mirano a rendere ragione del fenomeno (cap. I). Affrontiamo poi la complessa relazione fra tre fenomeni - il riso, l'orgasmo e l'estasi - che ci sembrano presentare diversi punti comuni e che, in molte culture, appaiono correlati nel loro significato (cap. 2). Il passo successivo è un'analisi delle funzioni sociali del riso e della sua capacità di costituirsi come elemento di identificazione culturale; a questo scopo ci rifacciamo, come molti autori, all'esempio della cultura yiddish, che ha fatto dell'umorismo e della capacità di ridere di sé stessa un'arte e una strategia di sopravvivenza. Particolare attenzione viene dedicata all'esame di una figura del comico e delle sue complesse funzioni sociali: il fool o giullare o clown (cap. 3). Ci è sembrato poi importante analizzare, sia pure brevemente, i vari modi del ridere, le diverse forme espressive attraverso le quali il comico irrompe nella nostra vita (cap. 4). Ci addentriamo quindi più a fondo nel nostro specifico professionale e cerchiamo di mettere a fuoco le funzioni del riso nella famiglia funzionale e in quella disfunzionale, avanzando l'ipotesi che in molti nuclei familiari sia identificabile un componente che svolge, più o meno efficacemente, le funzioni del clown familiare. Si tratterebbe di un ruolo complesso e doloroso, che l'interessato in parte sceglie di ricoprire e in parte si ritrova ritagliato addosso dai familiari, in una chiamata implicita, difficile da ignorare (cap. 5). Non poteva mancare una disamina delle funzioni del riso in una realtà complessa come la psicoterapia, soprattutto nel particolare setting della terapia della coppia e della famiglia (cap. 6). Riferiamo poi i risultati di un'indagine su riso e famiglia, che abbiamo condotto attraverso l'analisi codificata di trenta sedute videoregistrate, quindici con coppie e quindici con famiglie (cap. 7). Il libro si chiude (cap. 8) con un colloquio che abbiamo avuto la fortuna e il piacere di intrattenere con Serena Dandini, e con alcune riflessioni finali (cap. 9).

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Capitolo 1

Il riso


    Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso:
    contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da
    ogni parte. Chi ha coraggio di ridere è padrone del mondo,
    poco altrimenti di chi è preparato a morire.
                                                  Giacomo Leopardi



A prescindere da ciò che lo origina e da ciò che implica, il riso si presenta come un processo muscolare fisiologico, che consiste in contrazioni spasmodiche dei muscoli facciali e improvvisi rilasciamenti del diaframma, accompagnati da contrazioni della laringe e dell'epiglottide. Sul piano dei processi corporei implicati, secondo vari studi, il riso comporta: un aumento del ritmo cardiaco, della dermoconduttività, della tensione muscolare e dell'immunoglobulina A; una diminuzione degli ormoni da stress; un'alterazione della respirazione; variazioni del tracciato elettroencefalografico. Inoltre, sembra che il riso sia in grado di aumentare la tolleranza al dolore: Cousins (1979) ha segnalato che 10-20 minuti di risate gli procuravano varie ore libere dal dolore provocato dalla sua malattia. Recenti ricerche hanno indicato una correlazione negativa tra capacità di ridere e insorgenza di malattie coronariche (Clark, Seidler e Miller, 2001).

Riso e sorriso sono diversi. Il primo è descritto come un suono vocale inarticolato di intensità sufficiente per essere udibile quando viene riprodotta al massimo volume una sua registrazione (Chapman, 1973b). Il sorriso è, invece, descritto come una curvatura all'insù della bocca che si verifica senza alcun suono vocale (ibid.). Inoltre il sorriso, al contrario del riso, non interrompe la respirazione (Holland, 1982). Ma è Plessner (1950) a fornirci alcuni elementi di riflessione che differenziano riso e sorriso. In primo luogo, nel sorriso risulta impossibile individuare un legame specifico con un motivo scatenante; il sorriso mantiene, poi, una «garbata distanza dalla propria emozione e dall'altro», non possiede una carica affettiva eclatante e non esprime una forte eccitazione. Nell'esprimere, conserva una distanza dall'espressione e, proprio per questo, ha un grande valore comunicativo:

Il suo retroterra è il medesimo del linguaggio: fa intendere, dice e significa, sebbene in forma trattenuta, velata, inesplicita. Può essere altrettanto insignificante e vuoto, quanto significativo; in fondo inesauribile e imperscrutabile e persino più eloquente di qualunque parola (...) Il sorriso è una forma di espressione sui generis, adeguata e adeguabile ai sentimenti più diversi per genere e intensità, ma dotata di una forma impulsiva debole (Plessner, 1950, pp. 159 sg.).

Seppure il sorriso possa porsi come sostitutivo del riso o costituirne la fase iniziale e/o finale, non può verificarsi il contrario, e cioè che il riso sostituisca il sorriso.

Dal punto di vista dei segnali non verbali, il riso rientra nella categoria dei cosiddetti gesti composti, cioè costituiti da più elementi distinti, ognuno dei quali ha almeno un certo grado di indipendenza (Morris, 1977). Infatti, quando ride, un soggetto emette un suono, spalanca la bocca, spinge indietro gli angoli della bocca, arriccia il naso, strizza le palpebre, mostra una serie di rughe a raggiera agli angoli esterni degli occhi, lacrima, butta indietro la testa, solleva le spalle, dondola il tronco, si stringe il ventre, pesta i piedi a terra. In realtà, non sempre tutti questi gesti compaiono in una singola risata, anzi si potrebbe fare una classificazione del riso assegnando un punteggio da 1 a 12, a seconda dei gesti semplici coinvolti: dalla risata a bocca chiusa e corpo immobile (punti 1) allo sganasciarsi dalle risate (punti 12). Naturalmente, i punteggi estremi appena citati sono i più rari: una risata normale si attesta su un punteggio intermedio (tra 6 e 8), che deriva da un numero medio, ma qualitativamente variabile, di gesti semplici implicati nell'atto del ridere. Esistono, perciò, molti modi di ridere, non soltanto perché ogni individuo ha una sua specifica modalità di risata, ma anche perché esistono vari tipi di riso che si esprimono nella stessa persona in maniera assai diversa tra loro.

Risalendo verso le radici della nostra cultura troviamo, in greco antico, due termini distinti che hanno la stessa radice: gelān, che si riferisce al riso di gioia, e katagelān, che indica il riso denigratorio. Anche in ebraico, nell'Antico Testamento, si ritrovano due modi diversi di indicare il riso; i due termini ebraici sono: sākhaq per il riso gioioso, positivo, e lāag per il riso di scherno. Questa distinzione tra un riso buono e uno cattivo scompare in latino (Le Goff, 1999b), ove troviamo, invece, il solo termine risus. La sparizione della distinzione semantica tra riso positivo e riso negativo si accompagna a una concezione negativa del riso, già presente nella filosofia greca, che informerà di sé buona parte della nostra storia e della nostra cultura.

La distinzione si ritrova in italiano, se si prendono in considerazione i sinonimi del termine ridere, che dispiegano un panorama variegato: sorridere, ridacchiare, sogghignare, ghignare, sghignazzare, sbellicarsi, scompisciarsi, sganasciarsi, smascellarsi. Tralasciando il sorridere, che riteniamo un fenomeno distinto da quello del riso, ridere a fior di labbra e senza rumore equivale a ridere sotto i baffi, mentre smascellarsi, scompisciarsi, sganasciarsi e sbellicarsi indicano il ridere a crepapelle, fragorosamente e quasi senza potersi contenere. Sono implicite le differenze legate alle parti del corpo coinvolte nel fenomeno: sganasciarsi e smascellarsi fanno principalmente riferimento alla bocca, ma i termini implicano una tale perdita di compostezza da far presumere la partecipazione di altre parti del corpo. A loro volta, scompisciarsi e sbellicarsi sembrano rivolgere la loro attenzione ai sommovimenti viscerali del ridere, più che ai fenomeni che coinvolgono il viso. In ogni caso, traspare nei vari termini una notevole complessità di manifestazioni corporee, collegate a una grande varietà di vissuti. Infatti, mentre i vocaboli appena considerati sembrano riferirsi a una sorta di irrefrenabile esplosione di divertimento, il vissuto implicato appare diverso in altri termini come sghignazzare, che indica una risata rumorosa, ma anche di scherno, e ridacchiare, che designa un riso meno sguaiato, a più riprese e a brevi tratti, ma sempre con intenzione maligna e canzonatoria. Anche ghignare e sogghignare manifestano malizia, cattiveria, disprezzo e sarcasmo.

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Ecco, forse, la caratteristica che accomuna queste tre esperienze umane, riso, orgasmo ed estasi: è la loro natura ineffabile di conoscenza contattiva, non un mero atto di pensiero, ma una cognizione conseguita nel rapporto concreto con il suo oggetto. La necessità di superare l'incongruo, di colmare la dissonanza cognitiva ed emotiva che esso comporta, spinge a un avvicinamento concreto, a un immergersi nel continuo gioco di incongrui cui queste esperienze sembrano attingere. Il risultato sul piano emotivo è di intenso contatto con sé stessi, con gli altri, con gli oggetti, con il trascendente; sul piano cognitivo è una sintesi dell'incongruo di cui non riusciamo a rendere conto, smarrendo la ragione in un continuo oscillare, come dice Fry, tra figura e sfondo, tra reale e irreale, e quindi anche tra l'uomo e la donna, tra l'umano e il divino, tra la vita e la morte, tra il bene e il male, in relazioni che collegano e contemporaneamente distinguono queste realtà al di là e oltre la loro apparente dicotomia.

Si tratterebbe di un processo di trascendenza (nel senso di «oltrepassamento» dato al concetto da Heidegger), per il quale il riso, l'orgasmo e l'estasi potrebbero essere tre fenomeni che, di fronte all'incongruo, consentono di uscire dall'umana concezione dell'aut-aut per entrare nella più profonda conoscenza e complessità del vel-vel e dell'et-et. Gli esseri umani, infatti, tendono a considerare la realtà in termini assoluti, privilegiando uno stile di pensiero in termini di aut-aut, nel quale il significato si coglie da elementi indivisibili ed è uno solo, con esclusione di ogni altro possibile. Esiste, però, anche una logica congiuntiva, del sia-che, dell'et-et, che ritrova il significato collegando coerentemente gli elementi che concorrono alla sua formazione, che ingloba tutti gli elementi dai quali quel determinato significato proviene e senza i quali non si potrebbe cogliere. Esiste infine una metalogica, che tiene conto del principio di complessità e che supera, collegandole e integrandole, le due precedenti, secondo il principio del vel-vel, che comprende tanto l'et-et che l'aut-aut. Riso, orgasmo ed estasi potrebbero essere tre esperienze che, grazie alla conoscenza contattiva che comportano, accompagnerebbero l'uomo verso la metalogica del vel-vel.

Non solo, come afferma Bateson (1952), il tentativo di separare l'intelletto dall'emozione è mostruoso, ma lo è anche il tentativo di separare la mente esterna da quella interna, o la mente dal corpo.

Le intense emozioni del riso, dell'orgasmo e dell'estasi potrebbero essere viste come il motore di un processo benefico capace di far percepire come unificato ciò che di solito è vissuto come arbitrariamente e drammaticamente separato. In queste tre realtà — come afferma Plessner per il riso — «la persona resta» e realizza una consapevolezza e un contatto con sé e con gli altri che permette di andare oltre il dualismo tra l'azione, ove la mente controlla il corpo, e le manifestazioni psicosomatiche, in cui il corpo domina la mente e se ne fa interprete.

Se così fosse, si spiegherebbe perché solo nell'uomo compaiono queste manifestazioni. Se così fosse, riso, orgasmo ed estasi sarebbero collegati al nucleo più profondo dell'esperienza umana e il loro studio rivestirebbe un'importanza fondamentale.

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Capitolo 3

Funzioni sociali del riso


    Il riso ha un profondo significato di visione del mondo, è
    una delle forme più importanti con cui si esprime la verità
    sul mondo nel suo insieme, sulla storia, sull'uomo (...)
    soltanto al riso, infatti, è permesso di accedere ad aspetti
    estremamente importanti della realtà.
                                                 Michail Bachtin



L'assonanza tra fenomeni come il riso, l'orgasmo e l'estasi si ritrova anche nei corrispondenti fenomeni sociali: il comico, la sessualità e il rito sacro. Da sempre l'ordinamento sociale ha guardato a queste realtà in modo ambivalente: da un lato, ne ha temuto la natura antigerarchica e corrosiva; dall'altro, ha cercato di assorbirne le spinte potenzialmente disgregatrici, per circoscriverle, istituzionalizzarle e trasformarle in puntelli dell'organizzazione sociale e, talvolta, del potere tout-court. Quest'opera di assimilazione è stata facilitata dalla natura stessa di questi tre fenomeni. Come si è detto, possono essere visti come sfere limitate di significato che attraggono intensamente e sono collegate a un aumento e a una scarica della tensione, in seguito ai quali ritorna la quotidianità. Si tratta perciò di fenomeni che, per verificarsi e funzionare, hanno bisogno di porre a sé stessi dei confini: non si possono ripetere le stesse battute alle stesse persone senza distruggere il comico; l'orgasmo ha le sue leggi biologiche e psicoaffettive che ne regolano la comparsa, la durata e la possibilità di ripeterlo; il rito sacro ha un suo significato proprio perché ha una sua durata, al termine della quale i fedeli portano il senso del sacro nella vita quotidiana. Tuttavia, questi fenomeni proprio perché attingono a sfere di significato che si differenziano dalla realtà quotidiana, tendenzialmente ordinata e ispirata al «senso comune», mantengono intatto il loro potenziale eversivo e sono in grado di determinare feedback positivi, tali cioè da introdurre nella società veri elementi di novità. Nello studio del cambiamento, si distinguono una prima cibernetica, che studia i sistemi in condizioni di equilibrio o prossimi all'equilibrio che, per mantenersi in quelle condizioni, si avvalgono di meccanismi capaci di contrastare le deviazioni dall'equilibrio (feedback negativo), e una seconda cibernetica, che si interessa invece dei meccanismi di feedback positivo, quelli che tendono ad amplificare le deviazioni dall'equilibrio e quindi a studiare i sistemi lontani dalla condizione di equilibrio. Sessualità, riso e sacro sembrano ambiti all'interno dei quali aumentano le probabilità che si attivino meccanismi propri della seconda cibernetica.

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Aspetti sociali del riso e del comico

Le funzioni sociali del comico sono analoghe a quelle psicologiche. Ziv (1984) ne ha proposto una categorizzazione che si può così riassumere:

Integrazione sociale: oltre ai tanti fenomeni del macrosociale (riti dionisiaci, commedia, carnevale, risus paschalis ecc.) ci sono non poche funzioni svolte dal comico nei piccoli gruppi. Ridere insieme contribuisce al senso di appartenenza e favorisce la coesione del gruppo; far ridere è un modo per farsi accettare in un gruppo nuovo.

Aggressività: il comico può essere utilizzato contro, può diventare un'arma nei confronti di individui, gruppi, istituzioni, sotto varie forme espressive (burle, vignette, motti verbali, scritti ecc.); è una forma di comportamento che assume particolare rilievo nei confronti del capro espiatorio, singolo o gruppo sociale o etnico che sia. Č una comicità che tende a convalidare in parte la teoria della «superiorità» di Hobbes. Č anche un modo per aggirare l'inibizione sociale dell'aggressività. L'espressione dell'aggressività tramite il comico sembra avere una funzione preventiva sull'esplodere dell'ostilità aperta. Per Goodchilds (1972) e Smith e White (1965) è assai più frequente che i soggetti definiscano le proprie battute come umoristiche piuttosto che come sarcastiche: questo indica una sottostima dei propri aspetti aggressivi. D'altra parte è noto che le battute sarcastiche sono potenti e non molto gradite, mentre quelle comiche sono molto gradite, ma non molto potenti, l'attenuazione della percezione delle proprie spinte aggressive sembrerebbe una sorta di ammortizzatore rispetto all'esercizio dell'aggressività aperta.

Attenuazione dei rapporti gerarchici: battute rivolte da un superiore a un subordinato, che non rientrino nella categoria appena descritta, hanno, al contrario, la funzione di attenuare la verticalità e la differenza di ruoli. Goodrich, Henry e Goodrich (1954) hanno rilevato che i soggetti ai livelli gerarchici più alti fanno un uso più frequente della comicità, rispetto ai soggetti che si trovano ai livelli più bassi. Coser (1960) nota che il comico serve a ridurre le distanze sociali tra persone in differenti posizioni gerarchiche. Mary Douglas (1975), sulla base di materiale etnografico soprattutto africano, giunge alla conclusione che la comicità è un modo per sganciarsi momentaneamente dalle categorie e dalle gerarchie sociali, di sfumarne i confini, di creare una sospensione temporanea della struttura sociale per lasciare spazio alla fantasia.

Controllo sociale: l'individuo che dissente dalle norme comuni o non sa adeguarvisi viene spesso colpito dal dileggio. In questo caso la comicità ha una doppia funzione: in parte si lega alla dinamica del capro espiatorio, e quindi rientra nella categoria dell'aggressività; tuttavia, riveste anche una funzione di impulso all'adattamento sociale. Si pensi ai fenomeni di nonnismo nelle caserme: quando non degenerano e restano nell'ambito di un dileggio, anche feroce, tendono ad accelerare l'adattamento delle reclute alla nuova realtà e favoriscono l'adesione dell'individuo al gruppo. Naturalmente mantengono la loro funzione assolutamente negativa nei confronti dei soggetti che non vogliono o non riescono ad adeguarsi al nuovo ambiente.

Ribellione verso l'autorità: gran parte della satira politica ha questa funzione. L'analisi del personaggio del fool, che condurremo tra breve, ci consentirà di approfondire quest'aspetto. Per quanto riguarda le dinamiche di gruppo, La Fave, Haddad e Maesen (1976) affermano che nel caso in cui un individuo non si conformi a una norma sociale, la probabilità che gli altri siano divertiti aumenta se: a) la norma in questione non è così «sacra»; b) il non conformarsi alla norma è apparentemente accidentale; c) il soggetto che non si conforma gode di un alto prestigio: d) il non conformarsi è assai discrepante rispetto alla gamma delle attese. Le prime tre condizioni sembrano riferirsi alla teoria della superiorità, e l'ultima a quella dell'incongruo.

Sessualità: anche in questo caso la comicità serve per aggirare l'inibizione sociale. La sessualità mantiene, infatti, un suo lato oscuro e pauroso che la battuta, la barzelletta, lo scherzo a sfondo sessuale tendono a esorcizzare. Si pensi alla quantità di barzellette e di battute sull'impotenza, l'omosessualità, la frigidità, sul decadimento sessuale dovuto all'età ecc.

Difesa: l'umorismo può essere di aiuto per elaborare minacce di qualsiasi tipo. Si pensi all'umorismo che si origina tra commilitoni in guerra, tra i pazienti in ospedale e, più in generale, tra coloro che si trovano in circostanze in cui morte e ferite sono una possibilità reale. Rientra in questa categoria il fenomeno assai diffuso dell'umorismo nero o macabro.

Benessere psichico: molto è stato scritto sulle funzioni del riso come coadiuvante delle terapie mediche e come strumento terapeutico, soprattutto in psicoterapia. Su questo aspetto torneremo più avanti.

Funzione cognitiva: il comico ha una particolare valenza cognitiva, specialmente sul versante della creatività. La creatività in senso lato è il processo attraverso il quale vengono formate, espresse e scoperte strutture originali. Koestler (1964) afferma che l'atto creativo del comico consiste nel portare a una momentanea fusione due strutture di riferimento incompatibili. La scoperta scientifica può essere descritta in termini molto simili. La creatività del comico va vista su un doppio versante, e per questo coinvolge la socialità. Bisogna considerare due diverse esperienze: l'invenzione comica di chi produce il comico e la scoperta del comico da parte di chi ne fruisce. Č chiaro che la prima esperienza è quella che più si avvicina alla definizione di base della creatività. Tuttavia gli studi di Bateson (1956) e di Fry (1963, 1970) ci mettono di fronte al fatto che l'esperienza comica si crea in una struttura analoga a quella del gioco, struttura che è per sua natura relazionale e sociale.

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La differenza di genere

La differenza di genere ha dato origine a una quantità enorme di produzione comica, che va dall'umorismo più delicato alle battute da caserma, ai doppi sensi, ai sarcasmi sciovinisti. Specialmente questi ultimi abbondano in Internet dove sono sorti molti siti che ospitano, con il contributo degli utenti, ricche raccolte di barzellette e vignette, perlopiù a carattere bonariamente aggressivo. Ne riportiamo alcuni esempi.


Un uomo chiese a Dio: «Perché hai creato la donna così bella?» E Dio: «Così tu puoi amarla.» Dopo un po' l'uomo chiese ancora a Dio: «Ma allora, perché l'hai creata così stupida?» E Dio: «Così lei può amare te.»


La donna: se tu parli. vuole che tu l'ascolti; se tu l'ascolti, vuole che tu parli.


Sono stati installati nuovi sportelli bancomat drive-through, che permettono di prelevare contanti senza scendere dall'auto. Si raccomanda di seguire attentamente le seguenti procedure per l'uso:

    Uomini
 1. Avvicinarsi con l'auto al bancomat.
 2. Abbassare il finestrino.
 3. Inserire la carta nel bancomat e digitare il PIN.
 4. Digitare l'importo desiderato.
 5. Ritirare la carta, il contante e la ricevuta.
 6. Richiudere il finestrino.
 7. Ripartire.

    Donne
 1. Avvicinarsi con l'auto al bancomat.
 2. Fare retromarcia fino ad allineare il finestrino
    al bancomat.
 3. Riavviare il motore.
 4. Abbassare il finestrino.
 5. Trovare la borsetta e svuotare tutto il suo contenuto
    sul sedile del passeggero per trovare la carta.
 6. Localizzare la trousse e controllare il trucco sullo
    specchietto retrovisore.
 7. Provare a inserire la carta nel bancomat.
 8. Aprire la portiera per facilitare l'accesso al
    bancomat data l'eccessiva distanza dell'auto.
 9. Inserire la carta.
10. Inserire nuovamente la carta nel verso giusto.
11. Risvuotare la borsetta per cercare l'agenda con il
    PIN scritto sul retro della pagina di copertina.
12. Digitare il PIN.
13. Premere «Cancel» e digitare il PIN corretto.
14. Digitare l'importo desiderato.
15. Ricontrollare il trucco nello specchietto retrovisore.
16. Ritirare il contante e la ricevuta.
17. Svuotare ancora la borsetta per trovare il portafogli
    e riporvi il contante.
18. Riporre la ricevuta insieme al blocchetto degli assegni.
19. Ricontrollare il trucco ancora una volta.
20. Ripartire e percorrere due metri.
21. Fare retromarcia fino al bancomat.
22. Ritirare la carta.
23. Risvuotare la borsetta, trovare il portatogli e
    collocare la carta nell'apposito comparto.
24. Ricontrollare il trucco.
25. Riavviare il motore che nel frattempo si è spento.
26. Guidare per cinque-sei chilometri.
27. Togliere il freno a mano.

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