Copertina
Autore Marco Sotgiu
Titolo M-346
SottotitoloBiografia di un aereo
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2011, , pag. 196, ill., cop.ril.sov., dim. 15,5x23,8x2 cm , Isbn 978-88-02-08413-8
LettoreCorrado Leonardo, 2011
Classe scienze tecniche , paesi: Italia: 2000
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Indice


VII  Ringraziamenti

  3  1.  Vola!
  7  2.  Memoria
 13  3.  Lampadine
 21  4.  La scommessa
 27  5.  L'odore della Russia
 33  6.  Due culture
 37  7.  Differenze
 43  8.  La trattativa
 47  9.  Compromessi
 57  10. Andata e ritorno
 65  11. In pista
 71  12. Goodbye Lenin
 77  13. Il "sistema" aereo
 83  14. Divorzio
 93  15. Volando appesi a un filo
101  16. La Ferrari dei cieli
109  17. Skunk!
119  18. Vita quotidiana
131  19. Il sogno del volo perfetto
137  20. Il Fratello Grande
145  21. Una giornata di sole
155  22. Futuro

161  Appendice - Lo spirito Aermacchi
187  Bibliografia
191  Indice dei nomi



 

 

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Pagina 3

Capitolo 1
Vola!



Un ruggito fortissimo, uno scatto sulla pista e poi in aria. Non che ci fossero dubbi, ma un po' di scaramanzia, quella sì. E allora tutti con il fiato sospeso e gli occhi verso il cielo, a guardare questo piccolo, grande gioiello, frutto di quindici anni di lavoro, di giorni e notti insonni, di genio e di passione.

Si chiama M-346 ed è un aereo tutto italiano, ma con una storia che viene da lontano, dalla Russia; ed è figlio di quella straordinaria stagione di libertà che fu il 1989 in Europa. Per decenni (dalla conferenza di Yalta del 1945) il mondo era rimasto diviso in due blocchi. Bastano pochi mesi per cambiare completamente lo scenario internazionale: si dissolve l'Unione Sovietica, cadono muri e frontiere, si riunifica la Germania. «Molto di ciò che appena uno o due anni fa pareva quasi irrealizzabile in Europa, adesso è diventato realtà – scrive il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov – speriamo che all'epoca di cui è stata simbolo la "cortina di ferro" subentri l'epoca di cui sia simbolo la "casa comune europea"».

Dal Muro che divide alla casa comune in cui vivere insieme. Cambia la grande Storia, cambiano le vite quotidiane: ognuno è parte di quel grande terremoto. E succedono cose mai viste, imprevedibili.


Quella mattina del 15 luglio 2004 sulla pista dell'aeroporto di Venegono, a una quindicina di chilometri da Varese, ci sono tutti i protagonisti della storia dell'M-346. C'è Giorgio Brazzelli, che proprio con il progetto italo-russo ha traghettato l'Aermacchi attraverso la crisi dell'industria aeronautica, dalla «conduzione familiare» fino all'approdo in Finmeccanica.

C'è Massimo Lucchesini, che per anni l'M-346 lo ha cresciuto passo passo, tenendo le fila della collaborazione tecnica con i russi e poi del gruppo di lavoro IPT tutto italiano.

C'è Fabrizio Foresio, erede della dinastia di imprenditori che ha reso l'azienda varesina un caso unico nel panorama aeronautico mondiale e che nell'M-346 ha deciso di investire in tempi non facili. Accanto ai protagonisti «storici» c'è anche Giovanni Bertolone, il primo amministratore delegato nominato da Finmeccanica, che da un anno segue la fase finale che ha portato l'azienda nella galassia del colosso industriale.

Quella mattina, ancora dopo tanti anni, tutti la raccontano come un'esperienza emozionante, coinvolgente. Molti si commuovono, il groppo in gola, qualcuno scoppia a piangere, la tensione del momento è troppo forte.

Freddo e concentrato è invece il pilota Olinto Cecconello, a toccare con mano leggera i comandi che anche lui ha contribuito a realizzare. Alza il muso dell'aereo verso il cielo e dopo un attimo è già sopra i laghi lombardi, senza quasi accorgersi del sussulto che provoca a terra, tra la gente assiepata in auto attorno all'aeroporto di Venegono.

Son tutti lì con gli occhi al cielo. Per un attimo non ci sono gerarchie: dirigenti, giovani ingegneri, tecnici, piloti, operai, impiegate, persino i vigili del fuoco. C'è solo la sensazione di aver fatto parte di un grande progetto, di un lavoro comune, di un orgoglio che è un po' di altri tempi.

L'M-346 ha un leggerissimo rollio mentre si stacca da terra. È un uccellino che esce dal nido e non sa quale direzione prendere. E allora ha come un attimo di esitazione. «Appena ho ruotato – racconta il comandante Cecconello – si è sentito un leggero rollio a destra e a sinistra che ho compensato nel giro di un secondo e mezzo, due secondi».

Ad assistere e scrutare il decollo ci sono le due «anime ingegneristiche» che hanno reso possibile il progetto, quella un po' scapigliata di Valerio Cioffi e quella apparentemente più formale di Pierclaudio Iaia.

L'aereo «saluta» barcollando leggermente, così descrive il primo lo stacco da terra, umanizzando quasi la propria creatura. «Asimmetria della portanza», sono invece le parole solo apparentemente distaccate del secondo.

Due modi di ricordare lo stesso attimo sospeso tra terra e cielo, il segno che alla fine questo aereo nasce da un vero lavoro di squadra, che mette insieme non solo competenze diverse ma anche diverse visioni del mondo ed emozioni.

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Pagina 33

Capitolo 6
Due culture



La sede della Yakovlev a Mosca nella quale arrivano i manager dell'Aermacchi nel 1992 è fatta di grandi stanze vuote e fredde. Perfettamente arredate, con poltrone d'epoca ed enormi tavoli, ma pochissima gente.

Si entra nel complesso in macchina e poi a piedi si passa attraverso il grande auditorium che ha alle pareti le scritte Perestrojka e Glasnost' fino alla sala del mappamondo, dove si svolgono i ricevimenti. Una struttura così imponente in sostanza è quasi abbandonata: un gigantesco complesso a volte con solo 3-4 persone all'interno. Anche il reparto sperimentale sarebbe bellissimo, non fosse per quelle due dita di polvere che ricoprono tutte le attrezzature.

Diversamente dalla trattativa politico-commerciale (che vedeva riuniti i vertici delle aziende), le riunioni tecniche si tengono in una stanza più piccola delle altre, attorno a un tavolino in cui le delegazioni sono schierate l'una di fronte all'altra. «Noi eravamo gli orsi della Siberia — ricorda Dolzhenkov — mentre gli italiani per noi incarnavano il rinnovamento».

Sin dalla prima riunione tecnica si capisce, anche se forse non si può dire a chiare lettere, che gli ingegneri italiani sono assolutamente certi di un punto: il carico alare del modello proposto da Yakovlev non è adeguato e anche la spinta dei motori (quelli ipotizzati all'inizio erano gli Ivchenko AI 25) è troppo bassa. La differenza di fondo è proprio questa: Aermacchi ha in mente un addestratore avanzato e Yakovlev uno basico. Il team italiano si limita a osservare, in questo primissimo approccio. Anche perché la riunione viene sospesa abbastanza bruscamente: uno dei tecnici senior deve terminare il suo turno da tassista, con il quale arrotonda il magro stipendio. È proprio un mondo nuovo per tutti e bisogna adattarsi a ciò che si trova, che spesso è crisi e incertezza.

Nel secondo giro di incontri gli ingegneri Aermacchi decidono di scoprire le carte: costruire un aereo con prestazioni più elevate. La prima reazione è quella di Nikolai Dolzhenkov, una reazione un po' stizzita: come si permettono gli italiani di mettere in discussione le basi del progetto russo? Ma alla fine tutta la delegazione russa, a partire dal numero uno Dondukov, darà ragione agli ingegneri italiani: per arrivare al mercato internazionale bisogna cambiare radicalmente.

Siamo nel freddo dicembre del 1992. Alla tornata di riunioni viene presentata una bozza di requisito che specifica già cambiamenti in un certo numero di caratteristiche, dal carico alare superiore fino al fattore di carico e all'accomodamento dei piloti. Alcune scelte adesso sono condivise: la superficie alare sarebbe stata di 24,6 m2 (rispetto ai ben 27,5 m2 iniziali). I russi propongono di sostituire i motori con i Klimov RD-35.

Sia sul piano tecnico che su quello caratteriale l'incontro tra italiani e russi inizialmente assomiglia più a uno scontro, nel senso che provoca molte frizioni. Per i problemi aerodinamici, ad esempio, da una parte gli italiani (ma questo si può dire in generale delle industrie americane ed europee) si affidano alla pratica, alla sperimentazione sul campo. Dall'altro gli ex sovietici sono, per così dire, tutta teoria. Il problema aerodinamico non viene affrontato nelle gallerie del vento ma a tavolino, attraverso complesse equazioni matematiche.

Al primo impatto la sensazione è che la differenza tra russi e italiani sia incolmabile. Che non si potrà arrivare da nessuna parte. Ma cosa ci è venuto in mente?

I russi pensavano a un velivolo di una semplicità «scheletrica» ma efficace, gli ingegneri Aermacchi sognavano un aereo molto più avanzato. Ma dal disorientamento si passa presto alla consapevolezza che invece da qualche parte si arriverà, eccome, che il compromesso è necessario, e soprattutto possibile.

Proprio la sintesi delle «due culture» si rivelerà infatti uno degli elementi vincenti del progetto AEM/YAK-130. Il team Aermacchi, che ha a lungo lavorato con gli americani assorbendone gran parte della cultura, adesso si confronta e riesce a integrare nella propria esperienza l'altra parte del mondo aeronautico, appunto quella sovietica.

Grazie al lavoro di mediazione dei manager Aermacchi la parte russa accetta formalmente il nuovo requisito che sancisce il passaggio al progetto di addestratore avanzato.

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Pagina 131

Capitolo 19
Il sogno del volo perfetto



Battendo molti record, l'M-346 è in grado di compiere il roll out già all'inizio dell'estate 2003 e di effettuare il primo volo nel luglio dell'anno successivo.

Il roll out avviene il 17 giugno 2003. È anche un'anticipazione ideale del passaggio di Aermacchi a Finmeccanica. Sono infatti presenti i vertici del gruppo pubblico a guardare la passerella del nuovo aereo.

Finmeccanica possiede già il 25% di Aermacchi, una partecipazione che era nata con il progetto AMX (a cui partecipano Alenia – che ancora si chiama Aeritalia –, Aermacchi e la brasiliana Embraer), a sottolineare una chiara prospettiva di medio e lungo periodo.

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta in tutta Europa si era realizzato un grande movimento di consolidamento e di accorpamento delle aziende aeronautiche. Così è per Francia e Germania unite (insieme alla Spagna) in EADS e in Inghilterra con la BAE. In Italia il soggetto che ha come vocazione quella di consolidare sotto un unico tetto l'aeronautica nazionale è appunto Alenia e quindi Finmeccanica.

Già i patti parasociali sottoscritti al momento dell'acquisto del 25% prevedevano un diritto di prelazione. Se pure Brazzelli e Foresio avessero trovato un altro acquirente in Europa, comunque Finmeccanica avrebbe avuto facoltà di acquistare il rimanente 75% allo stesso prezzo concordato con l'eventuale partner straniero. Il progetto dell'M-346 è lo stimolo a questo passaggio. Quando, nel 2003, avviene l'acquisizione definitiva, Finmeccanica manda un manager di cultura ingegneristica, Giovanni Bertolone, per contribuire ad accelerare la fase di sperimentazione e di certificazione dell'M-346. Brazzelli passa la mano al nuovo amministratore delegato targato Finmeccanica e diventa presidente di Aermacchi. Quando il nuovo aereo sarà in volo subentrerà un altro manager di spicco del gruppo, Carmelo Cosentino, non casualmente di cultura più commerciale rispetto al suo predecessore.

Un po' di ansia in azienda per questo passaggio ci sarà. Il timore è quello di essere inghiottiti da un colosso che ha 70mila dipendenti e che vengano allo stesso tempo inghiottite la professionalità e la specificità dell'azienda. Ma la transizione, gestita a quattro mani da vecchia e nuova dirigenza, alla fine risulterà molto liscia.


Il primo volo dell'M-346, il 15 luglio 2004, non è solo un momento emozionante ma anche di grande responsabilità. Il rischio reale è vicino allo zero ma, come per qualsiasi aereo che voli sopra una zona densamente abitata, c'è pur sempre una imponderabile possibilità che qualcosa non funzioni a dovere.

Il team Aermacchi ha sperimentato sull'iron bird centinaia di combinazioni relative a possibili avarie concomitanti fino a quelle più improbabili come la mancanza di alimentazione elettrica contemporanea a un crash del software. E soprattutto le prove relative al fatto che al sistema fly by wire possano arrivare funzioni di stato non corrette, cioè informazioni errate relative allo stato del velivolo: quota, pressione, temperatura, velocità, angolo di attacco e angolo di imbardata, accelerazioni, tutto ciò insomma che indica al sistema l'esatto stato dell'aereo.

In modo simile, certo più complesso, di quanto abbiamo visto accadere nelle macchine da Formula uno (e come in futuro vedremo sempre più spesso nelle automobili commerciali), una volta ricevuto l'input del pilota per la manovra, il sistema elabora le cosiddette leggi di controllo e quindi nell'aereo imposta la deflessione ottimale delle superfici di controllo. Non c'è il piede magico di Ayrton Senna certo, ma semplicemente la mano del comandante Cecconello, che però dovrà diventare la mano di una generazione di giovani piloti prossimi venturi.

Oltre alla questione della sicurezza l'obiettivo finale (quello teorico, ottimale) è avere un aereo che in tutta la fase di volo rimanga in quello che è il «livello 1» delle norme militari americane per i velivoli da caccia e da combattimento. Che è poi l'ambizione di ogni progettista aeronautico, quella del «volo perfetto».

Come abbiamo visto parlando del fly by wire, l'aereo deve essere dotato di un sistema di autoprotezione in modo che se dovesse raggiungere i limiti consentiti dall'aerodinamica piuttosto che dalla resistenza strutturale il computer del sistema comandi di volo possa intervenire per evitare fattori di carico o manovre superiori a quelle sopportabili dalla struttura dell'aereo. Idem se dovesse toccare angoli di attacco accoppiati o angoli di derapata con rollio superiori alla controllabilità del velivolo.

Per raggiungere questo livello tecnologico è stata decisiva, negli anni della progettazione, una delle caratteristiche di Aermacchi più peculiari e più preziose e cioè la capacità di integrazione. Confluivano in Aermacchi miriadi di dati che arrivavano da attività esternalizzate in decine di luoghi diversi.

Le attività a maggior valore erano svolte internamente, ma la capacità di fondo rimaneva quella di integrare tutto a prescindere dal valore perché ognuno dei mille componenti di un aereo ha in sé un ruolo essenziale.


Il primo volo — spiegano i progettisti — è stato effettuato praticamente senza piattaforma inerziale: il che ha significato rinunciare a qualsiasi smorzatore sui tre assi e avere un sistema forse un po' «di naso» nelle fasi terminali dell'avvicinamento.

Per il primo volo si adotta il sistema direct link, una decisione resa necessaria dall'esigenza di rispettare la data fissata. Il direct link sarà utilizzato per un paio di anni per passare poi finalmente al modo cosiddetto reversionario.

Questo avviene nel 2006: dal punto di vista strettamente ingegneristico è il volo più significativo perché la complessità architetturale dell'aereo veniva messa alla prova per la prima volta nella sua interezza e complessità.


Ma perché questa «ansia» di rispettare alla singola giornata la data del primo volo? Abbiamo visto che l'MB-339 esige un sostituto, le forze commerciali di Aermacchi scalpitano, l'azionista Finmeccanica se lo aspetta. Ma c'è qualcosa di più, di natura diversa, che appartiene al DNA «avventuroso» di tutta questa avventurosa storia: l'idea — costante — della «sfida». Molte altre aziende europee avevano affermato di voler colmare il gap tra i vecchi addestratori e quelli avanzati. Ma alla fine dei conti chi decolla davvero è l'M-346.

Dassault e EADS rimangono, per così dire, con il naso all'insù mentre l'aereo italiano inizia a volare sopra Venegono.

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