Copertina
Autore Tom Stafford
CoautoreMatt Webb
Titolo Mente locale
Sottotitolo100 esperimenti semplici e sorprendenti per capire la nostra intelligenza e come usarla al meglio
EdizioneApogeo, Milano, 2005, Saggi , pag. 420, ill., cop.fle., dim. 135x210x24 mm , Isbn 978-88-503-2363-0
OriginaleMind Hacks [2005]
TraduttoreAnna Airoldi
LettoreCorrado Leonardo, 2006
Classe scienze cognitive , psicologia , medicina , biologia , giochi , sensi
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Indice

Prefazione                                          ix
Elenco dei collaboratori                          xiii
Introduzione                                       xix

Capitolo 1 - Dentro il cervello                      1

 1. Scopriamo come funziona il cervello
    senza doverci guardare dentro                    2
 2. L'elettroencefalogramma (EEG):
    per avere il quadro generale della situazione    6
 3. La tomografia a emissione di positoni (PET):
    per misurare l'attività in maniera indiretta     7
 4. La risonanza magnetica funzionale (fMRI):
    la tecnica più all'avanguardia                   8
 5. La stimolazione magnetica transcranica (TMS):
    per accendere e spegnere parti del cervello     10
 6. La neuropsicologia, il mito del 10% e perché
    usiamo il cervello nella sua interezza          11
 7. Impariamo a conoscere il sistema nervoso
    centrale                                        15
 8. Viaggio all'interno della corteccia
    e dei quattro lobi                              20
 9. Il neurone                                      23
10. Scopriamo gli effetti della funzione cognitiva
    sul flusso sanguigno cerebrale (CBF)            26
11. Perché gli esseri umani non funzionano
    come i pulsanti di un ascensore                 30
12. Costruiamo il nostro homunculus sensoriale      33

Capitolo 2 - La vista                               39

13. Comprendere l'attività visiva                   40
14. Capire i limiti della vista                     46
15. Vedere, agire                                   51
16. Come mappare il proprio punto cieco             55
17. Cogliere i vuoti nel campo visivo               59
18. Quando il tempo si arresta                      62
19. Sbloccare le fissazioni oculari per reazioni
    più rapide. L'effetto "gap"                     65
20. Illudersi di vedere in 3D                       67
21. Gli oggetti si muovono, l'illuminazione
    non dovrebbe                                    72
22. La profondità è importante                      76
23. La differenza tra luminosità e luminanza.
    L'illusione dell'ombra sulla scacchiera         84
24. Creare una profondità illusoria
    con un paio di occhiali da sole                 88
25. Percepire il movimento quando tutto è fermo     92
26. L'adattamento                                   95
27. Mostrare il movimento senza che si muova nulla  99
28. L'estrapolazione motoria. L'effetto "flash-lag"103
29. Trasformare quadratini scorrevoli in piedi
    in marcia                                      107
30. Comprendere l'illusione dei serpenti rotanti   110
31. Ridurre al minimo le distanze immaginarie      116
32. Esploriamo il nostro sistema di difesa         122
33. Il rumore neurale non è un difetto,
    ma un elemento fondamentale                    124

Capitolo 3 - L'attenzione                          129

34. I dettagli e i limiti dell'attenzione          130
35. Contare più in fretta tramite il subitizing    134
36. Percepire la presenza e la scomparsa
    dell'attenzione                                137
37. Catturare l'attenzione                         143
38. Mai guardarsi indietro                         147
39. Evitare le falle nell'attenzione               150
40. Cecità ai cambiamenti                          156
41. Per rendere un oggetto invisibile basta
    concentrarsi (su qualcos'altro)                159
42. Il cervello punisce gli elementi
    che lanciano falsi allarmi                     162
43. Potenziare l'attenzione visiva con l'aiuto
    dei videogame                                  165

Capitolo 4 - L'udito e il linguaggio               171

44. Percepire la collocazione temporale
    degli eventi con le orecchie                   172
45. Identificare la direzione da cui provengono
    i suoni                                        174
46. Individuare la tonalità                        179
47. Non perdete l'equilibrio!                      182
48. Identificare i suoni ai margini della certezza 184
49. Il linguaggio è una rete a banda larga
    per l'immissione di dati nella nostra testa    186
50. Dare grandi nomi a concetti importanti         189
51. Interrompere il sovraccarico del memory-buffer
    durante la lettura                             193
52. Usare il parallelismo per un'elaborazione
    dei dati efficace                              198

Capitolo 5 - L'integrazione                        203

53. Esprimere i dati temporali in forma sonora,
    e quelli spaziali in forma luminosa            204
54. Meglio non suddividere l'attenzione
    su più fronti                                  207
55. Confondere l'identificazione dei colori
    con segnali ambigui                            210
56. Non andate in quella direzione!                213
57. Combinare le modalità per aumentare
    l'intensità                                    218
58. Guardarsi provoca sensazioni più intense       221
59. Sentire con gli occhi: l'Effetto McGurk        224
60. Prestare attenzione alle voci "gettate"        226
61. Parlare da soli                                229

Capitolo 6 - Il movimento                          235

62. Il fenomeno della scala mobile fuori uso: quando
    prende il sopravvento il "pilota automatico"   236
63. Tenersi sotto controllo                        239
64. Modellare il proprio schema corporeo           243
65. Perché non riusciamo a farci il solletico
    da soli?                                       247
66. Raggirare metà della propria mente             253
67. Gli oggetti chiedono di venir utilizzati       257
68. Mettere alla prova la propria lateralità
    manuale                                        261
69. Usare la metà destra del cervello,
    e anche la sinistra                            265

Capitolo 7 - Il raziocinio                         273

70. Adoperare i numeri con cautela                 273
71. Pensare alle frequenze più che alle probabilità277
72. Smascherare i traditori                        283
73. Convincere gli altri a sentirsi meglio:
    l'effetto placebo                              286
74. Mantenere lo status quo                        290

Capitolo 8 - L'unione                              297

75. Cogliere la gestalt                            298
76. Per farsi notare, bisogna sincronizzarsi       301
77. Vedere una persona come luci in movimento      305
78. Animare gli oggetti                            310
79. Interpretare gli eventi come causa ed effetto  313
80. Agire senza saperlo                            318

Capitolo 9 - La memoria                            323

81. Portare gli oggetti nella parte anteriore
    della mente                                    324
82. I messaggi subliminali sono deboli e semplici  328
83. Simulare familiarità                           331
84. Mantenere intatte le proprie fonti
    (se ci si riesce)                              335
85. Creare falsi ricordi                           340
86. Modificare il contesto per costruire ricordi
    duraturi                                       346
87. Potenziare la memoria attraverso
    l'uso del contesto                             349
88. Pensarsi forti                                 353
89. Aprirsi un varco nella memoria                 358
90. Vivere un'esperienza extracorporea             362
91. Entrare nella penombra: lo stato ipnagogico    364
92. Rendere piacevole la dipendenza dalla caffeina 364

Capitolo 10 - Gli altri                            375

93. Comprendere cosa rende un volto speciale       376
94. Comunicare le emozioni                         380
95. Fatevi felici!                                 384
96. La memoria "calda" e quella "fredda"           388
97. Seguire lo sguardo altrui                      392
98. Scimmiottamenti                                396
99. Disseminare malumore                           400
100.Siamo quello che pensiamo                      403

Indice analitico                                   407

 

 

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Pagina IX

Prefazione


Nel corso degli ultimi vent'anni, pochi sviluppi sono stati tanto cruciali per le scienze della mente quanto lo sradicarsi, progressivo e costante, della metafora del cervello-come-computer, che aveva dominato buona parte delle nostre teorie sull'attività cognitiva negli anni Sessanta e Settanta. La metafora è venuta meno per varie ragioni. In parte, perché l'intelligenza artificiale si è rivelata una faccenda ben più complicata di quel che avevamo immaginato; poi, perché abbiamo sviluppato nuovi strumenti per comprendere e visualizzare la biologia del cervello, che in fin dei conti non ha l'aspetto di un microprocessore; infine, perché un influente gruppo di scienziati ha iniziato a esplorare il ruolo vitale delle emozioni nel funzionamento del cervello. Se è vero che il cervello contiene elementi simili alle porte logiche del calcolo digitale (e alcuni autorevoli ricercatori continuano a descrivere l'attività della mente umana come una sorta di calcolo), in generale oggi si accetta la premessa che computer e cervello siano due cose assai diverse, benché con alcune competenze in comune: giocare a scacchi, per esempio, o correggere gli errori di ortografia.

A una prima occhiata, il libro che avete in mano potrebbe essere accusato di far rivivere la vecchia idea del cervello-come-computer: dopo tutto, il suo titolo originale è Mind Hacks, e il termine hack viene dall'industria del software. Tuttavia, io credo che questo libro appartenga a un modo di intendere il cervello spiccatamente contemporaneo, che usando la terminologia dei creatori di software si potrebbe definire utente-centrico. Le meraviglie della scienza della mente non sono più un fatto da contemplare esclusivamente in laboratorio o nelle aule d'università; oggi possiamo indagare il funzionamento del cervello compiendo esperimenti sulla nostra testa. Possiamo esplorare l'architettura cerebrale semplicemente provando a fare uno dei tanti esercizi contenuti nelle pagine che seguono. Il desiderio di esplorare la coscienza non è certo una novità, anzi è uno degli istinti più antichi dell'uomo; l'innovazione sta nell'esplorare la coscienza con la guida della scienza empirica. C'è stata l'epoca di Freud, quella della psichedelia, e quella della meditazione. Questo volume suggerisce che stia prendendo piede una nuova forma d'introspezione, che in un altro contesto ho chiamato "neuroscienza ricreativa".

Trovo che il concetto di hack cerebrale sia fantastico. Matt Webb e Tom Stafford sono riusciti a mettere insieme in questo libro una raccolta di "giochi mentali" stupefacente, che vi farà apprezzare le modalità con cui il cervello dà forma alla realtà che percepite. Vale però la pena di evidenziare una sottile distinzione tra l'uso che si fa del vocabolo hack nel campo del software e il modo in cui gli autori lo impiegano qui. Nella programmazione, un hack è qualcosa che si fa a uno strumento preesistente, per arricchirlo rispetto all'insieme delle sue caratteristiche originali; quando si fa un hack, si modifica una porzione di codice, e si piega il software al servizio della propria volontà: gli si fa fare qualcosa a cui i suoi creatori non avevano mai pensato.

Gli hack mentali che vi diletteranno e susciteranno la vostra perplessità nelle pagine che seguono vanno prevalentemente nella direzione opposta. Quando ci si sottopone a questi esperimenti, ciò che si avverte non è tanto l'asservimento del cervello alla volontà, quanto piuttosto la sua bizzarra autonomia. Questi "giochi" ci sorprendono perché ci rivelano la logica nascosta del cervello: gettano luce sugli inganni, le scorciatoie e le congetture latenti che il cervello umano costruisce intorno al mondo. Per lo più, questi meccanismi restano invisibili, o sono talmente onnipresenti che non ne percepiamo più l'esistenza. Sono un modo per scostare la cortina della coscienza e intravedere, anche solo di sfuggita, i congegni che stanno dietro.

Una tale esperienza corre il rischio di turbarci in profondità, proprio perché ci fa intuire che il cervello non sempre è al servizio della volontà, e si fa presto a scivolare lungo una china esistenziale ("e del resto, la volontà di chi?.."). Ma si tratta di un viaggio che chiunque abbia interesse per la mente non può lasciarsi sfuggire. Il nostro cervello possiede una sua vita autonoma, del tutto distinta da quel che crediamo di sapere di noi stessi. È un pensiero inquietante, ma il fatto che sia inquietante non lo rende meno reale. Sfogliando le pagine che seguono, vi sentirete senza dubbio intimoriti dagli strani atteggiamenti cognitivi che potete innescare semplicemente seguendo una banale serie d'istruzioni. Tuttavia, ho il sospetto che proverete anche un rinnovato senso di meraviglia per i misteri della coscienza, oltre a imparare qualche aneddoto mozzafiato da sfoggiare al prossimo cocktail party.

Dunque è un'avventura interiore quella che vi attende. Mi auguro che riesca a scombussolarvi piacevolmente i pensieri.

Steven Johnson, Brooklyn, New York

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Pagina XIX

Introduzione


Fermatevi un momento a riflettere su tutto quel che accade mentre leggete questo testo: i vostri occhi che si spostano e convergono sulle parole, la grattatina al braccio che vi date pigramente mentre ragionate, i gesti, i rumori e tutte le altre distrazioni esterne che cercano di catturare la vostra attenzione e che dovete rimuovere. Come avviene tutto questo? Detto tra noi, c'è un segreto: non è affatto semplice.

Il cervello umano è un ambiente dove le informazioni vengono elaborate in maniera tremendamente complessa. Considerate, per esempio, il processo della vista. Uno dei compiti della vista è percepire il movimento che è in corso in ogni minima porzione del campo visivo, insieme alla velocità e alla direzione in cui si muovono gli oggetti, e trasmetterlo al cervello. Ma un altro compito, altrettanto importante, è vedere un viso nella luce che cade sulla retina, rendersi conto dell'emozione che esprime, e cercare di rappresentare all'interno del cervello anche tale nozione.

In certa misura, il cervello è un organo modulare, e questo dovrebbe fornire una via d'accesso per chi si proponga di esaminarlo, ma le cose sono meno chiare di quel che sembrano. I sottosistemi di elaborazione del cervello sono disposti a strati uno sull'altro. Tuttavia, le loro funzionalità si mescolano piuttosto che organizzarsi in una progressione ordinata. Spesso lo stesso compito viene eseguito in molti luoghi diversi, e con varie modalità. Insomma, non si tratta di un meccanismo preciso come un congegno a orologeria o un programma computerizzato: il medesimo input può produrre output differenti; le azioni automatiche e quelle intenzionali sono fortemente intrecciate, spesso in maniera inestricabile; funzionalità che appaiono del tutto isolate dall'esperienza cosciente esibiscono inaspettatamente risultati diversi nel momento in cui mutano le aspettative coscienti.

Le trasformazioni, che le informazioni subiscono a livello cerebrale, sono ulteriormente complicate da vincoli di natura storica, computazionale e architettonica. Lo sviluppo evolutivo ha reso difficile al cervello fare marcia indietro: la sua struttura deve necessariamente riflettere la sua crescita e i suoi mutamenti interni. L'elaborazione dei dati deve avvenire il più rapidamente possibile (stiamo parlando di risposte nell'ordine delle frazioni di secondo), ma esistono dei limiti alla velocità con cui le informazioni possono viaggiare tra le parti fisiche del cervello. Di tutti questi vincoli si deve tenere conto.

La domanda che viene spontaneo porsi è: da dove partire per capire quel che succede?

La neuroscienza cognitiva studia la biologia cerebrale che fa da supporto alle funzioni mentali. Si serve di varie metodologie, come il brain scanning e i modelli computazionali, che abbina a una concezione dei fenomeni psicologici finalizzata a scoprire dove, come e perché il cervello li scateni. Non si identifica né con la neuroscienza classica (che potremmo definire una "ricognizione a bassa quota" della biologia cerebrale), né con il concetto che molti hanno della psicologia (e cioè: un'esplorazione metaforica della vita interiore dell'individuo); piuttosto, è un modo di osservare la mente umana volto a isolare, con precisa sequenzialità, gli elementi e le regole fondamentali che plasmano l'esperienza e l'azione cosciente.

Se concentriamo la nostra attenzione sia sul substrato biologico che sul sovrastante fenomeno della coscienza, possiamo sciogliere il nodo misterioso del cervello. Non c'è bisogno di essere neuroscienziati per raccogliere i frutti di questa ricerca.

Questo libro è una collezione di indagini sui meccanismi sequenziali di funzionamento del cervello. Più che di un manuale, si tratta di un grande buffet. Ogni "esperimento" proposto, nel suo piccolo, esplora e dimostra un'operazione cerebrale. Osservando come il cervello risponde allo stimolo, possiamo scorgere tracce delle strutture presenti al suo interno e del modo in cui decidono di organizzarsi, il che ci consente di ampliare le nostre conoscenze su come il cervello sia assemblato.

Allo stesso tempo, abbiamo cercato di mostrare come non ci sia una vera separazione tra la sensazione volontaria di autoconsapevolezza della mente e la natura automatica delle reazioni cerebrali. La distinzione in comportamenti volontari e automatici è più sfumata di quel che si pensa: l'impiego delle competenze cognitive è un misto di virtuosismi inconsci e di moti intenzionali, come può esserlo l'uso che facciamo delle mani, di una penna, o di un tornio.

In un certo senso, cerchiamo di comprendere le facoltà che sorreggono la mente. Se ci riesce di capire in che misura i vuoti visivi vengono continuamente riempiti, o quali sono i suoni e le luci che cattureranno senz'ombra di dubbio la nostra attenzione (e quali, invece, quelli che ci lasceranno indifferenti): allora, saremo in grado di progettare strumenti e interfacce migliori, che siano in armonia con la nostra architettura mentale e non viceversa. Riusciremo a comprendere noi stessi un po' meglio; a saperne un po' di più, in maniera molto reale, sul modo in cui funzioniamo.

Tra l'altro, è divertente. Ecco la chiave di tutto. La neuroscienza cognitiva è una disciplina relativamente giovane: quello all'interno del cervello è un viaggio piacevole, disponibile da poco tempo. Gli effetti che registriamo sono reali, non si discute ancora intorno alla spiegazione del perché si verifichino. Sostanzialmente, partecipiamo alla mappatura di questo nuovo territorio proprio mentre ci divertiamo a esplorarlo. Durante la stesura di questo volume, abbiamo passato un bel po' di tempo a osservare i nostri sistemi d'attenzione che saettavano da una parte all'altra della stanza, a vederci spiare i gesti delle persone con cui chiacchieravamo, a giocare con i colori dei segnali stradali e con la vista periferica. Questa è stata la parte divertente. Ma siamo anche stati affascinati dalle argomentazioni della letteratura scientifica, e abbiamo compreso meglio alcuni aspetti della nostra vita di ogni giorno, per esempio perché certi siti web ci diano fastidio e certi altri risultino particolarmente efficaci. Se, attraverso questo libro, siamo riusciti a rendere quell'universo un po' più accessibile, allora l'operazione ha avuto successo. Qualora, dopo esservi dati un'occhiata in giro, vi capiti di trovare nuove applicazioni per le nostre idee, e nuovi argomenti che non abbiamo trattato, fateci senz'altro sapere. Ci interessa!


Perché "Mind Hacks"?

I mezzi di comunicazione hanno affibbiato una pessima reputazione al termine hacking, usandolo unicamente in riferimento a quegli individui che, armati soltanto dei loro PC, irrompono nelle reti computerizzate e causano disagi enormi. Nel mondo dei sistemisti e degli sviluppatori digitali, invece, la parola hack rimanda a un rimedio improvvisato per risolvere un problema, o a un metodo ingegnoso per ottenere rapidamente un risultato. Essere definiti hacker, insomma, è un complimento, poiché indica che la persona in questione è "creativa", che ha le abilità tecniche per trovare in fretta le soluzioni giuste.

La serie "Hacks" di O'Reilly, di cui l'edizione originale di questo volume fa parte, è un tentativo di recuperare il significato positivo del termine, documentando i modi in cui si può fare un hacking produttivo e divulgando l'etica, tipica degli hackers, della partecipazione creativa fra i non iniziati. Osservare come altri affrontano reti e problemi è spesso il modo più rapido per prendere confidenza con una nuova tecnologia.

Il cervello, come tutti i sistemi nascosti, è un eccellente terreno di ricerca per la curiosità degli hacker. Grazie agli sviluppi della neuroscienza cognitiva, siamo in grado di soddisfare almeno parzialmente questa curiosità e di dare spiegazioni dei fenomeni psicologici, invece di limitarci a segnalarli, gettando così luce sul funzionamento interno del cervello.

Alcuni hack di questa raccolta documentano gli stratagemmi utilizzati dal cervello per risolvere determinati problemi; esaminando il cervello dal di fuori in tale maniera, è difficile non restare incantati dal suo funzionamento. Altri ci rivelano le nostre bizzarrie mentali, e possiamo servircene in modi inaspettati per imparare a districarci in questo labirinto, che solo da poco tempo è stato aperto all'esplorazione.

Questo libro si rivolge a tutti coloro che vogliono saperne un po' di più su quel che avviene all'interno delle loro teste, e a quanti hanno voglia di affrontare gli esperimenti che proponiamo, giocando con l'interfaccia tra se stessi e il mondo. Lasciarsi coinvolgere è semplicissimo: in fondo, un cervello ce l'abbiamo tutti.

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Pagina XXV

Impostazione del volume

Il libro è suddiviso in 10 capitoli, organizzati per argomento:

Capitolo 1. Dentro il cervello. La questione non è semplicemente "come guardiamo dentro al cervello?" ma anche "come facciamo a spiegare quel che vediamo?" Esiste una serie di metodi per farsi un'idea di come il cervello sia strutturato (per esempio, si possono misurare le sue reazioni dall'esterno, o lo si può fotografare dall'interno): la descrizione di tali metodi occupa la prima metà del capitolo. L'altra metà cerca di rispondere alla seconda domanda. Contemplando lo spettacolo che abbiamo di fronte, ne esamineremo i punti di riferimento, ed esploreremo la nostra geografia cerebrale.

Capitolo 2. La vista. Il sistema visivo abbraccia competenze assai vaste: dal modo in cui muoviamo gli occhi, a come ricostruiamo e rappresentiamo il movimento a partire dalle immagini grezze. La vista è uno dei sensi più importanti. È un organo ad alta definizione e (a differenza, per esempio, del tatto) funziona a lunga distanza, il che si riflette nella lunghezza del capitolo.

Capitolo 3. L'attenzione. L'attenzione è uno dei meccanismi che usiamo per filtrare le informazioni prima che giungano a un livello di consapevolezza cosciente. In certi casi è un fenomeno intenzionale (si può decidere di prestare attenzione), in altri automatico (ci sono cose che catturano l'attenzione indipendentemente dalla volontà individuale). Qui ci occupiamo del suo funzionamento e dei suoi limiti.

Capitolo 4. L'udito e il linguaggio. Di solito i suoni sono in relazione agli eventi: un rumore corrisponde normalmente a qualcosa che ha appena avuto luogo. In questo capitolo daremo uno sguardo a come funzionano le nostre orecchie, poi passeremo ad analizzare il linguaggio e alcune delle modalità con cui diamo un senso a parole e frasi.

Capitolo 5. L'integrazione. È raro servirsi soltanto di un senso: in genere l'essere umano sfrutta tutte le informazioni che riesce a trovare, integrando la vista, il tatto, le inclinazioni linguistiche e altri input. Quando i nostri sensi sono in armonia, la percezione che abbiamo del mondo è più nitida. Qui osserviamo come le varie operazioni si mescolino inevitabilmente (anche quando non lo vorremmo), e cosa accade quando i cinque sensi sono in disaccordo.

Capitolo 6. Il movimento. In questo capitolo prendiamo in esame il corpo: come sia facile confondere l'immagine che il cervello ha del nostro corpo, e come il corpo venga impiegato per interagire con il mondo. Come, quando pensate di camminare, non facciate che illudervi, e perché qualcuno preferisce usare una mano piuttosto che l'altra.

Capitolo 7. Il raziocinio. Non siamo costruiti come macchine logiche perfette, ma per tirare avanti alla meglio nel mondo. In certi casi ciò emerge dai rompicapi che sappiamo risolvere, o dalle fregature che prendiamo.

Capitolo 8. L'unione. I cinque sensi ci forniscono gli strumenti per ricostruire ciò che avviene nell'universo che ci circonda. Non siamo in grado di percepire immediatamente causa ed effetto di un fenomeno: vedremo solo due eventi che accadono all'incirca nello stesso momento e nello stesso luogo. Lo stesso discorso vale anche per gli oggetti più complessi: per quale ragione vediamo un organismo intero e non un torso, una testa e un fascio di arti? Per ricostruire gli oggetti e i legami di causa-effetto il cervello segue una serie di semplici principi, che illustreremo in questo capitolo.

Capitolo 9. La memoria. Non saremmo umani se in noi non fosse in corso un continuo processo di apprendimento e di modificazione, che ci fa diventare persone sempre diverse. In questo capitolo mostriamo come l'apprendimento cominci a livello della memoria in intervalli di tempo brevissimi (in genere, minuti). Inoltre, esploriamo alcuni dei modi in cui si manifestano le funzioni dell'apprendere e del ricordare.

Capitolo 10. Gli altri. Le altre persone costituiscono una parte fondamentale dell'ambiente attorno a noi, ed è corretto dire che il cervello ha un modo particolare di relazionarsi agli altri. Per esempio, siamo bravissimi a leggere le emozioni altrui, e forse ancora più bravi a mimarle, tanto che spesso non possiamo fare a meno di scimmiottare chi ci sta di fronte. Parleremo di entrambi gli aspetti in questo capitolo.

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Pagina 1

CAPITOLO 1

Dentro il cervello

[Esperimenti 1-12]


Non è mai del tutto vero affermare: "Responsabile della funzione X è unicamente questa parte del cervello". Prendete, per esempio, il sistema visivo [->13]: coinvolge molte parti diverse del cervello, e nessuna delle aree interessate è responsabile esclusiva di tutto il processo visivo. L'attività visiva comprende numerose sottofunzioni, molte delle quali subiscono una riorganizzazione nel caso una o più aree cerebrali siano fuori uso. In alcune tipologie di danni cerebrali, è possibile che l'individuo sia ancora in grado di vedere, ma non di percepire l'oggetto in movimento, o di capire di che colore è. Ciò che possiamo fare è rilevare quali parti sono attive nel momento in cui il cervello svolge un certo compito (dal riconoscere un viso al suonare il pianoforte) e formulare delle ipotesi. Possiamo dare un input e stare a vedere che output riceviamo: è quello che si potrebbe definire un approccio da "scatola nera" allo studio della mente. Oppure possiamo esplorare il cervello dall'esterno, cercando di capire quali abilità manchino alle persone affette da determinate forme di danni cerebrali.

Questo secondo orientamento, che fa parte della neuropsicologia [->6], è un importante metodo di lavoro per gli psicologi. Può accadere che piccoli ictus isolati disattivino regioni molto specifiche del cervello e (benché capiti più raramente) anche certi incidenti possono danneggiare minuscole aree cerebrali. Osservare quali competenze non sono più disponibili nei pazienti affetti da tali patologie ci dà validi indizi sulle funzioni cui corrispondono le varie regioni del cervello. Un altro metodo è la sperimentazione di laboratorio sugli animali, rimuovendo di proposito porzioni di cervello e osservando le reazioni che si ottengono.

Si tratta, in entrambi i casi, di metodi basati sulla patologia. Esistono però altre tecniche, meno invasive. Una di queste alternative consiste in un'accurata procedura di sperimentazione, che confronti: tipi di risposta, tempi di reazione, e come muta la risposta del soggetto a determinati stimoli in un certo lasso di tempo. È l'attività della psicologia cognitiva [->1], la scienza il cui scopo è trarre conclusioni sulla struttura del cervello attraverso un'opera di reverse engineering (metodologia di analisi che consente, partendo dal modello fisico dell'oggetto, di risalire alla sua descrizione matematica e di individuarne i meccanismi di funzionamento, [N.d.T.]) dall'esterno. Questa disciplina ha una storia di tutto rispetto; negli ultimi tempi, tuttavia, è stato fatto un ulteriore passo avanti. Abbinando le tecniche della psicologia cognitiva a moderni metodi di imaging e tecniche di stimolazione [->2-5], siamo in grado di osservare e manipolare il cervello dall'esterno, senza dover necessariamente rimuovere parte della calotta cranica ed estrarlo. Questi nuovi metodi della medicina nucleare sono così importanti, e ci riferiamo a essi così spesso nel corso del volume, che abbiamo deciso di fornire un riassunto e una breve spiegazione di alcune delle tecniche più comuni in questo capitolo.

Affinché le teorie sviluppate nel corso del testo risultino comprensibili, dopo aver esaminato le varie tecniche della neuroscienza faremo un rapido tour del sistema nervoso centrale [->7], dal midollo spinale al cervello [->8], fino al singolo neurone [—>9]. Ma quello che ci interessa davvero è capire come la biologia si manifesti nella vita di ogni giorno. Per esempio: che cosa significa il fatto che i nostri sistemi decisionali sono formati da neuroni e non da silicio, come nei computer? Significa che non siamo un software installato su un hardware. Nell'essere umano le due cose sono una sola, e le proprietà fisiche del nostro substrato mentale trapelano senza sosta nella vita quotidiana: la presenza dei neuroni è evidente ogni volta che reagiamo con maggiore velocità a luci più intense [->14], mentre le nostre radici biologiche si rivelano quando durante una riflessione impegnativa aumenta il nostro flusso sanguigno [->10]. Infine, daremo un'occhiata all'immagine del corpo che il cervello pensa di avere, e faremo conoscenza con il nostro homunculus sensoriale [->12].

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Pagina 23

9 Il neurone


C'è un'autentica tempesta elettrica in corso nella nostra testa: 100 miliardi di cellule nervose si lanciano a vicenda segnali e sono responsabili di ogni nostro pensiero e azione.


Un neurone, noto anche come cellula nervosa o cellula cerebrale, è una cellula specializzata che trasmette un impulso elettrico attraverso fibre che la collegano ad altri neuroni. Questi sono i conduttori dei circuiti personali di ogni essere umano.

Ciò che segue è una descrizione semplificata delle caratteristiche generali delle cellule nervose: quelle che inviano segnali dai sensi al cervello, dal cervello ai muscoli, o da una cellula nervosa all'altra. È quest'ultima classe di cellule, quelle a cui la maggior parte di noi si riferisce quando diciamo "neuroni", che c'interessa maggiormente in questa sede. In ogni caso, tutte le cellule nervose condividono lo stesso "design" di base.


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Non pensate nemmeno per un secondo che la struttura generale che stiamo cercando di descrivere esaurisca l'argomento. L'eleganza e la complessità del design neuronale sono stupefacenti. Si tratta di una complessa interazione di struttura e rumore; di elettricità, chimica e biologia; di scambi spaziali e dinamici che si risolvono in una forma di elaborazione dei dati difficilmente definibile attraverso l'uso di regole semplici. Per farvi un'idea embrionale di quanto sia complessa la struttura dei neuroni, potreste iniziare dalla lettura di questo capitolo gratuito sulle cellule nervose, contenuto nel manuale Molecular Cell Biology di Harvey Lodish, Arnold Berk, Lawrence S. Zipursky, Paul Matsudaira, David Baltimore e James Darnell, edito da W.H. Freeman (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/bv.fcgi?call=bv.View.. ShowSection&rid=mcb.chapter.6074). In alternativa, un qualsiasi manuale di biologia cellulare avanzata o di neuroscienza andrà benissimo per farvi capire tutto quel che manca nella descrizione che segue.
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Il neurone è costituito da un corpo cellulare provvisto di ramificazioni, che possono essere molto lunghe (per esempio, nella giraffa alcuni neuroni si estendono lungo tutto il collo) o molto corte (cioè estendersi solo per pochi millimetri fino alla cellula adiacente). All'interno del neurone, i segnali si trasmettono in un'unica maniera. Le ramificazioni che ricevono i messaggi in entrata si chiamano dendriti. Quelle che convogliano i messaggi in uscita, in genere un po' più lunghe, sono dette assoni. Nella maggior parte dei casi esiste un unico lungo assone, che si dirama sulla punta prima di connettersi ad altri neuroni (fino a 10.000). Il punto di giunzione dove l'assone di una cellula incontra i dendriti di un'altra è detto sinapsi. Per traghettare il segnale attraverso la fessura sinaptica vengono utilizzate sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori. Ogni neurone rilascia un solo tipo di neurotrasmettitore, sebbene possa avere recettori per molti tipi diversi. L'arrivo del segnale elettrico all'estremità dell'assone scatena l'emissione delle riserve di neurotrasmettitore, le quali attraversano la fessura (che non è poi molto ampia) e si legano ai siti recettori dell'altra cellula: cioè a quei punti della superficie del neurone che sono programmati per congiungersi alla particolare sostanza chimica in questione.

Mentre, per passare da un neurone all'altro, il segnale fa uso dei neurotrasmettitori, all'interno della cellula è di tipo elettrico. Il segnale elettrico viene inviato lungo il neurone sotto forma di potenziale di azione. È quel che s'intende quando si parla di impulsi, segnali, picchi ecc., o quando, nel gergo dell'imaging cerebrale, ci si riferisce all' accensione di una determinata area del cervello (basandosi sull'aspetto dell'attività come si evidenzia nelle immagini riprodotte). I potenziali d'azione sono l'unità d'informazione fondamentale nel cervello, la moneta universale del mercato neurale.

Le due caratteristiche principali dei neuroni, da un punto di vista computazionale, sono le seguenti:

• Sono binari. Un neurone, o lancia un segnale oppure no, e tutti i segnali emessi hanno le stesse dimensioni (chiariremo questo punto più avanti). I segnali binari impediscono al messaggio di annacquarsi, poiché i neuroni comunicano tra loro coprendo distanze che risultano enormi se confrontate con la scala molecolare su cui operano.

• Codificano le informazioni in base al ritmo con cui inviano i segnali, non all'intensità dei segnali inviati. Le dimensioni dei segnali restano invariate, e le informazioni contenute al loro interno sono codificate in base alla frequenza con cui il segnale è emesso. Un segnale più intenso sarà indicato da una maggiore frequenza di picchi, non da singoli picchi più elevati. Tutto ciò viene definito rate coding o codificazione in frequenza.

Sommati insieme, questi due aspetti rivelano che il vero linguaggio del cervello non è semplicemente una questione di picchi (cioè di segnali inviati dai neuroni), ma anche e soprattutto della loro distribuzione nel tempo.

Sia nel caso che il neurone postsinaptico (quello che si trova sul lato ricevente della sinapsi) generi un nuovo picco, o un impulso, sia che non accada nulla, lo scambio è condizionato dall'intreccio dei seguenti fattori:

• la quantità di neurotrasmettitore liberata;

• l'interazione con neurotrasmettitori diversi, rilasciati dagli altri neuroni;

• la distanza in termini di spazio e tempo;

• l'ordine con cui i neuroni rilasciano i loro rispettivi neurotrasmettitori.

Su queste informazioni immediate influisce poi la storia di tutti gli scambi intercorsi in precedenza tra i due neuroni: le occasioni in cui un particolare neurone ha causato l'emissione di neurotrasmettitore dell'altro, o quelle in cui i neurotrasmettitori di entrambi sono stati rilasciati contemporaneamente per ragioni indipendenti. Tutti questi aspetti condizionano le probabilità che l'interazione avvenga di nuovo.


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I picchi, o impulsi, sono generati con una certa assiduità: fino a uno ogni 2 millisecondi nel caso delle cellule con la frequenza di emissione più alto (quelle del sistema uditivo: per maggiori informazioni si rimanda al Capitolo 4). Sebbene la frequenza media di emissione incida sul modo in cui le informazioni vengono rappresentate e trasmesse all'interno del cervello, non si può prevedere il momento esatto in cui i singoli picchi sono creati. Il cervello sembra aver sviluppato un sistema di comunicazione interna, che associa rumore a un unico aspetto delle informazioni che trasmette, e precisamente: alla distribuzione nel tempo, ma non alle dimensioni dei segnali inviati. Il rumore è una caratteristica di ogni sistema biologico, dunque non sorprende ritrovarlo nel nostro organo più complesso. Tra l'altro, non si può affatto escludere che il rumore [->33] abbia un ruolo importante nel processo di elaborazione delle informazioni in cui è impegnato il cervello.
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Dopo che ha trasportato (o non ha trasportato, come può anche accadere) il segnale oltre la fessura sinaptica, il neurotrasmettitore viene decomposto da enzimi specializzati e poi riassorbito, per essere riemesso quando arriverà un nuovo segnale. L'azione di molti farmaci consiste nell'influire sulla frequenza, sulla dose di emissione di un dato neurotrasmettitore, e sulla rapidità con cui viene decomposto e riassorbito.

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Pagina 39

CAPITOLO 2

La vista

[Esperimenti 13-33]


L'enigma della vista sta nell'abisso che si apre tra la sensazione grezza raccolta dall'occhio (dovuta alla caduta della luce sulla retina) e la ricca percezione che abbiamo di colori, forme, movimenti, tridimensionalità degli oggetti e delle scene che ci circondano. In questo capitolo rovisteremo un po' tra i modi in cui il nostro cervello rende possibile tutto ciò.

Cominceremo con una panoramica sul sistema visivo [->13], sui limiti della vista [—>14] e sulla natura attiva della percezione visiva [->15].

L'organo della vista presenta una serie di limitazioni a cui normalmente non prestiamo attenzione, come il punto cieco [->16] o i 90 minuti di cecità che sperimentiamo ogni giorno quando la vista si disattiva e le pupille prendono a guizzare qua e là [->17]. Esamineremo entrambi questi fenomeni e daremo un'occhiata anche ad alcune tattiche e scorciatoie con cui il sistema visivo ci semplifica la vita: presumere che il sole stia in alto [->20 e 21], sottrarsi a forme scure in rapida espansione [->32] (un espediente utile per accelerare l'elaborazione, per esempio per schivare velocemente un oggetto), e accorgimenti come l'uso di neuroni rumorosi [->33] per estrapolare un segnale dal rumore visivo.

Lungo il percorso ci soffermeremo a riflettere su come percepiamo la profondità [->22 e 24] e il movimento [->25 e 29] (considerando sia la percezione corretta che quella erronea del movimento). Infine ci occuperemo di una (apparentemente banale) illusione ottica, l'illusione dei serpenti rotanti [->30], che ci ha fatto cascare un po' tutti. Ma, qualche volta, venir raggirati può essere divertente.

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Pagina 172

CAPITOLO 4

L'udito e il linguaggio

[Esperimenti 44-52]


Le orecchie non sono semplicemente "occhi sonori". Rispetto ai segnali luminosi, i suoni contengono informazioni di natura ben diversa sull'ambiente circostante. Mentre la luce tende a essere continua, il suono si verifica quando uno o più oggetti subiscono una trasformazione: vibrano, si scontrano, si spostano, si rompono, esplodono... L'udito è il senso degli eventi, più che delle scene. Il sistema uditivo, di conseguenza, elabora i dati acustici in maniera differente rispetto a come avviene l'elaborazione delle informazioni visive: se il ruolo dominante della vista è dirci dove una cosa è, quello dell'udito è rivelarci quando accade [->44].

Dei cinque sensi, l'udito è il primo che sviluppiamo nel ventre materno. Le regioni cerebrali responsabili dell'udito sono le prime a terminare il processo di sviluppo detto mielinazione, durante il quale i "filamenti" connettivi dei neuroni vengono rivestiti con un tessuto adiposo che li isola, aumentando la velocità dei segnali elettrici. Per contro, il sistema visivo completa quest'ultimo stadio della mielinazione solo pochi mesi dopo la nascita.

L'udito è anche l'ultimo senso ad abbandonarci quando perdiamo conoscenza (quando ci si addormenta, per esempio, gli altri sensi si allontanano e i suoni sembrano dilatarsi), e il primo a essere ripristinato quando ritorniamo coscienti.

Siamo animali visivi, ma facciamo un uso costante dei suoni per mantenere un controllo a 360° sul mondo attorno a noi. Con l'udito integriamo la nostra percezione visiva: un film completamente privo di partitura musicale risulta anomalo e senza vita, ma di norma non ci accorgiamo quasi della colonna sonora. In questo capitolo prenderemo in esame alcune caratteristiche delle colonne sonore, come la stereofonia [->45] e l'altezza [->46].

Naturalmente, l'udito è anche il senso su cui si basa il linguaggio. Nei prossimi paragrafi cercheremo di illustrare come, quando si sente fisicamente un suono, si percepiscono anche i significati che veicola [->49] perfino sulla soglia della percezione [->48]. Come nel caso della vista, quel che percepiamo non corrisponde del tutto a ciò che fisicamente si trova nel nostro campo uditivo. Al contrario, si tratta di un'efficace costruzione acustica allestita dal nostro cervello.

Per concludere, faremo un'analisi di tre aspetti che ci consentono di comprendere il linguaggio: il simbolismo sonoro nascosto nelle parole [->5O], il modo in cui suddividiamo le frasi in sintagmi [->51] e come facciamo a sapere con esattezza "qeul ceh singifiacno quetse parloe" [->52].

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Pagina 323

CAPITOLO 9

La memoria

[Esperimenti 81-92]


Il fenomeno del priming (il processo tramite il quale un'esperienza recente aumenta l'accessibilità di alcuni elementi presenti nella psiche) viene citato più volte in questo libro. Se un concetto viene attivato nel cervello, altri concetti ad esso associati saranno a loro volta leggermente attivati, preparandosi così a emergere alla coscienza o all'esperienza. Le associazioni automatiche stanno alla base dell' Effetto Stroop [->55], e la misurazione di un certo tipo di priming è il modo in cui ci prepariamo inconsciamente a fare uso di un certo oggetto, semplicemente posandovi lo sguardo [->67].

Nel primo esperimento di questo capitolo ci immergeremo nel priming [—>81]: lo vedremo manifestarsi sotto forma di percezione subliminale [->82], e venir coinvolto nella formazione dei falsi ricordi. La memoria costituisce infatti l'argomento fondamentale di questo capitolo. Osserveremo la maniera in cui si formano i falsi ricordi e le impressioni di familiarità fittizia [->83, ->84 e ->85], usando il priming allo scopo di attivare idee di cui non si è avuta un'esperienza diretta.

Vedremo anche come costruire ricordi forti e veridici sotto forma di apprendimento. L'apprendimento sottintende implicitamente il contesto, la situazione in cui ci si trova mentre si sta imparando (questa è un'ulteriore manifestazione della natura associativa della mente). Lo sfruttamento di questa caratteristica può aiutare innanzitutto ad apprendere in modo più efficace [->86], e poi a migliorare le proprie capacità di richiamo in futuro [->87]. Esiste perfino un ingegnoso stratagemma per potenziare la memoria facendo uso, tra le altre cose, delle nostre intrinseche abilità di navigazione [—>89].

Lungo il percorso, ci fermeremo a esaminare una serie di esperimenti riguardanti la veridicità dell'immaginazione. Per esempio, il fatto che pensare ai propri muscoli li può rafforzare [->88], o perlomeno può aumentare il controllo che ne abbiamo. O la ragione per cui, pur vivendo la vita da dietro ai nostri occhi, spesso la ricordiamo come se fosse un film vissuto in terza persona [->90]. Vedremo anche per quale motivo dovremmo addormentarci in treno per allentare le briglie dell'immaginazione [–>91].

Ultima, ma (specialmente all'interno della comunità degli hacker) certamente non meno importante: la caffeina. Perché la gente si arrabbia tanto, se gli si serve un caffè preparato in maniera diversa da come lo prendono regolarmente? E tutto questo cos'ha a che vedere con l'apprendimento? Se riuscite a capirlo, farete dell'assuefazione alla caffeina qualcosa di piacevole [–>92].

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Pagina 368

92 Rendere piacevole la dipendenza dalla caffeina


La caffeina va ad alterare chimicamente il meccanismo cerebrale della ricompensa, esaltando il valore che attribuiamo non soltanto alla (sacra) tazzina del mattino, ma a tutto ciò che le è collegato.


Senza essermi preparato un caffè, non potrei neppure mettermi a scrivere questo capitolo per voi. Qualche giorno bevo il tè, ma in genere il caffè è il mio stimolante preferito, e una tazza del caro vecchio "liquido di accensione creativa" è ciò di cui ho bisogno per dare il via alla scrittura al mattino.

Dopo aver bevuto una tazza di caffè, la caffeina si diffonde nel corpo e impiega meno di 20 minuti per raggiungere ogni cellula e ogni fluido (sì, ogni fluido) di cui siamo composti. In breve tempo condiziona anche il sistema di comunicazione operante per mezzo dei neurotrasmettitori cerebrali. Sappiamo per certo che la più importante azione della caffeina nel corpo umano consiste nell'aumentare l'influenza della dopamina, sebbene sia meno chiaro come ciò avvenga. L'eccitazione del sistema dopaminergico è qualcosa che la caffeina ha in comune con stimolanti socialmente meno accettabili quali la cocaina e l'anfetamina, ma essa porta a questo effetto in modo diverso.


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I neuroni [->9] usano i neurotrasmettitori per inviarsi chimicamente dei messaggi attraverso le sinapsi (lo spazio situato tra un neurone e l'altro). Esistono molti neurotrasmettitori di tipo diverso, e sono solitamente utilizzati da insiemi di neuroni in sistemi che attraversano il cervello. I neuroni contenenti dopamina, che costituiscono il sistema dopaminergico, si trovano in sistemi che hanno a che fare con la memoria, il movimento, l'attenzione e la motivazione. Qui ci interessano le ultime due.
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Tramite il sistema dopaminergico, la caffeina stimola un'area sottocorticale (il cervello al di sotto della corteccia cerebrale [->8]) denominata nucleus accumbens, nota per essere fortemente coinvolta nelle sensazioni di piacere e di ricompensa. Il sesso, il cibo, tutte le droghe e addirittura le barzellette provocano un aumento della risposta neuronale in quest'area del cervello. Ciò che accade con le droghe è che esse alterano chimicamente il sistema circuitale evoluto del cervello per trovare fattori di ricompensa: insomma, l'arte di riconoscere il bello della vita, e di imparare a ottenerne di più.

In ogni caso, resta incerto se la maggior parte delle persone dipendenti dalla caffeina tragga reali vantaggi dal proprio bisogno di consumare regolarmente questo stimolante liquido tra i più socialmente accettabili. Mentre alcuni guastafeste dichiarano che chi è dipendente cerca soltanto di evitare gli spiacevoli effetti dell'astinenza, più probabilmente gran parte delle persone che trae beneficio dalla caffeina ne fa un uso più o meno ottimale per aiutarsi nella vita. Uno studio si è addirittura spinto ad affermare che "il consumo regolare di caffeina sembra essere benefico, e i consumatori di dosi elevate mostrano di possedere un funzionamento mentale migliore". Non si tratta di una banale ricerca edonistica, bensì del desiderio di incrementare le proprie prestazioni.

Il caffè è strettamente associato a due cose: mantenersi svegli e svolgere un proficuo lavoro mentale. Si può addirittura dimostrare un suo intervento positivo sulle prestazioni fisiche. L'associazione con il lavoro mentale creativo è leggendaria, per quanto non siano chiare le dinamiche cognitive con le quali avviene. Già nel 1933 alcuni esperimenti avevano dimostrato che una tazza di caffè può aiutare a risolvere gli enigmi scacchistici, ma — date le massicce testimonianze aneddotiche — si considerò irrisoria l'esigenza di prove scientifiche. Come ha detto il matematico Paul Erdos: "un matematico è un meccanismo che traduce il caffè in teoremi". Accademici, designer, programmatori e professionisti creativi di ogni sorta simpatizzerebbero certamente.

Ma questo esperimento non concerne gli effetti della caffeina che creano dipendenza, né la stimolazione mentale che ci fornisce. Qui ci occupiamo del modo in cui il caffè esercita la sua magia su di noi senza nemmeno doverci passare tra le labbra. Il caffè ha già effetto prima ancora di essere pronto. Per partire in quarta, devo prepararmene una tazza (cioè organizzarmi mentalmente per farlo), ma non necessariamente berla.

[...]

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