Autore Olaf Stapledon
Titolo Infinito
EdizioneMondadori, Milano, 1990, Oscar fantascienza , pag. 410, cop.fle., dim. 11x18,5x2,3 cm
OriginaleLast and First Man
EdizioneMethuen, London, 1930
PrefazioneGiuseppe Lippi
TraduttoreAntonio Ghirardelli
LettoreRenato di Stefano, 1990
Classe fantascienza












 

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Indice


  5 Introduzione di Giuseppe Lippi

    INFINITO

 13 Prefazione dell'autore
 19 Premessa di uno degli Ultimi Uomini

    La cronaca

    I  L'Europa Balcanica

 27 1. La Guerra europea e il dopoguerra
 29 2. La Guerra anglo-francese
 39 3. L'Europa dopo la Guerra anglo-francese
 47 4. La Guerra russo-tedesca

    II Il declino dell'Europa

 53 1. L'Europa e l'America
 58 2. Le origini di un mistero
 64 3. L'Europa assassinata

    III America e Cina

 68 1. I rivali
 78 2. Il conflitto
 84 3. Su un'isola del Pacifico
 92    Scala cronologica n. 1

    IV Un pianeta americanizzato

 93 1. Fondazione del primo Stato mondiale
 97 2. Il dominio della scienza
100 3. Progressi materiali
104 4. La cultura del primo Stato mondiale
114 5. Il declino

    V La caduta dei Primi Uomini

120 1. La Prima Età Buia
125 2. Il sorgere della Patagonia
130 3. Il culto della giovinezza
138 4. La catastrofe

    VI Periodo di transizione

148 1. I Primi Uomini in difficoltà
159 2. La Seconda Età Buia

    VII Nascita dei Secondi Uomini

163 1. La comparsa di una nuova specie
170 2. Le correlazioni di tre specie
175 3. Apogeo dei Secondi Uomini
185    Scala cronologica n. 2

    VIII I Marziani

186 1. La prima invasione marziana
189 2. Vita su Marte
197 3. La mente marziana
202 4. Errori marziani

    IX La Terra e Marte

207 1. I Secondi Uomini in difficoltà
216 2. La rovina di due mondi
225 3. La Terza Età Buia

    X I Terzi Uomini nelle selve

231 1. La Terza Specie Umana
235    Scala cronologica n. 3
238 2. Digressioni dei Terzi Uomini
245 3. L'arte vitale
251 4. Politiche conflittuali

    XI L'uomo ricrea se stesso

256 1. Il primo dei grandi cervelli
262 2. La tragedia dei Quarti Uomini
271 3. I Quinti Uomini
276 4. La cultura dei Quinti Uomini

    XII Gli ultimi terrestri

286 1. Il culto dell'evanescenza
292 2. L'esplorazione del tempo
298 3. I viaggi nello spazio
306 4. Preparando un mondo nuovo

    XIII L'umanità su Venere

314 1. Rimettere radici
320 2. Gli uomini volanti
332 3. Un evento astronomico minore

    XIV Nettuno

336 1. Veduta a volo d'uccello
339 2. Da capo
344 3. Lenta conquista

    XV Gli Ultimi Uomini

351 1. Introduzione all'ultima specie umana
355    Scala cronologica n. 4 e n. 5
359 2. Infanzia e maturità
364 3. Risveglio razziale
377 4. Cosmologia

    XVI La fine dell'Uomo

388 1. Sentenza di morte
391 2. Comportamento dei condannati
399 3. Epilogo


 

 

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Pagina 13

Prefazione dell'autore



Questa è un'opera di fantasia. Ho cercato di costruire una vicenda tale da sembrare il resoconto possibile (o almeno non del tutto impossibile) del futuro dell'uomo; ho tentato inoltre di adattare il racconto al mutamento oggi in atto nelle prospettive umane.

Romanzare il futuro potrebbe apparire un vano gioco intellettuale senza alcun fondamento logico, compiuto soltanto per il gusto del meraviglioso. Eppure, lavorare di immaginazione in questo campo, purché l'immaginazione sia ben disciplinata, può rivelarsi un esercizio validissimo per le menti confuse sul presente e le sue potenzialità. Oggi dovremmo non soltanto accettare di buon grado, ma studiare ogni serio tentativo di ipotizzare il futuro della nostra razza, per comprendere le possibilità diversissime e spesso tragiche che abbiamo di fronte, e per renderci familiare la certezza che molti tra gli ideali a noi più cari potrebbero apparire puerili a menti più sviluppate. Romanzare il futuro remoto significa quindi tentare di vedere la razza umana in un contesto cosmico, forgiare i nostri cuori affinché contemplino valori nuovi.

Ma perché tale costruzione mentale di futuri possibili sia efficace, la nostra immaginazione deve essere rigorosamente disciplinata. Dobbiamo studiarci di non oltrepassare i confini del possibile stabiliti dalla situazione culturale in cui viviamo. Il fantastico assoluto ha meno forza. Non dobbiamo, s'intende, proporci di vaticinare quel che di fatto accadrà: nelle condizioni attuali sarebbe un tentativo futile, se non per gli argomenti più semplici. Né intendiamo atteggiarci a storici con l'occhio rivolto al futuro anziché al passato. Possiamo soltanto prendere un filo dal groviglio di molte possibilità egualmente valide; ma dobbiamo fare la nostra scelta con uno scopo preciso. L'attività che intraprendiamo non è scienza, è arte: dovrebbe esercitare sul lettore lo stesso effetto che esercita l'arte.

Tuttavia il nostro scopo non è soltanto di creare un'opera narrativa esteticamente valida. Non ci proponiamo come obiettivo né la storia pura e semplice né la pura e semplice narrazione, ma il mito. L'autentico mito è quello che, in un universo culturale determinato (esistente o già estinto), esprime con ricchezza, spesso con drammaticità, il maggior numero di elementi meravigliosi possibili nell'ambito di quell'universo culturale. Il falso mito è quello che trasgredisce violentemente i limiti del credibile imposti dalla sua matrice culturale, o esprime elementi meravigliosi inferiori a quelli offerti dalla visione più alta di quella stessa matrice. Questo libro non può essere autentico mito come non può essere autentica profezia; è piuttosto un tentativo di creazione di un mito.

Il futuro immaginato qui non dovrebbe, a mio parere, apparire interamente fantastico; quanto meno, non al punto da sembrare privo di significato agli occhi di lettori occidentali, familiari con le grandi linee del pensiero contemporaneo. Se avessi scelto un materiale affatto privo di elementi fantastici, la sua stessa plausibilità lo avrebbe reso poco plausibile. Una cosa è infatti quasi certa: gran parte del futuro sarà tale da apparirci, ora, incredibile. Tuttavia, in un punto molto importante può sembrare davvero che io abbia sconfinato in una stravaganza fine a se stessa. Ho immaginato che un abitante del futuro possa comunicare con noi; gli ho attribuito poteri di parziale controllo sull'attività di intelligenze attualmente esistenti, facendo appunto di questo libro il prodotto di una tale influenza. Pure, anche questa fantasia non è forse del tutto impossibile. Naturalmente avrei potuto ometterla senza cambiare, se non superficialmente, il mio tema; ma introdurla non è stato un semplice espediente. Soltanto un mezzo tanto radicale e sconcertante mi consentiva di esprimere plasticamente la possibilità che la natura del tempo sia più complessa di quel che sappiamo; o meglio, solo un trucco come quello poteva rendere giustizia alla convinzione che la nostra mentalità attuale altro non sia se non un primo esperimento confuso, una prima tappa.

Se mai questo libro venisse scoperto da un uomo del futuro, forse qualcuno della prossima generazione che stia riordinando il ciarpame dei suoi predecessori, certamente lo farebbe sorridere: senza dubbio accadranno molte cose delle quali ancora non esiste alcun segno palese. Nella nostra stessa generazione le circostanze possono mutare tanto inaspettatamente e radicalmente da rendere ridicolo in breve tempo il mio libro. Poco importa. Noi che viviamo oggi dobbiamo concepire il nostro rapporto con l'universo nel migliore dei modi possibili; e le nostre immagini, quando pure dovessero apparire semplice frutto di fantasia agli uomini futuri, potranno cionondimeno rivelarsi utili oggi.

Qualche lettore, vedendo nel libro un tentativo profetico, potrebbe definirlo assurdamente pessimista. Ma non si tratta, ripeto, di una profezia, bensì di un mito, o di uno studio di mito. Tutti quanti desideriamo che il futuro sia più felice di come io l'ho descritto. In particolare, desideriamo che la nostra attuale civiltà progredisca costantemente verso una forma di Utopia. Ci ripugna il pensiero che possa corrompersi e distruggersi e che tutto il suo tesoro spirituale vada irrevocabilmente perduto. Tuttavia, si tratta di pensiero che dobbiamo affrontare quanto meno come possibilità. Una tragedia come questa, la tragedia di una razza, ha senza dubbio il suo posto in ogni mito degno di questo nome.

Così, sebbene pronto a riconoscere che nel nostro tempo vi sono elementi di speranza forti quanto quelli di disperazione, ho immaginato, per scopi puramente estetici, che la nostra razza finisca per autodistruggersi. Vi è oggi un appassionato movimento di ricerca della pace e dell'unità internazionale, che con molta fortuna e molta abilità potrà senza dubbio trionfare. E appassionatamente dobbiamo augurarci che questo accada. Ma nel mio libro ho organizzato gli eventi in modo che quel movimento fallisca. L'ho immaginato incapace di impedire una serie di guerre nazionali, e gli consento di raggiungere l'obiettivo dell'unità e della pace solamente dopo che la mentalità della razza è stata irrevocabilmente minata. Possa tutto questo non accadere! Possa la Lega delle Nazioni, o un'altra autorità più strettamente cosmopolita, trionfare prima che sia troppo tardi! Tuttavia, accettiamo nella mente e nel cuore il pensiero che l'intera vicenda della nostra razza possa essere soltanto un episodio minore, destinato al fallimento, di un dramma più vasto, forse a sua volta altrettanto tragico.

I lettori americani, se mai ce ne saranno, troveranno che alla loro grande nazione è toccata una parte ben poco positiva in questa storia. Ho voluto infatti immaginare il trionfo dell'americanismo più rozzo sugli aspetti migliori e più promettenti della cultura americana. Possa anche questo non accadere mai nella realtà! D'altro canto, gli stessi americani ammettono la possibilità di un evento simile, e vorranno, spero, perdonarmi se ho calcato le tinte utilizzandolo come una prima svolta nel lungo dramma dell'Uomo.

Un dramma che è impensabile immaginare senza tener conto delle teorie scientifiche contemporanee sulla natura: dell'uomo e dell'ambiente. Per questo, per ampliare le mie poche conoscenza scientifiche, ho assillato e tormentato i miei amici scienziati. In particolare, mi sono state di grandissimo aiuto le conversazioni coi professori P.G.H. Boswell, J. Johnstone e J. Rice di Liverpool. Ma non per questo si deve attribuire a loro la responsabilità delle molte deliberate stravaganze che, sebbene utili nel contesto narrativo, potrebbero far rabbrividire una mente scientifica.

Ho un grosso debito col dottor L.A. Reid per i suoi commenti e col signor E.V. Rieu per i molti utili suggerimenti; al professor L.C. Martin e a sua moglie, che hanno letto tutto il manoscritto, non so come esprimere in modo adeguato la mia gratitudine per il costante incoraggiamento e per te loro osservazioni. Allo straordinario buon senso di mia moglie devo ben più di quanto lei possa immaginare.

Prima di chiudere la mia prefazione vorrei rammentare a chi legge che nell'io narrante di questo libro deve scorgere non certo l'autore, ma qualcuno che vive in un futuro molto, molto lontano.

O.S.

West Kirby, luglio 1930

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