Copertina
Autore Stendhal
Titolo Roma, Napoli e Firenze
SottotitoloViaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 1990 [1974], Storia e società , pag. 344, dim. 140x210x27 mm , Isbn 978-88-420-3645-6
OriginaleRome, Naples et Florence en 1817 [1817]
PrefazioneCarlo Levi
TraduttoreBruno Schacherl
LettoreRenato di Stefano, 2000
Classe viaggi , classici francesi , citta': Napoli , citta': Roma , citta': Firenze , paesi: Italia: 1800
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Pagina 5 [ inizio libro ]

TOMO PRIMO


Berlino, 2 settembre 1816. Apro la lettera che mi concede una licenza di quattro mesi: Slanci di gioia, cuore in tumulto. Quanto sono ancora pazzo a ventisei anni! Vedrò dunque la bella Italia! Ma davanti al ministro nascondo con cura i miei sentimenti: gli eunuchi sono permanentemente indignati contro i libertini. Anzi, mi aspetto due mesi di freddezza al ritorno. Ma questo viaggio mi fa troppo piacere; e chi sa se il mondo durerà tre settimane?

Ulma, 12 settembre. Per il cuore, niente. Il vento del nord mi impedisce di provar piacere. La Selva Nera, così chiamata giustamente, è triste e solenne. Il verde scuro dei suoi abeti fa un bel contrasto con il biancore accecante della neve. Ma la campagna di Mosca mi ha reso difficile per i piaceri della neve.

Monaco, 15 settembre. Il conte di... mi ha presentato stasera alla signora Catalani. Ho trovato il salotto della celebre cantante pieno di ambasciatori e di cordoni di tutti i colori: basterebbe meno per far girare la testa. Il re è veramente un uomo di mondo. Ieri, domenica, la signora Catalani, che è molto devota, si è recata alla cappella di corte, dove ha invaso senza riguardi la tribunetta riservata alle figlie di Sua Maestà. Un ciambellano, terrorizzato del suo ardire, accorso per avvertirla dell'errore, è stato ricacciato con perdite. Onorata dall'amicizia di parecchi sovrani, credeva, disse, di aver diritto a quel posto, ecc. Il re Massimiliano ha preso la cosa da uomo che per vent'anni è stato colonnello al servizio di Francia. In molte altre corti di questo paese, terribile per l'etichetta, una tale follia avrebbe potuto benissimo portare la signora Catalani in galera.

Milano, 24 settembre. Arrivo, alle sette di sera, morto di stanchezza; corro alla Scala. - Il mio viaggio è ripagato. I miei sensi esausti non erano più suscettibili di piacere. Tutto ciò che l'immaginazione più orientale può sognare di più strano, di più conturbante, di più ricco per bellezze d'architettura, tutto ciò che ci si può raffigurare di drappeggi brillanti, di personaggi che abbiano non solo i costumi, ma le fisionomia, ma i gesti dei paesi dove l'azione si svolge, l'ho visto questa sera.

25 settembre. Corro a quello che è il primo teatro del mondo: si dava ancora la Testa di bronzo. Ho avuto tutto il tempo di ammirare. La scena si svolge in Ungheria; mai principe ungherese fu più fiero, più burbero, più generoso, più militare di Galli. È uno dei migliori attori che abbia mai incontrato; è la più bella voce di basso che abbia mai sentito: fa rimbombare persino i corridoi di quest'immenso teatro.

Quale scienza del colore nel modo come sono distribuiti i costumi! Ho visto i più bei quadri di Paolo Veronese. Accanto a Galli, principe ungherese in costume nazionale, una stupenda divisa da ussaro, bianca, rossa ed oro, il suo primo ministro è avvolto in velluti neri, senz'altro ornamento splendente se non la placca del suo ordine; la pupilla del principe, l'affascinante Fabre, indossa una pelliccia azzurro-cielo e argento, con lo shako adorno di una bianca piuma. Magnificenza e ricchezza si dispiegano sulla scena: vi si vedono ad ogni tratto almeno cento coristi o comparse, tutti vestiti come in Francia i protagonisti. Per uno degli ultimi balletti, hanno fatto centottantacinque costumi di velluto o di raso. Le spese sono enormi. Il teatro della Scala è il salotto della città. Ci si riunisce soltanto lì; non si riceve in nessuna casa. Ci vedremo alla Scala, è frase corrente per ogni genere d'affari. Il primo colpo d'occhio fa venire le vertigini. Sono in estasi mentre scrivo queste righe.

26 settembre. Ho ritrovato l'estate: è il momento più suggestivo della bella Italia. Provo una sorta di ebbrezza. Sono andato a Desio, un giardino inglese delizioso, dieci miglia a nord di Milano, ai piedi delle Alpi.

Esco ora dalla Scala. Parola d'onore, la mia ammirazione non diminuisce. È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri. Non una lampada in sala; la illumina solo la luce riflessa dalle scene. Per quanto riguarda l'architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, di più magnifico, di più solenne e nuovo. Ci sono stati stasera undici cambiamenti di scene. Con ciò, mi trovo condannato a ripugnanza eterna nei confronti dei nostri teatri: è l'inconveniente serio di un viaggio in Italia.

Pago uno zecchino a sera per un palco di terz'ordíne, che mi sono impegnato a tenere per tutta la durata del mio soggiorno. Anche se manca totalmente la luce, distinguo benissimo le persone che entrano in platea. Ci si saluta da un capo all'altro del teatro, da un palco all'altro. Io sono introdotto in sette od otto di essi. In ciascuno, stanno cinque o sei persone, e la conversazione è avviata come in un salotto. Regnano modi di grande naturalezza e una dolce allegria, ma soprattutto nessuna solennità.

L'unico termometro della bellezza, in musica, è il grado di estasi a cui è portata la nostra anima; laddove, di un dipinto di Guido, posso dire col più assoluto sangue freddo: «È di una bellezza straordinaria!».

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