Copertina
Autore Bram Stoker
Titolo L'invitato di Dracula
Sottotitolo9 racconti del terrore e del soprannaturale
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2012, Fiabesca 106 , pag. 232, cop.fle., dim. 12x16,7x1,3 cm , Isbn 978-88-6222-300-3
OriginaleDracula's Guest And Other Weird Stories
EdizioneRoutledge, London, 1914
CuratoreFabio Giovannini
TraduttoreFabio Giovannini
LettoreFlo Bertelli, 2013
Classe narrativa inglese , gotico
PrimaPagina


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Indice


  5   Racconti non-morti


 13   L'invitato di Dracula

 15   Prefazione

 16   L'invitato di Dracula

 35   La casa del giudice

 62   La Squaw

 81   Il segreto dell'oro che cresce

101   Una profezia zingara

115   Il ritorno di Abel Behenna

143   Il funerale dei ratti

180   Il sogno delle mani rosse

195   Le sabbie di Crooken


227   Qualche nota di chiusura


 

 

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Pagina 16

L'invitato di Dracula



Quando iniziammo il nostro viaggio, il sole brillava luminoso su Monaco e l'aria era piena delle gioie di inizio estate. Proprio mentre stavamo per partire, Herr Delbrück (il maître d'hótel del Quatre Saisons, dove alloggiavo) scese fino alla carrozza, a capo scoperto, e dopo avermi augurato un piacevole viaggio disse al cocchiere, impugnando la maniglia dello sportello:

"Ricordati di tornare prima di notte. Il cielo sembra limpido, ma il soffio del vento del nord dice che può esserci una tempesta improvvisa. Ma sono sicuro che non farai tardi". A questo punto sorrise e aggiunse: "Perché tu sai che notte è questa".

Johann rispose con un laconico "Ja, mein Herr," e, toccandosi il cappello, fece subito muovere i cavalli. Quando fummo fuori città, io chiesi, dopo avergli fatto cenno di fermarsi:

"Dimmi, Johann, che notte è questa?".

Si fece il segno della croce e rispose laconicamente: "Walpurgis Nacht". Poi prese il suo orologio tedesco all'antica, un grande oggetto d'argento, grosso come una rapa, e lo guardò, con le sopracciglia aggrottate e scrollando un po' impaziente le spalle. Capivo che questo era il suo modo per protestare rispettosamente contro quell'inutile sosta e tornai a sedermi nella carrozza, limitandomi a fargli segno di procedere. Ripartì velocemente, come se volesse recuperare il tempo perduto. Di quando in quando i cavalli sembravano drizzare la testa e fiutare l'aria sospettosi. In tali occasioni io spesso mi guardavo intorno allarmato. La strada era assai desolata, perché stavamo attraversando una sorta di altopiano battuto dal vento. Mentre procedevamo, vidi una strada apparentemente poco frequentata e che pareva affondare in una piccola vallata ventosa. Sembrava talmente invitante che chiesi a Johann di fermarsi, anche a rischio di contrariarlo. Quando si arrestò, gli dissi che mi sarebbe piaciuto passare per quella strada. Elencò ogni sorta di scuse, facendosi di frequente il segno della croce mentre parlava. Ciò in qualche modo suscitò la mia curiosità, così gli feci varie domande. Rispose in modo evasivo e guardò ripetutamente l'orologio in segno di protesta. Alla fine dissi:

"Bene, Johann, io voglio che prendiamo questa strada. Non ti costringerò se non vuoi, ma dimmi perché non vuoi farlo, è tutto quello che ti chiedo". Come risposta parve spiccare un balzo dal suo sedile, tanto rapidamente toccò terra. Poi protese supplichevole le mani verso di me e mi implorò di non andare. Nelle sue parole c'era abbastanza inglese mischiato al tedesco perché io ne capissi il senso. Sembrava continuamente sul punto di dirmi qualcosa, la cui sola idea evidentemente lo spaventava, ma ogni volta si bloccava, dicendo, mentre si faceva il segno della croce: "Walpurgis Nacht!".

Cercai di farlo ragionare, ma è difficile ragionare con un uomo quando non si conosce la sua lingua. Lui restava senz'altro in vantaggio su di me, perché anche se aveva cominciato a parlare in un inglese rozzo e stentato, nella continua agitazione prorompeva nella sua lingua materna... e ogni volta che lo faceva, guardava l'orologio. Poi i cavalli divennero inquieti e fiutarono l'aria. Al che lui si fece molto pallido e, guardandosi intorno terrorizzato, all'improvviso fece un balzo, prese le briglie e portò i cavalli avanti di cinque o sei metri. Io lo seguii e gli chiesi perché lo avesse fatto. Per tutta risposta si fece il segno della croce, indicò il punto da cui ci eravamo allontanati e condusse la carrozza verso l'altra strada, indicando una croce e dicendo, prima in tedesco e poi in inglese: "Hanno sepolto... chi si è tolto la vita".

Mi ricordai l'antica consuetudine di seppellire i suicidi ai crocicchi: "Ah! Capisco, un suicida. Molto interessante!". Ma non riuscivo assolutamente a capire perché i cavalli fossero spaventati.

Mentre parlavamo, sentimmo una specie di suono tra il guaito e il latrato. Era abbastanza lontano, ma i cavalli si fecero parecchio inquieti e faticò a calmarli. Era pallido e disse: "Sembra un lupo... però ora non ci sono lupi qui".

"No?" dissi, interrogativo. "È da molto tempo che i lupi non si avvicinano alla città?".

"Moltissimo tempo," rispose, "in primavera e in estate; ma con la neve i lupi arrivano".

Mentre accarezzava i cavalli cercando di calmarli, delle nubi scure solcarono rapidamente il cielo. La luce del sole sparì e il soffio freddo del vento sembrò investirci. Era solo un soffio, tuttavia, simile a una semplice avvisaglia, perché il sole tornò di nuovo a brillare. Johann guardò l'orizzonte facendosi schermo con la mano e disse:

"La tempesta di neve arriva tra non molto". Poi guardò di nuovo l'orologio e impugnando saldamente le redini – poiché i cavalli stavano ancora scalpitando nervosamente e scuotevano le teste – saltò a cassetta come se fosse venuto il momento di proseguire il nostro viaggio.

Io però ero ostinato e non rientrai subito nella carrozza.

"Parlami," dissi, "del posto dove conduce questa strada," e la indicai.

Di nuovo si fece il segno della croce e mormorò una preghiera, prima di rispondere:

"È maledetto".

"Cos'è maledetto?" domandai.

"Il villaggio".

"Allora c'è un villaggio?".

"No, no. Non ci vive nessuno da centinaia di anni". Aveva stuzzicato la mia curiosità.

"Ma hai detto che c'era un villaggio".

"C'era".

"Adesso cosa ne è stato?".

Al che proruppe in un lungo racconto in tedesco e in inglese, mischiandoli talmente che non riuscivo a capire bene cosa dicesse, ma compresi approssimativamente che molto tempo prima, centinaia di anni orsono, là erano morte delle persone ed erano state seppellite nelle loro tombe; ma da sotto terra venivano dei rumori e quando si aprirono le tombe vennero trovati uomini e donne rosei come se fossero vivi, e con le bocche rosse di sangue. E così, bramosi di salvarsi la vita... già, e l'anima! (e qui si fece il segno della croce) quelli che erano sopravvissuti fuggirono in altri luoghi, dove i vivi erano vivi e i morti erano morti e non... qualcos'altro. Era evidente che aveva paura di pronunciare quelle ultime parole. Mentre andava avanti nel racconto, diventava sempre più agitato. Sembrava che la sua fantasia avesse preso il sopravvento su di lui e proruppe in una vera crisi di terrore: con la faccia bianca, ansimava, tremava e si guardava intorno come se si aspettasse il manifestarsi di qualche terribile presenza nella luce brillante dell'altopiano. Alla fine, nell'angoscia della disperazione, urlò: "Walpurgis Nacht!" e mi indicò di rientrare nella carrozza. Al che il mio sangue inglese ribollì e, indietreggiando, dissi:

"Tu hai paura, Johann... tu hai paura. Vai a casa; ritornerò da solo; la passeggiata mi farà bene". Lo sportello della carrozza era aperto. Presi dal sedile il mio bastone da passeggio di rovere (che porto sempre nelle mie escursioni vacanziere), chiusi lo sportello e indicando Monaco dissi: "Vai a casa, Johann... Walpurgis Nacht non è un problema per un inglese".

I cavalli adesso erano più irrequieti che mai e Johann stava cercando di trattenerli, mentre mi implorava agitato di non fare niente di così folle. Avevo compassione del pover'uomo, sembrava molto sincero; ma nello stesso tempo non potevo fare a meno di ridere. Adesso aveva rinunciato all'inglese. Nell'angoscia si era dimenticato che l'unico modo per farsi capire da me era parlare nella mia lingua, così farfugliava nel suo tedesco. Cominciava un po' a infastidirmi. Dopo avergli indicato la direzione con un "Torna a casa!", mi voltai per scendere dal bivio giù nella valle.

Con un gesto disperato, Johann voltò i cavalli verso Monaco. Mi appoggiai al bastone e lo osservai. Per un po' proseguì lentamente lungo la strada: poi apparve sulla cresta della collina un uomo alto e magro. Vedevo abbastanza, nonostante la lontananza. Quando si avvicinò ai cavalli, questi cominciarono a saltare e scalciare, poi a nitrire di terrore. Johann non riusciva a trattenerli; si slanciarono giù per la strada, correndo all'impazzata. Li vidi sparire, poi cercai lo sconosciuto, ma mi accorsi che anche lui se ne era andato.

Io girai a cuor leggero verso la strada laterale che penetrava nella valle e che Johann si era rifiutato di percorrere. Non vedevo la seppur minima ragione per quel rifiuto. Credo di aver camminato per un paio d'ore senza pensare al tempo o alla distanza, e di certo senza vedere una persona o una casa. Il posto, da parte sua, era il ritratto della desolazione. Non ci feci particolarmente caso fino a che, girando su una curva della strada, non arrivai al limitare di un rado bosco; a quel punto mi resi conto che inconsciamente ero rimasto impressionato dalla desolazione della zona che avevo attraversato.

Mi sedetti per riposarmi e cominciai a guardarmi intorno. Fui colpito dal fatto che facesse notevolmente più freddo rispetto a quando avevo cominciato il cammino: intorno a me sembrava esserci il suono di una sorta di sospiro che, di tanto in tanto, cresceva fino a diventare un sordo ruggito. Alzando gli occhi notai che delle grosse nuvole spesse si spostavano rapidamente nel cielo da nord a sud, a grande altitudine. Nell'aria c'erano i segni di una tempesta in arrivo. Avevo un po' freddo e pensando che fosse dovuto al fatto che mi ero seduto dopo le fatiche della passeggiata, ripresi il mio cammino.

I territori che percorrevo adesso erano molto più pittoreschi. Non c'era niente di particolare che colpisse l'occhio; ma tutto era pervaso dal fascino della bellezza. Avevo fatto poca attenzione al passare del tempo e mi preoccupai di come trovare la strada del ritorno solo quando cominciò a incombere su di me l'approfondirsi del crepuscolo. La luminosità del giorno era sparita. L'aria era fredda e il passaggio delle nubi in alto si era accentuato. Erano accompagnate da una specie di rumore lontano e impetuoso, attraverso il quale sembrava giungere a intermittenza quel grido misterioso che il cocchiere aveva attribuito a un lupo. Per un poco esitai. Avevo detto che volevo vedere il villaggio abbandonato, quindi andai avanti e poco dopo sboccai nell'aperta campagna, in un'ampia distesa completamente circondata da colline. I fianchi erano ricoperti di alberi che scendevano fino alla pianura, punteggiando di boschetti i declivi più lievi e le vallette che si mostravano qui e là. Seguivo con lo sguardo il dipanarsi della strada, e vidi che curvava vicino a uno dei boschetti più folti e si perdeva dietro di esso.

Mentre guardavo in quella direzione, nell'aria arrivò un brivido gelido e cominciò a cadere la neve. Pensai alle miglia e miglia di campagna desolata che avevo attraversato e allora mi precipitai a cercare riparo nel bosco di fronte a me. Il cielo si faceva sempre più scuro, e la neve cadeva sempre più veloce e fitta, fino a che la terra davanti e intorno a me divenne un luccicante tappeto bianco il cui ultimo orlo si perdeva in una nebulosa foschia. Qui la strada era poco visibile e in pianura i bordi non erano segnati quanto nelle zone più infossate; dopo poco mi accorsi che dovevo aver lasciato il sentiero, perché sotto i piedi non sentivo una superficie dura, ma affondavo sempre più nell'erba e nel muschio. Poi il vento si fece più forte e soffiò con potenza sempre crescente, fino a spingermi in una gradita corsa. L'aria divenne gelida e nonostante fossi allenato cominciai a sentire la fatica. Adesso la neve stava cadendo così spessa e turbinante intorno a me, in rapidi vortici, che a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti. Ogni tanto il cielo era squassato da vividi lampi e tra i bagliori potevo vedere davanti a me una grande massa di alberi, in particolare tassi e cipressi, tutti pesantemente coperti di neve.

Fui presto al riparo sotto gli alberi e là, in un relativo silenzio, potevo sentire il vento impetuoso alto sopra di me. Poco dopo l'oscurità della tempesta si mischiò alle tenebre della notte.

In breve la tempesta parve placarsi: adesso arrivavano solo delle violente folate. In quei momenti, intorno a me il terribile verso del lupo sembrava echeggiato da molti suoni simili.

Di tanto in tanto, attraverso la nera massa di nubi alla deriva, arrivava un irregolare raggio di luna che illuminava la distesa e mi mostrava che mi trovavo al limitare di una densa massa di cipressi e tassi. Dato che la neve aveva cessato di cadere, lasciai il mio rifugio e cominciai a guardarmi intorno con più attenzione. Mi sembrava che, tra i tanti antichi ruderi che avevo incontrato ci potesse essere una casa, per quanto in rovina, dove trovare per qualche tempo una sorta di riparo.

Mentre costeggiavo il limitare del bosco, mi accorsi che un basso muro lo circondava e seguendolo trovai poco dopo un'apertura. Qui i cipressi formavano un viale che portava fino alla struttura quadrata di un edificio. Ma proprio mentre lo scorgevo, le nubi vaganti oscurarono la luna e io continuai a percorrere il sentiero nelle tenebre. Il vento doveva essere diventato più freddo, perché mentre camminavo sentivo i brividi; ma c'era la speranza di un riparo e proseguii brancolando alla cieca.

Un improvviso silenzio mi fece fermare. La tempesta era passata; e, forse in sintonia con il silenzio della natura, il mio cuore parve cessare di battere. Ma ciò fu solo momentaneo; perché all'improvviso la luce della luna irruppe tra le nubi, rivelandomi che mi trovavo in un cimitero, e che l'oggetto quadrato di fronte a me era un'enorme tomba di marmo, bianca come la neve che giaceva tutto intorno. Alla luce della luna giunse un violento sussulto della tempesta, che sembrò riprendere il suo corso con un lunghissimo ululato, come di molti cani o lupi. Ero impaurito e sconvolto, e sentii il freddo aumentare dentro di me fino a che sembrò afferrarmi il cuore. Poi, mentre il flusso della luce lunare continuava a cadere sulla tomba di marmo, la tempesta mostrò un'ulteriore ripresa, come se stesse tornando sulle proprie tracce. Spinto da una sorta di fascinazione, mi avvicinai al sepolcro per osservarlo meglio e capire perché si trovasse isolato in un posto simile. Ci girai intorno e lessi, sopra la porta dorica, in tedesco:

CONTESSA DOLINGEN DI GRATZ
IN STIRIA
CERCÒ E TROVÒ LA MORTE
1801


Sulla cima della tomba c'era un grosso palo di ferro, o una sbarra, apparentemente piantato nel solido marmo, perché la struttura era composta da alcuni immensi blocchi di pietra. Andando sul retro vidi, inciso in grandi lettere russe:

I MORTI VIAGGIANO VELOCI


C'era qualcosa di così inquietante e strano in tutto ciò che mi sentii vacillare e quasi svenire. Cominciai a rammaricarmi, per la prima volta, di non aver seguito il consiglio di Johann. A quel punto mi colpì un pensiero, in circostanze quasi misteriose e con un terribile sconvolgimento. Questa era la Notte di Valpurga!

La Notte di Valpurga, quando, secondo quanto credono milioni di persone, il diavolo si manifesta... quando si aprono le tombe e i morti escono e camminano. Quando tutte le cose malvagie della terra, dell'aria e dell'acqua fanno baldoria. Quello era il posto esatto che il cocchiere aveva accuratamente evitato. Quello era il villaggio spopolato secoli orsono. Là giaceva il suicida; e in quel luogo mi trovavo da solo... abbandonato, tra brividi di freddo in un sudario di neve mentre una terribile tempesta incombeva ancora su di me! Ci volle tutta la mia filosofia, tutta la religione che mi avevano insegnato, per non crollare in un parossismo di terrore.

E adesso su di me scoppiò un vero tornado. Il terreno tremò come se migliaia di cavalli tuonassero su di esso; e questa volta la tempesta portò sulle sue ali gelide non neve, ma grossa grandine che colpiva con violenza, come se provenisse dalle fionde dei lanciatori di pietre delle Baleari... una grandine che abbatteva foglie e rami e che rendeva inutile il rifugio dei cipressi, come se gli arbusti fossero delle spighe di grano. All'inizio mi precipitai verso l'albero più vicino; ma fui presto costretto a lasciarlo e a cercare l'unico punto che sembrasse offrirmi riparo, il profondo portale dorico della tomba di marmo. Là, acquattato contro l'enorme porta di bronzo, ottenni una qualche protezione dai colpi della grandine, perché adesso mi colpiva solo quando rimbalzava dal terreno e dalle pareti di marmo.

Appena mi appoggiai, la porta si mosse leggermente e si aprì verso l'interno. Persino il riparo di una tomba era benvenuto in quella tempesta impietosa, ed ero sul punto di entrare quando arrivò il bagliore di un lampo biforcuto che illuminò l'intera distesa del cielo. In quell'istante, quant'è vero che sono vivo, appena i miei occhi si girarono verso l'oscurità della tomba vidi una donna bellissima, con le guance tonde e le labbra rosse, apparentemente addormentata su un catafalco. Quando dall'alto venne il fragore di un tuono, mi sentii afferrare come dalla mano di un gigante e venni scagliato fuori nella tempesta. Tutto fu così improvviso che, prima di potermi riprendere dallo spavento, percepii la grandine piovermi addosso. Nello stesso tempo ebbi la sensazione strana e imperiosa di non essere solo. Guardai verso la tomba. Proprio allora venne un altro lampo accecante, che parve colpire il palo di ferro sopra la tomba e diffondersi fino alla terra, devastando e sgretolando il marmo in un'esplosione di fuoco. La donna morta si sollevò per un attimo in preda ad atroci sofferenze, mentre veniva lambita dalle fiamme, e il suo feroce grido di dolore fu sommerso dal rumore del tuono. L'ultima cosa che udii fu quel mischiarsi di suoni spaventosi, poi fui di nuovo afferrato da una morsa gigantesca e trascinato via, mentre la grandine batteva su di me e l'aria attorno sembrava riverberare l'ululato dei lupi. L'ultima cosa che ricordavo di aver visto era una massa in movimento, nebulosa e bianca, come se tutte le tombe attorno a me avessero liberato i fantasmi dei loro morti avvolti nei sudari e che quelli stessero avanzando verso di me attraverso la nuvola bianca della grandine battente.

* * *



Gradatamente venne una sorta di vaga ripresa della conoscenza; poi una tremenda sensazione di stanchezza. Per un poco non ricordai nulla; ma lentamente recuperai i sensi. I miei piedi sembravano completamente devastati dal dolore, ma non potevo muoverli. Sembravano diventati insensibili. Avevo una sensazione di gelo dietro al collo e lungo la spina dorsale, e le mie orecchie, come i piedi, erano senza vita eppure davano tormento; ma avevo nel petto una sensazione di calore che, al confronto, era deliziosa. Era come un incubo... un incubo fisico, se si può usare un'espressione simile; perché una sorta di forte peso sul petto mi rendeva difficile respirare.

Questo periodo di semi-letargo sembrò persistere a lungo, e appena scomparve devo aver dormito o aver perso i sensi. Poi venne una sorta di disgusto, simile al primo stadio del mal di mare, e il terribile desiderio di liberarmi da qualcosa... ma non sapevo cosa. Una grande calma mi avvolse, quasi che tutto il mondo fosse addormentato o morto, interrotta solo dal lieve ansimare come di qualche animale vicino a me. Sentivo qualcosa di caldo che mi raspava la gola, poi divenni cosciente della terribile verità che mi gelò il cuore e mi mandò il sangue al cervello. Una sorta di grosso animale era coricato su di me e adesso mi leccava la gola. Avevo paura di muovermi, perché una prudenza istintiva mi intimava di restare immobile; ma la belva sembrò capire che ora in me c'era qualche cambiamento, perché sollevò la testa. Attraverso le palpebre vidi sopra di me i due occhi fiammeggianti di un lupo gigantesco. I suoi denti bianchi e aguzzi scintillavano nella rossa bocca spalancata, e potevo sentire su di me il suo respiro bollente e acre.

Per un altro lasso di tempo non mi resi conto di altro. Poi divenni consapevole di un ringhiare sordo e subito dopo di un guaito, ripetuto più volte. Quindi, apparentemente da molto lontano, udii un "Olà! olà!" come se molte voci chiamassero all'unisono. Con cautela alzai la testa e guardai nella direzione da cui proveniva il suono; ma il cimitero mi ostacolava la vista. Il lupo stava continuando a guaire in uno strano modo e un bagliore rosso cominciò a muoversi attorno al boschetto di cipressi come se seguisse il suono. Mentre le voci diventavano più vicine, il lupo guaì più insistentemente e più forte. Avevo paura di fare un rumore o un movimento. La luce rossa si faceva più vicina, al di sopra del manto bianco che si estendeva nelle tenebre attorno a me. Poi d'un tratto da dietro agli alberi arrivò al trotto un gruppo di uomini a cavallo che impugnavano torce. Il lupo si sollevò dal mio petto e si diresse verso il cimitero. Vidi uno degli uomini a cavallo (soldati, a giudicare dai copricapi e dalle lunghe cappe militari) alzare la sua carabina e prendere la mira. Un suo compagno gli urtò il braccio e io udii il proiettile sibilare sopra la mia testa. L'uomo aveva evidentemente scambiato il mio corpo per quello del lupo. Un altro individuò l'animale che se ne andava di soppiatto e seguì uno sparo. Poi, al galoppo, la truppa si lanciò in avanti... alcuni verso di me, altri all'inseguimento del lupo che scompariva tra i cipressi coperti di neve.

Quando si fecero più vicini cercai di muovermi, ma ero senza forze, per quanto potessi vedere e sentire tutto ciò che mi accadeva intorno. Due o tre dei soldati saltarono giù da cavallo e si inginocchiarono accanto a me. Uno di loro mi sollevò la testa e mi mise una mano sul cuore.

"Buone notizie, camerati!" urlò. "Il cuore batte ancora!".

Quindi del brandy mi venne versato in gola; mi diede vigore e io fui in grado di spalancare gli occhi e guardarmi attorno. Luci e ombre si muovevano tra gli alberi, e sentivo gli uomini chiamarsi tra di loro. Si radunarono, lanciando esclamazioni impaurite; e le luci lampeggiavano mentre gli altri emergevano disordinatamente dal cimitero, come se fossero posseduti. Quando gli ultimi ci furono vicini, quelli che erano attorno a me chiesero con impazienza:

"Allora, lo avete trovato?".

La risposta risuonò immediatamente:

"No! no! Andiamo via subito... subito! Questo non è un posto dove si può restare, soprattutto stanotte!".

"Che cos'era?", la domanda venne posta con ogni tipo di intonazione. Le risposte furono diverse e tutte vaghe, come se gli uomini fossero accomunati dall'impulso a parlare, eppure fossero trattenuti dal timore comune di rivelare i propri pensieri.

"È... è... di sicuro!" farfugliò uno, che doveva essere uscito momentaneamente di senno.

"Un lupo... e però non un lupo!" aggiunse un altro rabbrividendo.

"Inutile provare a prenderlo senza il proiettile consacrato," notò un terzo in tono più normale.

"Ce la siamo cercata, uscendo in una notte come questa! Li abbiamo proprio guadagnati i nostri mille marchi!" esclamò un quarto.

"C'era del sangue sul marmo spezzato," disse un altro dopo una pausa. "Non può certo averlo portato il fulmine. E lui... è salvo? Guardategli la gola! Vedete, camerati, il lupo si era coricato su di lui e gli ha tenuto caldo il sangue".

L'ufficiale mi guardò la gola e rispose:

"Sta bene; la pelle non è perforata. Cosa significa tutto questo? Non lo avremmo mai trovato senza i guaiti del lupo".

"Dove è finito?" chiese l'uomo che mi reggeva la testa e che sembrava il meno impaurito del gruppo, perché le sue mani erano ferme e senza tremiti. Sulla manica aveva i galloni di sottufficiale.

"Se ne è tornato a casa," rispose un uomo con la faccia lunga e pallida, e che tremava letteralmente per il terrore mentre si guardava intorno pieno di paura.

"Là ci sono parecchie tombe dove potrebbe nascondersi. Andiamo, camerati... andiamocene subito! Lasciamo questo posto maledetto".

L'ufficiale mi sollevò mettendomi a sedere, mentre lanciava un ordine; poi diversi uomini mi collocarono su un cavallo. L'ufficiale saltò sulla sella dietro di me, mi sorresse con le braccia e diede il comando di avanzare; e, voltando la schiena ai cipressi, ci avviammo rapidi in ordine militare.

La mia lingua si rifiutava ancora di funzionare e rimanevo in silenzio. Devo essermi addormentato, perché la cosa successiva che ricordo è di trovarmi in piedi, sorretto da soldati da entrambi i lati. Era quasi pieno giorno, e a nord un rosso raggio di sole si rifletteva come un sentiero di sangue sulla distesa di neve. L'ufficiale stava raccomandando ai soldati di non dire niente su ciò che avevano visto, salvo di aver trovato un forestiero inglese, vegliato da un grosso cane.

"Un cane! Quello non era un cane," intervenne l'uomo che aveva dimostrato più paura. "Penso di saper riconoscere un lupo quando ne vedo uno".

Il giovane ufficiale rispose calmo: "Ho detto un cane".

"Un cane!" ribadì l'altro ironicamente. Era evidente che il suo coraggio cresceva con il levarsi del sole; e, indicandomi, disse: "Guardate la sua gola. Quella è opera di un cane, capitano?".

Istintivamente mi portai la mano alla gola e appena la toccai urlai di dolore. Gli uomini si fecero intorno per guardare, qualcuno chinandosi dalla sella; e di nuovo venne la voce calma del giovane ufficiale:

"Un cane, come ho detto. Se dicessimo qualcos'altro riderebbero solo di noi".

Mi fecero montare dietro a un uomo della truppa e ci avviammo fino ai sobborghi di Monaco. Là ci imbattemmo in un carretto abbandonato, nel quale fui adagiato per essere condotto al Quatre Saisons: mi accompagnò il giovane ufficiale, mentre un soldato ci seguì a cavallo e gli altri tornarono in caserma.

Quando arrivammo, Herr Delbrück per venirmi incontro si precipitò giù per le scale così velocemente che sembrava fosse stato a controllarci dall'interno. Mi prese entrambe le mani, conducendomi dentro con sollecitudine. L'ufficiale mi salutò e quando mi resi conto che si stava voltando per andarsene lo pregai di seguirmi nella mia stanza. Davanti a un bicchiere di vino ringraziai calorosamente lui e i suoi coraggiosi camerati per avermi salvato. Rispose semplicemente di esserne più che felice e che Herr Delbrück fin dall'inizio aveva preso tutte le iniziative per agevolare le ricerche; a quelle parole ambigue il maître d'hótel sorrise, mentre l'ufficiale prese congedo e se ne andò.

"Ma, Herr Delbrück," domandai, "perché mai i soldati erano venuti a cercarmi?".

Scosse le spalle, come se volesse sminuire il suo gesto, replicando:

"Il comandante del reggimento in cui ho servito mi ha concesso il privilegio di poter richiedere dei volontari".

"Ma come sapevate che mi ero perso?" chiesi.

"Il cocchiere è arrivato qui con quel che restava della sua carrozza, che si era ribaltata durante la fuga dei cavalli".

"Davvero avete inviato una truppa di soldati a cercarmi solo per questa ragione?".

"Oh, no!" rispose. "Ancor prima che arrivasse il cocchiere avevo ricevuto questo telegramma dal boiardo di cui siete ospite," e prese dalla tasca un telegramma che mi porse e che io lessi:


Bistritz.

Prendetevi cura del mio ospite: la sua incolumità è estremamente preziosa per me. Dovesse succedergli qualcosa, o dovesse perdersi, non risparmiate nulla per ritrovarlo e garantire la sua incolumità. È un inglese e quindi avventuroso. Ci sono spesso dei rischi per la neve, i lupi e la notte. Non perdete un solo istante se sospettate che sia in pericolo. Risponderò al vostro zelo con le mie fortune.

Dracula.


Mentre tenevo il telegramma tra le mani, ebbi l'impressione che la stanza mi girasse intorno; e se il premuroso maître d'hótel non mi avesse afferrato, penso che sarei caduto. C'era qualcosa di talmente strano in tutto ciò, qualcosa di così terribile e impossibile da immaginare, che cresceva in me la sensazione di essere in qualche modo in balìa di forze opposte: quella semplice idea, per quanto vaga, sembrava in grado di paralizzarmi. Ero certamente sotto una qualche forma di protezione misteriosa. Da un paese lontano, in pochissimo tempo, era arrivato un messaggio che mi aveva sottratto al pericolo di addormentarmi nella neve e alle fauci del lupo.

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