Copertina
Autore Paolo Sylos Labini
Titolo Ahi serva Italia
SottotitoloUn appello ai miei concittadini
EdizioneLaterza, Roma-Bari, 2006, Saggi Tascabili 299 , pag. 166, cop.fle.sov., dim. 110x180x11 mm , Isbn 978-88-420-7975-0
CuratoreRoberto Petrini
PrefazioneRoberto Petrini
LettoreGiorgia Pezzali, 2006
Classe politica , destra-sinistra , paesi: Italia: 2000
PrimaPagina


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Indice

Prefazione di Roberto Petrini                     V
Premessa                                         XV

 1. Ahi serva Italia, di dolore ostello!          3
 2. Risalire dall'abisso                          9
 3. L'urlo di Munch                              14
 4. I cattolici per bene e Suadela               27
 5. Un paese di camerieri                        42
 6. L'autostima, l'onore, la dignità e
    l'amor patrio                                49
 7. C'è speranza? Il Rinascimento,
    il Risorgimento e la Resistenza              60
 8. Liberiamoci di Machiavelli e Marx            63
 9. Lo spettro dell'Argentina                    72
10. L'opposizione                                77
11. Appunti programmatici per il futuro prossimo 97
12. Lo sviluppo e la miseria                    109
13. Quattro grandi utopie                       147

Conclusioni                                     155
Ringraziamenti                                  161
Riferimenti bibliografici                       163

 

 

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Pagina XV

Premessa



Il discorso è angoscioso, ma mi sembra giusto farlo, dal momento che sulla questione ho riflettuto molto e riguarda noi tutti. Perché siamo caduti così in basso?

Non per orgoglio né per presunzione, ma per «disperazione sociale» mi rivolgo ai miei concittadini per esortarli a fare uno spietato esame critico della coscienza civile evitando ogni formula consolatoria. È la premessa per uscire dall'abisso. Perché il Cavaliere ci preoccupa molto gravemente, ma il principale motivo di angoscia siamo noi Italiani. Come abbiamo consentito che andasse al potere un uomo come Berlusconi? Che diavolo di paese siamo?

Certo, la televisione e l' Homo videns di Giovanni Sartori hanno giocato un ruolo importante. Ha giocato un ruolo anche maggiore l'opposizione, che è stata oltremodo indulgente col Cavaliere. Pare che l'inventore del trucco con cui si è aggirata la legge che sanciva l'ineleggibilità dei titolari di concessioni pubbliche di rilevante interesse economico, contro cui io ed altri avevamo lanciato un appello, provenga dalla cosiddetta opposizione. Che ha altre gravi colpe, come ricorderò, non per rivangare il passato ma nella speranza che, per la sua e la nostra salvezza, da ora in poi cambi sul serio. Oggi è ancora più valido che in passato il grido lanciato dal procuratore Borrelli: resistere, resistere, resistere!

Lo so bene, molti hanno trovato una formula consolatoria, come ad esempio: tutto il mondo è paese. No, non è così, i paesi sono diversi e oggi noi siamo nel punto più basso tra i paesi civili, e anzi della nostra stessa storia, che anche dal punto di vista della civiltà non è confortante. Per chi ha deciso di non farsi illusioni, basta leggere quello che scrive di noi la stampa estera. Spesso gli italiani si consolano rievocando la loro intelligenza. Non è così diffusa come molti credono, ma l'intelligenza può essere usata per danneggiare gli altri e allora è meglio non averla. Si dice anche: non pochi manigoldi sono simpatici. Supposto che sia così, si pone la domanda: è giusto che dei «simpatici» manigoldi rendano la vita sociale ripugnante? Infine: ho sentito io stesso persone considerate per bene giustificare le loro malefatte con l'atroce formula «così fan tutti», che implica la perpetrazione del malaffare. Su un piano ben più vasto – il politico ha un'influenza estesa sulla gente – troviamo Craxi, che per autoassolversi dichiara in Parlamento, spudorato e sprezzante: «tutti ladri nessun ladro», ripetendo, senza saperlo, la dichiarazione fatta nel Parlamento inglese dal primo ministro Walpole intorno al 1730, «qui ogni uomo ha un prezzo», durante un lungo periodo in cui l'Inghilterra era un paese profondamente corrotto. L'Inghilterra uscì da quel pantano attraverso lagrime e sangue.

Il suo vero programma Berlusconi lo comunicò a Enzo Biagi, una volta tanto che disse la verità: salvare la «roba», mantenere le televisioni, evitare guai giudiziari, per sé e per i soci intimi. Non pochi intellettuali «moderati» fanno finta di credere che Berlusconi sia un normale politico di destra e che il problema sia criticare le sue mosse per indurlo a cambiare. Con un programma come quello che ho richiamato, queste critiche sono proposte per quieto vivere: per carenza di coraggio morale. L'interesse pubblico era per gli sciocchi e, se mai, riguardava i benestanti; velleitario risultava il proposito annunciato di ridurre le tasse, proprio in un momento in cui questo non era possibile poiché – come, fra gli altri, Scalfari ed io avvertimmo – la congiuntura internazionale volgeva al peggio e quindi una crescita del 3,1% del Pil non era raggiungibile, tanto è vero che l'aumento a consuntivo risultò irrisorio, poco sopra lo zero. Lo stesso imbroglio – fissare un aumento del reddito truffaldinamente alto per rendere plausibile il «contratto con gl'Italiani» – è stato ripetuto da Tremonti e poi da Domenico Siniscalco. Le loro responsabilità sono gravissime: hanno dato un robusto contributo a devastare economicamente l'Italia per compiacere Berlusconi e il suo assurdo programma di ridurre le tasse e compiere opere pubbliche faraoniche. Ci sono «moderati» secondo cui alcune cose buone il governo Berlusconi le ha fatte; ma quando debbono indicarle dimostrano confusione e ricordano il progetto – che tale rimase – della riforma delle pensioni elaborato da Dini, allora ministro del Tesoro dí Berlusconi, il quale non volle rischiare le reazioni dei sindacati, e alcune leggi, neppure molto importanti, fatte o riadattate dal centrosinistra.

Sono stato definito «demonizzatore» nel senso che insisto a perseguitare Berlusconi e vedo l'Italia in un quadro troppo pessimistico. Per dimostrare che i nostri guai, come paese civile, sono non gravi ma gravissimi, debbo citare Dante che già al principio del Trecento lanciava la sua terribile invettiva contro l'Italia, che accusava di essere serva: alludeva alle già molteplici dominazioni straniere, che avevano inculcato il servilismo nelle popolazioni italiane. Citerò poi a lungo il mio amico Adamo Smith e Giacomo Leopardi. La mia diagnosi è il prolungamento e l'aggiornamento di quelle di Smith – che tuttavia non si riferiva all'Italia – e di Leopardi, che invece parlava espressamente dell'indole degli italiani. Se mettiamo da parte il Rinascimento, che ha caratteri molto particolari, due periodi straordinari hanno contrassegnato una reazione e spinto in modo vigoroso verso l'incivilimento: il Risorgimento e la Resistenza. Il primo ha portato all'unificazione, la seconda ha reso possibile la nostra «bella Costituzione». Entrambe le conquiste sono oggi in grave pericolo.


«Dignità»: un bene oggi rarissimo nel nostro paese. Ne discussi a lungo nel giugno del 2003, a Napoli. Le prossime elezioni di primavera saranno decisive; con questo libretto spero di dare un piccolo contributo al loro buon esito. Molti pensano che siano in gioco solo le leggi-vergogna di Berlusconi. No, oggi è in gioco assai di più: la nostra Costituzione, la nostra Unità, che è la premessa per diventare un paese civile. È in gioco la nostra dignità.

Ogni ipotesi esplicativa ha carattere storico. Le stesse riflessioni «morali» vanno inquadrate storicamente, anche se poi assumono aspetti autonomi come accade con Smith e con Leopardi, le cui analisi ruotano intorno all'autostima.

Se chiedi a una qualsiasi persona se abbia stima di se stesso ti guarderà con sorpresa: è ovvio di sì. E invece così non è: certo, molti tentano di far credere agli altri di essere pienamente stimabili, ma nel loro intimo sanno che non lo sono. Alcune persone di buona cultura alla fine di lunghe conversazioni mi hanno detto: «Ma insomma che pretendi, siamo italiani!». La realtà è che molti si autodisprezzano, come sostengono Smith da un lato e Leopardi dall'altro. L'autodisprezzo, quando è diffuso, rende impossibile l'amor di patria. L'analisi di Smith parte dalla «simpatia», quella di Leopardi dalla «stretta coesione» che permette la nascita di una società che non sia un mero agglomerato di gruppi di persone. Se una società vera e propria non c'è, l'autostima fra i suoi membri e l'amor patrio sono carenti. In tempi a noi più vicini si può ricordare l'invettiva di Piero Calamandrei, che riferendosi all'Italia parla di «putrefazione morale».

Oggi corrono un rischio gravissimo le principali conquiste del nostro paese: l'Unità d'Italia e la Costituzione. Sono state già ridotte ad assai mal partito le libertà civili, fra cui primeggia la libertà d'informazione: lo sappiamo ma celo ripetono tutti, organi dell'Europa ed esponenti delle Nazioni Unite. La giustizia è stata ridotta in condizioni pessime per assicurare l'impunità agli autori di gravi reati. Se passa la cosiddetta «devolution» – ai nostri provincialotti piace usare qualche termine inglese – non solo è gravemente lesa l'Unità d'Italia a cominciare dalla sanità pubblica, un'altra conquista civile, ma – lo sforzo di Berlusconi essendo ora rivolto a restare presidente del Consiglio, come indica la truffaldina e incostituzionale riforma del sistema elettorale – il presidente della Repubblica viene ridotto ad un «attaccapanni», con conseguenze catastrofiche sugli equilibri costituzionali.

Com'è stata fracassata – per ora – l'Unità d'Italia, creata dal Risorgimento, da fior d'intellettuali e da schiere di soldati, molti dei quali sacrificarono per questo scopo la propria vita?

Forti della loro inespugnabile ignoranza e privi di qualsiasi pudore, i leader della Lega Nord hanno voluto dare a intendere che i «Padani» siano i discendenti dei Celti. Ma nell'antichità i Celti erano i Galli, quelli che invasero Roma e che poi furono battuti da Cesare. Altri importanti gruppi di Celti s'inserirono e si mescolarono con gli abitanti locali in varie parti d'Italia, anche nella Valle Padana, senza lasciare tracce di rilievo, mentre quelle tracce sono profonde in altre regioni d'Europa: in ampie zone della Francia e, soprattutto, in Irlanda. Ma il bello dell'ignoranza è che essa consente tutto. Va bene: e gli altri italiani? Sono egualmente ignoranti? O se ne infischiano?

Così, in principio erano un gruppetto di amici: Bossi, pur senza avere né arte né parte, divenne il capo perché era il più furbo; Calderoli, l'odontoiatra; Castelli, l'ingegnere particolarmente esperto di diritto e di giustizia. Comunque questo gruppetto – da integrare, credo, con uno stewart dell'Alitalia e qualche altro –, con un seguito che in tutto si aggira al di sotto del 5%, ha dato colpi di piccone all'Unità d'Italia, perché questo serviva al Cavaliere. È una percentuale penosamente bassa; ma forse bisogna contare anche quei parlamentari arruolati e entrati in Forza Italia, secondo le dichiarazioni di Bossi; ciò nonostante la quota è pur sempre bassissima, mentre i «Padani» sono milioni. Il guaio è che la Lega serviva per far approvare le norme che ribaltano il ruolo del presidente della Repubblica. Nel quadro non guasta affatto la sacra ampolla con l'acqua del Po: simbolo alquanto blasfemo, l'ampolla è uno sberleffo. Faremo il referendum per cancellare l'obbrobrio della «riforma» costituzionale. Uno dei motivi per cui ho pensato di raccogliere vari miei scritti in questo volumetto è proprio questo. Avrà successo il referendum? Forse sì, se ci diamo molto da fare, ma non è sicuro: il fatto che l'Italia sia un paese con dignità molto limitata ossessiona me e tanti altri miei concittadini.

Anche la Costituzione, il frutto della Resistenza – soprattutto del nucleo culturalmente e politicamente valido della Resistenza – è stata presa a colpi di piccone, per rimediare ai danni di una giustizia così faziosa che per poco non metteva in carcere un terzetto che sta ai vertici dello Stato e che merita, qualsiasi cosa abbia fatto, impunità e ammirazione, altro che galera! Berlusconi si è speso dunque fino allo spasimo e ha sfruttato al meglio lo spirito servile di moltissimi suoi «alleati» per salvare se stesso, Previti e Dell'Utri. E che dicono Pera, Casini, Follini, Buttiglione? E che debbono dire? Che diavolo mai pretendiamo da loro? Dicono che le innovazioni nei processi servivano a ridurre i tempi, patologicamente lunghi, dei processi. È vero esattamente il contrario. Ma tanto gli italiani sono creduloni. O fingono di esserlo perché tengono famiglia. E la dignità? La domanda va rivolta a Pera, Casini, Follini, Buttiglione. Diciamo che tutti coloro che più hanno contribuito allo scempio in atto, compreso l'inventore del cavillo con cui è stata aggirata la norma sull'ineleggibilità dei titolari di importanti concessioni d'interesse pubblico, meritano a pieno titolo la maledizione dei figli, quando questi capiranno, secondo le pacate ma durissime dichiarazioni rilasciate da un gruppo di «moderati».

In epoche diverse si sono avuti diversi ideali e ideologie che hanno animato le persone di cultura in senso lato, e coloro che in qualche modo pensavano e guidavano le grandi masse. Attenzione! La tendenza costante è stata quella di nobilitare le passioni che di regola muovono l'uomo e che sono volte a soddisfare appetiti che di nobile hanno ben poco: gli intellettuali hanno cercato di presentare quegli appetiti come ideali, anche quando non lo erano. Ciò riconosciuto, è pur vero che una parte almeno delle ideologie e degli ideali dominanti erano genuini.

Un esempio di questo fenomeno è evidente nell'epoca definita feudale e negli ideali cavallereschi. Ma, quando il sistema feudale entra in crisi, come sistema di valori e non solo come forma organizzativa sociale fondata sulla capacità di difesa e di attacco militare, perde rapidamente prestigio. Con il suo Don Chisciotte Cervantes ne fa l'elogio funebre in forma satirica.

Un processo non diverso si è svolto e si sta svolgendo col capitalismo, da principio sostenuto e appoggiato da filosofi come Adamo Smith, che vedevano in questo sistema l'unico modo per vincere la miseria, il degrado umano e i conseguenti ostacoli allo sviluppo civile. Superati i tempi eroici e, al tempo stesso, spietati dei primi decenni, il capitalismo si è «democratizzato», di norma nel senso peggiore. Non è vero, come sosteneva Marx, che crescono i proletari fino a diventare «la stragrande maggioranza della popolazione»; crescono invece a dismisura, fino a diventare essi la stragrande maggioranza della popolazione, i piccolo-borghesi, soprattutto quelli della piccola borghesia impiegatizia.

In Italia fino al principio del Novecento prevalgono i contadini, e al vertice della società e della politica troviamo aristocratici-proprietari, altri possidenti e, di tanto in tanto, «notabili». Dopo il principio del secolo comincia a svilupparsi la classe operaia e solo dopo dilagano i piccolo-borghesi tra i quali, per motivi storici e sociali, sono una minoranza le persone con un accettabile livello di cultura e di civiltà. Mussolini s'impone pescando consensi soprattutto fra gli strati di piccolo-borghesi, tra i quali si affermano il nazionalismo e l'anticomunismo.

Fra i piccolo-borghesi l'obiettivo dominante è quello di far soldi con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo morale: quasi un articolo di fede. Acquisire tutto il possibile è diventato l'imperativo categorico: agi, prestigio sociale, conquiste sessuali. Tutto questo alla fine ha condotto e conduce al peggiore dei fallimenti, che è il nulla. Ciò nonostante l'imperativo resiste. L'aspirazione dominante dei giovani è quella di un lavoro ben remunerato, anche se noioso e ripetitivo: coi soldi che fai, finito il lavoro, puoi «divertirti» come credi, ossia secondo i gusti piccolo-borghesi. Sono emblematici gli spettacoli alla televisione. L'idea di cercare attività gradevoli e non «alienanti» non sfiora neppure la maggior parte dei giovani; eppure queste attività già ci sono – la mia di docente, per esempio, è da includere in tali attività, nonostante le spine e le pene. Si tratta solo di moltiplicare quelle attività gradevoli e oggi, con le nuove tecnologie e le nuove forme organizzative, non è più un'utopia. Lo stesso capitalismo, senza etica, va alla malora. E se gli Stati Uniti di Bush e l'Inghilterra di Blair – nonostante siano guidate da personaggi discutibili o, alludo a Blair, da deboli opportunisti – si salveranno, com'io credo, ciò si deve alla presenza diffusa di quelli che io chiamo gli «anticorpi», rappresentati da uomini allevati secondo antiche tradizioni: giornalisti coraggiosi, giudici rispettati perfino dai politici manigoldi, politici con dignità. Ci sono anche particolari strati di classi medie che rispondono a tali requisiti. In Italia troviamo gli anticorpi, ma sono pochi e rappresentano una sparuta minoranza. Per noi salvarci non è impossibile, ma è molto più difficile.

P.S.L.

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Pagina 3

1.
AHI SERVA ITALIA,
DI DOLORE OSTELLO!



Ha ragione Michele Ainis: non c'è un potere politico corrotto e una società civile moralmente sana. Siamo tutti immersi nella corruzione. Certo bisogna sempre distinguere e riconoscere che la situazione cambia nel tempo e non è omogenea, proprio per capire se dalle limitate sezioni o dalle aree non putrefatte possa venire una futura salvezza. Ma il quadro dominante è quello descritto da Ainis, con diverse integrazioni: lavoro sommerso, abusi edilizi, concorsi truccati, evasione fiscale diffusissima, tangenti non meno diffuse, appalti truccati, sport largamente corrotto, università dominate da «raccomandazioni», fuga all'estero di tanti cervelli, schiere di parlamentari pronti a votare tutto per danaro o altre «utilità», leggi-vergogna ad personam, leggi aggirate con astuti espedienti come la legge del 1957 sulla ineleggibilità dei titolari di importanti concessioni pubbliche, stretti rapporti con mafia, camorra e sacra corona unita. Mussolini prima e Berlusconi poi hanno fortemente aggravato la crisi italiana, ma non l'hanno creata. È una questione non di Dna, ma di evoluzione storica, la quale va studiata tenendo conto che ci sono tre Italie: quella del Nord, quella del Centro e quella del Sud. Quando il sistema feudale entrò in dissoluzione nel Nord, dal Mille al Duecento, si costituì la civiltà comunale, caratterizzata dall'autogoverno; poi prevalsero le fazioni e i conflitti locali alimentati dalle lotte fra Papato e Impero, le quali a loro volta aprirono le porte alle principali potenze straniere. Già al principio del Trecento Dante poteva urlare: «Ahi serva Italia, di dolore ostello!». «Serva», ecco il punto centrale che caratterizzerà con alterne vicende la storia successiva per arrivare fino ai giorni nostri, ecco la radice dei nostri mali.

Italia del Centro: qui tutte le persone che pensano, credenti e non credenti, debbono riconoscere le gravi responsabilità che la Chiesa si è assunta con lo Stato pontificio. In certi periodi ha praticato largamente la tortura attraverso l'Inquisizione. Ha usato la religione come instrumentum regni. Un confessore, racconta l'economista inglese Nassau Senior nel suo diario romano del 1848, per costringere una madre a denunciare il figlio, liberale, le negò l'assoluzione: la madre alla fine cedette e suo figlio fu arrestato e torturato. Credo però che la colpa più grave della Chiesa cattolica verso l'Italia stia nel fatto che, per preservare il suo potere, si è appoggiata a potenze straniere, contribuendo così a ritardare l'unificazione del paese e perpetuando lo stato quasi servile di tutta la popolazione verso gli stranieri. Tuttora la Chiesa, che pure annovera fra le sue fila tante persone di grande valore, spesso rinuncia alla primogenitura per qualche piatto di lenticchie, specialmente nel campo della scuola. Da laico mi auguro che cambi in profondità giacché, fede a parte, la Chiesa ha grande influenza nella società.

Anche il Sud ha subito dominazioni straniere: però, non avendo vissuto, come il Nord, l'esperienza dei comuni autonomi, quelle dominazioni hanno avuto effetti ben più deleteri. Inoltre il Sud subiva le incursioni dei pirati ed era afflitto dalla malaria, che ne debilitava la popolazione. Ma il problema di fondo in Italia sono state le dominazioni straniere: i sudditi non si autogovernano ed escogitano ogni sorta di espedienti per ottenere i vantaggi che i dominatori e i loro soci riservano a se stessi; per i sudditi aggirare le leggi sgradite è del tutto «morale», com'è «morale» l'evasione fiscale. Se vogliamo migliorarci dobbiamo compiere un'analisi spietata: la società risente ancora delle passate dominazioni straniere; in gran parte siamo servi, non uomini liberi. Il problema è: come potremo diventarlo.

Anche i costi della politica, che da noi sono assai maggiori che nei paesi civili, sono la manifestazione di una carenza grave nell'autogoverno e nell'autonomia dei cittadini. Si deve però ammettere che, nonostante tutto, al fondo c'è un substrato di civiltà, nei periodi più drammatici. Così, la Resistenza ha rappresentato un trauma benefico poiché era animata da un nucleo di persone coraggiose e civili: ha dato origine alla nostra «bella Costituzione», cui dette un contributo fondamentale Calamandrei. Alla Costituzione è seguito un periodo di lento miglioramento civile, un periodo durante il quale, per esempio, i ministri anche semplicemente indagati si dimettevano, senza bisogno di codici etici che glielo imponessero. Poi il trio Gelli-Craxi-Berlusconi ha interrotto il processo; Andreotti gli ha dato una mano.

Per giustificare il malaffare si usa dire, riecheggiando antiche tesi, che la politica non va confusa con l'etica. Ma fra l'etica e la politica c'è distinzione, non contrapposizione, e c'è distinzione e non contrapposizione fra etica ed economia. Lo dimostra l'Argentina, la cui economia è stata travolta dalla corruzione.

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Pagina 9

2.
RISALIRE DALL'ABISSO



Berlusconi è andato al potere con un programma terribilmente semplice: evitare guai giudiziari, tutelare il patrimonio, mantenere le televisioni. Lo disse lui stesso a Biagi. Missione compiuta, sembrerebbe, con un largo sovrappiù. Io sono pessimista perché ritengo che l'uomo sia pronto a tutto pur di restare al potere. Lo abbiamo visto dal modo con cui ha apostrofato il ribelle Fini: attento – gli ha detto – ricordati che io «controllo» metà dei tuoi. Che vuol dire «controllo»? Nella stessa pagina si parla di soldi, di carriere e di poltrone. Allora l'uomo non è un «grande comunicatore» ma qualcosa di ben più preoccupante?

Anche il declino di Berlusconi, come la sua ascesa al potere, avviene in modo umiliante per l'Italia intera. I danni prodotti dalla Casa delle libertà sono giganteschi e risalire dall'abisso sarà un processo lungo e faticoso, non c'è da farsi illusioni. Se dovesse passare il progetto di riforma costituzionale, con la devolution e il premierato «forte», sarebbe la fine di quel che resta della patria e della democrazia. Certo riflettendo su quel che ha fatto la maggioranza berlusconiana – tutta – viene il gelo alla schiena. Ha avallato tutte le leggi che interessavano il Cavaliere e i suoi soci: il rientro dei capitali sporchi, la Cirami, la Gasparri, la Salvapreviti, le rogatorie internazionali, la depenalizzazione del falso in bilancio. Ha trasformato in una burletta l'azione governativa contro la mafia. Alcuni ministri hanno avallato un programma fondato su due pilastri: le «grandi opere» e le riduzioni fiscali. Il peccato originale sta nella prima legge finanziaria del governo Berlusconi-Tremonti. L'ipotesi-obiettivo era un aumento del Pil del 3,1%, che avrebbe formalmente reso plausibile quella buffonata del «contratto con gl'Italiani». Tuttavia già allora era ben visibile una svolta nella congiuntura mondiale e, dati i nostri condizionamenti internazionali, quell'obiettivo non era raggiungibile, e di conseguenza non era attuabile la riduzione fiscale. Ma per il capo questa era una misura irrinunciabile, sia perché si illudeva che la riduzione delle tasse avrebbe dato la «scossa» per avviare la ripresa, sia perché vedeva questa misura come un obiettivo essenziale dal punto di vista propagandistico; cosicché Tremonti prima e poi Siniscalco sono stati costretti ad obbedire. Il ministro di turno ha ridotto le aliquote dell'Irpef – riduzioni sensibili per le fasce alte, risibili per quelle basse – ma al tempo stesso ha dovuto tagliare servizi essenziali (provocando ad esempio l'aumento dell'acqua), introdurre vergognose sanatorie, vendere beni pubblici, elevare alcuni balzelli (bolli per esempio), alzare le aliquote dei tributi locali e gli estimi catastali: la pressione fiscale nel 2004 è diminuita di circa un punto, con danni difficili da rimediare, ma è destinata inevitabilmente ad aumentare. Chissà se i personaggi via via elencati si vergognano del loro operato. Ne dubito.

Certo, il principale responsabile è il capo. Oggi per evitare la catastrofe di una riforma costituzionale obbrobriosa dobbiamo impegnarci tutti al massimo; come ultima risorsa dobbiamo preparare il referendum abrogativo. L'opposizione a Berlusconi ha gravi responsabilità: ora deve riscattarsi. Gli obiettivi particolari sono tutti di grande rilievo.

In primo luogo si tratta di ripristinare le norme costituzionali di cui la maggioranza berlusconiana ha già fatto scempio e quelle riguardanti la giustizia, con emendamenti concordati attraverso opportune maggioranze parlamentari e definite col concorso dei principali giuristi.

In secondo luogo occorre rafforzare l'Europa sia sotto l'aspetto politico che sotto quello economico. Occorre perciò abbandonare la politica di Bush, mettendo da parte le assurdità dette anche da alcuni esponenti del centrosinistra secondo í quali l'America con la guerra in Iraq avrebbe esportato la democrazia. No! Ha dichiarato una guerra sulla base di menzogne ed ha esportato massacri e torture. La conquista di una democrazia adatta a quel disgraziato paese andava perseguita gradualmente dall'Onu o dall'Unione europea, non da una potenza isolata e mossa da propri interessi economici e politici. Al tempo dell'insediamento di Bush uscì un documento ufficiale sul «dovere» degli Usa di dominare il mondo e di svolgere una politica imperialista, basata su guerre preventive; un documento che ha tolto agli intellettuali di sinistra il fastidio di muovere una tale critica. Che altro diavolo si vuole per convincersi che così stanno le cose? Cari amici mi dicono: sei troppo pessimista sull'Italia, l'America non sta meglio, Bush moralmente è come Berlusconi, anzi è peggio poiché è ben più potente e quindi pericoloso. D'accordo. Ma Bush neanche volendo può cambiare a suo vantaggio la Costituzione e il sistema giudiziario, non può fare leggi ad personam, non può licenziare i giornalisti scomodi, non controlla le televisioni, per il falso in bilancio deve mostrare di condividere la legge che aggrava fortemente le pene. «Passata la nottata», l'America riprenderà la sua evoluzione civile. Noi stiamo peggio.

Terzo: abolizione di tutte le leggi-vergogna, fra cui ci sono le leggi ad personam.

Quarto: ripristinare, eliminando ogni possibilità di cavilli, la legge del 1957 secondo cui i titolari di rilevanti concessioni d'interesse pubblico non potevano essere eletti in Parlamento.

Oggi circolano voci secondo cui personaggi impresentabili sarebbero in trattativa per passare alla cosiddetta opposizione, anzi, secondo alcuni sarebbe in corso un'oscena campagna acquisti a largo raggio d'indagati o addirittura di condannati: «è la politica, bellezza!». Se persone stimabili vogliono trasmigrare, ben vengano, ma indagati o condannati, no!

Ci sono dunque leader che stanno preparando un berlusconismo senza Berlusconi. Sarebbe la fine di ogni speranza. Con la forza della disperazione mi auguro che Prodí rigetti con una dichiarazione pubblica di carattere generale, prima che sia troppo tardi, ogni campagna acquisti di quel tipo. Per la sua stessa immagine Prodi deve imporsi ed ho fiducia che lo farà. M'inganno? Se è lecito mettere da parte una tale triste discussione e far riferimento a una critica di tipo culturale, la sinistra deve superare la dannosa ritrosia nel criticare Marx: dannosa perché ha creato a sinistra l'ansia di farsi perdonare sia il ripudio del mercato sia l'antiamericanismo, passando da un eccesso all'eccesso opposto e propagandando un fantomatico «riformismo» che nessuno, a sinistra, sa spiegare seriamente in cosa consista. Certe volte sembra che consista nell'imitazione, con qualche variante, del berlusconismo. Penso che occorra elaborare una critica non solo di Marx ma anche di un altro mostro sacro, Machiavelli, il cui pensiero politico ha fortemente influenzato quello di Marx. Di questo parlerò in un prossimo capitolo.

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Pagina 60

7.
C'E SPERANZA?
IL RINASCIMENTO, IL RISORGIMENTO
E LA RESISTENZA



Studiosi italiani e stranieri hanno posto nel massimo rilievo il carattere straordinario e, diciamolo pure, meraviglioso del Rinascimento: è la prova che in Italia c'è un substrato di civiltà e che quindi la disperazione è del tutto fuori luogo? Se mai, toccherebbe ai paesi stranieri invidiarci e imitarci. Il Rinascimento consistette in una incredibile esplosione delle arti e delle scienze: Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Galileo, Machiavelli, fanno tutti parte di quel periodo storico e fanno parte del cuore dell'Italia. Se è così, dovremmo essere fieri e non denigrarci.

Qui emerge tuttavia una domanda preliminare: perché Leopardi non fa il minimo cenno al Rinascimento? È una grave dimenticanza, o c'è un motivo valido?

Io credo che ci sia un motivo valido. Gli storici mettono bene in evidenza che il Rinascimento ebbe la sua genesi nelle Signorie, nei Ducati, nei Principati che seguirono la civiltà comunale, ma all'interno dei quali il sentimento di unità nazionale non poteva nascere o svilupparsi giacché tutti esaltavano i loro domini ed anzi favorivano artisti e scienziati per accrescere lo splendore delle proprie corti e per rafforzare la propria forza militare. Per questo fine si servivano di compagnie di ventura e attiravano presso di sé scienziati capaci di costruire nuove armi. Gli storici parlano, giustamente, di sviluppo delle arti e delle scienze e, al tempo stesso, di decadenza politica, intesa proprio nel senso di una politica nazionale. Il Papato rappresenta una sorta di principato assai particolare, che tuttavia tiene alle arti: per la guerra si affida alle potenze straniere. Lo stesso Machiavelli sente la carenza di una tale politica e perfino di tentativi seri di avviarla e cerca, a modo suo – che considero sbagliato – di rimediare a questa carenza.

Su un piano diverso stanno due esperienze straordinarie, una relativamente vicina a noi, l'altra vicinissima: il Risorgimento, da cui è nata l'Unità d'Italia, e la Resistenza, che ha dato origine alla nostra «bella Costituzione».

Il Risorgimento, che ebbe luogo oltre due secoli dopo il Rinascimento, è un movimento straordinario di carattere politico e civile. I principali attori non adottarono certamente politiche machiavelliche: Mazzini era un idealista e Cavour – che pure usò astuzie diplomatiche e politiche, diciamo, moralmente discutibili – era un politico genuinamente liberale.

La Resistenza costituisce un'esperienza veramente sorprendente, che ha del miracoloso: questo paese, lacerato da antiche e feroci divisioni di cui è emblematica quella fra guelfi e ghibellini, questo paese rissoso e fazioso, correttamente descritto in questi termini da Leopardi, riesce a trovare una unità contro i nazisti. Tutti ne fanno parte e agiscono di comune accordo, senza differenze e discriminazioni: monarchici, liberali, democristiani, azionisti, socialisti, comunisti. Tale unità viene ampiamente riconosciuta da un conservatore inglese, David Lane, che ama l'Italia e che tributa ai partigiani di destra e di sinistra un encomio solenne nel suo libro L'ombra del potere. Allora la faziosità italiana, in certe condizioni, pure drammatiche, può essere superata.

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QUATTRO GRANDI UTOPIE



Obiettivi ambiziosi

Berlusconi si dibatte nella crisi più grave da quando è «sceso in campo». Ciò non vuol dire che ce ne libereremo molto presto: per ora non sembra disposto a seguire il consiglio, utile anche per lui, di ritirarsi alle Bermuda. Per questo dobbiamo esser pronti a penare e a lottare riflettendo sempre più a fondo sul dopo Berlusconi, sia sulle prospettive di lungo periodo sia sull'agenda immediata.

In questo capitolo presento riflessioni sulle prospettive di lungo periodo, diciamo senza timori: sulle utopie da perseguire.

Oggi chi vive in certi paesi avanzati, fra cui è l'Italia, vive in un mondo squallido poiché vi domina l'obiettivo, tipicamente piccolo-borghese, d'inseguire i «soldini» a tutti i costi; in vari paesi la conseguenza è una dilagante corruzione che Adamo Smith condannava sia come filosofo che come economista. La corruzione include l'evasione fiscale e le tangenti sulle opere pubbliche e così sottrae risorse al fisco: incide sulla fiducia nei contratti, logora l'autostima delle persone, che è all'origine di un sentimento non retorico e non ipocrita di patriottismo. In tali modi la corruzione frena lo stesso sviluppo economico e impedisce la convergenza fra sviluppo economico e sviluppo civile. Se vogliamo affrontare il mare tempestoso per arrivare a un mondo preferibile rispetto a quello che conosciamo dobbiamo combattere la corruzione e l'illegalità all'interno di ciascun paese e perseguire una varietà di obiettivi che sono certamente ambiziosi, ma che ciò nonostante vanno posti poiché l'utopista ha il dovere di essere ambizioso.


La fine dell'alienazione, il lavoro attraente e la democrazia economica

Io credo che l'utopia più grande di tutte sia quella già proposta al principio dell'Ottocento dagli utopisti francesi e poi accantonata, sebbene fosse stata già adombrata da Adamo Smith, che non si limita a considerare l'altezza delle retribuzioni ma attribuisce grande importanza alla soddisfazione che il lavoro può dare.

Penso che per rendere sempre più numerosi i lavori gradevoli e per accrescere la soddisfazione nel lavoro le vie principali siano due. La prima consiste nello sviluppare la ricerca, che di norma moltiplica i lavori altamente qualificati e quindi non monotoni e non ripetitivi. La seconda via è quella della partecipazione, una formula con diversi significati.

In primo luogo la partecipazione deve riguardare la piccola ricerca applicata che si svolge nell'impresa in cui il lavoratore opera: le sue proposte, quando possono migliorare la tecnologia o l'organizzazione, devono essere incentivate in vari modi.

In secondo luogo c'è la partecipazione alla gestione dell'impresa, o solo agli utili e ai guadagni di produttività. La partecipazione alla gestione implica un controllo degli amministratori che può ridurre, ben più efficacemente di organi pubblici o di società di certificazione, i gravi abusi come quelli che negli Stati Uniti hanno portato al fallimento della Enron e, in Italia, della Parmalat. Nella migliore delle ipotesi quegli abusi – che spesso consistono in emolumenti principeschi che i top manager concedono a se stessi – incidono sui profitti, impediscono l'alleggerimento dei debiti e in tal modo ostacolano la crescita. La partecipazione dei lavoratori alla gestione, nel caso delle grandi imprese, va introdotta utilizzando ciò che di valido è emerso dall'esperienza tedesca; pur essendo prevista dalla nostra Costituzione, è rimasta inapplicata. Nelle piccole e medie imprese la partecipazione può essere promossa favorendo gli imprenditori leader che hanno la capacità di guidare, animare, motivare gli uomini e indurli ad amare il loro lavoro. Questa tesi, che Giorgio Fuà ha portato avanti con forza nel suo istituto per la formazione di manager ad Ancona e che un imprenditore che conosco bene ha adottato per risanare una grande società, la Findus, con pieno successo, è importante per il progresso civile. Il capitalismo è un sistema in evoluzione continua e può essere spinto da noi in una direzione o nell'altra. Il trionfo del lavoro gradevole significa la fine dell'alienazione, che ha costituito e tuttora costituisce la tara peggiore del capitalismo.

Partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa significa democrazia economica ed è un'antica aspirazione della sinistra riformista; ne ho discusso più volte, in libri e poi in articoli pubblicati sull'«Unità» e riuniti in un volumetto curato da Alessandro Roncaglia e da me e pubblicato nell'agosto 2002, e in altri articoli e note. È strano, ma su questo tema così importante i nostri «riformisti» tacciono.


L'Europa: le grandi prospettive

Seconda utopia: l'Europa. Oggi il Vecchio Continente si dibatte in difficoltà che sono gravi soprattutto per noi e per la Germania. Rilanciamo l'Europa per il progresso civile di tutti e per la salvaguardia della stessa pace nel mondo. Avendo cessato di essere teatro di continue e sanguinose guerre civili, proprio per via della sua millenaria cultura l'Europa può diventare portatrice di pace.

Per rilanciare l'Europa, di nuovo, bisogna far leva sulla ricerca in tutte le sue articolazioni: ricerca libera, pura e applicata. Bisogna pensare a un programma ambizioso facendo ricorso in primo luogo a un prestito europeo: il risparmio non manca. Vanno organizzati i distretti, che in forme diverse esistono in tutti i paesi europei: bisogna ammodernarli radicalmente. Per le innovazioni occorre tenere conto delle «vocazioni», pur lasciando la porta aperta a ogni possibilità. La riforma del sistema della ricerca, su cui tornerò a lungo nei punti programmatici immediati, dovrebbe abbracciare obiettivi d'interesse non solo europeo, ma mondiale, come quelli di cui ora intendo parlare.


L'ambiente

Terzo obiettivo: l'ambiente. Si tratta d'imporre la sua difesa anche quando è in contrasto col profitto, pur dando la preferenza a modalità indolori e graduali, così da ridurre le resistenze. I problemi più gravi si ricollegano alle fonti di energia, a cominciare dal petrolio che coinvolge gli interessi non solo dei petrolieri, ma anche quelli delle imprese che forniscono i servizi più diversi per le auto a benzina e per impianti che usano prodotti petroliferi.

Per affrontare il problema dell'energia il primo passo è operare un drastico risparmio: la Germania ha dimostrato che si possono ottenere risultati importanti in tempi brevi. Conviene poi incoraggiare l'uso delle auto a motore ibrido, già disponibili, e le auto a motore alternativo già usate, per vari scopi, in altri paesi. Sono diverse, nel mondo, le grandi imprese che hanno preparato prototipi di auto a motore alternativo: alcuni tipi di motore a idrogeno e di motore Stirling. Fra quelle imprese c'è anche la Fiat, che a Torino dispone di un importante centro di ricerca. Gli interessi che si oppongono ai cambiamenti sono enormi, e sono assai alti i costi dei cambiamenti per le imprese che producono auto tradizionali: per di più la loro efficienza è tuttora maggiore di quelle a motore alternativo. Ma i mercati per le nuove auto sono potenzialmente giganteschi ed è in gioco la vivibilità del pianeta: sarebbe decisiva un'intesa con Cina e India. Le grandi imprese automobilistiche debbono accordarsi fra loro, almeno al livello europeo, ed esigere dai governi una strategia bene articolata: forti incentivi fiscali, divieti di circolazione delle auto tradizionali nelle città, può giovare anche l'accordo coi sindacati. In questo modo sarebbe possibile accelerare i tempi del trapasso. Molti ritengono che il prossimo passo sia l'automobile ibrida (vedi l'esempio della Toyota).

Beninteso, la questione delle fonti di energia non inquinanti non riguarda solo le auto. Per l'ambiente è importante e urgente un'altra innovazione, tecnologica e organizzativa: come liberarsi senza danno dei rifiuti, anzi possibilmente utilizzandoli. Già accade, ma su scala assai limitata. I governi debbono incentivare le ricerche per trovare le soluzioni adatte.


Sradicare la miseria

Quarto obiettivo: sradicare la miseria. Troviamo ampie fasce di miseria in diversi paesi avanzati, specialmente negli Stati Uniti in primo luogo fra i neri, e in certi paesi europei come l'Italia dove, insieme con la miseria, si segnalano molti bambini che lavorano e un'alta quota di imprese «sommerse». In altre nazioni europee, però, come i paesi scandinavi e la Svizzera, la miseria in quanto fenomeno sociale è stata sradicata: è possibile. La miseria nera la troviamo in diversi Stati del Terzo mondo, soprattutto nell'Africa sub-sahariana. Ben difficilmente i paesi della miseria possono sradicarla senza l'aiuto di quelli avanzati, per i quali, del resto, un tale obiettivo può fornire una motivazione politica importante e un ideale per molti giovani. Se si pensa alle tremende malattie che possono diffondersi anche fra i paesi avanzati, se si pensa ai flussi migratori e al terrorismo, che viene alimentato dalla miseria, appare evidente che non è una questione di semplice altruismo e di solidarietà.

Bisogna evitare come la peste gli aiuti puramente finanziari, fonte di corruzione e di sprechi per entrambe le parti. Gli aiuti finanziari possono avere effetti positivi solo quando sono collettivi. Così grandi opere pubbliche possono essere vantaggiosamente progettate e costruite da consorzi di paesi, magari promossi dalle Nazioni Unite e dall'Unione europea: in tal modo l'onere finanziario viene suddiviso e si stabilisce una collaborazione fra i partecipanti, i quali possono controllarsi a vicenda, il che riduce fortemente i rischi di corruzione.

L'obiettivo deve essere perseguito principalmente attraverso aiuti organizzativi e cioè attraverso centri costituiti e gestiti nei paesi avanzati. I centri dovrebbero essere tre e dovrebbero creare delle reti di unità operative distribuite nel territorio dei paesi interessati, in primis l'Africa sub-sahariana. Il primo centro avrebbe il compito di avviare una campagna massiccia contro l'analfabetismo, specialmente quello femminile, che può favorire la flessione della natalità. Ciò non esclude affatto la distribuzione gratuita di mezzi per la contraccezione e per bloccare l'Aids. Il secondo centro può servire a preparare esperti agrari e industriali al fine di ammodernare le attività economiche ed elevare la produttività nelle comunità di villaggio; l'ammodernamento dev'essere compiuto con la partecipazione attiva dei membri della comunità. Il terzo centro deve fondarsi sul potenziamento e sulla crescita delle unità dell'Organizzazione mondiale della sanità, promuovendo anche, d'intesa con le multinazionali dei farmaci (l'idea non è così ingenua come può sembrare), la produzione locale dei farmaci atti a combattere i tre grandi flagelli: Aids, tubercolosi e malaria cerebrale. Le stesse unità dovrebbero distribuire profilattici e farmaci contro i flagelli. Nell'intero programma vanno coordinati, attraverso un'unica rete Internet, gli interventi di accademie e di università.

La strategia volta a fornire un vigoroso aiuto allo sviluppo dei paesi africani martoriati dalla fame e dalle malattie richiederebbe dunque tre fitte reti di unità distribuite sui diversi territori e coordinate, in Europa, da tre rispettivi centri: come ho detto, per la lotta all'analfabetismo, per la formazione di esperti nelle comunità di villaggio, per la sanità, rafforzando ed estendendo le unità dell'Oms. Ogni rete richiederebbe l'impegno di tante persone, retribuite e volontarie. Mi pare che sia di gran lunga preferibile andare in Africa in questa veste piuttosto che come schiavisti o come colonizzatori.

Una tale strategia – insieme con le strategie indirizzate verso altri obiettivi – potrebbe offrire ideali degni di essere perseguiti dalle nuove generazioni, in luogo della caccia al denaro che oggi domina e immiserisce la vita sociale di molti paesi sviluppati: i giovani hanno addirittura un bisogno biologico di ideali.

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