Copertina
Autore Antonio Tabucchi
Titolo Il tempo invecchia in fretta
SottotitoloNove storie
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2009, I Narratori , pag. 176, cop.fle., dim. 14,2x21,6x1,2 cm , Isbn 978-88-07-01784-1
LettoreRiccardo Terzi, 2009
Classe narrativa italiana
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Indice


   9  Il cerchio

  27  Clof, clop, cloffete, cloppete

  53  Nuvole

  79  I morti a tavola

 101  Fra generali

 115  Yo me enamoré del aire

 123  Festival

 137  Bucarest non è cambiata per niente

 153  Controtempo


 

 

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Pagina 27

Clof, clop, cloffete, cloppete



Il dolore che lo svegliò correva lungo la gamba sinistra, dall'inguine al ginocchio, ma la provenienza era altrove, ormai lo sapeva fin troppo bene. Col pollice cominciò a premere dal coccige in su, quando arrivò fra la terza e la quarta vertebra sentì una specie di corrente elettrica che gli percorreva il corpo, come se in quel punto ci fosse un centro radio che lanciasse le sue onde dappertutto, dal collo fino alle dita dei piedi. Provò a girarsi nel letto. Al primo tentativo il dolore lo paralizzò. Restò sul fianco, anzi, neppure sul fianco, a mezzo fianco, che non è una posizione precisa, è un tentativo di posizione, un passaggio. Restò sospeso nel movimento, se così si può dire, come certi quadri dei barocchi italiani dove la santa o il santo, graziosamente tarantolati dal digiuno o dal Cristo, sono rimasti in una sospensione che il pittore ha candito per sempre con la sua pennellata, perché i pittori matti, che poi sono quelli geniali, sono straordinari a cogliere il movimento non finito del personaggio che raffigurano, di solito matto pure lui, e il miracolo pittorico si compie in una forma di bizzarra levitazione che pare prescindere dalla forza di gravità.

Provò a muovere le dita dei piedi. Con un po' di dolore si muovevano, compreso l'alluce, quello più a rischio. Restò così, senza il coraggio di spostarsi di un millimetro, guardandosi le dita dei piedi, e pensò a quel povero ragazzo praghese che un giorno si era svegliato fuori contesto, nel senso che invece di stare sul dorso stava sul guscio, e guardando il soffitto della sua cameretta, che lui chissà perché immaginava cilestrina, muoveva vanamente le zampine pelose chiedendosi che fare. Il pensiero lo irritò, non tanto per il paragone quanto per l'appartenenza al genere: letteratura, ancora letteratura. Tentò una fenomenologia sperimentale della situazione. Si fece coraggio e mosse il fianco di un centimetro. Il dolore partì dalla quarta vertebra preciso come un dardo e si diresse prima verso la cervice – poté quasi sentirne il sibilo – poi da lì fece il percorso inverso, arrivò all'inguine e si diffuse a tutta la gamba. Come parlare con il proprio corpo era un libro che aveva letto con scetticismo ma con una certa curiosità, non lo poteva negare, divulgativo e probabilmente poco attendibile in termini scientifici, però perché non si può parlare con il proprio corpo?, c'è gente che parla con i muri. Da giovane aveva letto un romanzo di uno scrittore allora molto letto, poi ingiustamente trascurato, un bel tipo, che in certe cose andava al sodo e che in quel libro parlava con il proprio corpo, anzi con un punto ben preciso del corpo, che chiamava il suo "lui", e ne nasceva un dialogo tutt'altro che banale. Qui però non era il caso, perché il suo "lui" non c'entrava, e così si limitò a dire: gamba, oh gamba! La mosse e lei rispose con un dolore lancinante. Il dialogo era impossibile. La distese con tutta cautela e il dolore si concentrò sulla colonna. Colonna infame. Si irritò di nuovo. Pensò che se chiamava il dottore, con il quale aveva ormai troppa confidenza, gli avrebbe detto che era malato di letteratura, osservazione già fatta in passato. Gli pareva di sentirlo: caro mio, il problema sta soprattutto nel fatto che tu assumi posizioni sbagliate, anzi che hai assunto posizioni sbagliate per tutta la tua vita, per scrivere, perché il problema è che purtroppo tu scrivi, senza offesa, invece di fare una vita più consona all'igiene e al benessere, cioè andare in piscina o correre in pantaloncini come fanno certi uomini della tua età, stai tutto piegato a scrivere i tuoi libri giornate intere, e oltre che piegato in avanti, come ti ho visto, stai anche tutto storto che sembri un brigidino venuto male, la tua colonna vertebrale sembra il mare quando c'è il libeccio, è tutta storta, ormai a ricompattarla non fai più in tempo, potresti cercare di tormentarla meno, le radiografie che ti ho portato non le sai leggere, mi pare, domani per farti capire una volta per tutte ti porto la colonna vertebrale di plastica dove studiavo all'università, che è snodabile, e te la modello sulla tua, così una buona volta vedi come l'hai ridotta.

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Pagina 45

E se giocassimo al gioco del se? Il ricordo arrivò con una voce dal tavolino accanto al suo, come se lo zio fosse nascosto lì, dietro la siepe che delimitava la terrazza del caffè. Stavolta era la voce dello zio, e del resto quel gioco lo aveva inventato lui. Perché? Perché il gioco del se fa bene all'immaginazione, soprattutto in certi giorni di pioggia. Per esempio siamo al mare, o in montagna, fa lo stesso, dato che il bambino è malato e gli fa bene il mare o la montagna, dipende, altrimenti un tarlo cattivo gli rosica il ginocchio, e per esempio è settembre, e a settembre a volte piove, pazienza, a casa sua, se piove, un bambino ha tante cose da fare, ma in questa villeggiatura forzata, soprattutto in una casetta in affitto arredata alla buona, o peggio ancora in una pensione, se piove arriva la noia, e con lei la malinconia. Ma per fortuna c'è il gioco del se, così l'immaginazione lavora, e il più bravo è chi propone cose da matti, matti da legare, mamma mia che risate, sentite questa: e se il Papa atterrasse a Pisa?

Chiese un espresso doppio in tazza grande. Il parco dell'ospedale si stava animando: due giovani dottori in camice bianco che parlottavano, un camioncino dove c'era scritto forniture ospedaliere si mise in moto, sul vialetto laterale arrivò un uomo con una tuta azzurra munito di uno scopino e di un sacco di plastica, ogni tanto si fermava e raccoglieva qualche foglia, qualche cicca. Distese sul tavolino il tovagliolo di carta piegato accanto alla tazza e lo lisciò accuratamente per poterci scrivere. Su un angolo del tovagliolo una marca: Caffè Honduras. La cerchiò con la stilografica. La carta, porosa, assorbiva un po' l'inchiostro ma reggeva: si poteva tentare. La prima frase veniva d'obbligo: e se andassi in Honduras? Continuò numerando le frasi. Due: e se ballassi il valzer viennese? Tre: e se andassi sulla luna a mangiare le frittelle di Caino? Quattro: e se Caino non avesse fatto le frittelle? Cinque: e se partissi col bastimento? Sei: e se il bastimento fosse già partito? Sette: e se a un fischio tornasse indietro? Otto: e se la Betta si maritasse? Nove: e se il gatto maltese suonasse il piano e cantasse in francese?

Letta come poesia aveva una sua personalità, forse sarebbe piaciuta a quella signora che gli aveva chiesto un testo per un'antologia di poesie per bambini, ma non sarebbe stato onesto, non era per bambini, era un poème zutique. Però le poesie zutiques piacciono ai bambini, l'importante è dire scempiaggini, se poi uno lo fa per malinconia i bambini non se ne accorgono. Gli telefono, si disse. Non c'era bisogno del cellulare, che del resto non aveva mai avuto: a due passi, accanto al caffè, c'era una cabina telefonica, e sul tavolo, invitanti, le monete del resto. Certo non sarebbe stato facile spiegarsi, bisognava impostare bene il discorso, come voleva per il tema in classe la professoressa, perché se uno imposta bene il discorso è salvo, anche se si esprime male. Magari prima di entrare in argomento ci voleva un codice, qualcosa che indicasse la complicità di un tempo, tipo parola d'ordine, come quando le sentinelle si danno il cambio in trincea. Pensò: mano mano piazza di qui passò una lepre pazza. Sicuro che avrebbe capito. E poi avrebbe detto: lo so bene che non si può svegliare uno a quest'ora dopo che non lo si chiama da tre anni, ma il fatto è che mi ero dato un po' alla macchia. Mano mano piazza di qui passò una lepre pazza. Riprese: mi ero messo in testa di scrivere un grosso romanzo, diciamo così, quel romanzo che tutti si aspettano, prima o poi, l'editore, i critici, perché certo, dicono, i racconti sono splendidi, e anche quei due libri di divagazioni, e persino il finto diario è un testo di prim'ordine, non c'è dubbio, ma il romanzo, quando ce lo scrive un vero romanzo?, sono tutti fissati col romanzo, e così mi ci ero fissato anch'io, e per scrivere il romanzo che tutti vogliono da te, che sarà il tuo capolavoro, capisci che ci vuole l'atmosfera giusta, e il posto giusto, e il posto giusto bisogna andarlo a cercare chissà dove, perché dove ci si trova non è mai il posto giusto, e così mi ero dato alla macchia a cercare il posto giusto per scrivere il capolavoro, mi spiego? Mano mano piazza di qui passò una lepre pazza. Ingrid è a Gφteborg, è andata a trovare nostra figlia, non so se sai che si è sposata a Gφteborg, è tornata alle radici materne, del resto sta meglio là che qui intorno a una moribonda, ma questo te lo spiego dopo, anzi, te lo spiego subito, sono nei miei posti, all'ospedale della mia città, no no, io sto benissimo, certo che vorrei vederti, vengo al sodo perché la mia telefonata non è altro che l'esseoesse di un marconista che aveva spento la radio, ma non è che ci fosse tempesta intorno a me, semmai c'era una bonaccia incredibile, senza neppure linee d'ombra da varcare, sono già varcate da un pezzo, piuttosto c'era un banco di sabbia in cui lo scafo si era incagliato. Mano mano piazza di qui passò una lepre pazza. Sta morendo mia zia, detto en passant. La mia, non la tua, noi abbiamo una madre ciascuno, e nostro padre non aveva sorelle, sicché la zia è mia, ma non è tanto per questo che ti telefono, è che in realtà volevo leggerti almeno un brano del romanzo che ho scritto in questi tre anni di silenzio affinché tu abbia un'idea dell'impegno che ci ho messo, sono certo che capirai perché non mi sono fatto più vivo, sei pronto? Dice così: e se andassi in Honduras? E se ballassi il valzer viennese? E se andassi sulla luna a mangiare le frittelle di Caino? E se Caino non avesse fatto le frittelle? E se partissi col bastimento? E se il bastimento fosse già partito? E se a un fischio tornasse indietro? E se la Betta si maritasse? E se il gatto maltese suonasse il piano e cantasse in francese? Mi è costato più del Serchio ai lucchesi, ti piace?


***



Se ne stava lì, con la moneta in mano, guardando la cabina telefonica, fra il dire e il fare, che c'è di mezzo il mare, e il fare era dire: senti, sono tornato, sono qui all'ospedale, no, io sto benissimo, o meglio, benissimo non sto, è che questi tre anni si sono rincalcati uno sull'altro come se fossero un giorno solo, anzi, una notte sola, lo so che non mi spiego, cerco di spiegarmi meglio, pensa alle bottiglie di plastica, quelle dell'acqua minerale, la bottiglia ha un senso finché è piena d'acqua, ma quando l'hai bevuta la puoi accartocciare su se stessa e poi la butti via, mi è successo così, mi si è accartocciato il tempo, e anche un po' le vertebre, se così posso dire, lo so che salto di palo in frasca ma non so esprimermi meglio, abbi pazienza. E mentre pensava a quella che a lui sembrava una spiegazione notò che poco lontano dal caffè c'era un padiglione basso dalla cui porta a vetri, che si era aperta come azionata dall'interno, usciva un'infermiera vestita di bianco che spingeva una carrozzella. E sulla porta che si richiuse alle loro spalle c'era un cartello giallo con tre palette come un ventilatore. L'infermiera avanzava piano perché dal padiglione al caffè il sentiero del giardino era leggermente in salita, e sulla carrozzella c'era un bambino, o perlomeno da lontano gli sembrò un bambino perché non aveva i capelli, però man mano che si avvicinavano capì che era una bambina. I tratti del volto, anche se un volto fanciullo, non erano maschili, perché la differenza si nota già bene sui dieci o dodici anni che così ad occhio era l'età di quel bambino, cioè di quella bambina, e anche la voce era già femminile, perché a quell'età le corde vocali sono ben differenziate, e parlava con l'anziana infermiera che guidava la carrozzella, però da lì non riusciva a distinguere cosa si dicevano, coglieva solo il suono delle voci. Si era alzato con la moneta in mano diretto al telefono, anzi si era quasi alzato, perché era rimasto a mezz'aria come gli era capitato il giorno prima scendendo dal letto, la solita lama di rasoio gli era penetrata di nuovo nella schiena trapassandolo fino al basso ventre. Restò così, come quella figura del Pontormo che gli piaceva tanto che ha sul volto la meraviglia del dolore quasi sia lui a portar la croce e non l'addetto a tanto compito. Le voci delle due erano ancora troppo flebili per essere decifrate, però erano allegre, questo lo capì dal tono, sembravano un cinguettio, come dei passerotti che si dicano qualcosa, lui chiuse gli occhi e il cinguettio diventò uno squittire perché pensò piuttosto a dei topolini che si parlavano nella gabbia, quei topolini bianchi sui quali gli scienziati fanno gli esperimenti, erano due cavie per la scienza della cosiddetta vita, che è la scienza più tormentosa di tutte, una la stava subendo precocemente, l'altra, l'anziana, aveva resistito agli esperimenti, e seguitava. Tacquero, forse perché quella che spingeva la carrozzella stava faticando e la bambina non voleva stancarla, ma appena superata la gobba del vialetto la bambina riprese a parlare, e certo rispondeva a qualcosa che le aveva detto l'infermiera, dal tono della voce si capiva che la sua era un'affermazione, una solenne affermazione che nessuno poteva smentire. Aveva una voce gioiosa, piena di vita, come quando la vita, attraverso la voce, afferma se stessa, caparbia. La bambina ripeté la frase proprio mentre gli passavano accanto, e nel parlare fece un largo sorriso: ma questa è la cosa più bella del mondo! Ma questa è la cosa più bella del mondo!

Il vialetto continuava in discesa fino a una clinica che si trovava in mezzo al parco. Avevano smesso di parlare ma sentiva il rumore delle ruote della carrozzella sul ghiaino. Avrebbe voluto voltarsi ma non gli riuscì. La cosa più bella del mondo. Lo aveva detto una bambina calva trascinata in carrozzella da un'infermiera. Lei sapeva quale era la cosa più bella del mondo. Lui invece non lo sapeva. Possibile che alla sua età, con tutto quello che aveva visto e conosciuto, non sapesse ancora quale era la cosa più bella del mondo?

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Pagina 53

Nuvole



– Stai qui all'ombra tutto il giorno, disse la ragazzina, non ti piace fare il bagno?

L'uomo fece un vago cenno con la testa che poteva sembrare un sì e un no, ma non disse niente.

– Ti posso dare del tu?, chiese la ragazzina.

– Se non mi sbaglio me l'hai già dato, disse l'uomo sorridendo.

– Nella mia classe diamo del tu anche ai grandi, disse la ragazzina, alcuni professori ce lo permettono, ma i miei genitori me l'hanno proibito, dicono che è da maleducati, lei che ne pensa?

– Penso che hanno ragione, rispose l'uomo, ma puoi darmi del tu, non lo dirò a nessuno.

– Non ti piace fare il bagno?, chiese lei, io lo trovo singolare.

- Singolare?, ripeté l'uomo.

– La mia professoressa ci ha spiegato che non si può usare carinissimo per ogni cosa, che in certi casi si può dire singolare, facevo per dire carinissimo, io fare il bagno su questa spiaggia lo trovo singolare.

— Ah, disse l'uomo, sono d'accordo, anche secondo me è carinissimo, perfino singolare.

— Anche prendere il sole è carinissimo, continuò la ragazzina, i primi giorni ho dovuto mettere la protezione quaranta, poi sono passata a venti, e ora posso usare l'abbronzante dorante, quello che fa scintillare la pelle come se ci fossero pagliuzze dorate, vede?, ma perché lei è così bianco?, è arrivato da una settimana e sta sempre sotto l'ombrellone, non le piace neppure il sole?

— Lo trovo carinissimo, disse l'uomo, giuro, secondo me prendere il sole è carinissimo.

— Ha paura di scottarsi?, chiese la ragazzina.

— Tu che ne pensi?, rispose l'uomo.

— Io penso che lei ha paura di scottarsi, ma se uno non comincia piano piano, non si abbronza mai.

— Θ vero, confermò l'uomo, mi sembra logico, ma credi che sia obbligatorio abbronzarsi?

La ragazzina rifletté.

— Proprio obbligatorio no, niente è obbligatorio, a parte le cose obbligatorie, ma se uno viene al mare, non fa il bagno e non si abbronza, cosa ci viene a fare al mare?

— Sai una cosa?, disse l'uomo, tu sei una ragazza logica, hai il dono della logica, e questo è carinissimo, secondo me oggigiorno il mondo ha perso la logica, è un vero piacere incontrare una ragazza con logica, posso avere il piacere di fare la tua conoscenza, come ti chiami?

— Mi chiamo Isabella, però gli amici intimi mi chiamano Isabèl, ma con l'accento sulla e, non come gli italiani che dicono Μsabel con l'accento sulla i.

— Perché, tu non sei italiana?, chiese l'uomo.

— Certo che sono italiana, obiettò lei, italianissima, ma al nome che mi danno gli amici ci tengo, perché in televisione dicono sempre Mànuel o Sebàstian, io sono italianissima come lei e magari più di lei, ma mi piacciono le lingue e so anche l'inno di Mameli a memoria, quest'anno il presidente della repubblica è venuto a visitare la nostra scuola e ci ha parlato dell'importanza dell'inno di Mameli, che è la nostra identità italiana, c'è voluto tanto tempo per fare l'unità del nostro paese, a me per esempio quel signore della politica che vuole abolire l'inno di Mameli non mi piace.

L'uomo non disse niente, teneva le palpebre socchiuse, la luce era intensa e l'azzurro del mare si confondeva con quello del cielo, come avesse inghiottito la linea dell'orizzonte.

— Forse non ha capito a chi mi riferisco, disse la ragazzina rompendo il silenzio.

L'uomo non parlò, la ragazzina sembrò esitare, con un dito faceva ghirigori sulla sabbia.

— Non vorrei che lei fosse del suo partito, continuò poi come facendosi coraggio, a casa mi hanno insegnato che bisogna sempre rispettare le opinioni altrui, però a me l'opinione di quel signore non mi piace, mi sono spiegata?

— Perfettamente, disse l'uomo, bisogna rispettare le opinioni altrui ma non mancare di rispetto alle proprie, soprattutto non mancare di rispetto alle proprie, e perché quel signore non ti piace?

– Oh be'..., Isabella parve esitare. A parte il fatto che quando parla in televisione gli viene una schiumina bianca agli angoli della bocca, ma questo sarebbe trascurabile, è che dice un sacco di parolacce, l'ho sentito con le mie orecchie, e se le dice lui mi chiedo perché mi sgridano quando le dico io, però per fortuna il presidente della repubblica è più importante di lui, altrimenti non sarebbe presidente della repubblica, e lui ci ha spiegato che l'inno di Mameli dobbiamo rispettarlo e cantarlo come lo canta la nazionale ai campionati del mondo, con la mano sul cuore, a scuola lo abbiamo cantato insieme al presidente, noi leggevamo sulle fotocopie distribuite dalla professoressa ma lui non leggeva, lo sapeva a memoria, io lo trovo carinissimo, non le pare?

– Praticamente singolare, confermò l'uomo. Frugò nel sacco che teneva accanto alla sdraio, prese un flacone di vetro e si mise in bocca una compressa bianca.

– Parlo troppo?, chiese lei, in casa dicono che parlo troppo e rischio di dar fastidio, le sto dando fastidio?

– Niente affatto, rispose l'uomo, quello che dici è addirittura singolare, continua pure.

– E poi il presidente ci ha fatto una lezione di storia, perché come lei saprà la storia moderna a scuola non si studia, in terza media i professori più bravi riescono ad arrivare fino alla prima guerra mondiale, altrimenti ci si ferma a Garibaldi e all'unità d'Italia, noi invece abbiamo imparato un sacco di cose moderne, perché la professoressa è stata brava brava, ma il merito è del presidente, perché è lui che ha dato l'input.

– Cos'ha dato?, chiese l'uomo.

– Si dice così, spiegò Isabella, è una parola nuova, vuol dire uno che comincia e trascina gli altri, se vuole le ripeto quello che ho imparato, davvero un sacco di cose che conoscono in pochi, le vuoi sapere?

L'uomo non rispose, teneva gli occhi chiusi ed era completamente immobile.

– Si è addormentato?, Isabella aveva un tono timido, come dispiaciuto.

– Mi scusi, forse l'ho fatta addormentare a furia di chiacchiere, è anche per questo che i miei genitori non mi hanno voluto comprare il cellulare, dicono che gli arriverebbe un conto astronomico con tutto quello che parlo, sa, in casa nostra non ci possiamo permettere il superfluo, mio padre è architetto ma lavora per il comune, e quando uno lavora per il comune...

– Tuo padre è un uomo fortunato, disse l'uomo senza aprire gli occhi.

Ora parlava a voce bassa, come se sussurrasse.

– Sia come sia, continuò, la professione di costruire case è bellissima, molto meglio della professione di distruggerle.

Isabella dette un gridolino di sorpresa.

– Dio mio, esclamò, c'è anche la professione di distruggere le case?, non lo sapevo, questo a scuola non si impara.

— Insomma, disse l'uomo, non è che sia proprio una professione, si può anche apprendere in maniera teorica, come all'accademia militare, però poi arrivano dei momenti in cui una certa sapienza si deve mettere in pratica, e tutto sommato lo scopo è quello, distruggere case.

– E lei come lo sa?, chiese Isabella.

– Lo so perché sono un militare, rispose l'uomo, o meglio, lo ero, ora sono in pensione, diciamo così.

– Ma allora lei distruggeva le case?

– Non mi davi del tu?, replicò l'uomo.

Isabella non rispose subito.

– Θ che per natura sono timida anche se non sembra perché parlo troppo, le avevo chiesto se prima anche tu distruggevi le case.

– Personalmente no, disse l'uomo, e neanche i miei soldati, a essere sincero, la mia era una missione bellica di pace, da spiegare è un po' complicato, soprattutto in una giornata come questa, però, Isabèl, ti vorrei dire una cosa che forse a scuola non ti hanno detto, in fondo in fondo la storia si riassume a questo: ci sono uomini come tuo padre che per professione le case le costruiscono e uomini del mio mestiere che le case le distruggono, e la faccenda va avanti in questo modo da secoli, alcuni costruiscono le case e altri le distruggono, costruire, distruggere, costruire, distruggere, è un po' noioso, non ti pare?

– Noiosissimo, rispose Isabella, davvero noiosissimo, se non ci fossero gli ideali, per fortuna ci sono gli ideali.

– Certo, confermò l'uomo, per fortuna nella storia ci sono gli ideali, te lo ha detto il presidente o la professoressa?

Isabella sembrò riflettere.

– Ora non saprei bene chi lo ha spiegato.

– Magari è il presidente che ha dato l'input, disse l'uomo, e cosa mi sai dire degli ideali?

– Che sono tutti rispettabili se uno ci crede, rispose Isabella, per esempio in quello della patria, poi magari uno si sbaglia perché è giovane, però se è in buona fede l'ideale è valido.

– Ah, disse l'uomo, è una cosa su cui devo riflettere, ma non mi pare la giornata adatta, oggi fa un gran caldo e il mare mi sembra così invitante.

– Allora fatti un bagno, lo pungolò lei.

– Non ne ho molta voglia, rispose l'uomo.

– Θ perché non sei motivato, secondo me il tuo è stress, non puoi immaginare l'effetto negativo dello stress sul nostro spirito, l'ho letto in un libro che mia madre ha sul comodino, vuoi che ti vada a prendere qualcosa al bar dell'albergo, qualcosa per combattere lo stress?, purché non sia una Coca-Cola, quella mi rifiuto.

– Questa me la devi spiegare, me la devi proprio spiegare, disse l'uomo.

– Perché la Coca-Cola e il McDonald's sono la rovina dell'umanità, disse Isabella, lo sanno tutti, nella mia scuola lo sanno persino i bidelli.

L'uomo frugò nella borsa e prese un'altra compressa.

– Quanta roba prendi, esclamò Isabella.

– Ho una scala oraria, disse l'uomo, me lo impone la ricetta medica.

– Secondo me tutte queste pasticche ti fanno male, affermò lei con convinzione, gli italiani consumano un sacco di pasticche, lo ha detto anche la televisione, invece l'importante è sintonizzare il nostro spirito con le forze positive che ci sono nell'universo, per questo certi cibi e certe bibite sono da evitare, perché trasmettono energia negativa, non sono naturali, mi spiego?

– Isabèl, ti posso dire una cosa in confidenza?

L'uomo si passò un fazzoletto sulla fronte. Sudava.

– La Coca-Cola e il McDonald's non hanno mai portato nessuno ad Auschwitz, in quei campi di sterminio di cui a scuola ti avranno parlato, invece gli ideali sì, ci avevi mai pensato, Isabèl?

– Ma quelli erano nazisti, obiettò Isabella, gente orribile.

– Perfettamente d'accordo, disse l'uomo, i nazisti erano gente davvero orribile, ma anche loro avevano un ideale e facevano la guerra per imporlo, dal nostro punto di vista era un ideale perverso, ma dal loro no, in quell'ideale avevano una grande fede, agli ideali bisogna starci attenti, che ne dici, Isabèl?

– Ci devo pensare, rispose la ragazzina, magari ci penserò a pranzo, sono le dodici e mezzo, fra poco servono il pranzo, tu non vieni?

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