Autore Cristina Tajani
Titolo Città prossime
SottotitoloDal quartiere al mondo: Milano e le metropoli globali
EdizioneGuerini e Associati, Milano, 2021 , pag. 160, cop.fle., dim. 12x19,5x1,2 cm , Isbn 978-88-6250-818-6
LettoreRiccardo Terzi, 2021
Classe citta' , sociologia , urbanistica , lavoro , citta': Milano












 

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Indice


  7 PREMESSA
    Un evento periodizzante

 17 CAPITOLO 1
    La città è morta, viva la città!

 37 CAPITOLO 2
    La città che sale

 43 CAPITOLO 3
    Avanzano gli innovatori sociali

 59 CAPITOLO 4
    Città sostantivo femminile

 71 CAPITOLO 5
    Politiche dal basso nella città dei 15 minuti

 81 CAPITOLO 6
    Lavoro buono per il ceto medio

 93 CAPITOLO 7
    Il desiderabile ritorno della manifattura in città

107 CAPITOLO 8
    La forza degli spazi ibridi

119 CAPITOLO 9
    Il doppio movimento del lavoro agile e il near-working

131 CONCLUSIONI
    Fuori dalla città: riconciliarsi coi luoghi che non contano

145 BIBLIOGRAFIA

153 INDICE DEI NOMI

157 RINGRAZIAMENTI


 

 

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Pagina 17

Capitolo 1
La città è morta, viva la città!



                           Le città sono assenza di spazio fisico tra le persone
                              e le imprese. Sono prossimità, densità, vicinanza.
                                    Ci consentono di lavorare e giocare insieme,
                           e il loro successo dipende dalle connessioni fisiche.

                                                                  Edward Glaeser



In questo 2021, nel mezzo di una nuova ondata pandemica, fa un certo effetto rileggere le parole di Edward Glaeser , tra i cantori della metropoli come grande invenzione dell'umanità.

Densità, massa critica, produttività, circolazione della conoscenza e stipendi più alti del 20% rispetto alle zone rurali sono gli ingredienti del finora indiscusso successo delle città-mondo. Un'affermazione tale da aver spinto l'Ocse a definire The Metropolitan Century il tempo in cui ci è dato vivere. Le città abitate da più di dieci milioni di persone diventeranno quarantuno, secondo le previsioni Ocse, entro il 2030; se ora ospitano oltre il 50% della popolazione mondiale, nel 2100 arriveremo all'85%: ben nove miliardi di abitanti calcheranno allora il suolo delle metropoli.

Eppure alla luce dello shock impresso dalla pandemia è inevitabile porre in discussione queste previsioni, sottoponendole a un vaglio critico. L'interruzione brusca - e dopo oltre un anno dobbiamo dire duratura - del traffico aereo; i colpi inferti alle attività fieristiche, al sistema dell'accoglienza, all'offerta culturale, al Pil e al reddito pro capite; il calo dell'occupazione, l'effetto del lavoro da remoto sui city users, che fino al 2020 erano pendolari e invece oggi, almeno per una certa quota, esercitano il proprio mestiere fuori dal confine amministrativo: tutto ciò ha colpito le città sull'intera superficie del globo.

Ha senso domandarsi se, realizzandosi il meno desiderabile tra gli scenari, cioè una lunga permanenza del Covid-19 nelle nostre vite, non possa ripetersi ciò che accadde fra IV e VIII secolo: lo spopolamento, e in alcuni casi la scomparsa, delle città europee? Fronteggeremo una nuova epoca di «città retratte?». In quell'era remota, sotto la spinta delle migrazioni barbariche - dal punto di vista delle quali ogni luogo dove le persone vivevano vicine le une alle altre era un appetibile bottino - i grandi proprietari di stirpe romana spostarono le loro residenze nelle campagne, disinteressandosi all'amministrazione urbana. Allo stesso modo, i nuovi proprietari di stirpe germanica, non conoscendo una tradizione di vita cittadina, si erano insediati nelle campagne, contribuendo al processo di ruralizzazione della società europea.

Naturalmente parliamo di tempi dilatati, secoli; e in fondo anche l'Italia non fu tutta uguale, perché il Sud, martoriato dalle invasioni, divenne un «cimitero di città», mentre nelle parti centrale e settentrionale dello stivale strati più larghi della popolazione rimasero fedeli alla tradizione romana di risiedere nei centri urbani. Certo sappiamo che poco dopo l'anno Mille si assistette al fenomeno, altrettanto eclatante e spettacolare, della rinascita urbana. Gli abitanti delle città aumentarono, soprattutto sotto la spinta dell'inurbamento delle popolazioni rurali: fu infatti lo sviluppo agricolo a determinare quell'abbondanza di uomini e derrate da scambiare che trovò esito in città. Stavano per nascere le corporazioni e la borghesia, ma questa è un'altra storia. Da allora, pur colpite da cataclismi che ne hanno decimato le popolazioni - a cominciare, appunto, dalle epidemie - le città non ci hanno mai lasciato.

E non credo lo faranno ora, ma è giusto cominciare questo libro esercitando il dubbio, guardando nel vaso di Pandora scoperchiato dalla pandemia. Dopo aver scandagliato la vita delle metropoli scosse dalla crisi potremmo scoprire che oggi, domani e dopodomani le città vincono ancora. Converrà però dispiegare le opportune strategie di adattamento. Nelle prossime pagine accosterò dunque una rassegna sulla letteratura più aggiornata ad alcune considerazioni in presa diretta, testimonianza delle relazioni tra Milano e le altre metropoli dal 2011 a oggi: New York, Seoul, Shanghai e, in Europa, Barcellona e Parigi. Mi riferirò inoltre alle reti tematiche di città, come Detent Work Cities, Sharing Cities e C-40 sulla transizione ambientale.

La scala è il primo grande discrimine: le osservazioni macro-geografiche e quelle micro-geografiche possono infatti rivelare dinamiche diverse. Nella nostra ottica, la seconda prospettiva è la più interessante, perché sollecita chi voglia progettare politiche territoriali adeguate alla realtà e al ruolo atteso per le città che verranno.

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Pagina 43

Capitolo 3
Avanzano gli innovatori sociali



Nell'analisi e nella interpretazione dei ceti urbani, dagli albori della globalizzazione alla crisi pandemica, si sono esercitati in molti e autorevoli. Milano ha interpretato a suo modo diverse delle tendenze che hanno interessato altre grandi città in Europa, in America e nel mondo. Come ci indica Saskia Sassen , che allo studio delle aree urbane ha dedicato buona parte della sua carriera accademica, «le città sono sempre state un luogo complesso ma incompleto, nel senso di non perfetto, un luogo di frontiera dove gli attori più diversi, provenienti dai mondi più diversi, possono entrare in relazione. Come in rapporto possono entrare coloro che hanno potere e coloro che non ce l'hanno». La natura e la qualità di questo rapporto può fare la differenza in termini di coesione sociale, qualità della vita, maturità dei processi democratici e decisionali.

Tutte le grandi città dei paesi a economia matura hanno vissuto, dopo la crisi del modello di produzione fordista, incentrato sulla fabbrica e su una classe media standardizzata, una tendenza alla polarizzazione dei redditi e degli stili di vita dei propri abitanti. Insieme a un movimento ciclico che ha visto lo spostamento di popolazione dalla città alle aree suburbane e viceversa. Questa polarizzazione e questo movimento è funzione di un'economia prevalentemente terziaria che concentra forza lavoro ai due estremi dello spettro tecnologico e del sapere: da un lato, iperspecializzazione legata alle tecnologie Ict, scienze della vita e ingegneria avanzata; dall'altro, professioni terziarie dequalificate nell'ambito della logistica (di cui i riders delle piattaforme di food delivery sono simbolo potente), ristorazione e accoglienza, cura della persona. Senza gli eccessi di altre grandi metropoli globali, anche Milano, tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, ha vissuto questa tendenza alla polarizzazione, così come, negli stessi anni, ha ospitato la sua versione - in realtà mai maggioritaria considerato il pluralismo produttivo della città - di quella «classe creativa» raccontata da Richard Florida nel suo bestseller. La teoria di Florida, rivista dallo stesso autore in anni più recenti, si basava su due elementi. Il primo è l'osservazione della ascesa di un nuovo ceto, quella classe creativa che «include le persone che si occupano di scienza e di ingegneria, di architettura e di design, di istruzione, di arte, di musica e intrattenimento, la cui funzione sociale è creare nuove idee, nuove tecnologie e nuovi contenuti creativi». Il secondo è la considerazione che questa classe creativa fosse attratta dalle grandi città globali che, specie nel Nord America, avevano conosciuto tra gli anni Ottanta e gli armi Novanta un momento di crisi.

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