Copertina
Autore Jasmina Tešanovic
Titolo Nefertiti
SottotitoloL'amore di una regina eretica nell'antico Egitto
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2009, Fiabesca 98 , pag. 128, cop.fle., dim. 12x16,7x1,1 cm , Isbn 978-88-6222-084-2
OriginaleNefertiti Was Here [2008]
PrefazioneBruce Sterling
TraduttoreJasmina Tešanovic, Luigi Milani
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe narrativa serba , paesi: Egitto
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Indice


  5 La Bella è qui
    di Bruce Sterling

 11 Capitolo 1
 22 Capitolo 2
 33 Capitolo 3
 45 Capitolo 4
 56 Capitolo 5

 64 Capitolo 6 — TRE VITE COMUNI
 64     L'uomo che diventò donna
 71     Il giravite
 73     La donna invisibile

 77 Capitolo 7

 84 Capitolo 8 — PAZZAMENTE INNAMORATA
 84     Una scelta
 85     La crisi incombe
 86     Sta accadendo così presto
 87     Non posso guardare
 88     Se tu fossi libero
 88     Nefertiti e Beck
 92     Una lettera d'amore

 95 Capitolo 9 — NON C'É PIÚ SCAMPO, AMORE MIO
 99     Nefertiti ballerà per te

106 Capitolo 10
106     L'harem
107     Il re Horemheb
110     Il discorso degli uomini

117 Capitolo 11
117     La necro — concubina
123     Berlino, giugno 2003, volti stupiti
        di fronte al celebre busto



 

 

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Pagina 5

La Bella è qui



Jasmina Tešanovic è una ben nota femminista e dissidente politica dell'Europa dell'Est. Č naturale domandarsi perché una donna del genere abbia scritto un romanzo su Nefertiti. Specialmente un libro strano come questo, un libro che è chiaramente una litania intesa a risvegliare i morti.

Avendo io sposato Jasmina, l'ho vista scrivere questo libro. Mi sono accorto che è stata costretta a farlo, forse perfino segretamente ossessionata da un bisogno irresistibile.

Potrei fornire tante spiegazioni sul perché abbia scritto quest'opera, ma ne esiste una, credo, che ha molto senso per il pubblico italiano.

Jasmina è nata nella ex Yugoslavia: in uno Stato comunista eretico, un'utopia fallita. Mentre il comunismo italiano è tuttora molto vivo — a Torino, la mia città preferita, lo constato tutti i giorni — la Yugoslavia scomparsa è uguale all'antico Egitto.

La Yugoslavia di Tito una volta mandò una bambina, Jasmina Tešanovic, a vivere nell'antica terra d'Egitto. La Yugoslavia e l'Egitto una volta erano amici per la pelle.

Oggi qui, nel Ventunesimo secolo, abbiamo dimenticato che una volta lì c'era il secondo Terzo Mondo. Il Primo Mondo era la NATO coi suoi satelliti. Il Secondo Mondo era il Comintern, il Patto di Varsavia. Il Terzo Mondo era la povertà del Sud, "le nazioni in via di sviluppo"; ma una volta c'era un Terzo Mondo diverso. Questo mondo era il Movimento dei Non Allineati, che comprendeva Egitto, Yugoslavia, India, Ghana e Indonesia. Questo gruppo di nazioni non accettava la bipolarità bianco-nero della Guerra Fredda. Erano testimoni infelici della corsa all'armamento nucleare, dei gulag, della "Coca-Colonizzazione" e rifiutavano apertamente tutto ciò.

Il movimento non allineato esiste ancora, come nome, come gesto politico, ma come progetto destinato a cambiare il mondo ha fallito. Le nazioni non allineate avevano ragione a dubitare della Guerra Fredda, ma fallirono ugualmente perché erano eretici. La maggior parte degli Stati non allineati erano governati da tiranni carismatici. La Yugoslavia non allineata di Tito sembrava prospera e solida, garantita com'era dalla carne e dal sangue del capo supremo chiamato Tito. Quando il culto della personalità di quest'uomo svanì assieme al suo corpo, in quel momento crollò la Yugoslavia.

La narrazione resuscita Nefertiti, una regina faraonica d'Egitto, nelle vesti di un'eretica, dedita al culto della personalità. Rievoca inoltre Akhenaton, suo marito, e il regime eretico di Amarna, quella bizzarra capitale in puro stile Brasilia, edificata in pieno deserto dagli adoratori del Sole.

Questa coppia di artisti, sorprendendo e allarmando la loro società, tratta l'apparato dello Stato come un personale progetto d'arte. Liberati dall'ipocrisia, completamente indifferenti alla proprietà, questi spiriti creativi trasformano se stessi e tutto ciò che li circonda. Rifiutano di diventare appartchik dello Stato; e naturalmente, da grandi artisti, disprezzano anche la gente comune. Incarnano il culto tenero, carismatico, sorprendentemente bello di una doppia personalità: Josephine e Napoleone, Eva e Adolf.

Questo racconto reinventa l'epica, misteriosa eresia dall'interno. Non descrive Nefertiti: diventa Nefertiti. Lega la sua esperienza di mistico potere all'esperienza vissuta da tutte le donne. Le rigide strutture del potere politico non si sono mai accordate bene con il potere vitale creativo della donna. Le belle donne dominate dal potere assoluto vedono la loro bellezza rapita dal simbolismo. La mascolinità di uomini coraggiosi che sono in realtà sacri autocrati è pervertita in omicidio e distruzione.

Nefertiti e Akhenaton — artisti, poeti, mistici e architetti — s'impadroniscono audacemente dei segni dell'identità nazionale. Il loro antico Stato diviene un'utopia, la vita quotidiana si trasforma in un'innaturale parata. I cortigiani che trattavano da amici la Dea-Regina vengono degradati nella loro umanità. Tremende energie creative provocano tremende ombre di repressione. Come avrebbe detto Lord Acton, se fosse stato egiziano: "Tutto il potere corrompe, e il potere divino corrompe divinamente".

Dei tanti sovrani dell'antico Egitto che conosciamo, Akhenaton e Nefertiti sembrano i più naturali, individuali e umani. Non sono rigidi personaggi egiziani da fumetti, contenuti o inquadrabili in una definizione. Ci appaiono come due persone vere, con volti unici e riconoscibili, con le loro corone, i loro vestiti, la loro città-capitale e perfino il loro Dio personale.

Quando la loro eresia fallì alla fine del loro regno, tutto quello che avevano costruito fu dimenticato, con una velocità allarmante e con tutto l'impegno che i conservatori poterono mettervi. Č per questo che noi moderni sappiamo ciò che sappiamo. Amarna venne abbandonata per non essere più ricostruita; lo strambo culto di Aten non perse la sua mistica purezza, perché, violentemente rigettato, è rimasto sepolto per mille anni.

Dal 1913, anno in cui il busto di Nefertiti, così a lungo nascosto, ci è stato restituito, Berlino, la capitale dove la sua immagine dimora, ha visto ripetuti olocausti. Così Nefertiti è ancora qui davvero: e ha provocato, oltre ad altre reazioni, questo strano, piccolo libro. Č un poema, una formula magica e un inno pagano alla bellezza, alla verità e all'eresia.

Bruce Sterling

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Pagina 11

Capitolo 1



Era seduta sul greto del fiume Nilo come una contadina qualsiasi. I piedi immersi nell'acqua, le braccia affusolate nude, assorbiva il sole di un freddo giorno invernale. I suoi pensieri vagavano in mille direzioni.


La sua vita era giunta a una svolta, non per sua scelta né per la situazione: aveva dovuto reagire.

Le donne odiano quel tipo di compulsione, quando si trovano ad agire in modo innaturale, contro i normali tempi e ritmi della vita, ma agiscono lo stesso, con efficienza, spesso senza possibilità di ritorno.


Per tutto l'arco del suo regno, la sua vita era stata in pericolo ogni giorno, protesa in ogni istante della sua azione di governo contro lo status quo del mondo. Dopo anni di lenta reazione contro il Potere del Sole, l'equilibro delle forze si era rovesciato.


Aveva donato alla dinastia sei figlie. Con la nascita della terza, pensava a un potere di sole donne: senza padri né mariti né figli maschi. Generò altre tre figlie e nemmeno nel suo intimo più segreto sapeva chi fossero i loro padri. Semplicemente, rifiutava di saperlo.

Oggi non si curava più del passare dei giorni. La sua vita era stata ricca e appagante; non nutriva più speranze né aspettative.

Il suo futuro sarebbe stato un ininterrotto sforzo a non lasciarsi andare. Una vita senza un erede maschio su cui contare, ma con molti uomini da temere. Un'altra anomalia da sommare alle tante del suo destino.

Tutti i giorni, nel bagliore dei fiammeggianti tramonti sul Nilo, sulla sabbia accesa dai riverberi dorati, il destino le comunicava il suo semplice messaggio: ho vissuto un altro giorno nella verità della bellezza e nell'eresia.


La sua bellezza era una combinazione della verità interiore e del potere esteriore del Sole. Tutto il resto era finzione.


Seduta sulla sponda del Nilo una donna di nome Nefertiti, la donna più potente di Amarna, Regina del Sole, consorte di un monarca deposto, bagnava i suoi piedi e abbronzava le braccia: lunghi arti, testa minuta, corpo piccolo. In lei si poteva scorgere la bellezza assoluta. Avrebbe potuto essere anche una divinità.

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Pagina 45

Capitolo 4



A dispetto di qualunque cosa possano dire o avere detto gli storici, i nemici, gli eredi o i loro stessi contemporanei, quello tra Nefertiti e il marito-dio Akhenaton fu un matrimonio d'amore e passione. I cugini si conoscevano da poco tempo e non a fondo, ma abbastanza da cogliere il peso della differenza che ognuno portava dentro di sé. E nutrivano così la reciproca ammirazione e la passione che tenevano nascoste nei cuori. Lei, grazie alla sua bellezza ritrosa e all'orgogliosa vulnerabilità, lui in virtù della sua debolezza fisica e della sua anima sognante.


Stavano bene insieme. Le feste di corte sulle navi lungo il fiume, con i fiori galleggianti sull'acqua, il vino in abbondanza, i servi che danzavano al suono della musica... Loro due si sarebbero rifugiati volentieri in qualche angolo tranquillo, ben consci della sorveglianza invisibile ma sempre attenta della madre Tiye e del padre Ay, dei loro agenti, degli informatori, dei servi spioni. Scambiavano qualche parola esitante, toccando ed esplorando il loro comune territorio: sentimenti confessati, speranze e progetti per il futuro.


"Madre, io voglio sposarla," disse Akhenaton un giorno. "Io l'amo".

"Bene," rispose Tiye sorridendo furbescamente come se avesse saputo già tutto. Naturalmente non era stata lei a organizzare questo matrimonio; si sbagliava a credere di poter orientare i sentimenti di Akhenaton, ma come tutte le madri autoritarie non voleva rendersi conto di quanto suo figlio potesse essere determinato.

Se egli non avesse voluto Nefertiti, nessuna legge o minaccia l'avrebbero convinto a sposarla. Avrebbe pianto fino alla follia o avrebbe condotto lei alla pazzia mettendo a repentaglio la sua preziosa vita. Il figlio prediletto, l'erede al trono, si era ucciso così.


Tiye era una madre sollecita, dal sangue freddo; aveva i suoi favoriti, ma sapeva benissimo di non poter trascurare i figli che non le piacevano o che non comprendeva. Akhenaton giunse a regnare, benché controvoglia e all'ombra del generale rimpianto per il vigoroso, eroico e coraggioso fratello. Il popolo avrebbe preferito un re lussurioso, dai bisogni facili da capire; ma dovette accettare il molle Akhenaton.


Akhenaton soffriva di spasmi nervosi, era quasi pazzo, aveva visioni, lottava con strani dolori, vomiti, emicranie, stati di trance. Ma la stupidità non gli apparteneva e la sua apparente debolezza era solo una finzione. Non aveva alcun interesse per l'orgoglio e non avrebbe mai potuto essere trattato con prepotenza. Non aveva intenzione di regnare alla maniera del fratello morto, dell'amata madre o del padre Faraone, violento per natura, una persona che disprezzava in particolar modo.

Sapeva che per rimanere al potere avrebbe dovuto modificare il sistema di governo. Quindi cominciò a cambiare le regole: adattando ogni aspetto dello Stato alla sua personale misura, come se il regno fosse stato un vestito. Le cure amorose di Nefertiti rappresentavano per lui conforto e sicurezza. Con lei al suo fianco regale, poteva essere se stesso al massimo livello.


Una sera, mentre erano seduti sul greto del fiume rischiarato dalle torce, lui le recitò uno dei suoi nuovi poemi: era commosso fino alle lacrime dalla bellezza dei suoi versi. Nefertiti lo ascoltava in silenzio e invece di mostrare preoccupazione per il suo viso strano, adolescenziale, rigato dalle lacrime, prese entrambe le mani di lui nelle sue e le baciò. Akhenaton tremò, profondamente eccitato.


Per la prima volta, lei aveva destato il suo interesse maschile.

"Avremo gioia, mia diletta," le disse fervente "e poi faremo dei figli. Č in mio potere ottenere tutto ciò che un Dio vuole," le disse con entusiasmo e convinzione. "Molti cortigiani trasgrediscono le regole del corretto fidanzamento e carpiscono le dolcezze del matrimonio prima del tempo. Posso sfuggire a queste spie disposte dai nostri sciocchi genitori e appartarmi con te in una camera da letto che nessuno potrebbe vedere. Ma non è questa la mia intenzione. A Dio piace attendere la notte del matrimonio divino. Č bello sapere che posso desiderarti".


Fu durante una festa estiva, a luglio, che le si avvicinò all'improvviso e premette le labbra sulle sue; un bacio come una folata di vento. In seguito, ogni volta che una parola o un gesto l'avesse ferita, quel bacio le sarebbe tornato sulle labbra. Quel primo bacio. Era una pazzia, un'intossicazione, un'ossessione: lei lo sapeva e la combatteva, ma poi, dopo qualche tempo, cominciò a provarne desiderio.


Nessuno poteva vedere l'invisibile potere del suo amante, mentre fluiva verso e attraverso di lei. Il flusso d'energia tremendo che si radunava nel suo corpo sarebbe durato per sempre, avulso dalla realtà, un unico bacio eterno: una perfezione divina che non poteva essere messa in discussione poiché domande del genere non avevano risposte. Avrebbe partorito dei figli, assunto tutti gli obblighi di un matrimonio regale, i pesi più gravosi, ma la leggerezza di quel bacio fu ciò che rese tutto ciò non solo possibile, ma anche necessario.

"Il più caro, il più amato re di Aton, ecco cosa è stato il mio amore per te in tutti quegli anni: un solo istante, tu e io che diventavamo Uno e Tutto. Il nostro Dio era nato in quel momento e Dio fu ucciso il momento in cui ci separarono".

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Pagina 62

Nefertiti, la regina ferita. Il suo occhio sinistro è bianco. Il suo orecchio scheggiato è ricurvo, come se mancasse. Di certo è cieca, quasi sorda.


L'uccello punta verso il sole come un girasole, seguendo il passaggio del tempo. La Regina Solare vede un aereo sopra l'Egitto. Nessuna ancella oserebbe contraddire una Dea. Meglio mentirle e parlarle di un uccello di carne e ossa. Trenta secoli più tardi una bambina sta giocando nel deserto. Un uccello, un aereo lontano. Una vecchia regina, una giovane ancella. Una donna pensierosa bagna i suoi piedi alla riva del Nilo. Nefertiti stessa, il suono del suo nome. L'uccello e l'aereo sono l'Unità. Immagini di Dio. Passato e futuro. Anche il cielo è unico. E il Sole tocca tutto. Le donne comuni non sognano di condurre vite comuni. Le donne non comuni lo fanno. Hanno fortuna nella vita e sono fortunate ad avere questi sogni. Le donne comuni sono padrone delle loro vite ancora meno che le regine, anche se in modo diverso. Quando una donna ha poco, un piccolo guadagno sembra gran cosa. E se una è ridotta a niente, possiede una libertà che solo il nulla può rivelare.

Le donne comuni in Egitto raramente pensavano di uccidersi con le proprie mani. Venivano già uccise dalle proprie vite giorno per giorno, una morte per deprivazione, invisibile e proibita quanto ogni desiderio di suicidio. Cosa possiamo sapere di queste donne, oscurate dalla lunga ombra della loro regina Nefertiti?


Anch'esse erano lì, ma non fecero niente per lasciare una traccia di sé nella storia maschile. Nefertiti aveva rotto con la storia, come regina, madre di sei figlie e moglie di un uomo che era diventato donna. Ma la sua personalità, il possesso della propria essenza interiore, sono andati persi, intrappolati, completamente invisibili, quanto qualsiasi altra donna del suo tempo.

Eppure Nefertiti era lì.

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Pagina 64

Capitolo 6
Tre vite comuni



L'uomo che diventò donna

Non riusciva a cogliere davvero la differenza, la famosa differenza tra uomini e donne. Sì, era ovvio, gli uomini erano uomini e le donne erano donne. E allora? I gatti erano gatti, le auto erano auto e nessuno ci aveva mai realmente badato.

I filosofi hanno scritto libri su libri, interrogandosi sul perché i gatti siano gatti e le macchine siano macchine. I poeti hanno composto versi che parlano dei gatti in quanto gatti, delle macchine come macchine e di macchine come gatti. Gatti e macchine hanno convissuto nello stesso mondo nel quale i ragazzi sono cresciuti.


Quando era bambino, sua madre era solita dirgli: "Non è facile sopravvivere in un posto come la vita".

Lui non capì mai questa frase, ma in effetti non riuscì mai a capire del tutto nemmeno sua madre. Come poteva questa persona essere cresciuta tra tante altre e allo stesso tempo essere la sua sola e unica madre? E poi lei aveva un altro grave problema che riguardava la sua empatia. Veniva da un altro pianeta: era adulta ed era donna.


Il nostro Uomo, ancora ragazzino, come lo sono tutti gli uomini in un dato momento della loro vita, amava teneramente le ragazzine. Era convinto che non avessero niente in comune con lui. Quando crebbe, cominciò a disprezzarle e in seguito a odiare l'idea delle ragazze in generale.

Il tempo passò, diventò un giovanotto alto e vigoroso e s'innamorò pazzamente di una giovane della sua stessa età. Fecero l'amore. Le giurò subito amore eterno. Le chiese di sposarlo, e lei ripose: "Si, sì, sì".

Tre volte.


Si sposarono molto giovani, ebbero tre figli e vissero felici per altri vent'anni.


Ma poi accadde qualcosa. O forse era andata accadendo tutto il tempo, gradualmente? Lui non riusciva a capirlo. Notò solo, sgomento, che la sua giovane sposa era cresciuta, trasformandosi in un'infelice donna di mezz'età, ancora bella, ma aggressiva e silenziosa. Si rifiutava di dormire con lui, di parlargli, di appoggiarlo.


Lui l'amava ancora, come aveva sempre fatto. Il suo amore non aveva cambiato il suo carattere fedele, fin dal primo giorno in cui aveva fatto l'amore con lei e le aveva chiesto di sposarlo. Forse anzi l'amava ancora di più, dato che nel tempo si era affezionato anche ai lati cattivi del suo carattere. E ne aveva tanti, lei, essendo una persona violenta, frustrata e infelice.


Un tempo era stata giovane e promettente, con tutto il mondo e tutti gli uomini ai suoi piedi; eppure aveva scelto lui. Adesso, dopo vent'anni di matrimonio, aveva solo lui ai suoi piedi. Ed egli era ancora pazzo di lei. Dipendeva da lei, la proteggeva come un angelo custode, la teneva al riparo dal suo stesso brutto carattere e dalle mosse false della sua vita e della sua mente.


Cos'era successo? Perché aveva smesso di amarlo? Amava forse un altro uomo? Desiderava un'altra vita, adesso che i figli erano cresciuti? Il mondo era cambiato e gli uomini e le donne non restavano più uniti per tutta la vita. Oh sì, forse lui era un uomo all'antica e un tipo romantico, come un personaggio da film, da sceneggiato oppure da autentica opera italiana. E lui persisteva nella grande storia d'amore: amava sua moglie dopo vent'anni di matrimonio e perfino dopo che lei aveva smesso di amarlo.


Decise di parlargli, di dirgli. Dirgli cosa? Be', bugie. In ogni caso decise che dovevano parlare. Comprarono una bottiglia di whisky, anche se lei non beveva e la stapparono solennemente.


"Dimmi, Amore," fece lui.

"Non chiamarmi amore," ribatté lei.

"Come devo chiamarti allora?".

"Non chiamarmi, per una volta ascoltami".

"Ti ho sempre ascoltata".

"Lo credi tu, AMORE, ma hai solo ascoltato il tuo amore, Amore mio".

"Non essere crudele, cosa c'è di sbagliato ad averti amato tutti questi anni?".

"Il fatto che tu non abbia notato che ho smesso di amarti".

"Non importa, io ti amo ancora".

"E questo è egoista da parte tua; mi hai rovinato la vita amandomi, ignorando il mio amore per te".

"Io ti amerò per sempre, qualunque cosa tu senta".

"Tu, assassino di donne, piantala! Smettila di amarmi e guardami. Lasciami andare, ti prego, lasciami andare. Hai rovinato la mia bellezza, la mia carriera, sono diventata l'oggetto del tuo amore, la cosa che ami, ma che potrebbe essere chiunque, perché tu sei un maniaco che amerebbe chiunque vivesse con te, come ho fatto io, CHIUNQUE. Tu in realtà non mi vedi, non hai bisogno di me, hai bisogno solo del tuo amore. Smettila!".


L'uomo scoppiò a piangere; di solito sono le donne che lo fanno per prime durante le liti, ma quest'uomo era diverso. Era un uomo buono, che la moglie non amava più.

Poi, dopo una bottiglia di whisky e una crudele conversazione durata due ore e mezzo, lei uscì semplicemente dalla porta, abbandonandolo. Lasciò la casa, la macchina, i risparmi, il suo nome e l'orgoglio: tutto quello che facevano e avevano fatto insieme. Lui la lasciò andare. Non aveva alcuna scelta, l'amava ancora e, amandola, doveva lasciarla andare.


Non osava pensare al suo futuro senza di lei o a quello di lei senza di lui. Non osava nemmeno sperare che sarebbe tornata. Si mise a sedere e prese a riflettere, molto lentamente, quasi nel suo subconscio.


Cos'era andato male? Gran domanda. O forse in qualche modo non c'era niente di sbagliato in come erano andate le cose? La grande risposta gli balenò in mente; qualunque cosa fosse successa, doveva accettarla come stato di fatto. Così si accontentò di questa riflessione, come di una specie di risposta temporanea.


Poi, un altro sviluppo: i bambini cominciarono a dargli fastidio, reclamando soldi, cibo, attenzione. Maleducati, non carini, come una volta erano stati i suoi bambini. Cominciò a perdere capelli, a ingrassare e a essere di cattivo umore. Finché qualcosa di più grave e totale accadde nella parte di mondo dove viveva. La gente aveva paura, si sentiva senza sicurezza e certezze riguardo al futuro. La fine del secolo? La crisi di mezz'età? La solitudine?


Tutto e niente.


E poi altri eventi ancora, quasi assurdi. Perse il lavoro vincendo una causa. Perse il sonno e l'appetito, ma diventò industrioso. Perse ogni interesse per la ex moglie, della quale non aveva più alcuna notizia.


Nel frattempo erano passati dieci anni. I figli se n'erano andati di casa, tornavano solo per chiedere favori o prenderlo in giro. Avevano fidanzate e fidanzati, semplici amici, suoceri e bambini propri. I figli diventarono adulti mediocri e chiassosi, ai quali voleva bene per motivi che non ricordava più. Ma la loro presenza gli era intollerabile dopo mezz'ora.


Non avviò mai una nuova relazione. Ogni opportunità del genere per lui diveniva l'occasione di rifiutarla. O forse non erano nemmeno opportunità, ma solo chimere. Ormai pensava di rado alle donne; il suo amore e la sua vita sessuale erano cessati di colpo e in modo violento, nel momento in cui l'amata moglie l'aveva abbandonato e lui l'aveva lasciata andare via.


Perché mai aveva smesso di amarlo? Dopo dieci anni una risposta gli trafisse le viscere con una chiarezza mai neppure sfiorata prima. Sua moglie l'aveva lasciato perché era morta dentro. Morta, proprio come lui adesso: un uomo morto. Ma perché le donne muoiono dentro tanto prima? Perché sono donne oppure perché gli uomini sono felicemente sposati con loro?


Deprivato ormai quanto la sua ex moglie, decise di cercarla.


Si incontrarono in un caffè vicino alla loro ex casa, con cordialità. Erano cambiati entrambi e lo rimarcarono l'un l'altro dopo essersi dati la mano senza batter ciglio, senza un bacio. Tutt'e due morti, tutt'e due uccisi.


Lei era più calma, lui più amaro. Due persone diverse, che una volta si conoscevano intimamente. In realtà no: conoscevano solo un'immagine fluttuante.


"Non ti amo più," disse lui subito, per liberarla per sempre.

"Lo so, posso sentirlo; lo sentivo già anni fa, ma ora sono libera, sì, finalmente libera".

"E come ti senti a essere libera?".

"E tu? Come ti senti a non amarmi più? Ti senti libero anche tu?".

Rimasero in silenzio, sorseggiando caffè, non più whisky. Apprezzarono quel pomeriggio tranquillo, si strinsero la mano di nuovo e si salutarono. Questa volta la separazione sarebbe stata per sempre, diretti verso la vera morte fisica. Ora potevano cogliere la sottile differenza fra morte e morte. O forse era solo un passo ulteriore verso un'altra morte ancora?


L'amore è una strana varietà di morte, pensò, facendosi una doccia subito dopo quell'incontro, come avesse dovuto sciacquare via il tocco, lo sguardo di lei dal suo corpo. Ho amato quella donna più di me stesso per la maggior parte della mia vita. Adesso non l'amo più né amo nessun'altra donna; non amo più nemmeno me stesso. Cos'è successo?, si chiese, senza rabbia né tristezza, ma con serietà, come uno scienziato, un pensatore.


Mentre il getto gli rovesciava addosso acqua calda, guardò la sua gran massa nuda, arrossata per il calore: era senza forma, un enorme animale pulsante, gonfio di sangue e tessuto cellulare. Una strana creatura vivente, una creazione di Dio o dell'Universo, un miracolo. Una volta era stato un uomo innamorato di una donna. Poi era divenuto un uomo che non amava più nessuna donna; infine un uomo che non amava più neanche se stesso.


E adesso nudo, con la pelle bollente, è una donna che una volta voleva essere amata come un uomo.


Ha compiuto per intero tutto il doloroso processo di comprensione. Chiude l'acqua bollente della doccia, afferra un asciugamano e decide di ricominciare da capo. Basata su questo ridicolo momento, questa piena consapevolezza della vita e dell'amore. Naturalmente lei non saprà mai spiegare razionalmente questo avvenimento a nessuno, tanto meno a se stessa. Ma a chi interessa, poi?


L'amore è forse qualcosa che si può spiegare, la vita è forse qualcosa che qualcuno riesce a capire? E cambia in continuazione, da uomo a donna, dentro una cabina della doccia; ma poi è davvero qualcosa che qualcuno può pensare di chiedersi? No, certo che non è così, e questo è una specie di garanzia per la sua nuova vita.

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