Autore Marcia Tiburi
Titolo Il contrario della solitudine
SottotitoloManifesto per un femminismo in comune
Edizioneeffequ, Firenze, 2020, saggi pop 53 , pag. 148, cop.fle., dim. 15x19x1 cm , Isbn 978-88-98837-74-8
OriginaleFeminismo em comum [2018]
TraduttoreEloisa Del Giudice
LettoreGiorgia Pezzali, 2020
Classe femminismo , filosofia , movimenti









 

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Indice


    Prefazione di Igiaba Scego                                    7


 1. Femminismo subito!                                           15

 2. Pensare il femminismo                                        19

 3. Siamo tutte lavoratrici                                      25

 4. Autocritica: il femminismo oltre la paura e la moda          35

 5. Il femminismo è il contrario della solitudine                41

 6. Dalla misoginia al dialogo                                   49

 7. Il femminismo e il femminile                                 57

 8. Spazi di parola e spazi di ascolto:
    il femminismo dialogico come incontro delle lotte            68
        Spazio di parola                                         66
        Spazio di ascolto                                        68

 9. Ideologia patriarcale                                        71

10. Diritto di essere chi si è                                   83

11. Donne e femministe: il problema dell'identità                89
        Una lotta rivoluzionaria                                 95

12. Le potenze del femminismo:
    dall'etico-politica alla poetico-politica                    99

13. Essere femminista: raccontarsi                              107

14. La violenza e il potere                                     113

15. Minoranze politiche, spazio di parola e spazio del dolore:
    la questione del dialogo in nome dei diritti                121

16. Politica dell'ascolto                                       127

17. Pensare insieme: per un femminismo in comune                133


    Postfazione di Antonia Caruso                               137


 

 

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Pagina 19

2. Pensare il femminismo





Il femminismo dev'essere pensato e analizzato e, a partire da ciò, potenziato nella pratica, altrimenti corre il rischio di non arrivare là dove potrebbe. Impulsi indignati lo muovono mentre, in senso opposto, altri impulsi ugualmente indignati cercano di distruggerlo. Scrivo questo consapevole del fatto che anche il femminismo è suscettibile di diventare uno di quegli ideali che non producono conseguenze significative per la collettività: sarebbe darsi la zappa sui piedi. Non è garantito che il femminismo, da semplice indignazione morale, si trasformi in azione etico-politica responsabile. Ed è questo che vogliamo.

In una società patriarcale, siamo abituati a prendere posizione rispetto al femminismo. Indipendentemente dalla nostra posizione, sta di fatto che esso dovrebbe essere elaborato in modo analitico, critico e autocritico, allo stesso modo di quando si affrontano questioni teoriche e pratiche che richiedono la nostra percezione delle conseguenze. Possiamo pensare analiticamente e criticamente solo se rispettiamo l'oggetto delle nostre intenzioni riflessive e, allo stesso tempo, non ci sottraiamo dal fare autocritica. Dico questo pensando a molta gente, a chi individua nel femminismo la grande via d'uscita dalle ingiustizie e dalle disuguaglianze sociali e a chi non riesce a vederci altro che un ennesimo 'ismo', un termine carico di ideologia e contraddistinto da un uso meramente spontaneo.

Non c'è niente di più importante nella vita che imparare a pensare, e non s'impara a pensare senza imparare a porsi domande sulle condizioni e sui contesti nei quali si collocano i nostri oggetti di analisi e di interesse. La critica non è necessariamente distruzione di ciò che si vuole conoscere: può essere uno smontaggio organizzato che permetta la ricostruzione dell'oggetto precedentemente destrutturato; può anche essere un'attenzione particolare che diamo alle cose e al nostro specifico modo di pensare e che viene a migliorare il nostro sguardo. Qualsiasi forma di critica, purché sia onesta, è valida, ma ritengo che in quest'ultimo senso, cioè intendendo la critica come attenzione scrupolosa, sia possibile approfittare al massimo delle potenzialità del pensiero che puntano alla trasformazione del mondo, un mondo a cui il femminismo, in quanto fenomeno etico-politico, necessariamente si ricollega.

È con questo spirito che dobbiamo chiederci dove ci porterà, alla fine, il femminismo. Pensando a questo luogo che ci proponiamo di raggiungere forse potremo trovare una risposta o, quantomeno, un orientamento per pensare meglio le questioni teoriche del femminismo, tematiche che ci coinvolgono ogni giorno quando ci rendiamo conto che siamo - donne e non donne, persone appartenenti all'ambito LGBTQ e anche uomini - soggetti e assoggettati a un mondo patriarcale che il femminismo viene a mettere in discussione. Un mondo conservatore che si agita al più lieve vento di critica.

Il femminismo ci porta alla lotta per i diritti di tutte, tuttə e tutti. Tutte perché chi porta avanti questa lotta sono le donne. Tuttə perché il femminismo ha liberato gli individui dall'identificarsi solamente come donne o uomini e ha aperto uno spazio per altre espressioni di genere - e di sessualità - e questo è andato a interferire con la vita nel suo insieme. Tutti perché esso lotta per una certa idea di umanità (che non è un umanesimo, dato che anche l'umanesimo può essere un veicolo ideologico che privilegia l'uomo a discapito della donna, degli altri generi e, addirittura, delle altre specie) e, proprio per questo, considera che tutte quelle persone definite come 'uomini' debbano a loro volta essere incluse in un processo autenticamente democratico, evento che il mondo maschilista - che ha attribuito agli uomini i privilegi ma li ha abbandonati a una profonda miseria mentale - non ha mai davvero voluto portare a compimento.

Per iniziare questo nostro processo di comprensione del femminismo, possiamo definirlo come il desiderio di una democrazia radicale rivolta alla lotta per i diritti di chi subisce le ingiustizie sistematicamente disposte dal patriarcato. In questo processo di assoggettamento, includiamo tutti gli esseri i cui corpi sono stati misurati per il loro valore d'uso. Corpi per la manodopera, la procreazione, la cura e la salvaguardia della vita, per la produzione del piacere altrui - che compongono a loro volta la più ampia sfera del lavoro, nella quale è in gioco ciò che si fa per l'altro per necessità di sopravvivenza.

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Pagina 25

3. Siamo tutte lavoratrici





Non possiamo pensare al femminismo senza pensare al lavoro. Il lavoro è una necessità che la civiltà ci impone. È l'opposto del piacere. Ora, il piacere costa caro in una società capitalista. Il capitalismo è, a sua volta, una delle condizioni all'interno delle quali sorge il femminismo. Il contesto capitalistico è quello della dominazione e della violenza, dello sfruttamento, dell'oppressione, ma anche di tanta seduzione. Ora, il lavoro è l'opposto del piacere, ma anche il piacere dipende dal lavoro. E, nello specifico, dal lavoro degli altri e, soprattutto, delle altre.

Ragioniamo a partire dal lavoro, che è un vero problema di genere. Non disponiamo di grandi basi filosofiche per parlarne, laddove raramente i filosofi si sono preoccupati di capire che spazio occupasse il lavoro nella vita delle donne. Sono state le donne, e soprattutto le femministe, a prendere coscienza della condizione femminile, riuscendo a trasformare il lavoro delle donne in tema di analisi.

È oltremodo curioso analizzare dove, come e quando lavorano le donne. Sin dalla nascita - e non è un'esagerazione - la bambina è condannata a un tipo di lavoro che ricorda molto la servitù, in tutto differente dal lavoro remunerato o dal lavoro che sì può scegliere a seconda della classe sociale alla quale si appartiene. In molti contesti, luoghi, paesi e culture, le bambine e le giovani, le donne adulte e le anziane lavoreranno per il padre, i fratelli, il marito e i figli. Saranno, per il solo fatto di essere donne, condannate al bracciantato domestico, al servizio di altri che non possono o non vogliono lavorare come loro.

Anche avendo un lavoro fuori casa, la maggior parte delle donne lavorerà più degli uomini che, in generale, non fanno i lavori di casa. Si accumuleranno il lavoro remunerato e quello non remunerato; triple e addirittura quadruple giornate - vale la pena ripeterlo - mai remunerate renderanno le donne schiave del focolare con poco o nessun tempo per sviluppare altri aspetti della propria vita. Tutte dovranno credere che è naturale così e che una bambina, nascendo, arriva già con un potere codificato nel proprio DNA, una predisposizione alla servitù. Dico questo senza accennare alla schiavitù emotiva e psicologica esperita dalle donne che allo stesso modo, ai miei occhi, deriva da questa schiavitù naturalizzata legata al lavoro.

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Pagina 38

Ciò che chiamiamo 'patriarcato' è un sistema profondamente radicato nella cultura e nelle istituzioni. È questo sistema che il femminismo cerca di decostruire. Ha una struttura di credenza consolidata in una verità assoluta, una verità che non ha nulla di 'vero' ed è, prima di tutto, prodotta sotto forma di discorsi, eventi e rituali. Alla sua base sta l'idea sempre ripetuta che esistono un'identità naturale, due sessi considerati normali, la differenza tra i generi, la superiorità maschile, l'inferiorità delle donne e altri ragionamenti che suonano piuttosto limitati ma che sono ancora condivisi da molta gente.

[...]

Di fatto non possiamo ridurre il femminismo alla discussione di genere e sessualità senza individuare un legame diretto con la questione delle classi sociali - ma anche della razza e, aggiungo, della plasticità, categorie all'interno delle quali si inseriscono anche le questioni dette 'differenziali', delle apparenze e dell'età, che toccano varie minoranze. Allo stesso modo tutte le lotte relative ai marcatori di oppressione, se non stanno attente al problema di genere che riproduce un sistema conservatore, non riusciranno a far progressi nella trasformazione sociale.

Non è un caso che l'argomento 'genere' stia provocando così tanta incomprensione, per non dire esplosioni morali e politiche fondamentaliste e autoritarie. 'Genere' è un termine usato per analizzare i ruoli 'maschile' e 'femminile', diventati egemonici. Le apparenze dell'uomo e della donna sono profondamente legate a regole di comportamento. Siamo controllati socialmente e domesticamente dal momento in cui siamo stati 'generificati', come afferma Judith Butler. Questo significa che veniamo costruiti nel tempo e che la nostra sessualità è altamente plastica, così come lo sono la nostra alimentazione, la nostra corporeità, la nostra spiritualità, la nostra immagine, il nostro linguaggio, la società in cui viviamo e che, proprio per questo, può essere modificata in molti sensi.

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Pagina 49

6. Dalla misoginia al dialogo





Il mio nonno aggressore, vittima e perpetuatore del patriarcato, non era altro che uno di questi sacerdoti della misoginia che si vedono in giro pregando in parole e opere. La misoginia è il discorso di odio specializzato nella costruzione di un'immagine visiva e verbale delle donne in quanto esseri appartenenti al campo del negativo. Anche la violenza fisica è linguaggio. Gli atti di violenza, sia essa verbale o fisica, botte o stupro, sono di una logica diabolica che trasforma in negativo tutto quello che si propone di distruggere.

Quello che sto chiamando 'negativo' è ciò che sta al di fuori del potere. La misoginia è presente quando si associano le donne alla follia, all'isteria, alla natura - come se ci fosse una predisposizione che attribuisse loro un'inaffidabilità naturale, originaria. Quest'inaffidabilità mitica è stata creata dal patriarcato stesso per insidiare la relazione delle donne tra loro. Se le donne avessero fiducia in sé stesse, e le une nelle altre, il sistema tenuto su dalla differenza gerarchica tra uomini e donne e dalla stupida sfiducia nella potenza delle donne potrebbe collassare.

In questo senso possiamo dire che il femminismo è un operatore teorico-pratico, nel senso però di 'controdispositivo': viene azionato per disattivare il dispositivo di potere della dominazione maschile patriarcale. Chiamo 'controdispositivo' il metodo necessariamente costruito sulla base di una teoria e di un'azione in grado di smontare il dispositivo che è il patriarcato. Cos'è un dispositivo? Il filosofo francese Michel Foucault ha definito il potere come un dispositivo, vale a dire come un ordinamento. Anche il patriarcato è una forma di potere. È come una cosa, una roba fatta di idee pronte e indiscutibili, di certezze naturalizzate, di dogmi e leggi che non possono essere messi in discussione, di molta violenza simbolica e fisica, di molta sofferenza e molta colpa, amministrate da persone che hanno l'interesse basico di mantenere i propri privilegi di genere, di sessualità, di razza, di classe, di età e di plasticità. Il femminismo è il controdispositivo, una specie di ago che fa scoppiare questa bolla.

[...]

Ma ciò che rende il femminismo ancora più complesso non è solo questo senso profondamente filosofico di messa in discussione dello status quo patriarcale, caratterizzato dall'associazione intersezionale di genere-razza-classe-sessualità e - aggiungiamo - età e plasticità. Ciò che lo rende ancora più complesso è il suo carattere inventivo, il suo modo di essere processuale, capace di ricrearsi e reinventarsi. Il femminismo, insistiamo su questo punto, più che composto di teoria e pratica intimamente intrecciate, è l'invenzione di un altro mondo possibile, a partire dallo smontaggio del gioco patriarcale, ma solo nella misura in cui l'invenzione di un altro mondo ne costituisce l'utopia.

La diversità femminista è la fonte e l'effetto della caratteristica più profonda di ciò che chiamiamo genericamente 'femminismo'. Il femminismo sorge come contrapposizione al sistema, ma anche come promessa. Contro una visione del mondo pronta, il femminismo è come la dialettica negativa che punta al superamento di uno stato sociale ingiusto e che non teme di sparire dopo aver svolto la sua funzione storico-sociale.

[...]

Il dialogo è un movimento tra presenze che differiscono tra loro. Il femminismo è, in questo senso, un'utopia concreta in cui l'intreccio tra politica ed etica si orienta verso la difesa della singolarità delle persone. Il femminismo è la vera democrazia che vogliamo, una democrazia profonda, che inizia ponendo la questione dei diritti delle donne e prosegue interrogando l'urgenza dei diritti di tutti coloro che soffrono sotto gioghi diversi, in scenari in cui il potere del capitale stabilisce ogni forma di violenza, dalla più sottile alla più brutale.

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Pagina 61

Il rabbonimento e la sottomissione delle donne ha tutto a che vedere con questo. Tutte le volte che le donne sono diventate indesiderabili o inutili, pericolose o disobbedienti, sono state perseguitate e ammazzate. E questa persecuzione e violenza è stata sostenuta dal discorso misogino. È sempre stato più facile odiare le donne piuttosto che gli uomini, anche quando questi sarebbero stati ben più odiabili di loro.

Per rabbonire le persone identificate come donne è stato inventato il 'femminile'. Il femminile è il termine usato per salvaguardare la negatività che si desidera attribuire alle donne nel sistema patriarcale. Elogiato da poeti e filosofi, il femminile non è altro che la demarcazione di un regime estetico-morale per le donne identificate con la negatività.

Tra l'elogio del carattere femminile e il femminismo c'è un abisso estetico, etico e politico, un abisso antropologico che riproduce questioni teologiche. Possiamo chiederci se un elogio del femminile così come viene raffigurato nella logica patriarcale serva a nascondere l'odio che si prova nei confronti delle donne e del femminismo. Come l'odio nei confronti dei neri è un odio alla discussione antirazzista, come l'odio nei confronti del comunismo si realizza come odio nei confronti dell'idea della lotta di classe o di critica del capitalismo, l'odio nei confronti del femminismo va di pari passo con l'odio nei confronti delle donne.

Il femminismo si presenta come critica nei confronti del patriarcato sotto forma di Stato, Media, Chiesa, Famiglia, Capitale.

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17. Pensare insieme: per un femminismo in comune





Cosa siamo capaci di afferrare del mondo in cui viviamo? Complesse sono le contraddizioni sociali e la produzione di illusioni non smette di rinnovarsi. Forse non c'è nulla di più evidente della necessità del femminismo come chiave d'accesso a un mondo migliore. Le donne continuano a essere oppresse, umiliate e violentate. Gli uomini, anche nei loro privilegi, vivono affossati nella miseria dello spirito, in una società che si autodistrugge. Non ci sarà un mondo migliore per nessuno se non c'è una costruzione collettiva capace di pensare in qualcosa di comune che emancipi tutti.

La trasformazione della società dev'essere pensata nell'ottica di una vita migliore per tutti gli individui. Questo implica pensare un altro progetto. Un'altra politica, un altro potere, un'altra educazione, un'altra etica, un'altra economia. Il femminismo è il campo teorico e pratico che può costruire una politica con un altro sistema di riferimenti: la natura, il corpo, la cura, la presenza, la vita degna. Scrivo pensando in termini ecologisti e convinta che l'ecofemminismo, in quanto riconoscimento del nostro spazio nella natura e motto della costruzione politica, sia il futuro che dobbiamo conquistare.

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