Autore Alain Touraine
Titolo Critica della modernità
SottotitoloL'epoca moderna tra soggetto e ragione
EdizioneNet, Milano, 2005 [1993], Quality Paperback 222 , pag. 448, cop.fle., dim. 12,6x20x2,8 cm , Isbn 978-88-515-2261-2
OriginaleCritique de la modernitè
EdizioneFayard, Paris, 1992
TraduttoreFrancesco Sircana
Classe sociologia , filosofia












 

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Indice


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    Parte I     La modernità trionfante
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1   I lumi della ragione                             21

  1.  L'ideologia occidentale                        21
  2.  Tabula rasa                                    22
  3.  La natura, il piacere e il gusto               25
  4.  L'utilità sociale                              28
  5.  Rousseau, critico modernista della modernità   33
  6.  Il capitalismo                                 37
  7.  L'ideologia modernista                         42

2   L'anima e il diritto naturale                    49

  1.  La resistenza agostiniana                      49
  2.  Descartes, doppiamente moderno                 59
  3.  L'individualismo di Locke                      64
  4.  La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e
      del cittadino                                  70
  5.  La fine della modernità pre-rivoluzionaria     74

3   Il senso della storia                            81

  1.  Lo storicismo                                  81
  2.  La rivoluzione                                 85
  3.  La modernità senza rivoluzione: Tocqueville    90
  4.  La nostalgia dell'essere                       93
  5.  La ricostruzione dell'ordine                   94
  6.  La «bella totalità»                            97
  7.  La prassi                                     100
  8.  Addio alla rivoluzione                        108

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    Parte II    La modernità in crisi
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1   La scomposizione                                113

  1.  Le tre tappe della crisi                      113
  2.  Quattro frammenti                             118
  3.  L'unità nascosta                              121

2.  La distruzione dell'Io                          129

  1.  Ancora Marx                                   129
  2.  Nietzsche                                     131
  3.  Freud                                         143
  4.  La sociologia di fine Ottocento               155
  5.  Le due critiche della modernità               157

3.  La nazione, l'impresa, il consumatore           163

  1.  Gli attori della modernizzazione              163
  2.  La nazione                                    164
  3.  L'impresa                                     169
  4.  Il consumo                                    172
  5.  La tecnica                                    175

4.  Gli intellettuali contro la modernità           181

  1.  Horkheimer e la scuola di Francoforte         182
  2.  Michel Foucault, il potere e i soggetti       197
  3.  I clerici contro il secolo                    206

5.  Vie d'uscita dalla modernità                    211

  1.  Il mercato e il ghetto                        213
  2.  I postmodernismi                              220
  3.  La via di mezzo                               230

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    Parte III   Nascita del soggetto
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1.  Il soggetto                                     239
  1.  Ritorno alla modernità                        239
  2.  La soggettivazione                            243
  3.  L'individuo, il soggetto, l'attore            246
  4.  L'origine religiosa del soggetto              252
  5.  La modernità divisa                           256
  6.  Donne soggetti                                262
  7.  L'altro                                       263
  8.  II ritorno del soggetto                       268
  9.  La modernità come produzione del soggetto     271
  10. Una dissociazione controllata                 273

2.  Il soggetto come movimento sociale              275

  1.  La contestazione                              275
  2.  Il soggetto e le classi sociali               277
  3.  Dalle classi ai movimenti                     282
  4.  La società programmata                        287
  5.  L'uno o l'altro                               295

3.  Io non è l'Io                                   299

  1.  Le discipline della ragione                   299
  2.  L'individualismo                              302
  3.  La dissoluzione dell'Io                       311
  4.  I1 miraggio della modernità assoluta          317
  5.  L'Io [Je] contro il Sé                        320
  6.  Il soggetto assente                           327
  7.  Impegno e disimpegno                          330
  8.  L'etica                                       334
  9.  Il soggetto è storico?                        338
  10. La speranza                                   342

4.  L'ombra e la luce                               347

  1.  I due aspetti del soggetto                    347
  2.  Il ritorno della memoria                      350
  3.  Le trappole dell'identità                     354
  4.  Religione e modernità                         358
  5.  Il pericolo totalitario                       360
  6.  Il moralismo                                  366
  7.  Libertà e liberazione                         368
  8.  Modernità e modernizzazione                   370
  9.  Altrimenti                                    375

5.  Che cos'è la democrazia?                        379

  1.  Dalla sovranità popolare ai diritti dell'uomo 380
  2.  La libertà negativa                           382
  3.  La cittadinanza                               384
  4.  La rappresentatività                          385
  5.  I partiti                                     386
  6.  Il liberalismo non è la democrazia            388
  7.  La teoria della democrazia di Jürgen Habermas 391
  8.  La democratizzazione                          398
  9.  Lo spazio pubblico                            402
  10. La personalità democratica                    405

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    Punti d'arrivo
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  1.  Immagini della società                        409
  2.  Il ruolo degli intellettuali                  420
  3.  La piena modernità                            424
  4.  Percorsi                                      427
  5.  Tappa                                         430

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  Bibliografia                                      435
  Indice dei nomi citati                            443
  Indice analitico                                  446


 

 

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Pagina 11

Presentazione


Presenza centrale nelle nostre idee e nelle nostre pratiche da oltre tre secoli la modernità è oggi messa in discussione, respinta o ridefinita. Ma che cos'è la modernità?

L'idea di modernità, nella sua forma più ambiziosa, fu l'affermazione secondo cui l'uomo è ciò che fa, e dunque deve esistere una corrispondenza sempre più stretta tra la produzione, resa più efficace dalla scienza, dalla tecnologia o dall'amministrazione, l'organizzazione della società regolata dalla legge e la vita personale, mossa dall'interesse ma anche dalla volontà di liberarsi da tutte le costrizioni. Su cosa si basa questa corrispondenza tra una cultura scientifica, una società ordinata e individui liberi, se non sul trionfo della ragione? Essa sola istituisce una corrispondenza tra l'azione umana e l'ordine del mondo; quella corrispondenza che tante concezioni religiose, nonostante il finalismo proprio delle religioni monoteistiche basate su una rivelazione, già avevano cercato di instaurare. La ragione anima la scienza e le sue applicazioni; inoltre, comanda l'adattamento della vita sociale ai bisogni individuali o collettivi; infine, sostituisce all'arbitrio e alla violenza lo stato di diritto e il mercato. L'umanità, agendo secondo le sue leggi, procede contemporaneamente verso l'abbondanza, la libertà e la felicità.

Proprio questa affermazione centrale è stata contestata o respinta dai critici della modernità.

In cosa la libertà, la felicità personale o la soddisfazione dei bisogni sarebbero razionali? Ammettiamo che l'arbitrio del principe e il rispetto di consuetudini locali e professionali si oppongano alla razionalizzazione della produzione e che questa esiga che cadano le barriere, che arretri la violenza e che si instauri uno stato di diritto. Ciò peraltro non ha niente da spartire con la libertà, la democrazia e la felicità individuale, come ben sanno i francesi, il cui stato di diritto si è costituito insieme alla monarchia assoluta. Che l'autorità legale razionale sia associata all'economia di mercato nella costruzione della società moderna non basta - tutt'altro - a dimostrare che lo sviluppo e la democrazia siano legati reciprocamente dalla forza della ragione. Essi sono uniti dalla comune lotta contro la tradizione e l'arbitrio, dunque negativamente, non positivamente. La stessa critica vale, a maggior ragione, contro il presunto legame tra razionalizzazione e felicità. La liberazione dai controlli e dalle forme tradizionali di autorità consente la felicità ma non la garantisce; richiede la libertà ma contemporaneamente la sottopone all'organizzazione centralizzata della produzione e del consumo. L'affermazione secondo cui il progresso sarebbe il cammino verso l'abbondanza, la libertà e la felicità, e questi tre obiettivi sarebbero strettamente legati gli uni agli altri, non è che un'ideologia costantemente smentita dalla storia.

Inoltre, dicono i critici più radicali, il cosiddetto regno della ragione non coincide forse con l'influenza crescente del sistema sugli attori, con la normalizzazione e la standardizzazione che, dopo aver distrutto l'autonomia dei lavoratori, si estendono al mondo del consumo e della comunicazione? Questo dominio si esercita talvolta liberamente, talvolta in modo autoritario, ma in tutti i casi questa modernità, anche e soprattutto quando si richiama alla libertà del soggetto, ha come fine la sottomissione di ciascuno agli interessi di tutti, si tratti dell'impresa, della nazione, della società oppure della ragione stessa. E non è forse in nome della ragione e del suo universalismo che il dominio dell'uomo occidentale maschio, adulto e istruito si è esteso sul mondo intero, dai lavoratori ai colonizzati, dalle donne ai bambini?

Come simili critiche potrebbero non risultare convincenti alla fine di un secolo dominato dal movimento comunista, che impose a un terzo del mondo regimi totalitari fondati sulla ragione, sulla scienza e sulla tecnica?

Ma l'Occidente risponde che da lungo tempo ormai, da quando la Rivoluzione francese si trasformò in Terrore, diffida di questo razionalismo volontarista, di questo dispotismo illuminato. Lentamente, infatti, a una visione razionalistica dell'universo e dell'azione umana ha sostituito una concezione più modesta, puramente strumentale, di una razionalità messa sempre più al servizio di domande, di bisogni che, via via che ci si inoltra in una società di consumo di massa, sfuggono viepiù alle regole cogenti di un razionalismo centrato sull'accumulazione piuttosto che sul consumo dei più. Infatti, questa società dominata dal consumo e più recentemente dalle comunicazioni di massa è distante dal capitalismo puritano cui si riferiva Weber non meno che dal richiamo di tipo sovietico alle leggi della storia.

Ma altri critici insorgono contro questa concezione dolce della modernità. Non si perde forse essa nell'inconsistenza; non accorda la massima importanza alle esigenze mercantili più immediate, dunque meno importanti? Non è forse cieca in quanto riduce la società a un mercato e non si cura né delle diseguaglianze che essa accresce né della distruzione dell'ambiente naturale e sociale che essa accelera?

Per sfuggire alla forza di questi due tipi di critiche, molti si appagano di una concezione ancora più modesta della modernità. Per costoro, il richiamo alla ragione non fonda alcun tipo di società; esso è una forza critica che dissolve i monopoli come le corporazioni, le classi o le ideologie. La Gran Bretagna, i Paesi Bassi, gli Stati Uniti e la Francia sono entrati nella modernità mediante una rivoluzione e il rifiuto dell'assolutismo. Oggigiorno, quando la parola rivoluzione è carica più di connotazioni negative che positive, si parla piuttosto di liberazione, si tratti della liberazione di una classe oppressa, di una nazione colonizzata, delle donne dominate o delle minoranze perseguitate. Dove porta tale liberazione? Per gli uni, all'eguaglianza delle opportunità; per gli altri, a un multiculturalismo ben temperato. Ma la libertà politica non è soltanto negativa, quando è ridotta d'impossibilità per chiunque di giungere al potere o di restarvi contro la volontà della maggioranza, secondo la definizione formulata da Isaiah Berlin? La felicità è semplicemente la libertà di seguire la propria volontà o i propri desideri? Insomma, la società moderna tende a eliminare tutte le forme di sistema e tutti i princìpi di organizzazione per essere soltanto un flusso molteplice di mutamenti, dunque di strategie personali, relative all'organizzazione o politiche, regolate dalla legge e dai contratti? Un liberalismo così coerente non definisce più alcun principio di governo, di gestione o di educazione. Esso non garantisce più la corrispondenza tra il sistema e l'attore, obiettivo supremo dei razionalisti dei lumi, e si riduce a una tolleranza che è rispettata solo in assenza di crisi sociale grave e che giova soprattutto a quanti dispongono delle risorse più abbondanti e più varie.

Una concezione così debole della modernità non si vanifica da sé? È questo il punto di partenza dei critici postmoderni. Nella vita moderna, nella moda e nell'arte moderna, Baudelaire vedeva la presenza dell'eterno nell'istante. Ma non era forse una semplice transizione dalle «visioni del mondo» fondate su stabili princìpi religiosi o politici verso una società poststorica, tutta fatta di varietà dove il qui e l'altrove, il vecchio e il nuovo coesistono senza pretesa di egemonia? E questa cultura postmoderna non è forse incapace di creare, non è forse ridotta a riflettere le creazioni delle altre culture, di quelle che si consideravano portatrici di una verità?

Dalla sua forma più dura alla sua forma più debole, più modesta, l'idea di modernità, quando è definita mediante la distruzione degli antichi ordini e mediante il trionfo della razionalità, oggettiva o strumentale, ha perso la propria forza di liberazione e di creazione. Essa stenta a resistere alle forze avverse almeno quanto il generoso richiamo ai diritti dell'uomo fatica a resistere all'ascesa del differenzialismo e del razzismo.

Ma occorre forse per questo passare nel campo avverso e aderire al ritorno in forze dei nazionalismi, dei particolarismi, degli integralismi, religiosi o no, che sembrano crescere ovunque, nei paesi più moderni come in quelli più brutalmente sconvolti da una modernizzazione forzata? Comprendere la formazione di simili movimenti richiede, certo, un'interrogazione critica sull'idea di modernità, quale si è sviluppata in Occidente, ma non può giustificare in alcun modo l'abbandono, contemporaneamente, dell'efficacia della ragione strumentale, della forza liberatrice del pensiero critico e dell'individualismo.

Eccoci giunti al punto di partenza di questo libro. Se noi rifiutiamo il ritorno alla tradizione e alla comunità, dobbiamo cercare una nuova definizione della modernità e una nuova interpretazione della nostra storia «moderna», così spesso ridotta all'ascesa, necessaria e liberatrice al contempo, della ragione e della secolarizzazione. Se la modernità può essere definita solo attraverso la razionalizzazione e se, viceversa, una visione della modernità come flusso incessante di mutamenti tiene troppo poco conto della logica del potere e della resistenza delle identità culturali, non diviene forse chiaro che la modernità si definisce proprio grazie a questa separazione crescente tra il mondo oggettivo, creato dalla ragione in accordo con le leggi della natura, e il mondo della soggettività, cioè anzitutto dell'individualismo, o più precisamente di un appello alla libertà personale? La modernità ha infranto il mondo sacro, che era naturale e divino al tempo stesso, trasparente alla ragione e creato. Essa non l'ha sostituito con quello della ragione e della secolarizzazione, rinviando i fini ultimi in un mondo che l'uomo non potrebbe più raggiungere; essa ha imposto la separazione tra un soggetto sceso dal cielo sulla terra, umanizzato, e il mondo degli oggetti, manipolati dalle tecniche. All'unità di un mondo creato dalla volontà divina, dalla ragione o dalla storia, ha sostituito la dualità di razionalizzazione e soggettivazione.

Ecco quale sarà lo sviluppo di questo libro. Esso rievocherà anzitutto il trionfo delle concezioni razionalistiche della modernità, malgrado la resistenza del dualismo cristiano che animò il pensiero di Descartes , le teorie del diritto naturale e la dichiarazione dei diritti dell'uomo. Poi seguirà la distruzione, nel pensiero e nelle pratiche sociali, di questa idea di modernità, sino alla completa separazione tra un'immagine della società come flusso di mutamenti incontrollabili in mezzo ai quali gli attori elaborano strategie di sopravvivenza o di conquista, e, d'altro canto, un immaginario culturale postmoderno. Infine, proporrà di ridefinire la modernità come relazione, carica di tensioni, tra la ragione e il soggetto, tra la razionalizzazione e la soggettivazione, tra lo spirito del Rinascimento e quello della Riforma, tra la scienza e la libertà. Posizione ugualmente distante sia dal modernismo oggi in declino sia dal postmodernismo il cui fantasma si aggira per ogni dove.

Da che parte bisogna ingaggiare la battaglia principale? Contro l'orgoglio dell'ideologia modernista o contro la distruzione dell'idea stessa di modernità? Gli intellettuali hanno scelto più frequentemente la prima risposta. Il nostro secolo, che ai tecnologi e agli economisti appare l'epoca della modernità trionfante, è stato dominato intellettualmente dal discorso antimodernista. Tuttavia, oggi, mi sembra più reale l'altro pericolo, quello della dissociazione completa del sistema dai suoi attori, del mondo tecnico o economico dal mondo della soggettività. Più la nostra società sembra ridursi a un'impresa che lotta per sopravvivere su un mercato internazionale, più al tempo stesso si diffonde ovunque l'ossessione di un'identità che non è più definita in termini sociali, si tratti del nuovo comunitarismo dei paesi poveri o dell'individualismo narcisistico dei paesi ricchi. La separazione completa della vita pubblica dalla vita privata comporterebbe il trionfo di poteri che sarebbero definiti ormai soltanto in termini di gestione e di strategia, e di fronte ai quali i più si ripiegherebbero entro uno spazio privato: ciò scaverebbe un abisso senza fondo là dove si trovava lo spazio pubblico, sociale e politico, e là dove erano nate le democrazie moderne. Come non vedere in una simile situazione una regressione verso le società in cui i potenti e il popolo vivevano in universi separati, quello dei guerrieri conquistatori da una parte, quello delle persone comuni chiuse in una società locale dall'altra? Soprattutto, come non vedere che il mondo è diviso più profondamente che mai tra un Nord, ove regnano lo strumentalismo e il potere, e un Sud, che si chiude nell'angoscia della propria identità perduta?

Ma tale rappresentazione non corrisponde del tutto alla realtà. Noi non viviamo completamente in una situazione postmoderna, di dissociazione completa tra il sistema e l'attore, ma almeno altrettanto in una società postindustriale, che io preferisco chiamare programmata, definita dall'importanza centrale delle industrie culturali (medicina, istruzione, informazione), ove un conflitto centrale contrappone gli apparati di produzione culturale alla difesa del soggetto personale. Questa società postindustriale costituisce un campo d'azione culturale e sociale ancora più fortemente istituzionalizzato di quanto non fosse la società industriale oggi in declino. Il soggetto non può dissolversi nella postmodernità poiché esso si afferma nella lotta contro i poteri che impongono il proprio dominio in nome della ragione. L'estensione senza limiti degli interventi dei poteri scioglie i1 soggetto dall'identificazione con le proprie opere e dalle filosofie troppo ottimistiche della storia.

Come ricreare alcune mediazioni tra economia e cultura? Come reinventare la vita sociale e in particolare la vita politica, la cui decomposizione attuale, quasi ovunque nel mondo, è il prodotto di questa dissociazione tra gli strumenti e il senso, tra i mezzi e i fini? Ecco quale sarà più tardi il seguito politico di questa riflessione, che cerca di salvare l'idea di modernità sia dalla forma conquistatrice e brutale che le ha dato l'Occidente sia dalla crisi che essa subisce da un secolo a questa parte. La critica della modernità qui presentata vuole liberarla da una tradizione storica che l'ha ridotta alla razionalizzazione e introdurre in essa il tema del soggetto personale e della soggettivazione. La modernità non si basa su un principio unico e ancor meno sulla semplice distruzione degli ostacoli che si oppongono al regno della ragione; essa è fatta dal dialogo tra la ragione e il soggetto. Senza la ragione, il soggetto si chiude nell'ossessione della propria identità; senza il soggetto, la ragione diviene lo strumento della potenza. In questo secolo, abbiamo conosciuto sia la dittatura della ragione sia le perversioni totalitarie del soggetto; le due figure della modernità, che si sono combattute o ignorate, potranno finalmente comunicare e imparare a convivere?

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