Copertina
Autore Warren Treadgold
Titolo Storia di Bisanzio
EdizioneIl Mulino, Bologna, 2005 , pag. 338, dim. 134x211x17 mm , Isbn 978-88-15-09823-8
OriginaleA Concise History of Bizantium
EdizioneHounmills, New York, 2001
CuratoreGiorgio Ravegnani
TraduttoreGiacomo Garbisa
LettorePiergiorgio Siena, 2006
Classe storia antica , storia medievale , storia: Europa , paesi: Turchia
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Indice

Prefazione                                     7
Introduzione                                   9

I. La formazione di Bisanzio (285-457)        23

1. Diocleziano il rifondatore                 23
2. Costammo il fortunato                      29
3. Cinque imperatori in lotta                 40
4. Tre imperatori deboli                      47
5. Una nuova società                          54
6. Una nuova cultura                          63

II. Riconquista e crisi (457-602)             73

1. La sopravvivenza dell'Oriente              73
2. Giustiniano il riconquistatore             80
3. Giustiniano e la peste                     86
4. I successori di Giustiniano                94
5. Una società divisa                        101
6. Una diversa cultura                       108

III. Catastrofe e contenimento (602-780)     119

1. Eraclio il difensore                      119
2. Costante II il riformatore                126
3. Incursioni e ribellioni                   132
4. Tre imperatori iconoclasti                140
5. Una società ridotta                       147

IV. Ripresa e vittoria (780-1025)            165

1. La rinascita dell'impero                  165
2. L'impero rinvigorito                      173
3. Rivalità e sviluppo                       180
4. Niceforo II e Giovanni I il conquistatore 185
5. Basilio II il trionfante                  190
6. Una società in espansione                 198
7. Un risveglio culturale                    208

V. Prosperità e debolezza (1025-1204)        215

1. Tredici imperatori minori                 215
2. Due imperatori capaci                     223
3. Ambizione e disgregazione                 229
4. Una società irrequieta                    236
5. Una cultura rinvigorita                   245

VI. Restaurazione e caduta (1204-1461)       255

1. I successori                              255
2. La restaurazione di Michele Vili          260
3. Opportunità mancate                       268
4. La fine di Bisanzio                       276
5. Una società difensiva                     281
6. Un Rinascimento mancato                   289

Conclusioni                                  299
Cronologia                                   313
Bibliografia                                 321
Indice dei nomi                              331


 

 

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Pagina 23

Capitolo primo

La formazione di Bisanzio (285-457)


1. Diocleziano il rifondatore

Diocleziano, come la maggior parte degli imperatori rimasti per breve tempo al governo durante il mezzo secolo precedente, era un militare proveniente dalla penisola balcanica, a quel tempo chiamata Illirico. Uomo dotato di sangue freddo e astuto, si guadagnò il rispetto di coloro che lo conobbero o ebbero rapporti con lui. Il suo vero nome, Diocle, significava «Gloria di Zeus», ed egli lo prese sul serio mostrando per tutta la vita una speciale devozione nei confronti del padre degli dei. Era inoltre un nome greco, che poi latinizzò in Diocleziano. Evidentemente si trovava a proprio agio parlando sia il latino, la lingua dell'esercito e dell'amministrazione, sia il greco, la lingua comune fra gli indigeni poliglotti della parte orientale dell'impero. Nel 284, all'età di circa quarantanni, era capo della guardia imperiale quando s'impadronì del potere in Oriente sostenendo, all'atto della proclamazione, di essere innocente della morte del suo predecessore. L'anno seguente, in una cruenta battaglia nell'Illirico, Diocleziano si liberò del suo ultimo rivale: il fratello dell'imperatore a cui era succeduto.

Non appena Diocleziano ebbe conquistato la parte occidentale dell'impero, la assegnò al suo compagno d'armi e amico Massimiano, che poi, non avendo figli, adottò nominandolo cesare (o imperatore subalterno), il titolo usuale per il figlio ed erede dell'augusto, l'imperatore più anziano; sembra però che già dal principio Diocleziano avesse destinato Massimiano, di pochi anni più giovane di lui, a diventare il sovrano permanente dell'Occidente. Un anno più tardi Diocleziano rese chiaro il suo proposito promovendo il collega al titolo di augusto. Grazie alla sua fedeltà e abilità, Massimiano si dimostrò meritevole della fiducia di Diocleziano sebbene avesse il difficile compito di conservare la più povera e meno difendibile metà dell'impero con soltanto un terzo circa dell'esercito. Diocleziano inoltre mantenne la suprema autorità in ogni parte dell'impero, dove tutti i suoi provvedimenti avevano valore di legge.

Mentre alcuni imperatori del passato avevano affidato ai loro figli il controllo su parte dell'impero solo come una soluzione di emergenza, la divisione attuata da Diocleziano fu rivoluzionaria, non solo perché formale e permanente, ma anche perché chiarì agli occhi di tutti che la parte orientale dell'impero, in suo possesso, era la più importante. Diocleziano rese tutto ciò inequivocabile assumendo per sé il nome di Giovio e per Massimiano quello di Erculio, paragonando così se stesso a Zeus e il collega a Èrcole figlio di Zeus. Senza dubbio fin dalla costituzione dell'impero l'Oriente aveva prodotto maggiori entrate rispetto all'Occidente e dal II secolo l'esercito orientale era stato più numeroso di quello occidentale. Fino ad allora l'importanza storica di Roma e dell'Italia aveva ancora consentito all'Occidente di conservare un certo vantaggio in autorità e prestigio all'interno dell'impero, ma a un militare grecofono come Diocleziano interessavano maggiormente gli eserciti e le risorse necessarie per poterli pagare. Dopo di lui l'Occidente non riuscì mai più a riconquistare veramente il suo ruolo dominante.

I territori orientali che Diocleziano governò direttamente includevano quattro regioni principali. All'estremo Occidente, l'Illirico, dove si parlava il latino tanto quanto il greco, avrebbe potuto essere incluso nella parte occidentale se non fosse stato proprio la patria di Diocleziano. L'Illirico era la più vasta ma la più povera regione dell'Oriente, sottopopolata e con poca estensione messa a coltura, priva di un vero grande centro urbano e con il confine danubiano vulnerabile alle incursioni barbariche. La regione più ricca dell'Oriente era l'Egitto, il principale fornitore di grano dell'impero, non difficile da difendere; comprendeva inoltre l'importante porto cittadino di Alessandria. La Siria era pressappoco prosperosa quanto l'Egitto e la sua più illustre città, Antiochia, era grande più o meno come Alessandria, anche se il territorio era meno popolato e meno difendibile per la presenza dei Persiani appena al di là del deserto che segnava il confine in Mesopotamia. La più centrale, difendibile, ellenizzata e probabilmente popolosa regione era l'Anatolia, benché mancasse di una metropoli delle dimensioni di Alessandria o Antiochia.

Da imperatore Diocleziano viaggiò per tutti i suoi domini, ma il luogo in cui trascorse più tempo rispetto a qualsiasi altro fu Nicomedia in Anatolia: se è possibile che abbia accordato tale preferenza alla città perché proprio lì era divenuto imperatore, è anche vero che era opportunamente ubicata sulla principale via che univa le due problematiche frontiere dell'Illirico e della Siria. Per diversi anni fece faticosamente la spola fra le due regioni, mentre nello stesso tempo in Occidente Massimiano aveva ancora maggiori problemi nel difendere i confini del Danubio e del Reno. Nel 293, perciò, Diocleziano decise di tentare una soluzione tanto audace quanto la sua precedente divisione dell'impero. Ciascun augusto affidò la responsabilità di una di queste due frontiere minacciate a un nuovo cesare, che in entrambi i casi divenne figlio adottivo. Costanzo, il cesare di Massimiano, si occupò della difesa del Reno e Galerio, il cesare di Diocleziano, in un primo momento si prese cura del deserto siriano, stabilendo il suo quartier generale ad Antiochia. Nonostante questo sistema sia spesso chiamato tetrarchia - governo di quattro imperatori -, la divisione principale rimase fra Oriente ed Occidente, dove ciascun augusto e ciascun cesare cooperavano, mentre Diocleziano manteneva la sua autorità al di sopra di tutto.

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Pagina 39

L'adozione da parte di Costantino del cristianesimo come religione dell'impero, nonostante fosse senza ombra di dubbio una questione di convinzione religiosa piuttosto che di condotta politica, risultò estremamente vantaggiosa per lo stato. Il cristianesimo era caratterizzato da un rigore spirituale, morale e organizzativo che all'epoca non era più possibile trovare nel paganesimo; questo non possedeva né la struttura gerarchica né l'impianto teologico necessari per attuare un cambiamento e, anche ammesso che ci fosse riuscito, avrebbe sicuramente perso quel richiamo alla tradizione che era rimasto l'unico chiaro vantaggio nei confronti del cristianesimo. Fin dai tempi di Diocleziano risultò subito evidente che era impossibile sopprimere il cristianesimo, che le persecuzioni portavano solamente problemi e che la tolleranza era una via che non soddisfaceva praticamente nessuno. Nonostante la conversione di Costantino potesse esser sembrata prematura, soprattutto in Occidente, questa in realtà ottenne talmente ampi consensi e provocò così poche critiche che effettivamente potè averlo aiutato a trionfare nelle guerre civili e sicuramente non gli causò alcun tipo di problema. D'altra parte il suo comportamento ambiguo nella controversia ariana, che sarebbe sicuramente terminata in fretta se soltanto avesse difeso le decisioni prese nel concilio di Nicea, mise in luce come Costantino avesse interpretato poco profondamente la fede religiosa che aveva adottato.

Costantinopoli, la cui fondazione a quel tempo deve essere sembrata una stravaganza, a lungo andare divenne anche prospera, portando ben presto il duplice vantaggio dovuto alla indipendenza di fatto e al dominio sulla parte orientale dell'impero. Mentre l'Occidente era più povero e debole senza l'Oriente, l'Oriente era più ricco e più forte senza l'Occidente, anche se entrambi avrebbero sicuramente ottenuto maggiori risultati se si fossero sforzati di collaborare in maniera più stretta di quanto facessero. Soltanto poche città dell'impero potevano vantarsi di essere completamente difendibili come Costantinopoli e la sua inespugnabilità risultava vitale per la sopravvivenza stessa della zona orientale. In realtà Costantino non poteva aver previsto nulla del genere: come tutti gli altri successi della sua carriera, la rifondazione di Bisanzio non fu tanto accorta né previdente, quanto piuttosto fortunata. Molto di ciò che restò della sua eredità divenne un peso per i successori.

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Pagina 63

6. Una nuova cultura

I grandi unificatori culturali dell'impero bizantino furono il governo, il cristianesimo e la lingua greca. Tutti e tre erano legati gli uni agli altri. Dai tempi di Costantino gli imperatori generalmente riconobbero l'autorità della chiesa in questioni religiose e morali. La chiesa, che a lungo aveva riconosciuto la legittimità dello stato romano nella sfera laica, lo accettò volentieri come alleato. Il governo orientale, che esercitava un nuovo tipo di ingerenza, usò il greco piuttosto che il latino anche se il latino continuò ad essere la lingua ufficiale dell'impero. Il greco era già la lingua del Nuovo Testamento cristiano e delle forme più comuni della liturgia cristiana in Oriente. Prima di Diocleziano la maggioranza delle persone nell'impero orientale aveva pochi contatti con il governo, conosceva a malapena il cristianesimo e viveva in luoghi dove il greco si udiva solo di rado. Entro la metà del V secolo la maggior parte degli abitanti dell'impero doveva avere a che fare regolarmente con il governo, era cristiana almeno nominalmente ed aveva imparato a convivere con il greco, se non a usarne più di qualche parola per necessità.

Il cristianesimo era un tipo di religione molto differente dal paganesimo. Quello che noi chiamiamo paganesimo, che mancò anche di un nome appropriato per designarsi, era un insieme di credenze e culti disparati senza una precisa teologia, un'etica o un'organizzazione definita. La lista delle sue molteplici divinità era convenzionale e mutevole e molte di queste divinità erano vagamente identificate con altre, come per esempio il greco Zeus che corrispondeva al romano Giove e al semitico Baal. Come da tradizione, le divinità commettevano adulteri, incesti, violenze carnali, furti ed assassini; Zeus stesso era un adultero e un pedofilo che aveva ucciso suo padre e sposato sua sorella.

Poiché gli dei concedevano favori agli uomini in cambio di venerazione e sacrifici piuttosto che di una retta condotta morale, il concetto di morale che la maggior parte dei pagani possedeva era basato sulla tradizione e non sull'obbedienza o l'emulazione degli dei. La filosofia dominante del III e IV secolo, che chiamiamo neoplatonismo, sosteneva che gli dei della tradizione erano del tutto insignificanti, subordinati ad un dio onnipotente e perfetto («l'Uno») nettamente più potente di loro. Modellato dalla società, piuttosto che foggiarne i lineamenti, il paganesimo al massimo rispecchiava quell'unità che la società già possedeva. A meno che l'impero non assicurasse ai pagani il ruolo dominante, come era successo in passato con Diocleziano, Massimino e Giuliano, questi difficilmente erano in grado di opporsi alla diffusione del cristianesimo.

Nata come religione di una ristretta minoranza, anche se in rapida crescita, quando si affermò sotto Costantino il cristianesimo si diffuse rapidamente nell'impero. Lo stato ne aiutò la diffusione, anche se nessuna legge da questo emanata contro il paganesimo fu mai così rigorosa come quelle promulgate in precedenza contro i cristiani. Il governo danneggiò molto il paganesimo semplicemente privandolo della sua protezione che era vitale per argomentare che ciascuno doveva venerare gli dei perché quasi tutti gli altri lo facevano, compreso l'imperatore. Solo i filosofi erano pronti a difendere il paganesimo per i suoi meriti e lo facevano invocando un dio talmente elevato da sembrare al di sopra della maggior parte delle preoccupazioni umane, cosa che non era invece il Dio dei cristiani. Il tentativo di Giuliano di combinare una simile filosofia con il paganesimo tradizionale fu troppo superstizioso per molti neoplatonici e troppo filosofico per molti pagani normali. Al tempo del concilio di Calcedonia, i cristiani erano in maggioranza in ogni parte dell'impero.

Malgrado le antiche dicerie secondo cui i cristiani si dedicavano al cannibalismo e ad atti incestuosi, i pagani ben presto scoprirono che costoro non solo si comportavano in maniera rispettabile ma, come gli ebrei, davano alla morale un sostegno religioso che i pagani non potevano dare. La maggior parte dei pagani, pur disapprovando i comportamenti adulteri ed omosessuali, aveva esitato a rifiutare quei miti che li attribuivano alle loro divinità. I filosofi, anche se avevano seguito Platone nel rifiuto della mitologia e nella condanna dell'omosessualità, potevano a fatica trovare esempi di autodisciplina in divinità che annoveravano fra di loro seguaci del vino, del furto e dell'amore erotico. I cristiani invece potevano condannare a dismisura la permissività e il lusso come distrazioni dall'unico Dio in cui credevano ciecamente. Gli ideali cristiani che si rispecchiavano nella carità verso i poveri, nel perdono per i nemici e nel martirio piuttosto che nell'apostasia, nonostante fossero tutti estranei alla tradizionale morale pagana, guadagnarono gradualmente l'ammirazione di molti pagani e contribuirono alla diffusione del cristianesimo.

Dopo la conversione di Costantino, il cristianesimo andò sempre più ad influenzare sia la vita pubblica sia quella privata. Gli istituti cristiani di beneficenza per i poveri aumentarono e gli intrattenimenti pubblici divennero molto meno violenti con l'abolizione dei combattimenti gladiatori e delle battaglie simulate. Curiosamente, la disapprovazione della chiesa per la pubblica nudità spinse alla chiusura dei ginnasi piuttosto che a vestire gli atleti. La chiesa anche se riluttante autorizzò i bagni pubblici, separati però in base al sesso, e le corse dei carri negli ippodromi. Nonostante denunciasse la prostituzione e le popolari esibizioni a teatro di attrici quasi nude, entrambe rimasero legali.

Basilio di Cesarea riconciliò a fatica la condanna dell'omicidio, predicata dalla chiesa, con le richieste di guerra escludendo per tre anni dal sacramento dell'eucarestia i soldati che avevano ucciso in battaglia. L'approvazione cristiana della continenza sessuale portò ad una diminuzione dei divorzi e all'aumento dei gruppi di monaci e monache consacrati alla castità. L'adulterio da parte dei mariti, le relazioni omosessuali, l'aborto e l'infanticidio, che i pagani avevano a lungo tollerato con sospetto, iniziarono ad essere considerati atti egoisti, crudeli e ripugnanti. Siccome la maggioranza delle persone trovò difficile il celibato, una diminuzione degli aborti e dell'infanticidio probabilmente aiutò a contrastare il calo demografico che era cominciato all'inizio dell'impero romano.

Il cristianesimo inoltre fece progredire di qualche passo la posizione delle donne all'interno della società. La ragione per cui tutti i preti cristiani erano maschi si doveva ricercare nel fatto che essi erano scelti per rappresentare Cristo stesso, mentre i sacerdoti e le sacerdotesse pagani erano soltanto i servi delle divinità.

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Ripresa e vittoria 1780-1025)


1. La rinascita dell'impero

Alla morte di Leone IV la vedova Irene divenne reggente al posto del figlio Costantino VI che aveva nove anni. Un'imperatrice senza l'appoggio di un potente imperatore era pur sempre in una situazione sfavorevole alla corte bizantina e i cinque fratelli minori di Leone erano tutti maggiorenni e ovvi rivali per il potere imperiale. Ma Irene, circa venticinquenne, era furba e possedeva una volontà di ferro, e il suo fermo proposito a ripristinare il culto delle icone le aveva procurato alleati a palazzo. Appena due mesi dopo la morte di Leone, fece fallire una cospirazione volta a proclamare imperatore uno dei fratelli del defunto e fece sì che tutti e cinque fossero ordinati preti.

Irene si appoggiò soprattutto ai burocrati, che erano generalmente iconofili, agli eunuchi, che non potevano essere eletti al trono, e ai preti, che possedevano entrambe le caratteristiche. Come suo logoteta postale e come più fidato consigliere scelse l'eunuco Stauracio. Nel 781 lo inviò contro un esercito arabo che stava attaccando l'Anatolia nordoccidentale. Ma, dopo aver messo alle strette gli Arabi, Stauracio fu consegnato a questi da generali bizantini traditori. Incolpando i generali piuttosto che il logoteta, l'imperatrice li sostituì e riscattò l'eunuco, che poi mandò a dare inizio alla conquista della Tracia occidentale in mano agli Slavi. Senza incontrare molta resistenza, Stauracio conquistò il territorio fino alle montagne dei Balcani, aprendo la strada dalla capitale all'enclave bizantina di Tessalonica. Irene creò subito un nuovo tema di Macedonia che includeva le sue conquiste.

Quando il patriarca di Costantinopoli in carica morì nel 784, Irene lo rimpiazzò con il suo protoasekretis Tarasio, che chiese un concilio ecumenico per condannare l'iconoclastia. L'imperatrice, due anni più tardi, fece riunire un concilio, unicamente per essere costretta a scioglierlo dopo una manifestazione fatta dai soldati iconoclasti dei tagmata. Rispose ordinando ai tagmata di fare una campagna contro gli Arabi, poi congedò i loro capi iconoclasti non appena questi furono fuori della città. Successivamente convocò un altro concilio ecumenico con rappresentanti del papa e dei patriarchi orientali melchiti. Svoltosi a Nicea nel 787, il concilio condannò l'iconoclastia come un'eresia e dichiarò che la venerazione di un'icona equivaleva alla venerazione della persona rappresentata. I vescovi consacrati sotto l'iconoclastia, che erano quasi tutti i presenti, rinnegarono le loro precedenti idee e rimasero in carica.

L'anno seguente, in una competizione fra giovani nobildonne selezionate, Irene scelse per suo figlio diciassettenne, Costantino, una bella sposa che però a lui non piaceva. Quando ebbe ormai raggiunto l'età per regnare, Costantino amava la madre ma era risentito per il suo stato di subordinazione, addossandone ingenuamente la colpa a Stauracio. Nel 790 egli complottò contro l'eunuco, e nonostante Irene avesse scoperto il complotto ed avesse imprigionato Costantino, la maggior parte dell'esercito appoggiò il giovane imperatore e sostenne la sua presa del potere. Le responsabilità tuttavia travolsero Costantino. Dopo aver regnato da solo per due anni, ristabilì la madre nel ruolo di imperatrice associata. Madre e figlio divisero faticosamente il potere finché egli rovinò ulteriormente la propria popolarità divorziando dalla bella moglie e risposandosi. Nel 797 i soldati fedeli a Irene catturarono e accecarono suo figlio, che probabilmente morì in seguito alle ferite e che in ogni caso non fece mai più parlare di sé.

Irene divenne ora la prima donna nella storia romana o bizantina a governare da sola. Nonostante avesse molti sostenitori nella chiesa, nell'amministrazione pubblica e nell'esercito, pochi ritenevano veramente che andasse bene per il posto che occupava.

Nell'800 il papa proclamò imperatore a Roma il re dei Franchi Carlo Magno, basandosi sull'argomentazione che, poiché una donna non poteva essere imperatore, il trono romano era vacante. Carlo Magno cercò di risolvere il problema offrendosi di sposare Irene. Dal momento che essa prese in considerazione questa straordinaria proposta, un gruppo di cortigiani la arrestò e proclamò imperatore il suo logoteta generale, Niceforo, che relegò Irene in un monastero. L'imperatrice aveva avuto il gran merito di restaurare le icone ma, anche accecando suo figlio, non aveva mai colmato del tutto lo svantaggio di essere donna.

Poco più che cinquantenne al momento della successione, Niceforo era uno dei molti ufficiali iconofili capaci promossi da Irene. Sembra che abbia prestato servizio come stratego del tema d'Armenia prima di diventare logoteta generale, e combinava la competenza finanziaria e militare con l'intelligenza e una straordinaria energia. Nonostante non avesse diritto ereditario al trono, non vi era nessun altro ad averlo, fatta qualche dubbia eccezione per Irene. La sua posizione risultò del tutto salda dopo che Irene morì e dopo che ebbe soppresso una rivolta di parecchi temi anatolici all'inizio del regno.

Malgrado alcuni scontri di scarso rilievo con gli Arabi, i principali progetti d'espansione di Niceforo, come già quelli di Irene, riguardavano i territori nei Balcani in mano agli Slavi. Nell'804 lo stratego dell'Ellade conquistò il Peloponneso occidentale sottraendolo agli Slavi che lo avevano occupato e iniziò a insediarvi i Bizantini. Nell'807 anche l'imperatore in persona avanzò oltre il confine in Tracia fino a Serdica (l'odierna Sofia). Lo stesso anno, Niceforo ordinò un nuovo censimento dell'impero, il primo dopo molti anni, mettendo fine a gran parte dell'evasione fiscale, cancellando molte esenzioni ed incrementando enormemente le entrate.

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Restaurazione e caduta (1204-1461)


1. I successori

La miglior prova della sostanziale solidità di Bisanzio è data dal fatto che gli stati bizantini sopravvissero per più di due secoli e mezzo dopo l'apparentemente fatale quarta crociata. La ragione non fu certamente una guida forte e unitaria. Quando infatti i crociati presero d'assalto Costantinopoli, il deposto Alessio III Angelo conservava ancora la regione di Tessalonica, mentre il genero Teodoro Lascaris occupava la parte nordoccidentale dell'Anatolia bizantina, presumibilmente nell'interesse di Alessio. Il fuggitivo Alessio V conservava la maggior parte della Tracia orientale. Alessio Comneno, un nipote del precedente imperatore Andronico, si era impossessato della costa settentrionale dell'Anatolia e si proclamò imperatore a Trebisonda: benché rivendicasse un'autorità su tutto l'impero, Alessio, che oggi identifichiamo come imperatore di Trebisonda, fu semplicemente un sovrano locale. I ribelli nella Grecia meridionale e nell'Anatolia sudoccidentale nutrivano infine esclusivamente ambizioni locali.

Molti Bizantini avrebbero potuto accettare i conquistatori se i crociati e i Veneziani fossero stati meno miopi, ma i vincitori saccheggiarono e bruciarono la loro nuova capitale e si erano già accordati per dividersi il nuovo impero in feudi pressoché indipendenti, lasciando soltanto la Tracia orientale e l'Anatolia nordoccidentale all'imperatore che si accingevano a eleggere. Inoltre, invece di appoggiare il loro energico comandante Bonifacio di Monferrato, che si era imparentato attraverso matrimonio agli Angeli e ai Comneni e ora era fidanzato con la vedova di Isacco II, alcuni crociati si unirono ai Veneziani nell'eleggere Baldovino di Fiandra, un candidato più debole che speravano di manipolare. Baldovino, chiamato imperatore latino dai Bizantini, promise a Bonifacio, che era scontento, un personale regno vassallo attorno a Tessalonica. I Veneziani s'impossessarono di numerosi porti e della gran parte delle isole e un veneziano divenne il patriarca latino di Costantinopoli.

Per prima cosa i Latini fecero una campagna contro i due precedenti imperatori bizantini. Alessio V cercò intelligentemente di allearsi con Alessio III sposandone la figlia, ma alla fine venne accecato dal nuovo suocero, di corte vedute, quindi catturato e ucciso dai Latini. Quando poi Bonifacio rivendicò Tessalonica come sovrano, Alessio III dovette fuggire nella Grecia centrale dove Bonifacio lo fece prigioniero. Nel frattempo Michele Ducas, cugino di Alessio III e già da tempo animatore di una rivolta contro di lui, si mise a capo dell'Epiro, nella Grecia nordoccidentale, senza osare dichiararsi imperatore. Re Bonifacio marciò allora nel Peloponneso, ma l'Epiro sembrava troppo povero e accidentato perché, almeno per il momento, valesse la pena di tentarne la conquista.

Le truppe dell'imperatore latino Baldovino stavano respingendo Teodoro Lascaris e altri Bizantini in Anatolia quando l'imperatore bulgaro Kalojan invase la Tracia. Kalojan non solo schiacciò l'esercito latino ma catturò pure lo stesso Baldovino. Nonostante l'imperatore bulgaro avesse ottenuto poco dalla sua vittoria, questa danneggiò l'impero latino e permise a Teodoro Lascaris di rafforzare la presa sulla maggior parte dell'Anatolia bizantina. Nel 1205, dopo aver sconfitto un esercito che era avanzato da Trebisonda per attaccarlo, Teodoro si proclamò imperatore di Bisanzio a Nicea.

Sebbene Teodoro fosse soltanto uno dei numerosi pretendenti al trono, ed è chiamato più propriamente imperatore di Nicea, egli era per lo meno un imperatore plausibile quanto chiunque altro nella politica bizantina di quel periodo. Aveva del resto sconfitto le forze dell'imperatore di Trebisonda, Alessio; il suocero Alessio III era prigioniero in Italia e l'imperatore latino Baldovino ben presto morì in carcere in Bulgaria. Qualche anno più tardi anche l'imperatore bulgaro Kalojan morì, dopo aver ucciso il re di Tessalonica Bonifacio, mentre Michele d'Epiro non rivendicò affatto alcun titolo. Il più assennato gesto di Teodoro fu di nominare un patriarca bizantino a Nicea nel 1208, subito dopo che il patriarca in esilio di Costantinopoli era morto in Tracia. Incoronando Teodoro, il nuovo patriarca fece di lui il naturale capo di tutti i cristiani d'Oriente che rifiutavano la chiesa occidentale.

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4. La fine di Bisanzio

La storia della sopravvivenza di Bisanzio per più di sei decadi è straordinaria, ma patetica. In questo periodo tutto quello che rimaneva del così detto impero erano Costantinopoli stessa, alcuni porti in Tracia e circa la metà del Peloponneso. Di questi, soltanto Costantinopoli, con le sue mura ancora possenti, poteva forse essere difesa contro un deciso attacco turco. Il sultano Bayazid trattenne addirittura il successore designato di Giovanni V, Manuele, presso la sua corte a Brussa, anche se Manuele riuscì ad allontanarsene per essere incoronato a Costantinopoli. All'età di quarant'anni, Manuele II era un uomo dotato d'abilità, esperienza e tatto, ma non si faceva illusioni sulla sua posizione. Egli supplicò umilmente Bayazid di riconoscerlo, accettando di aiutare il sultano in una campagna contro altri Turchi in Anatolia.

Bayazid ebbe la mano pesante, ma esagerò. Nel 1393 annesse completamente la Bulgaria dopo che il sovrano di questa, suo vassallo, si era ribellato. Successivamente il sultano convocò personalmente Manuele, con tutti gli altri vassalli bizantini e serbi, a Serre, vicino a Tessalonica, dove essi vennero a trovarsi tutti insieme in balìa dei Turchi. Dopo averli angariati in vario modo, Bayazid permise alla maggior parte di loro di andarsene illesi ma trattenne il fratello di Manuele, Teodoro. Ritenendosi sfuggiti d'un soffio alla morte, i vassalli bizantini caddero in preda alla disperazione. Teodoro riparò in seguito nel suo dominio nel Peloponneso, ma a quel punto Manuele ignorò la successiva richiesta del sultano di stare al suo servizio: piuttosto che fidarsi di Bayazid, l'imperatore contò sul fatto di mantenere Costantinopoli finché non fosse arrivato qualsiasi tipo d'aiuto.

Il sultano mise la città sotto assedio nel 1394. L'imperatore si era preparato come meglio poteva e potè contare sull'arrivo di rifornimenti via mare da parte dei Veneziani. Il re d'Ungheria, Sigismondo, già turbato dal fatto che i Turchi avessero raggiunto i suoi confini, era doppiamente allarmato per l'assedio di Costantinopoli, e anche molti altri Occidentali erano consapevoli del pericolo. Nel 1396 Sigismondo schierò un esercito crociato di media grandezza costituito da Franchi, Tedeschi, Polacchi e altri, che avanzò attraverso la Bulgaria, occupata dai Turchi, fino a Nicopolis sul Danubio. Bayazid dovette lasciare Costantinopoli per Nicopolis, ma qui il suo esercito annientò i crociati. Sigismondo fu uno dei pochi superstiti fuggiti lungo il Danubio e attraverso gli stretti su una nave veneziana.

Anche se la crociata di Nicopolis era fallita, essa fece guadagnare un po' di tempo a Costantinopoli che continuò a resistere con l'aiuto dei Veneziani e dei Genovesi. Nel 1399 il re francese Carlo VI inviò un piccolo contingente in soccorso guidato dal suo maresciallo Boucicaut; questi convinse Manuele a ritornare con lui in Francia per chiedere ulteriori rinforzi, lasciando il nipote, il precedente imperatore Giovanni VII, come reggente nella città posta sotto assedio. L'imperatore nutriva scarse speranze che questo suo appello avrebbe avuto successo, e si fidava talmente poco del nipote che lasciò la moglie e i figli nel Peloponneso con il fratello Teodoro. Tuttavia Manuele decise che fare qualcosa era meglio che non far nulla.

L'anno seguente Manuele sbarcò a Venezia, viaggiò via terra attraverso l'Italia settentrionale e la Francia meridionale e fece visita al re Carlo a Parigi. In ogni luogo Manuele ricevette una cordiale e cortese accoglienza. L'Italia e la Francia rinascimentali erano già piene d'entusiasmo per la cultura greca e il nobile imperatore fece un'eccellente impressione. Egli trascorse il Natale in Inghilterra con re Enrico IV prima di ritornare a Parigi. Carlo, Enrico, papa Bonifacio IX e numerosi altri eminenti occidentali promisero di fare tutto ciò che potevano, ma non fornirono alcun aiuto concreto. Poco propenso ad andarsene a mani vuote, l'imperatore rimase in Francia, mentre il nipote Giovanni aspettava in preda allo scoraggiamento a Costantinopoli.

In seguito, nel 1402, Timur Lang (Timur lo Zoppo), che aveva recentemente condotto un esercito mongolo alla conquista del Turkestan, dell'India settentrionale, dell'Iran e dell'Iraq, attaccò il sultanato ottomano. In una battaglia vicino ad Ancyra, Timur sconfisse e catturò il sultano Bayazid, ma dopo che ripristinò gli insignificanti emirati turchi dell'Anatolia, che gli Ottomani avevano assorbito, i figli di Bayazid iniziarono a combattere per ciò che restava del sultanato. Il figlio maggiore Sulaiman, che prese il controllo della parte europea, voleva evitare il minimo problema con i Bizantini o i Latini fintanto che non fosse riuscito a rendere sicuro il suo potere o almeno una strategia che offriva qualche possibilità di successo: l'unione della chiesa con l'Occidènte per mezzo di un concilio ecumenico, a cui far seguire una crociata occidentale contro i Turchi. L'imperatore si prese la massima cura nel perseguire i suoi piani.

In seguito a negoziati e preparativi accurati, nel 1437 papa Eugenio IV provvide al passaggio in Italia per settecento delegati orientali, inclusi l'imperatore, il patriarca di Costantinopoli e i rappresentanti di quasi tutte le maggiori chiese orientali, perfino lontane come l'Egitto, la Siria, la Geòrgia e la Russia. Durante i successivi due anni la delegazione orientale discusse ogni questione rilevante con il papa e i vescovi occidentali al concilio, tenutosi prima a Ferrara e poi a Firenze. Il principio base adottato fu quello della reciproca tolleranza di tutte le pratiche e le dottrine esistenti, con gli Occidentali che accettavano l'esicasmo e gli Orientali che accettavano il diritto del papa a convocare concili ecumenici. L'accettazione finale delle decisioni del concilio fu quasi unanime, inclusa l'approvazione del morente patriarca di Costantinopoli. Nel 1440, quando l'imperatore e i suoi legati tornarono a casa, il papa iniziò ad organizzare una crociata quanto più ampia poteva.

Anche se l'unione di Firenze destò una diffusa e appassionata resistenza in Oriente, l'imperatore esercitò la sua prudenza nel renderla effettiva, nominando un patriarca unionista senza proclamare ufficialmente l'unione. Malgrado l'ostacolo di una grave guerra civile in Ungheria, il papa fece tutto ciò che gli era possibile per anticipare la crociata. Con il supporto di importanti potenze occidentali, un esercito di crociati si concentrò in Ungheria e una flotta di crociati si riunì a Venezia. I Serbi, gli Albanesi e i Bulgari si ribellarono ai Turchi non appena i Bizantini avanzarono a nord dal Peloponneso sotto la guida del fratello di Giovanni, Costantino, nel 1444. Il sultano Murad, spaventato, offrì una tregua riconoscendo l'indipendenza serba. I crociati inizialmente la accettarono, ma vennero liberati dal giuramento da un legato papale. Mentre circa 20.000 crociati avanzavano oltre la Bulgaria verso Varna sul mar Nero, la loro flotta navigava fra gli stretti per impedire a Murad di condurre l'esercito dall'Anatolia. Il sultano tuttavia evitò la flotta, piombò sull'esercito a Varna con un numero superiore di soldati e lo distrusse.

Sembra improbabile che la crociata di Varna, anche nelle migliori circostanze, avrebbe potuto cacciare i Turchi Ottomani fuori dall'Europa, ma costituì una seria minaccia al loro potere, come lo stesso sultano non mancò di notare. Il suo fallimento rafforzò la già schiacciante dominazione ottomana sui Balcani. I Turchi ricacciarono immediatamente il fratello dell'imperatore, Costantino, nel Peloponneso e riportarono i Bizantini ad una condizione di vassallaggio. Un'improvvisata crociata messa in atto nel 1448 dagli Ungheresi e dagli Albanesi non portò a nulla. In quell'anno Giovanni Vili morì, dopo un regno che può essere considerato un onorevole fallimento. Dal momento che non aveva figli, suo successore fu l'intraprendente fratello Costantino XI, che aveva quarantanni.

Il sultano Murad accettò l'omaggio di Costantino come imperatore e dei suoi due fratelli minori come sovrani subordinati del Peloponneso. Sfortunatamente per Bisanzio, nel 1451 Murad morì e nell'arco di un anno il figlio ed erede Mehmet II iniziò i preparativi per un attacco a Costantinopoli. Anche se profondamente scoraggiati dal fallimento della crociata di Varna, alcuni di coloro ai quali Costantino si appellò inviarono delle truppe, soprattutto i Veneziani e i Genovesi. Nel 1453 il sultano mise Costantinopoli sotto assedio, offrendosi soltanto di risparmiare le vite di coloro che si fossero arresi. Le mura della città erano solide quasi come un tempo, ma Mehmet aveva i cannoni, che recenti miglioramenti avevano reso molto più efficaci contro le fortificazioni.

Dopo due mesi di bombardamenti, gli Ottomani aprirono una breccia nelle mura e irruppero nella città. La guarnigione bizantina combattè quasi fino all'ultimo uomo e lo stesso imperatore Costantino morì combattendo; dopo che tutto fu perduto molti Italiani fuggirono a bordo delle navi. Il sultano saccheggiò da cima a fondo la maggior parte della città, facendo giustiziare gli ufficiali bizantini che catturava. Successivamente si accinse a ricostruirla e ripopolarla come propria capitale. Nominò un nuovo patriarca di Costantinopoli e per un po' di tempo permise ai due fratelli di Costantino di continuare a governare il Peloponneso come suoi vassalli. Stancatesi di questo accordo, nel 1460 Mehmet annesse semplicemente i loro domini. L'anno seguente il sultano s'impossessò dell'impero di Trebisonda, l'ultimo frammento che ancora sopravviveva di Bisanzio.

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